Kid Gamma ha appena compiuto ventuno anni e li ha festeggiati regalandosi il suo primo EP, Disco Sentimento (GoMad Concerti/Thaurus Publishing, distribuito da INgrooves), in cui ha racchiuso cinque canzoni che raccontano di sentimenti a fior di pelle, amori, conflitti interiori e insicurezze della Generazione Z, la stessa a cui di diritto appartiene.
Ragazzo che sta per diventare adulto in un mondo che va di fretta e gli lascia addosso la paura per il futuro, Kid Gamma vive di musica sin da quando era piccolo. Aveva infatti tre anni quando cominciava a suonare il pianoforte, lasciando che il suo talento prendesse forma e lo portasse già a undici anni alla Carnegie Hall di New York, a suonare in quello che è per tutti il tempo della musica.
Cresciuto a pane (poco) e conservatorio (molto), Kid Gamma ha maturato presto anche il desiderio di salutare la musica classica per dedicarsi alla composizione e alla produzione, abbracciando ogni tipo di sonorità che incontrava sulla sua strada e facendosi sempre più cantore delle urgenze dei ragazzi della sua età. E quanto Kid Gamma sia arrivato ai suoi coetanei è chiaro mentre, nel corso di quest’intervista realizzata faccia a faccia un venerdì mattina nella cornice dei Cantieri Culturali della Zisa a Palermo, veniamo interrotti da un’adolescente, che si ferma appositamente per porgergli i complimenti per le sue canzoni.
Amore, libertà, ansia, disforia di genere, euforia e disperazione sono solo alcuni dei temi che si rincorrono nelle cinque tracce di Disco Sentimento. Temi che permettono a Kid Gamma di raccontarsi e di aprirsi come mai in precedenza. Dj resident all’ormai mitico PopShock, Kid Gamma ha le idee chiare su cosa sia l’inclusività (a una persona transessuale dedica anche un brano) ma anche l’amore tossico e la manipolazione, che ha avuto modo di vivere sulla propria pelle.
Una pelle, quella di Kid Gamma, che è comunque segnata dalla presenza di una fede all’anulare sinistro. No, non è sposato: apparteneva alla nonna. “La porto sempre con me. Mia nonna è stata la mia seconda madre: stavo con lei quando mia mamma ero al lavoro. Mia nonna è colei che mi ha insegnato a rispettare tutti come persone, ad ascoltare gli altri e a cucinare”, racconta nel dare risalto a una cosa in cui crede e a cui è fortemente attaccato, la famiglia.
“Non scrivo mai in studio. Scrivo o nella mia stanza o mentre cammino”, mi spiega a registratore ormai spento. “Ho l’abitudine di uscire fuori e camminare con le cuffie alle orecchie quando non devo andare in studio o non ho cose da fare al B&B che gestisco da dicembre scorso. Scrivo poi di quello che vedo ogni giorno intorno a me e di quello che provo dentro”. E allora scopriamo cosa ha veramente dentro Kid Gamma, che ha già al suo attivo l'apertura dei concerti di Sangiovanni o Rkomi.
Intervista esclusiva a Kid Gamma
“Si cresce e si evolve, farò probabilmente come Gué che ha tolto il Pequeño dal suo nome: la gente mi chiama già soltanto Gamma”, mi risponde Kid Gamma quando gli chiedo cosa farà del suo nome quando, andando avanti con gli anni, non sarà più “kid”.
Perché Disco Sentimento?
Sentimento è una parola molto evocativa, intanto. E poi perché in tutti i brani c’è molto sentimento, verso una partner o verso me stesso. Un sentimento che può sfociare in emozioni sia positive o negative, nella spensieratezza o nell’ansia. L’ansia giovanile è ad esempio un tema molto ricorrente in tutte le canzoni: cerco sempre di autoconvincermi che la città, un amore o qualsiasi persona (in questo caso quel partner di cui parlo) possano essere salvifici per quanto riguarda la mia anima.
Hai usato due volte la parola partner ma preceduto da un articolo o da un aggettivo appartenente a due generi differenti…
Per “quel partner”, il riferimento nello specifico è a una traccia che si chiama Kelly, di cui parlo di un amore totalmente differente rispetto a quello di cui parlo nelle altre canzoni. È un brano che tratta di disforia di genere. Sentivo il bisogno di dover trattare un argomento del genere, senza entrare troppo nei particolari, per descrivere tutte le emozioni e i modi di fare di una persona che ne soffre ed è vittima della gente.
È un tema abbastanza complesso e complicato che non si può raccontare se non si conosce da vicino.
È la storia di una ragazza che ha fatto la transizione di genere e di cui non dirò mai il nome. L’ho chiamata appositamente Kelly: è un nome abbastanza generico che suonava anche molto bene. È comunque una persona realmente esistente che conosco abbastanza bene: ho vissuto in prima persona tutte le sue paranoie e tutti i suoi vari sentimenti nel mettersi anche in gioco in società.
Disco Sentimento, come accennavi, parla d’amore. Tu hai 22 anni. Cos’è l’amore alla tua età?
È difficile da spiegare. È sicuramente qualcosa di molto forte: quando provo dei sentimenti, li provo in maniera genuina. Se penso alla ragazza con cui sto al momento e a come mi abbia letteralmente preso e salvato da varie situazioni, anche brutte, benedico in tutti i modi il giorno in cui ci siamo incontrati. Mi sta dando tanto così come io cerco di dare tanto a lei. Il sentimento per me è qualcosa di molto genuino e naturale che viene dal profondo e che può sfociare in tantissime altre sfumature, anche nella rabbia, nella paura, nell’ansia o nell’insicurezza.
Ansia, insicurezza, paura, rabbia: tutte parole che a prima vista hanno connotazioni negative ma che possono essere invece utili nel percorso di vita che si affronta.
Dico sempre che un artista riesce a scrivere bene quando sta una merda. Tutto il disco è stato scritto in condizioni psicologiche abbastanza strane che mi portavano a comporre e soprattutto a raccontare la mia salvezza.
Cosa intendi per condizioni strane?
Per natura, sono una persona molto sensibile, che vive tantissimo tutto ciò che lo circonda. Immagino sempre come fare, come poter andare avanti, come risolvere delle situazioni. Sono abbastanza sincero con me stesso, non mi dico stronzate e cerco di lavorare anche su me stesso e il mio carattere.
La prima traccia si chiama Paura. Di cosa ha paura Kid Gamma?
Ho tanta paura del futuro e della mia condizioni psicologica. Non avendo, come si può ben pensare, un mestiere fisso tra le mani, c’è tanta paura di non riuscire a fare ciò che voglio nella vita. Avendo poi dei genitori abbastanza grandi, ho anche paura di rimanere solo: ho dei fratelli ma sono più grandi di me e hanno già una loro famiglia mentre io sono l’unico rimasto ancora a casa.
In Come quando piove, fai riferimento alla tua partner come alla tua città. Cos’è per te la città?
È amore e odio. Una persona può essere come una città che ti salva ma che allo stesso tempo ti blocca in una situazione abbastanza monotona. Nonostante la mia giovanissima età, ho vissuto più di una relazione e molte di queste erano anche tossiche, con persone che cercavano di bloccare anche il mio flusso creativo: non erano situazioni né belle né sane, per niente. In quella canzone, c’è anche il risvolto positivo dell’amore: “sei come la mia città quando è sera o c’è il sole”, ovvero sempre. Comunque sia, è una costante.
E che rapporto hai invece con la tua città, Palermo?
Eh, amore e odio… vorrei scappare dalla mia città per ragioni ovviamente lavorative ma c’è una forte insicurezza che mi spinge nel non andare fuori. Potrei ad esempio trasferirmi a Milano: mi offrirebbe maggiori situazioni professionali ma cosa farei nei giorni in cui non si profila nulla all’orizzonte? Andrei a perdere del mio tempo, anche economicamente parlando, se consideriamo già la situazione degli affitti.
Nella tua città, far musica è ancora sinonimo di non far niente? Ti tormentano con il chiederti “che lavoro che farai da grande”? Come si fa capire che la musica è già un lavoro?
In realtà, non ho mai vissuto la condizione di far capire che la musica è il mio lavoro. Sin da piccolo, ho inculcato nella testa di chi mi circonda che sono così, sono un musicista. I miei parenti, gli amici e i miei genitori sono i miei primi fan. I miei genitori, ad esempio, mi hanno sempre dato tantissimo supporto, da ogni punto di vista: sono loro le persone a cui devo tutto, loro che credono in me e che tirano fuori la parte migliore di me, soprattutto artistica. Sono molto legato a loro, anche se ogni tanto non lo dimostro. Tuttavia, mi è capitato qualche volta di sentirmi chiedere “e perché non l’avvocato?”.
Hai cominciato a suonare il pianoforte da piccolissimo, a tre anni.
Mi ha spinto mia madre a farlo. Lei suonava il piano e, sin dalla scuola materna, mi ha fatto seguire un corso di pianoforte. Ho avuto la fortuna di avere un maestro che ha capito le mie potenzialità da bambino come pianista e mi ha spinto a iscrivermi alla scuola del Bras Group, una scuola di jazz abbastanza affermata in Europa. Ho così cominciato a studiare tutti i generi musicali possibili: studiavo jazz e contemporaneamente musica classica. Sono arrivate poi la musica d’insieme e l’esperienza da solista…
Esperienza da solista che ti ha portato a 11 anni a esibirti alla Carnegie Hall di New York. Guardando indietro nel tempo, che esperienza è stata?
Incredibile: ero letteralmente una formica in mezzo ai palazzoni di New York. Stavo suonando un pezzo di Eliodoro Sollima in uno dei teatri più importanti del mondo, dove si sono esibiti i più grandi big della musica e dove ha cantato Maria Callas. In quel momento, vista anche l’età, non ho capito un cazzo di quello che stava accadendo, non attribuendogli la giusta importanza: se dovesse ricapitarmi domani, sarei morto dentro!
È stata sicuramente una tappa fondamentale per il mio percorso perché dopo quell’esperienza ho capito cosa volessi realmente fare. E, infatti, intorno ai 12/13 anni ho cominciato a produrre per me stesso e a puntare sulle mie forze e su quello che mi piaceva. È chiaro che, crescendo ed entrando in contatto con l’universo delle scuole medie prima e del liceo dopo, ho cambiato totalmente ascolti e non solo: cambiano le compagnie e inevitabilmente cominci a vedere tutto con occhi diversi.
Hai anche frequentato il conservatorio, il Vincenzo Bellini. Un percorso così impegnativo ti ha portato a delle rinunce?
Ovviamente, sì. Ma mi ha portato anche alla rinuncia della musica classica come genere musicale. La musica classica è molto da esecutore, un aspetto che non riuscivo più a sopportare. Dopo otto anni passati a eseguire brani di altri, ho sentito la forte necessità di comporre qualcosa di mio. Sono stato portato a rinunciare alla musica classica e a tralasciare gli studi del pianoforte per intraprendere la mia “carriera” con una forma mentis diversa.
Studiare pianoforte da bambino richiede impegno, sacrificio e dedizione. Da un punto di vista privato, ti ha tolto nulla l’essere stato un bambino prodigio?
No. Anche stavo otto ore al giorno sul pianoforte, non mi ha tolto nulla per il semplice fatto che mi veniva riconosciuto ogni sacrificio che facevo sia in casa sia dai compagnetti di classe: erano i primi a venire ad ascoltarmi al Teatro Politeama quando suonavo con l’Orchestra Sinfonica Siciliana.
La realtà del conservatorio è così dura come la descrivono o è un mito quello delle bacchettate sulle mani?
Niente bacchettate sulle mani ma sì, c’erano dei professori anche abbastanza duri, che definirei pseudo musicisti. Comunque sia, studiare pianoforte è disciplina e metodo, non c’è definizione migliore per spiegarlo.
Che rapporto hai oggi con il pianoforte?
Lo suono tutti i giorni. Per la composizione dei brani aiuta avere una formazione classica. Anche dal punto di vista tecnico, ti viene in soccorso in molti aspetti: se devi fare un sol con un sintetizzatore, come fai se non hai la tecnica alle spalle?
In Senza voce, altro brano di Disco Sentimento, canti della libertà a vent’anni. Cosa vuol dire per te libertà?
Uscire fuori dai canoni sociali, anche estetici, predefiniti. La libertà per me è sentirsi a proprio agio in società e star bene anche e soprattutto con il proprio corpo, una condizione fondamentale per un adolescente o per un ventenne ma anche per un quarantenne o un cinquantenne.
Un traguardo non sempre facile da raggiungere star bene con il proprio corpo…
Per alcune persone, purtroppo sì. Ma lo è stato anche me. Da piccolo, ad esempio, ho dovuto praticare un’arte marziale perché ero molto esile, basso e sottopeso. Ho dovuto anche prestare maggior attenzione all’alimentazione: fino ai nove o dieci anni, non mangiavo quasi nulla. Oggi, mi sento bene con il mio corpo, ho fatto un lavoro su me stesso che mi ha infuso più fiducia. So che si deve piacere soprattutto a se stessi ma mi ha aiutato molto trovare una partner che mi apprezza per come sono.
È la tua relazione sana con il tuo corpo che ti ha spinto a comparire semi nudo sulla copertina di Disco Sentimento?
Ho scelto quell’immagine perché per me il disco era come mettersi l’anima a nudo. Ho messo a nudo le mie emozioni in musica: perché non farlo anche visivamente?
E nel mettere a nudo l’amore, si passa dagli stati di euforia a quelli di disperazione. Cosa ti fa disperare in amore?
Gli atteggiamenti ossessivi e possessivi. Ho avuto relazioni, come accennavo, con persone che non mi facevano sentire a mio agio con la loro possessività e il loro marcare la mia libertà. In una relazione, si deve accettare anche come l’altro desideri avere del tempo per stare da solo o andare in giro con gli amici. Mi è capitato di sentirmi manipolato e, in quel caso, ho reagito con il rifiuto: ho molta consapevolezza di quanto mi accade attorno e, se qualcosa non mi fa del bene bene, riesco ad allontanarmi dalla “selva oscura” di dantesca memoria e risollevarmi.
La selva oscura è la metafora che ricorre anche in Paura. Cos’è per te?
È un sentimento che non riesco a descrivere a pieno ma è paragonabile a qualcosa che ti blocca: sono le circostanze che ti rendono schiavo di te stesso. Spesso sono ansie e insicurezze legate al futuro, alla famiglia ma anche al lavoro. Tengo tantissimo al mio lavoro, sono una persona molto puntigliosa e, se qualcosa non mi riesce, sto lì a sbattermi la testa al muro e a spaccarmela fino a quando non ce la faccio.
Lavoro: sei anche dj resident al Popshock, realtà queer di Palermo. Com’è da maschio eterosessuale cisgender relazionarsi con quella scena?
Mi sento di far parte di quella realtà perché è una realtà super inclusiva, non c’è molto altro da dire. Qualsiasi persona di qualsiasi etnia, orientamento sessuale o gender, al PopShock è a casa sua. Se qualcuno dovesse esprimere un giudizio sul mio conto basandosi solo sul pregiudizio, mi incazzerei come una bestia. Le serate del PopShock vengono viste a volte come le serate gay ma non è così: sono piene di ragazze e ragazzi etero, gay, transgender, bisessuali, intersessuali. Quale realtà più inclusiva di questa?
Cosa ti aspetti da Disco Sentimento?
Non mi aspetto mai nulla dai progetti che porto avanti semplicemente perché, se non dovessero andare, ci rimarrei male. Non falso mai le mie aspettative: a me basta che la gente si riveda in ciò che scrivo e canto. È il motivo fondamentale per cui faccio musica: sapere che qualcuno possa essere felice o possa piangere nel letto della sua stanza con le mie tracce in sottofondo.
Che effetto ti fa essere fermato per strada o salutato, come accaduto qualche istante fa?
È bellissimo. Ma è quello che mi spinge a fare musica e continuare: mi fa pensare che quello che sto facendo è giusto. Non so se sia fatto bene ma almeno è giusto.