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La mia ombra è tua: Intervista esclusiva al regista Eugenio Cappuccio

La mia ombra è tua è il nuovo film di Eugenio Cappuccio. Con Marco Giallini, Giuseppe Maggio e Isabella Ferrari, è tratto dall'omonimo romanzo di Edoardo Nesi. Ed è lo stesso regista a raccontarcene in esclusiva temi, argomenti e scene.
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È uscito il 29 giugno La mia ombra è tua, il film che il regista Eugenio Cappuccio ha tratto dal best seller omonimo di Edoardo Nesi (La nave di Teseo). In La mia ombra è tua, prodotto da Fandango e distribuito da 01 Distribution, si racconta l’evoluzione di due uomini, Vezzosi e Zapata, appartenenti a due generazioni differenti ma con il bisogno comune di riaprirsi alla vita.

A muovere il racconto è il grande amore che Vezzosi, autore di un unico libro divenuto un successo senza precedenti venticinque anni prima, nutre per Melania, la ragazza di cui si era innamorato poco più che adolescente. “Disturbato” da un’influencer da milioni di follower, Vezzosi viene contattato per la stesura del sequel del suo romanzo. E come assistente si ritrova, mandato dalla casa editrice, il giovane Zapata, nerd che ha appena chiuso l’unica relazione importante della sua vita.

Entrambi, vivono in una dimensione agli antipodi. Mentre Vezzosi è chiuso in un eremo inaccessibile ma conduce una vita alla deriva, tra eccessi e manie giovanilistiche, Zapata è rinchiuso nel suo mondo di studi classici e non ha mai superato la morte (inaspettata) del padre. La vicinanza e la conoscenza reciproca permetteranno ai due, complice un movimentato viaggio e un’altrettanta rocambolesca fiera vintage, di uscire dal proprio seminato e di ritornare a vivere, consumando ogni attimo.

La mia ombra è tua, film presentato al 68° Taormina Film Fest di cui vi abbiamo proposto in anteprima una clip, segna il ritorno al cinema di Cappuccio, a distanza di dieci anni dal suo precedente film. Ed è proprio il regista a presentarci in un’intervista esclusiva il suo lavoro, analizzandone temi, personaggi e situazioni.

Intervista esclusiva a Eugenio Cappuccio

Ci ritroviamo a distanza di dieci anni, da quando hai presentato Se sei così, ti dico sì, la commedia da te diretta con Belen Rodriguez ed Emilio Solfrizzi. Cosa hai fatto in tutto questo tempo?

Eh, ne è passato di tempo. E il tempo passa sempre troppo velocemente. Ho fatto tante cose ma prevalentemente televisione. Ho realizzato un documentario su Federico Fellini, mi ha richiesto due anni e mezzo di lavoro. E adesso ne sto facendo un altro su Pasolini. Mi sto specializzando sui maestri morti. Morti, ovviamente, anagraficamente perché sono più vivi che mai: uno sta seduto qui alla mia destra e l’altro alla mia sinistra. Sono anche fin troppo vivi, oserei dire, per darci la misura di quanto siamo dei poveracci noi.

Il rapporto con i maestri è freudianamente complesso: sono come i padri da cannibalizzare. Sia Pasolini sia Fellini erano talmente anticonformisti che tutto ciò che cerca di raccontarli e inquadrarli comporta tanta pelle, sangue e sudore. Per Fellini, avendoci lavorato insieme per dieci anni e mezzo, ho trovato una chiave di racconto più personale. Per Pasolini, invece, è più complicato: era un vero killer del conformismo.

Anche tu, nel tuo piccolo, sei una sorta di killer del conformismo.

Ci provo, sarà che è quello il punto di partenza che ho avuto.

In Se sei così ti dico di sì non facevi altro che decostruire l’immagine di Belen Rodriguez, che ai tempi era il simbolo dell’apparire in ogni dove. Oggi, nel film La mia ombra è tua, c’è una fortissima critica all’impero dei social media, quella sorta di realtà talmente camuffata da inficiare la realtà stessa. Il personaggio di Giallini, lo scrittore Vezzosi, è simbolo di tutti quelli che provano a resistere e a non farsi travolgere da quest’ondata di follia sociale, chiamiamola così, che negli ultimi anni ha interessato tutti quanti. Così come è tanto impietoso quanto realistico il ritratto dell’influencer che viene fuori. Come mai hai scelto di trasporre sullo schermo il romanzo di Nesi?

Come al solito, cerco di essere intellettualmente onesto, un’operazione sempre complicata per chi fa un mestiere narcisistico come il nostro... è stata Fandango che ha scelto me per l’adattamento. Mi ha chiamato un pomeriggio la mia carissima e amatissima amica Laura Paolucci (produttrice del film insieme a Domenico Procacci, ndr), mi ha proposto di leggere il bel romanzo di Edoardo Nesi. Leggendolo, ho trovato tutti interessanti gli elementi che hai sollevato e che vanno nella direzione del mio fare le commedie. La commedia, secondo me, deve restituire un quadro anche un po’ spietato di quello che viviamo quotidianamente.

Senza scomodare Bresson, la commedia ha dei meccanismi di rappresentazione della società e dell’uomo che vengono esasperati dal racconto. Non deve mai diventare grottesca ma deve sempre mantenere una certa cifra di realismo che permette il processo di identificazione. In sintesi, possiamo dire che l’obiettivo principale della commedia è quello di creare identificazione nello spettatore.

Marco Giallini e il regista Eugenio Cappuccio sul set di La mia ombra è tua.
Marco Giallini e il regista Eugenio Cappuccio sul set di La mia ombra è tua.

Possiamo definire La mia ombra è tua non solo come un film sull’amore ma anche come una bella storia di formazione. Assistiamo in parallelo a due diverse formazioni: da un lato abbiamo quella di Vezzosi e dall’altro lato quella di Zapata. In maniera diversa e in età differenti, diventano entrambi uomini attraverso quel processo che tu hai definito di perdita di colpevolezza e conquista dell’innocenza. Entrambi i personaggi sono colpevoli di qualcosa e si riappropriano della propria innocenza sul finale. Il film è strutturato in tre macromomenti: la situazione iniziale, il road movie e l’epilogo. Come si sei mosso rispetto al libro?

Un regista che adatta un romanzo va incontro a due differenti fasi, che ci si augura di riuscire a coordinare magistralmente in corpore. La prima ha a che fare con il dover trarre, insieme agli altri autori in questo caso, un copione che segue il percorso del libro che, come sottolinei, racconta un processo di formazione. La seconda, invece, riguarda il dover far calzare l’ideologia di fondo con gli attori che si hanno a disposizione.

Il traguardo dell’innocenza è un traguardo sempre relativo, com’è relativa la partenza del peccato originale. Il peccato originale dei due deve, attraverso il racconto, raggiungere catarticamente uno sviluppo nuovo. A quel punto, il film può finire perché si lascia allo spettatore la digestione di questa sensazione, importantissima.

Penso di essere riuscito abbastanza nel mio intento perché tanto Marco Giallini quanto Giuseppe Maggio rappresentano già da sé, l’uno con la sua fisicità e biografia e l’altro con la sua capacità energetica giovanile di creare già in partenza una trasformazione fisica (è ingrassato dodici chili, ha messo l’apparecchio ai denti, ha indossato gli occhiali, ha parlato fiorentino) e psichica del suo personaggio), due elementi chimici estremamente reattivi.

Il percorso che loro fanno nel film La mia ombra è tua si è dipanato in maniera abbastanza naturale. La formazione/trasformazione dei personaggi è stata raggiunta bene grazie a loro due. sono i pilastri della vicenda, insieme a Isabella Ferrari. Nell’ombra fino a quando poi splendidamente appare, il personaggio di Milena rappresenta il filone aureo segreto, che mette Vezzosi e Zapata a confronto su temi più profondi, su temi che sono identitari: dall’elaborazione del lutto per la figura paterna in Zapata al tempo sprecato per Vezzosi.

Giuseppe Maggio e Marco Giallini nel film La mia ombra è tua.
Giuseppe Maggio e Marco Giallini nel film La mia ombra è tua.

Contrapponendo Vezzosi e Zapata nel film La mia ombra è tua, metti in scena lo scontro tra boomer e millennial. Una contrapposizione che ricorda tanto quella tra padri e figli: lo scontro generazionale per eccellenza. Tu che sei un autore e, quindi, guardi il mondo con occhi sicuramente più lucidi rispetto a tutti gli altri, quanto pensi che sia marcata oggi la differenza tra le due generazioni?

Devo essere sincero: non so se riesco a vedere il mondo con lucidità, a volte penso di averla abbastanza persa. Non so neanche se è una cosa negativa. Ma, quando ho letto il romanzo e ho avuto gli attori a disposizione, la questione del conflitto mi è apparsa evidente come rilevantissima. Soprattutto, nella parte iniziale, nei primi momenti di incontro tra il giovane vecchio e il vecchio giovane, come chiamo i due protagonisti. Pian piano, però, i due si palesano a un certo punto l’uno all’altro e trovano, in quel punto di fragilità, una grandissima possibilità di comunicazione: uno esce dal bozzolo e l’altro dall’eremo nel quale s’è nascosto perché oramai incapace di intendere e volere scrivere. Per cui, le due entità mostrano e raccontano sicuramente qualcosa di grandissima attualità.

Sono padre di un figlio di quattordici anni. Mi cambia ogni giorno sotto gli occhi e non posso non rendermi conto della mutazione antropologica, per citare Pasolini, in atto. Più che di mutazione antropologica, parlerei di quantizzazione antropologica. Viaggiamo a una velocità di trasformazioni psico-sensoriali così rilevanti che ci sono date non solo dalle interfacce ma anche da come il mondo si presenta nella sua materialità: il cambiamento climatico, la mutazione delle relazioni tra gli Stati e la ripresa delle guerre, la dimensione di mercato che determina le nostre esistenze, l’invasione di un’entità aliena virale che ha completamente sovvertito le nostre esistenze. Tutto ciò non può non arrivare senza conseguenze storiche.

Con il film La mia ombra è tua ho cercato di trovare, e in questo mi ha aiutato Nesi col suo romanzo, un ponte. In questo casino totale di mondo, ho provato a indicare un ponte nel quale incontrarsi e affacciarsi per capire se andare a destra o a sinistra.

Il ponte di cui parli è fondamentale. E ha il suo simbolo nel personaggio di Melania, interpretato da Isabella Ferrari. Se ci pensiamo, torniamo per un attimo a quella concezione per cui l’amore è la forza che muove le stelle. Vezzosi si muove per amore di Melania, Zapata per quello di Allegra. Per entrambi si tratta di amore giovani non del tutto vissuti, mai consumati. Due amori virtuali, come si direbbe oggi, ma che a me, complice il fiorentino di Zapata, hanno fatto pensare alla Beatrice di Dante. Dopotutto, sia Vezzosi sia Zapata hanno in qualche modo idealizzato la figura femminile.

Non ci avevo mai pensato: lo dici tu e lo trovo fantastico. Hai fatto un riferimento non alto ma proprio paradisiaco: la donna schermo, assolutamente. Le donne schermo dello stil novo sono queste Beatrici o queste Laure che arrivano, impattano e poi tutto sommato sfuggono. E tocca inseguirle. Sono d’accordo: l’amore è un tirante perché, pur non essendo stato carnalmente consumato, diventa ancor più combustibile per uno spasmo che può sembrare illusorio come spesso lo è. In fondo, anche per Dante era una magnifica illusione che però l’ha portato a produrre poesia.

A proposito di amore consumato o no, c’è una bellissima scena, molto divertente tra l’altro, di un rapporto sessuale simulato, che gioca sulle differenze di fantasia tra boomer e millennial. Mentre da un lato c’è Vezzosi che cerca la pasticca blu per trovare vigore, dall’altro c’è Zapata che l’aiuta con la fantasia.

Fantasia che è la nostra regina solitaria, chiamiamola così.

In parallelo, abbiamo le immagini di Isabella Ferrari, che senza mostrar nulla tranne che il volto, si riappropria in pochissimi minuti di quello status di sex symbol che da decenni l’accompagna. Come vi siete mossi per realizzarla?

Nel romanzo, quella sequenza è molto più lunga, più descritta e per certi versi più hard. La scena nella camera d’albergo tra Zapata e Vezzosi è centrale per capire la grande comunicazione che si è instaurata tra i due. Segue il momento “alto”, quello dello scambio tra il vecchio e il giovane sul senso della vita. Dal sacro si passa al profano, definiamolo così, scendendo in una dimensione diversa, più maschile, che ricorda quella tra due commilitoni in uno spogliatoio. Il tema però rimane sempre l’amore, inteso addirittura come elemento ostativo della libertà sessuale.

Preso dal dolce stil novo e non tanto dall’Aretino, tanto per citare qualche scrittore che si è occupato di questi argomenti, Vezzosi non trovare l’energia per consumare il suo sentimento con Milena. Zapata, che come tutti i ragazzi di oggi si è formato con i porno su internet, lo aiuta allora con la sua immaginazione. Piaccia o non piaccia, il porno è diventato uno strumento di conoscenza: certo, in alcuni può provocare delle condizioni di dipendenza o di patologia nel consumo, ma a me diverte.

Per Isabella, era il primo giorno di riprese. Ci conosciamo da trent’anni, siamo amici ma non avevamo mai lavorato insieme prima. Mi ritrovavo quasi in imbarazzo nel voler prendere il suo essere sex symbol e farlo esplodere in una dimensione onirica, portandola al massimo del calor bianco. Non era semplice né per me né per lei. Quella scena però era funzionale a tutto il racconto e, soprattutto, aiutava meglio a comprendere il legame tra il giovane vecchio e il vecchio giovane. Isabella lo ha capito in maniero consona e per lei è stato anche divertente e per nulla imbarazzante. Forse, tra i due il più imbarazzato ero io che dovevo portarla a quelle espressioni.

Quella sequenza, diciamo hot, anche fotograficamente stacca con l’atmosfera un po’ gelida della camera da letto. E il merito va anche al mio bravissimo direttore della fotografia, Valerio Evangelista.

Isabella Ferrari in La mia ombra è tua.
Isabella Ferrari in La mia ombra è tua.

Non ci si spaventi, però. La mia ombra è tua è un film indirizzato a un pubblico di tutte le età. Tratta tematiche vicine anche ai giovanissimi, come ad esempio la sottotrama legata al rapporto di Vezzosi con la figlia. Figlia che ricompare nel finale del film, diverso rispetto a quello del romanzo di Nesi.

Il ritorno della figlia di Vezzosi segna quasi una riscossa per Zapata e il suo obbligo di indossare un apparecchio per la mal occlusione dei denti. Durante il corso della storia, l’apparecchio – che nel romanzo non esisteva – è quasi un altro dei protagonisti, è sempre presente. Ma non è lì per caso. Ha una sua finalità e lancia un messaggio per tutti coloro che sono vittima di body shaming a causa di difficoltà legate alla propria anatomia.

La stessa figlia di Vezzosi è violenta nei confronti di Zapata nel corso di una telefonata e fa riferimento, in maniera offensiva, all’apparecchio. Eppure, sul finale, scopriamo che anche lei ne porta uno con i ferretti, che chissà quanto la sta torturando. E, così, l’apparecchio tanto odiato diventa quasi un canale di comunicazione tra i due: quello che Zapata viveva quasi come un problema si trasforma in un punto favorevole per la sua centratura e il suo andare avanti. Non ci si deve mai vergognare di quello che si è: questo è l’auspicio e il messaggio lanciato.

Ci tenevo a chiudere il film con questo elemento anche per dare una giusta rilevanza allo sforzo che ha fatto Giuseppe nel recitare con quel marchingegno in bocca. È un bellissimo ragazzo, oltre che bravissimo attore, con un fisico da fotomodello: io l’ho costretto a prendere tanti chili e a trasformarsi letteralmente in un nerd chiuso nel suo bozzolo.

Nel film La mia ombra è tua compare, anche se per pochissimi secondi, Leopoldo Mastelloni, lasciando il segno con un personaggio indimenticabile.

Avevo girato altre scene con Leopoldo ma sono state sacrificate in fase di montaggio. È un grandissimo attore e sicuramente tornerò a lavorare con lui. Merita più del trattamento che negli anni gli è stato riservato.

La mia ombra è tua: Le foto del film

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Claudio Iannone
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