L’estate più calda, il film in arrivo su Prime Video il 6 luglio, rappresenta una bella prova del nove per Matteo Pilati. Reduce dal successo, anche inaspettato se vogliamo, dell’opera prima Maschile singolare, co-diretto con Alessandro Guida, Matteo Pilati vive l’uscita di L’estate più calda senza ansia da prestazione, stando almeno a quello che ci racconta nel corso di quest’intervista esclusiva.
E c’è da credergli perché se qualcosa contraddistingue Matteo Pilati è proprio la sincerità con cui si interfaccia con i suoi interlocutori, senza peli sulla lingua e con tanti aneddoti che devono rimanere custoditi in segreto. Di una cosa, però, siamo certi: per Matteo Pilati questa sarà sicuramente, se non la più calda della sua vita, un’estate che non dimenticherà facilmente. Un po’ come quelle che da ragazzino trascorreva nel centro estivo della sua parrocchia nel bolognese, un’esperienza che ha fatto da spunto per questo suo secondo film.
In L’estate più calda, Matteo Pilati racconta la storia di formazione di tre giovani protagonisti sotto il sole cocente della Sicilia divertendosi e divertendo con l’aiuto dei giovani Gianmarco Saurino, Nicole Damiani e Alice Angelica (quest’ultime esordienti) e sotto lo sguardo fiducioso di nomi sacri come Stefania Sandrelli e Nino Frassica. L’atmosfera, piena di rimandi e citazioni, è quella di uno young adult a più livelli, uno di semplice lettura e uno più complesso e stratificato che punta a guardare la realtà con concretezza e non solo con la lente degli ideali.
Ma lasciamo che a raccontare di L’estate più calda ma anche di lui sia Matteo Pilati in persona.
Intervista esclusiva a Matteo Pilati
“Ansia da prestazione?”, è la prima cosa che chiedo a Matteo Pilati a proposito diL’estate più calda, facendo leva sul successo che ha ottenuto in tutto il mondo il suo primo lungometraggio da regista, Maschile singolare, premiato lo scorso anno con un Diversity Media Awards (lo stesso riconoscimento ottenuto anche da noi di TheWom.it, seppur in categorie differenti).
Sarebbe logico provare ansia dopo i riscontri del tuo primo film.
La verità? Non molta. Mi sono messo a scrivere L’estate più calda con Giuseppe Paternò Raddusa, cosceneggiatore di entrambi i film, e con Tommaso Triolo, un amico da anni anch’egli sceneggiatore, per gioco, esattamente come era successo per Maschile singolare. A questo giro, proprio grazie al riscontro di Maschile singolare, Amazon ha avuto sin da subito le orecchie aperte e ha deciso di realizzare il film a stretto giro, togliendomi tutte le preoccupazioni da produttore indipendente che avevo avuto con il primo film e trovando il sostegno della produzione di Notorious Pictures.
Tutti quanti hanno capito che tipo di persona ero, quali erano i miei punti di forza e quali i miei limiti, dettati soprattutto dalla mia esperienza. Ero dopotutto un regista alla seconda opera che si interfacciava con un metodo produttivo molto più grande rispetto all’opera prima e, per tale ragione, mi hanno fornito una squadra di persone adatte a lavorare con me: tutte gentili. Non ho un carattere autoritario da dittatore nordcoreano, non mi impongo sugli altri e non ho un carisma particolare. Ho tanti difetti ma hanno trovato dei professionisti con tantissimi anni di esperienza alle spalle, dal direttore della fotografia Alfredo Betrò alla costumista Catia Dottori.
Sono stato circondato da gente che mi dava tanta fiducia e che mi ha permesso di fare il mio lavoro nel migliore dei modi. E questo perché Amazon ha capito sin da subito il progetto, anche se magari avevamo reference un po’ diverse ma su molte cose siamo stati subito d’accordo, come ad esempio le scelte di casting. Ho potuto scegliere con serenità a chi affidare i personaggi. Per ritornare alla domanda, sono semmai curioso di vedere come accoglierà il pubblico il film: spero che possa avere lo stesso percorso di Maschile singolare, incontrare il favore di tante persone, far sognare, divertire o riflettere anche solo per un’ora e mezza.
Da parte mia, spero di aver fatto un buon lavoro e non vedo l’ora di capire come sarà accolto, recensito o capito. Rispetto al mio film di debutto, ho fatto scelte diverse, soprattutto dal punto di vista del linguaggio, un po’ più camp: potrebbe far storcere il naso a qualcuno o si potrebbe pensare che io abbia perso il controllo ma è tutto voluto. Un esempio su tutti può essere la sequenza in cui Gianmarco Saurino nei panni di Nicola suona la chitarra intonando la canzone portante di Tutti insieme appassionatamente: ci sono più o meno le stesse inquadrature di quel film con i bambini che ripetono le stesse espressioni. Mi sono divertito come un matto nel girarla: era in sceneggiatura, ho pensato che non me l’avrebbero mai permesso e invece…
Ma son tante le scene sopra le righe, come anche la sequenza della presentazione del personaggio interpretato da Giuseppe Giofrè, con un montaggio che fa tanto reality di Canale 5, o quella dell’incendio al centro estivo girata come se fosse all’interno di un film di supereroi.
Ci vuole in qualche modo coraggio per scegliere come protagoniste del film due attrici alla loro prima esperienza: Nicole Damiani e Alice Angelica.
Il coraggio più che mio è stato di Prime Video, che si è fidato delle mie proposte. Dal canto mio, preferisco parlare più di incoscienza. Inizialmente, l’idea era di trovare delle attrici che avessero già qualche esperienza sulle spalle per essere sicuri che potessero reggere l’azione. Volevo anche che fossero siciliane: la Sicilia è la terza protagonista e scegliere attrici di un’altra regione avrebbe significato un bagno di sangue per via del loro finto accento che avrebbe distratto il pubblico dalla storia.
La storia del casting delle due protagoniste è molto diversa. Dai primi self tape arrivati, ho ravvisato molti aspetti di Valentina in Alice Angelica, nonostante lei sia molto differente dal personaggio: è un po’ più grande, si trucca molto e ha una bellezza che non passa inosservata. In tanti si chiedevano come avrebbe mai potuto risultare credibile nei panni della diciottenne vergine ma non ho mai avuto dubbi su di lei: il trucco si poteva anche togliere e Valentina non doveva essere brutta ma solo goffa e non attraente.
Quando si è presentata al provino, per capire come gestiva la pressione, la prima cosa che le ho detto è stata: “ricordati che chi entra Papa esce cardinale”. Le ho fatto togliere anche il trucco e, nonostante io non abbia fatto nulla per metterla a suo agio, ha messo a segno un provino pazzesco che ha convinto tutti subito. Ho poi mostrato il risultato ad Amazon e, nonostante non fosse un nome noto e non avesse esperienza, è stata subito accettata perché ha delle qualità assolutamente manifeste.
Anche con Nicole Damiani, scelta per il ruolo di Lucia, è stato amore a prima vista ma più tormentato. Ha fatto un primo provino in cui per una scena ha seguito le indicazioni che le avevo dato per correggerla. ha seguito alla lettera ciò che le avevo chiesto e come aspetto fisico era perfetta. C’era un solo però: non era siciliana ma napoletana. Ho conservato il suo nome senza mostrare nulla ad Amazon e sono andato avanti con i casting. Ho visto altre attrici siciliane, ne avevo anche scelta una ma poco prima dell’inizio delle riprese ho scoperto che quel matrimonio non s’aveva da fare: non c’erano i bravi a impedircelo ma aveva un altro impegno dal quale non riusciva a liberarsi.
Nel panico, abbiamo ripreso a vedere attrici anche non siciliane ed è lì che mi sono ricordato di Nicole, quella ragazza che mi era piaciuta tanto. L’ho fatta allora richiamare: era in vacanza ed è arrivata a Roma da Lecce in treno per un callback. Ha sostenuto il provino con Alice, c’era anche Amazon ad assistere oltre che tutti noi, ed è risultata perfetta: era lei Lucia. È stato il destino a riportarla da noi ma è stata la scelta migliore che potessimo fare: il lavoro che ha fatto con il siciliano è stato incredibile. Ha avuto come maestro il cosceneggiatore Giuseppe Paternò Raddusa (che nel film interpreta anche un ruolo) e sul set Nicole temeva più lui che me.
Da Maschile singolare ti sei però portato il protagonista maschile, Gianmarco Saurino.
Abbiamo scritto L’estate più calda tenendo Gianmarco in mente, tant’è che prima ancora di far leggere la sceneggiatura ad Amazon l’abbiamo fatta leggere a lui, che ci ha dato anche dei consigli (abbiamo ad esempio riscritto insieme una scena). Mi ero trovato benissimo con lui, quindi è stata una gioia lavorarci di nuovo insieme: ha un fascino e un carisma non comuni, è bravo e naturale, si capisce quando parla… In più, sapevo che, essendo una persona seria di cui mi potevo fidare, aveva l’esperienza necessaria per essere anche d’aiuto con le due protagoniste, un modello per loro. Gianmarco, come tutti gli attori con cui scelgo di lavorare, è sempre molto attento a quello che fanno gli altri e a instaurare con i colleghi ottime relazioni.
E hai rivoluto, anche se per un piccolo ruolo, anche Michela Giraud, nei panni di Damiana, un personaggio che sembra quasi bipolare.
È la sorella di Nicola e vive, per ovvie ragioni, chiusa in casa mentre nella sua famiglia tutti quanti, compresa lei, devono elaborare un lutto importante. Ognuno lo fa a modo proprio: mentre Nicola sente la chiamata e il padre costruisce un altarino in memoria della madre, Damiana si è un po’ persa e data al crimine (è agli arresti domiciliari, ndr) perché molto probabilmente ha bisogno di attenzioni e di farsi notare. Questa è la ragione per cui si comporta da stand up comedian in casa, con tutta una serie di battute che il padre non sopporta più. E le abbiamo messo come spalla un fidanzato come Giuseppe Giofré che cerca di emularla ma con scarsi risultati. Michela si è prestata con estremo entusiasmo e disponibilità, la considero un valore aggiunto.
A un certo punto della storia, c’era il bisogno di staccare dalla Sicilia e abbiamo pensato al ritorno di Nicola a Roma in cerca di tranquillità. Non la trova ma la parentesi ci permette di capire maggiormente il personaggio, da dove viene e che rapporti ha con la famiglia.
Come già accennavi, la protagonista non umana è la Sicilia. Cosa porta te bolognese ad ambientare una storia in Sicilia?
Un suggerimento che do a chiunque voglia scrivere un progetto è quello di ambientarlo in posti dove i produttori vogliono andare in vacanza: semplifica l’iter delle approvazioni! Battuta a parte, alcuni spunti della storia nascono dalla mia esperienza di ragazzino che d’estate partecipava ai campi della parrocchia nel mio paese in provincia di Bologna. Chiaramente i panorami della zona in cui vivevo, con tutto l’amore che posso nutrire per le mie parti, non sono paragonabili a quelli della Sicilia, che è molto più affascinante e in grado di far sognare maggiormente in senso strettamente cinematografico.
Per la storia che volevo raccontare, la Sicilia era il luogo perfetto. Il dilemma fondamentale che attraversa i protagonisti è rimanere sull’isola o andarsene, una scelta che i siciliani sono costretti prima o poi a prendere in considerazione. Abbiamo girato in luoghi magnifici: Puntasecca, Donnalucata e Marina di Ragusa, là dove settant’anni fa Stefania Sandrelli girò Divorzio all’italiana.
Stefania Sandrelli che è nel cast insieme anche a un altro mostro sacro della comicità italiana, Nino Frassica.
Ma ci rendiamo conto al secondo film cosa mi hanno lasciato fare? (ride, ndr). Stefania è stata meravigliosa: mai avrei pensato che avrebbe preso in considerazione l’idea di girare un film con un esordiente. Si è rivelata un’attrice estremamente generosa, simpaticissima e dolcissima. Ovunque andavamo a girare, la gente la fermava e lei si concedeva due chiacchiere con chiunque con immensa gioia, nonostante avesse potuto comportarsi da diva non per capriccio ma perché si è meritata lo status con i ruoli che ha interpretato e i maestri con cui ha lavorato. È stato bellissimo lavorare con lei, che ha anche contribuito ad alcuni aggiustamenti sulle sue battute: ricordo come con discrezione mi ha chiamato al telefono prima di una scena che doveva essere quasi muta per propormi alcune battute che aveva pensato.
Lo stesso dicasi di Nino. Abbiamo tenuto molte delle sue trovate: è pazzesco, un vulcano in azione. Anche lui, come Stefania, non ha più nulla da dimostrare, l’ha già fatto, ma, nonostante ciò, ha dato per questo film molto più di quello che avrebbe dovuto mettendosi in gioco, portando delle idee e trasmettendo la sua energia. Sono stato veramente fortunato a lavorare con loro.
Da bambino trascorrevi le estati nel Centro Estivo Incluso. Quello presente nel tuo film, L’estate più calda, è invece un Centro Estivo Inclusivo vero e proprio.
Non è il centro a essere inclusivo ma la realtà. Guardando la popolazione dei centri estivi mi è venuto spontaneo rappresentare semplicemente la mia idea di realtà e non l’ho fatto per accontentare dei canoni. Ho messo in scena quello che vedo: se poi è inclusivo, tanto meglio. È un bellissimo complimento ma non è stato in alcun modo studiato a tavolino.
Ti sei divertito parecchio a seminare indizi e riferimenti, anche molto pop, all’interno della storia. Penso ad esempio alla parentesi con il sindaco alle prese con gli inviati di una trasmissione di infotainment che ricorda quelle che d’inverno vanno in onda nella nostra tv al pomeriggio.
Chi guarda il film con attenzione e non si ferma a un livello superficiale coglie riferimenti a un certo tipo di televisione. Ci sono rimandi al mondo dell’infotainment ma anche a Temptation Island e persino alla celebre sfuriata di Mike Bongiorno verso Antonella Elia, il cui richiamo è presente anche in un momento estremamente drammatico (mi fa ridere ogni volta che la rivedo). Ci sono tante incursioni nel mondo della televisione perché è quello da cui provengo e in cui mi sono formato.
Nelle note di regia, specifichi che ti muovi tra idealismo e concretezza. Se dovessi scegliere, dove ti porresti tra le due posizioni?
Probabilmente a metà. Tendo a essere democristiano ma non quanto don Carlo. Da questo punto di vista sono molto più simile al personaggio di Nicola: quando si tratta di prendere delle decisioni non mi baso totalmente sull’idealismo. Anche perché c’è il rischio di finire come Lucia, un personaggio integralista ma con tante contraddizioni e incongruenze: vuole essere la ragazza perfetta, cattolica e altruista, ma nel corso della storia compie azioni piuttosto discutibili ed estremamente egoiste com’è normale che sia per una ragazza di diciotto anni.
Credo che il compromesso non abbia un valore necessariamente negativo e sono convinto che sia la strada giusta anche per vivere bene e portare a casa dei risultati che si avvicinino in qualche modo agli ideali. L’ideale è per natura irraggiungibile ma attraverso il compromesso si può arrivare al risultato e il risultato alla fine vince sempre sull’ideale.
Mi fai un esempio di compromesso?
Ho frequentato il Centro Sperimentale di Cinematografia a Milano e sognavo di scrivere per il cinema. Mi è arrivata invece la possibilità di andare a lavorare per la tv, qualcosa che non aveva direttamente a che fare con quelle che erano le mie aspirazioni dell’epoca. Era in qualche modo un imprevisto su quello che pensavo potesse essere il mio cammino…
Eppure, mi sono divertito tantissimo a occuparmi di reality per quasi dieci anni e mi è piaciuto anche: mi ha portato ad affinare le mie capacità in altri campi e mi ha permesso attraverso una serie di accadimenti, a volte esterni e a volte guidati da me, di fare molto più di quanto mi sarei aspettato. Avrei potuto rimanere duro e puro e dire di no alla televisione per fare esclusivamente cinema. Ho invece detto di sì ma sono arrivato ugualmente al cinema.
Prendendo a prestito il titolo del film, qual è stata la tua estate più calda?
L’estate scorsa, anche se era quasi autunno. Avere la possibilità di girare un nuovo film e a determinate condizioni mi ha rimesso in moto: mi sono sentito vivo e felice. Non dimenticherò mai l’estate del 2022 per svariate ragioni: come dice Spielberg, quando giro non realizzo un film ma vado dal terapista. Il mio mestiere mi dà la possibilità di mettere in scena tutto ciò che ho nella mia testa e in L’estate più calda c’è molto di me: è stato un continuo rimettermi in discussione che mi ha risvegliato anche a livello emotivo delle cose che erano nascoste o sopite da qualche parte dentro di me. Mi ha dato energia ma anche grande tormento interiore.
Tormento interiore?
Beh, anche solo girare otto ore al giorno senza mai sforare è un bell’impegno. Dopodiché eravamo cast e troupe sempre tutti insieme, vivevamo in un resort con piscina e andavamo fuori a cena in paesi bellissimi e con del buon cibo. Vivevamo in una condizione di estrema felicità, tutti contenti del lavoro che facevamo e senza alcuno screzio sul set. È filato tutto liscio e per tre mesi mi sono sentito come venerato.
Sono tornato dopo a essere lo stronzo mediocre che son sempre stato nei miei quasi 39 anni di vita… è indubbio che quella situazione ti amplifichi le emozioni, sia in positivo sia in negativo: dopo, la malinconia diventa più intensa. Non necessariamente in negativo: ecco perché voglio continuare a fare questo mestiere in condizioni molto simili a quest’ultima esperienza… mi ha regalato grande energia, soddisfazione, voglia di scrivere altri progetti e di mettermi in gioco.
L'estate più calda: Le foto del film
1 / 53Prima di essere colui che ti sta intervistando, sono uno spettatore del tuo film. E come tale ho anche delle curiosità più effimere. È vero che la figura della silenziosissima suor Agata è ispirata a qualcuno che hai conosciuto realmente?
Al centro estivo che frequentavo, c’era una suora che non sentiva. Era la madre superiora: si chiamava suor Maria Laura ma al secolo il suo nome era Agata. Il personaggio è stato un mio modo per renderle omaggio: ho scelto persino un’attrice, Monica Guazzini, che me la ricordasse nella fisionomia. Suor Agata non dice mai una parola, anche perché l’unica scena in cui recita una battuta è stata tagliata al montaggio per evitare che spezzasse un momento emozionante del film.
E gli alpaca presenti all’interno del centro estivo a cosa si devono?
Servono a sottolineare un messaggio importante indirizzato agli young adult: prendetevi cura della vostra comunità e di tutto quello che c’è, dell’ambiente e anche della memoria storica. Ed è quello che fa Lucia, eretta quasi a simbolo di speranza delle nuove generazioni, in cui personalmente credo molto: sono loro che possono migliorare questo mondo. Lucia all’inizio è da sola ma poi le arriva una mano da Nicola e insieme riescono a coinvolgere tutti nel recupero e nella cura del patrimonio sia ambientale sia storico a disposizione.
Gli alpaca sono un elemento esotico, qualcosa di strano che non ti aspetti e che non è mai stato usato in un film italiano. Fanno simpatia, sono carini ma non sono stati facili da dirigere, anche se Luciano, il loro allevatore e trainer, è stato bravissimo nell’adattare i loro movimenti alle necessità di set. È stato divertente: la prima volta che sono andato a vederli, uno di loro mi ha anche sputato per darmi il benvenuto!
Sembrerà curioso ma quegli alpaca vivono realmente in Sicilia, in un allevamento alle pendici dell’Etna: la gente può andar a fare camminate sull’Etna con gli alpaca al seguito!
Contenti mamma e papà del figlio regista?
Papà, no perché purtroppo non c’è più. Mamma, invece, molto: ha fatto anche da comparsa nel film in un paio di scene fra le signore in chiesa insieme a mia zia. Si è molto divertita e ha raccontato alle sue amiche di aver finalmente visto quello che faccio. Ho fatto fare da comparsa anche agli amici che venivano a trovarmi sul set!
Da quanto non c’è più papà?
Dal 2008. Però, ho un nonno che ha compiuto cento anni la scorsa settimana. Mentre alcune figure mancano, altre stanno rimanendo nella mia vita più a lungo di quanto uno ci si aspetti!
Chi ha la pazienza di scorrere i titoli di coda, noterà alla fine il tuo ringraziamento ai gatti. Sono i tuoi?
Si, sono i miei ma stanno con mia madre. È stata molto furba: un giorno, ha cominciato a dirmi che non sapevo prendermi cura dei miei gatti, che ero troppo randagio io stesso per poterli accudire in maniera efficace. Se li è portati nel posto in cui vive in provincia di Bologna garantendosi così che io passi a trovarla più spesso per vederli. Sono un gattaro ma sono anche un mammone…