Rai 5 trasmette la sera dell’11 gennaio il film L’accusa. Diretto da Yvan Attal e interpretato da Charlotte Gainsbourg, Matthieu Kassovitz, Pierre Arditi, Ben Attal, Suzanne Jouannet, Audrey Dana, Benjamin Lavernhe e Judith Chemla, il film di Rai 5 L’accusa è l’adattamento del romanzo Le cose umane di Karine Tuil, pubblicato in Italia da La nave di Teseo.
La storia ruota intorno ad Alexandre (Alexandre Farel), un ragazzo accusato di aver violentato una ragazza, Mila (Suzanne Jouannet). Tante le domande che nascono: chi è questo ragazzo e chi è questa ragazza? Lui è colpevole o innocente? Lei è una vittima o è spinta solo da un desiderio di vendetta, come sostiene l’accusato? I due giovani protagonisti e i loro cari vedranno le loro vite, le loro convinzioni e le loro certezze andare in frantumi ma… esiste una sola verità?
Un tema di scottante attualità
Alexandre Farel è il figlio di Jean, popolare presentatore televisivo. Claire, sua madre, ha lasciato il marito e vive con Adam Wizman, separato anche lui da una moglie ebrea e molto religiosa dalla quale ha avuto un figlia, Mila. Quando Alexandre torna dagli Stati Uniti dove sta terminando i suoi studi, raggiunge la madre per una sera e fa la conoscenza di Mila. Insieme, decidono di andare a una festa per gli ex studenti del liceo Enrico IV. Tuttavia, il giorno dopo, la polizia arresta Alexandre, accusato di aver violentato Mila. È veramente colpevole?: è la prima domande che ci si pone guardando il film di Rai 5, L’accusa, un dramma in cui nel risalire alla verità interferiscono fattori come le differenze di classe, di religione e la pressione dei mass media.
“Il romanzo di Karine Tuil era appena uscito”, ha ricordato il regista Yvan Attal. “Ero interessato all’autrice, della quale avevo già letto altre cose, e all’argomento: un ragazzo accusato di stupro in seguito a una festa. La narrazione mi ha sconvolto. Mi ha commosso l’imputato (nel quale potevo rivedere mio figlio), mi ha commosso la vittima (nella quale potevo rivedere mia figlia), mi sono completamente identificato nei genitori dei due giovani coinvolti in questo fatto di cronaca”.
“Ho modificato la struttura della storia – c’è “lui”, poi “lei” e infine il processo – perché lo spettatore abbia il tempo di affezionarsi a loro. Volevo sapere da dove venivano, chi erano, come entrambi avevano passato la serata che precede il dramma, perché lei riteneva che lui l’avesse stuprata e perché invece lui credeva che lei fosse stata consenziente. Il tema era attuale, i personaggi complessi. E, per la prima volta, questo libro mi ha fornito l’occasione di allontanarmi dalla commedia, di ritrovarmi in un tipo di cinema che mi ha fatto venire voglia di fare cinema con elementi che non avevo mai avuto occasione di riprendere: un commissariato, un tribunale, una perquisizione, etc.”.
“Durante la stesura della sceneggiatura, ho incontrato giudici, poliziotti e avvocati per comprendere il più possibile il loro campo d’azione, la loro concezione del mestiere”, ha proseguito il regista del film di Rai 5 L’accusa. “Il romanzo mi ha fornito del bel materiale drammatico ma avevo bisogno di immergermi nel sistema, nell’arena in cui tutti operano. L’aula del processo è quella che mi ha segnato di più: vi regna il silenzio, una tensione molto forte. Non è un teatro. Gli avvocati ovviamente indulgono in “performance”, a volte teatrali, ma il loro obiettivo è quello di colpire forte e di convincere, perché la posta in gioco è molto alta”.
“Ho assistito a un processo per stupro. Lì, non c’era alcun dubbio che l’uomo fosse colpevole. Ma nonostante tutto, c’è un essere umano dentro al box e un altro al banco degli imputanti. Ci sono in gioco molte vite e malgrado tutte le convinzioni, le emozioni, si esce scossi. La lettura del romanzo non era stata sufficiente, dovevo vivere questa esperienza. È ciò che ha guidato la mia messa in scena: rimanere a lungo sui personaggi per evitare il superfluo".