Periodo di merda (Believe) è il singolo con cui i La Rua si ripresentano in radio e su tutti i digital store a partire dall’8 dicembre. E basterebbe solo il titolo della canzone per capire quale possa essere la ragione per cui i La Rua hanno sentito l’esigenza di far tornare a sentire la loro voce: tutti quanti, se ci guardiamo intorno o dentro, abbiamo consapevolezza di cosa sia un periodo di merda e quali strascichi si porti dietro. Eppure, nonostante le difficoltà e gli ostacoli, i momenti di sconforto e di dolore non possono mai cancellare la forza, la voglia e la speranza di rialzarsi.
Come ci racconta Daniele Incicco, che insieme a Nacor Fischetti e Alessandro Mariani, Periodo di merda per i La Rua segna un nuovo inizio: oltre a scrivere la canzone, i La Rua l’hanno anche prodotta, segnando una prima fondamentale tappa di quello che verrà nei prossimi mesi. Affrontando apertamente il tema del fallimento, il brano non è la sola novità che riguarda la band: da tempo, i tre ragazzi e amici lavorano a un progetto unico nel suo genere, il Palco nel bosco. Ma lasciamo che a parlarci di tutto ciò siano loro.
Intervista esclusiva ai La Rua
“Bene: ho curato gli ultimi dettagli per la pubblicazione della nostra nuova canzone e sono super eccitato, in trepidazione della reazione del pubblico”, mi risponde così Daniele Incicco, il cantante dei La Rua quando gli chiedo come sta a inizio intervista. Del resto, la domanda è d’obbligo: il nuovo singolo dei La Rua si intitola Periodo di merda. “Intitolare così il brano è stato un modo per esorcizzare quello che è stato per noi un periodo davvero difficile ma il senso è chiaro: occorre far economia emotiva di qualcosa di complicato per poi affrontare meglio ciò che di positivo verrà”.
Com’è nata la canzone?
L’intero brano è nato in maniera molto veloce, viscerale e diretta. Avrò impiegato quindici minuti per scriverlo, senza troppi ragionamenti dietro. Non stavo vivendo un momento facile della mia vita, avevo perso il lavoro e non riuscivo a vedere qualcosa di buono in prospettiva futura. Ogni cosa sembrava andare nel verso contrario a come immaginavo e ho pensato di fissare il tutto in una canzone che, come una fotografia, restituisse l’attimo.
In definitiva, Periodo di merda è una canzone che guarda alle persone che stanno fallendo, che si sentono spalle al muro e che non riescono a trovare una vita d’uscita ma che, nonostante ciò, conservano ancora la speranza. In poche parole, ai creduloni come me: mi reputo tale perché penso che qualcosa di bello prima o poi possa accadere. È quello il motore che mi fa andare sempre avanti, nonostante le complicazioni e gli ostacoli.
Il lavoro perso è quello del musicista?
Sì, in quel periodo non stava funzionando niente. Tutti coloro che prima ci cercavano si stavano pian piano facendo da parte e ci siamo lentamente ritrovati da soli, avvolti da una sensazione di solitudine, disorientamento e mancanza di prospettive future. Ogni cosa sembra avermi deluso, tanto che nella canzone chiedo alla mia compagna di deludermi anche lei come tutto il resto.
In un momento storico in cui sui social impazza il mito del successo, in Periodo di merda cantate la dignità del fallimento.
Il fallimento non è così negativo come sembra. O, meglio, non lo è forse tanto quanto lo si prospetta solitamente. Dal fallimento nascono le nuove energie che rimettono in sesto e in movimento. Ecco perché non deve mai mancare la speranza: il futuro è quello che si riesce a stratificare dalle ceneri del fallimento stesso: da un fuoco che è arso e si è spento occorre salvare quello che resta per tentare di ricostruirci sopra quello che sarà. Qualsiasi fuoco si spegne e qualsiasi progetto si esaurisce dando origine a fasi critiche che vanno accettate, guardate in faccia e affrontate per venirne fuori.
Il periodo di merda a livello lavorativo era causato anche dal cambio del sistema musica a cui abbiamo assistito negli ultimi anni?
A un certo punto sono stato io a voler scrivere un altro tipo di canzoni rispetto a quelle con cui avevamo cominciato. Era cambiato il mio song writing, andava a fondo in maniera diversa nell’affrontare le emozioni e le sensazioni reali. In più, il mio cambiamento è coinciso con la pandemia dovuta al CoVid e con un mercato discografico che abbracciava nuovi stili. Erano tanti i fattori che mi facevano sembrare il futuro plumbeo, credo di aver vissuto un periodo che possiamo anche chiamare di depressione.
Nonostante il periodo, però, i La Rua sono rimasti insieme, senza cedere alla tentazione dello scioglimento. Non sempre è facile tenere insieme tre teste diverse quando si affrontano le difficoltà.
Credo da sempre nel collettivo, nell’unione e nella fratellanza: sono il solo scudo reale che abbiamo per difenderci da tutto e tutti. Il non vivere in solitudine qualsiasi nostro progetto di vita e l’abbracciarlo con affetto e amore ha fatto sì che noi tre rimanessimo sempre uniti. Siamo una squadra abbastanza affiatata e non disperiamo: insieme abbiamo le forze per risorgere, morire lavorativamente in certi frangenti non ci fa paura.
In quel periodo di merda, la musica come sempre è stato il tuo rifugio.
E lo è tuttora. Quando si attraversa un periodo di profonda tristezza e lo si trasforma in genitore di una canzone, la musica giustifica anche quello che si è vissuto, diventando uno strumento positivo. La musica è per me un generatore di emozioni, una macchina fotografica che impressiona un momento e te lo fa rivivere. Lo scotto è semmai quello di dover provare realmente quel momento…
La parola rifugio mi fa pensare inevitabilmente al bosco. E al bosco i La Rua hanno collegato un progetto speciale: il “Palco nel Bosco”.
Il Palco nel Bosco è un ritorno alla natura a tutti gli effetti. Ho trascorso gli ultimi anni andando a tartufi tra i boschi, staccandomi un po’ da tutto: mi ha permesso anche di mantenermi in un frangente in cui non stavo lavorando con la musica. Insieme ai miei compagni di band, abbiamo allora deciso di costruire insieme qualcosa che facesse parte della nostra vita reale e che fosse un luogo separato da tutte le dinamiche, a noi esterne, del mondo della musica. Ci siamo così messi alla ricerca di un posto incontaminato, vergine da qualsiasi tipo di attività, anche commerciale e sportiva. Lo abbiamo individuato ed è lì che abbiamo cominciato a costruire in pieno bosco un ritrovo dove poter entrare in sintonia con il nostro pubblico, con le persone che amano le nostre canzoni e la musica.
Il progetto è quello di realizzare lì dei micro concerti che ci facciano incontrare la gente senza dover necessariamente andare incontro a tutte quelle formalità che stanno sempre dietro a un evento musicale, a cominciare dalla durata dell’evento stesso. avevamo bisogno di un luogo in cui a decidere durata, modalità e data eravamo noi: potremmo incontrarci lì anche per una domenica per una mezz’ora di concerto e cinque di chiacchiere con chi ci vuole bene. Sarà dietro casa nostra che realizzeremo un palco che diventerà una sorta di nido, con un tetto fatto di rami.
E dove sarebbe dietro casa vostra per chi non lo sapesse?
A Montalto delle Marche, il paese in cui vivo. Il palco sarà al 100% ecosostenibile: utilizzeremo per costruirlo delle pietre di recupero che provengono da una vecchia casa crollata di un nostro amico, sopra le quali monteremo dei bancali in EPAL, anche questi di recupero. L’obiettivo è quello di evitare di impattare sull’ambiente in meno possibile, rispettando la natura anche a livello acustico e sonoro. Non porteremo amplificatori che devasteranno né la flora né la fauna selvatica, a cui abbiamo prestato la massima attenzione.
Periodo di merda è accompagnata da un videoclip che mette insieme una serie di immagini che definire di merda è riduttivo: dalla guerra agli esuli, dalla condizione della donna in Oriente alle discariche.
L’idea era quella di rendere il più universale la canzone stessa, in modo che diventi di tutti e non solo di chi l’ha scritta. Quello che è un periodo di merda individuale può trovare condivisione in chi ne sta affrontando uno tutto suo per altre ragioni. Ed è per questo che abbiamo pensato ai momenti storici emotivamente peggiori che tutti quanti abbiamo vissuto negli ultimi tempi. Quello che è accaduto in pochi anni è molto forte, forse è dalla Seconda guerra mondiale che non si viveva una situazione universale così drammatica, a cominciare dai vari conflitti che interessano più parti del mondo.
Abbiamo voluto che ci fossero scene in cui ognuno possa rivedere una parte della sua vita. Il video non è solo nostro ma di tutte le persone che si sono trovate in un periodo di merda a dover lottare contro eventi che non dipendevano dalla loro volontà e che, clamorosi e catastrofici, hanno cambiato le loro vite. Il grazie va a Giacomo Triglia, che ha saputo trasformare in immagini i nostri pensieri.
Tornando al tuo periodo di merda, chi ti è stato vicino?
La mia compagna, la mia famiglia, la mia band e gli amici più stretti, quelli con cui sono cresciuto, che ho scelto e che mi hanno scelto seguendo le ragioni del cuore e non quelle economiche.
Hai avuto l’impressione che si fosse infranto, professionalmente parlando, un sogno?
Sì, assolutamente. Ma se siamo qui a parlarne è perché la canzone si è rivelata uno strumento per uscire fuori da quel periodo e per cancellare l’idea stessa di sogno infranto. Si è messo in atto un processo magico che ha allontanato quella sensazione di sentirsi solo… è una sensazione che sicuramente tutti hanno provato in maniera diversa ma quando la si vive sulla propria pelle è complicato persino interiorizzare i consigli che ti vengono dati dalle persone care. Il sogno infranto o l’idea di fallimento è come cadere nel vuoto: provi a cercare appigli ma non ci riesci fino a quando, come nel mio caso, una canzone arriva per farti capire che il sogno è ancora integro.
Chi fa il mio mestiere, sogna di scrivere canzoni da far ascoltare e di tenere concerti. Quando tutto questo sparisce, chi prima puntava su di te comincia a crederci sempre meno facendo sì che tu sprofondi in un grande buco nero da cui temi di non poter uscire più. C’è stato un momento in cui ho anche pensato di mollare le redini e di rinunciare all’idea di dover vivere di musica. Ho quasi rimesso in discussione la mia identità ma, per quanto assurdo possa sembrare, il mio cane mi è stato di grande aiuto. Devo inserirlo tra le persone che mi sono state vicine: è con lui che ho cominciato ad andare in giro per tartufi e ho trovato un modo per vivere anche senza la musica. È con lui che ho passato giornate intere nei boschi: sono stato fortunato ad averlo al mio fianco.
L’essere tornato a far musica significa che i La Rua si sono “liberati” dalle persone che artisticamente non credevano più in loro?
Pian piano, durante quel periodo, chi lavorava con noi si è giustamente allontanato perché non c’era più nulla su cui collaborare. Non si poteva più andare avanti e, quindi, c’è stato un cambio anche a livello di produzione. La nostra scelta è stata quella di fare tutto da soli, senza dover più condividere le nostre scelte con altri. È folle quasi, lo so, ma era l’unico modo per andare al netto di tutto, della vena creativa e persino della scrittura, e per rispettare tutto ciò che ci appartiene senza alcun tipo di costrizione o condizionamento. Adesso siamo come un’azienda a conduzione familiare, ognuno con i propri compiti ma tutti intercambiabili.
Che ruolo hanno giocato i vostri fan? Vi sono stati di supporto?
Da quando abbiamo intrapreso il nostro nuovo cammino, in molto si sono fidelizzati maggiormente. Stiamo andando nella parte più profonda di noi a cui in tanti si sono avvicinati con un’interazione maggiore rispetto a prima. Hanno compreso l’urgenza del nostro cambiamento.
Rifaresti tutto quello che hai fatto finora?
Sì, assolutamente. Se oggi sto riuscendo a scrivere in maniera più solida è anche grazie a tutto ciò che ho vissuto. Ogni esperienza, positiva o negativa che sia, porta a un risultato: siamo stati fortunati ad aver potuto fare molto nel corso del tempo e di poterlo ancora fare. Il mio sogno adesso è quello di far ascoltare tutte le canzoni che sono ferme in cantiere: il periodo di merda è alle spalle e speriamo di pubblicarle presto.
È un caso che Periodo di merda esca a ridosso del Natale?
Non lo è. Il Natale è da sempre un periodo di condivisione con gli altri ma anche quello che si passa in famiglia, tra gli affetti più sinceri. È il momento in cui si può essere se stessi e non si viene giudicati per i risultati che si portano. Un periodo di merda può sparire solo stando vicino a chi ti vuole bene e ti sostiene, indipendentemente da tutto: per la mia famiglia, sono il ragazzo di sempre, quello che scrive canzoni al di là di come andranno le vendite. Ci unisce l’affetto: non c’è economia che possa mai separarci.