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L’anello ritrovato: L’importanza del ricordo – Intervista esclusiva al regista Alessandro Celli

l'anello ritrovato
Per la Giornata della Memoria, sulle reti Rai va in onda il film breve L’anello ritrovato, in cui due giovani di oggi si mettono sulle tracce di una storia di amicizia del 1943, alla vigilia degli eventi che hanno sconvolto il ghetto di Roma. Ne abbiamo parlato con il regista, Alessandro Celli.

Alessandro Celli è il regista del film breve L’anello ritrovato, una produzione Stand by Me in collaborazione con Rai Kids con il patrocinio della Comunità ebraica di Roma che andrà in onda venerdì 26 gennaio su Rai 3 alle ore 16 e sabato 27 alle 17:50 su Rai Gulp (disponibile su RaiPlay a partire dalla mattina del 26).

Produzione originale rivolta a ragazzi e famiglie per la Giornata della Memoria, il film L’anello ritrovato unisce live action e animazione (a cura di Lynx Multimedia Factory) per dare voce alla vera storia tra gli adolescenti Giacomo Moscati e Samuele Pontecorvo sullo sfondo degli eventi storici che nel settembre 1943 portarono alla deportazione di 1022 tra adulti e bambini dal ghetto di Roma ai campi di sterminio. La storia, scritta da Simona Ercolani, Tancredi Maria Anzalone, Filippo Gentili e Angelo Pastore, vede il regista Alessandro Celli raccogliere le redini del percorso cominciato da Stand by Me con La cartolina di Elena per raccontare ai più giovani ciò che non dovrebbe ripetersi mai più, sfruttando un linguaggio moderno e vicino alle nuove generazioni.

Per quanto si possa scrivere, sono i fatti che dimostrano quanto Alessandro Celli conosca bene i giovani di oggi. Da sempre, le sue storie – qualunque sia il medium o il formato di riferimento – raccontano di ragazzi e tematiche a loro care. È infatti Alessandro Celli il regista che si cela dietro al successo della serie tv Di4ri, in grado di conquistare con le sue due stagioni la prima posizione dei programmi più visti worldwide di una nota piattaforma.

Ragione per cui con Alessandro Celli, regista e autore televisivo romano, cogliamo l’occasione per parlare non solo del film L’anello ritrovato ma anche della sua esperienza in altri contesti, da quando si occupava di casting fino ad arrivare alla sua opera prima per il cinema, Mondocane.

Alessandro Celli, regista del film breve L'anello ritrovato.
Alessandro Celli, regista del film breve L'anello ritrovato.

Intervista esclusiva ad Alessandro Celli

“Ho raccolto il testimone da La cartolina di Elena”, mi risponde subito Alessandro Celli quando gli chiedo come ci si senta a confrontarsi con una storia come quella raccontata da L’anello ritrovato, in onda per la Giornata della Memoria su Rai 3 e Rai Gulp. “La Giornata della Memoria è importantissima: mai come oggi c’è il bisogno di parlare ai ragazzi della memoria storica del nostro Paese, di ciò che è accaduto e di quanto fondamentale sia non dimenticare anche tanti valori. Il nostro è un mondo che sta cambiando molto velocemente e quello dei ragazzi in maniera ancora più frenetica: lavorando molto con i giovani e avvicinandomi al loro linguaggio, è facile rendersi conto di come su molti argomenti siano più indietro rispetto alla generazione precedente. Paradossalmente, pur avendo molto più accesso a internet e alle informazioni, l’impressione è che siano meno stimolati”.

Il progetto che Stand by Me sta portando avanti è importante per tutti quanti, senza fare distinzioni. Nel caso di L’anello ritrovato, si parla di una vicenda e di un personaggio, Giacomo Moscati, i cui eredi sono ancora in vita: Moscati è morto qualche tempo fa all’età di 91 anni, lasciando un ricordo vivido anche nella comunità ebraica. Conoscevi la sua storia o quella di Samuele Pontecorvo, l’altro ragazzo a cui l’anello fa riferimento?

No, le ho lette direttamente in sceneggiatura: era già tutto contenuto lì.

Tuttavia, per te il cortometraggio rappresenta la prima volta in cui ti cimenti con la tecnica dell’animazione.

Da appassionato, seguo tantissimo il mondo dell’animazione, del fumetto, della graphic novel e dei cartoni. Ma è la prima volta che un’opera di cui sono firmatario contiene sequenze di animazione. La difficoltà maggiore, se c’è stata, è legata ai tempi strettissimi di lavorazione: il tutto doveva essere pronto per una data molto specifica. È stata una lavorazione dettata da tre calendari diversi – riprese, animazione e messa in onda – che dovevano sincronizzarsi, integrarsi ed essere complementari.

Le sequenze di animazione dovevano agganciarsi a fotogrammi in live action e viceversa. Ragione per cui abbiamo preparato degli storyboard che hanno facilitato il mio lavoro. Ma, ripeto, è stato tutto velocissimo perché dovevamo rientrare in quelli che sono i tempi del mezzo televisivo, il megafono più idoneo e più potente che possa esistere per raggiungere maggior pubblico possibile.

Come hai lavorato con Mariandrea Cesari e Liam Mario Nicolosi, i due giovani attori che in L’anello ritrovato interpretano i personaggi di Cecilia e David?

Conoscevo già Liam perché è stato un attore di un altro progetto speciale a cui sono molto affezionato, Di4ri. Mi piace molto il suo modo di recitare e ho voluto fortemente che fosse coinvolto in questa storia. Non conoscevo invece Mariandrea: l’avevo vista in La cartolina di Elena e si è rivelata una bellissima sorpresa. Ci siamo tutti trovati bene. Lavorare con gli attori è la mia passione, mi piace costruire con loro il mondo che racconteremo e farlo nel miglior modo possibile. Ma dovresti chiedere a loro com’è stato lavorare con me (ride, ndr).

Di L’anello ritrovato, mi piace moltissimo che ci sia un leggerissimo accenno a quella che è la back story relazionale tra i de protagonisti, Cecilia e David: mi gratifica perché mi dà modo di costruire con loro un dialogo che non si ferma solo alle battute da recitare e che crea un gioco di scambio che aiuta non solo la costruzione dei personaggi.

Hai appena citato forse il successo maggiore del tuo lavoro con i ragazzi. Ma sono tanti i progetti che ti hanno visto a stretto contatto con i giovani: da Jams a I cavalieri di Castelcorvo. Cosa ti lascia lavorare con i ragazzi di quell’età?

Stand by Me è molto cresciuta in quello che viene definito settore Kids: grazie anche alla sensibilità di Simona Ercolani, con cui ho sempre lavorato a stretto contatto, ci siamo concentrati molto sul know how del mondo dei ragazzi. Cosa mi lascia questo lavoro è una delle domande a cui mi capita spesso di pensare: forse mi restituisce quello spirito di avventura che è tipico di quell’età. L’adolescenza, l’età del coming of age, è sempre legata alla scoperta di un qualcosa.

La soddisfazione maggiore arriva, quindi, dal vivere un’avventura in cui tutti cresciamo insieme e costruiamo qualcosa di strutturato. Cambiano i progetti e il linguaggio: per il cinema, ad esempio, ho diretto un film che si intitola Mondocane, a cui sono affezionatissimo ma che ha un linguaggio che risponde a tutt’altra esigenza. L’anello ritrovato ha invece una nobiltà tutta sua, ha una sua identità stilistica ma, soprattutto, parla per sé con un racconto che abbiamo voluto caldo, anche nei toni della fotografia, sull’amicizia e sulla sua importanza: è importante che chiunque lo guardi si senta a suo agio con quel modo di raccontare il legame tra i protagonisti.

L’anello ritrovato si conclude con la sequenza del Bar Mitzvah di David. A memoria, è la prima volta che viene mostrato in un prodotto italiano e in maniera così delicata oltre che realistica.

Quella che è stata montata, è solo una parte della lunga scena che avevamo girato. Ho avuto la fortuna di avere uno spazio scenico vero con un rabbino che ci ha seguito sul set e ha fatto sì che si rispettasse fedelmente ciò che accade, includendo anche una preghiera in ebraico, nella comunità ebraica romana. Sottolineo il “romana” perché tra una comunità e l’altra esistono delle micro differenze: siamo stati attenti a tutta una serie di accortezze che non tradissero ciò che avviene in quella specifica comunità, la stessa che ci ha permesso di muoverci nei suoi luoghi e di non ricorrere a scenografie costruite.

Hai citato Mondocane, film presentato alla Settimana della Critica del Festival di Venezia. Non hai voglia dopo un paio di anni di tornare alla regia di un lungometraggio?

Sono impegnato con la serialità ma la voglia c’è, occorre individuare il progetto giusto. Ci sono un paio di possibilità davanti a me ma non è stato ancora deciso nulla perché non ho ancora individuato quello a me più consono. Mondocane è stato accolto con entusiasmo sebbene fosse un film curioso che è arrivato nelle sale in quel momento assurdo che è stata la pandemia: ha avuto la fortuna di avere una certa attenzione mediatica grazie alla selezione in Settimana della Critica sia per la presenza di Alessandro Borgi ma è uscito al cinema in un momento difficilissimo per il settore.

Sarei curioso di sapere cosa sarebbe accaduto se fosse uscito in questo momento, in cui anche grazie al successo di Paola Cortellesi il nostro cinema sta vivendo un bellissimo momento di ripresa. Il film è stato anche molto venduto all’estero e personalmente ho seguito la sua distribuzione nelle sale in USA, andando fino a New York per la promozione: forse perché la realtà dell’inquinamento in qualche modo è un tema per molti Paese più sentito.

Ho avuto la fortuna di poter lavorare con un produttore come Matteo Rovere, un grandissimo innovatore che rischia e sa come muoversi. Parlare di Mondocane per me è sempre bellissimo proprio perché, come detto prima, è il contrario di ciò che faccio da tanti anni in televisione.

L'anello ritrovato: Le foto del film

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Eri invece pronto al successo internazionale di Di4ri? Se entro i nostri confini era prevedibile, lo stesso non poteva dirsi fuori dall’Italia.

Nessuno di noi poteva prevedere quel tipo di esito internazionale. Presentavamo un progetto inedito, che non esistevano ancora. C’erano già tanti progetti similari ma rivolti a un pubblico teen: noi parlavamo invece ai pre-teen, ai ragazzi dai sette ani in su. Era destinato al canale Kids ma ci siamo ritrovati in cima alla top ten mondiale: il che era per noi incredibile, significava che i bambini lo stavano vedendo con i loro genitori o che i loro genitori lo vedevano per capire se mostrarlo ai propri figli. È complicato capire le ragioni di un successo di quella portata: di nostro abbiamo voluto creare un prodotto che fosse pensato per i ragazzi, fatto da loro e visibile a loro, senza nulla di pruriginoso o di vietato che potesse attirarli, come spesso succede per altri prodotti per cui il genitore è chiamato a far da filtro.

La tua esperienza con i ragazzi ha origini lontanissime. Dalle tue mani è passato il casting di una delle serie tv adolescenziali più apprezzate del recente passato: Braccialetti rossi. Come ci sente a essere pigmalioni di giovani che diventeranno dei talenti apprezzati e ricercatissimi?

Non mi reputo un pigmalione ma qualcuno che cerca di fare al meglio il suo lavoro. Il casting pesa un’enormità nel lanciare un progetto: in quel caso, non si trattava di puntare sui nomi ma sulla credibilità che ogni volto portava al suo personaggio. Risiede lì la ragione di un successo: quando si è operato in maniera diversa (e mi è successo), non mi stupisce che poi non arrivino i risultati sperati. Si scommette su giovani che cresceranno ma è complesso: non sai mai cosa l’adolescenza comporterà nel loro percorso, così come non sai quale sarà la loro relazione alla popolarità… sono tante le variabili in gioco.

Tuttavia, il tuo percorso personale è stato curioso: una laurea in Economia e Commercio prima di studiare alla London Film School.

Appartengo a una famiglia in cui, a partire da mio padre direttore finanziario, ognuno aveva quella formazione. Il famoso ‘pezzo di carta’ era la priorità e tutta una serie di tappe intermedie hanno rallentato il mio percorso e la mia formazione cinematografica. Dopo la laurea, ho svolto un pio di lavori ma, grazie alla realizzazione di alcuni corti promettenti, ho deciso di iscriversi a quella scuola di Londra, che si concentra soprattutto sul lavoro sugli attori. Conclusi i due anni, è poi cominciata la mia gavetta: ero in ritardo rispetto ad altri ma ho avuto la fortuna di venir premiato con un David di Donatello, che mi ha aperto le porte di un mondo e di una realtà che non conoscevo.

L'anello ritrovato: Le scene di animazione

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