Esce il 20 giugno nei cinema italiani, grazie a Indigo Film, La treccia, il film che Laetitia Colombani ha tratto dal suo omonimo romanzo del 2017, pubblicato in Italia da Editrice Nord. Dopo aver venduto oltre 5 milioni di copie in tutto il mondo ed essere diventato un titolo iconico, La treccia ha permesso a Colombani di adattare la sua stessa opera e di dirigere un film che nel cast vanta anche la nostra Fotinì Peluso, una delle rising star da tenere sott’occhio.
Il film La treccia, così come il romanzo, ci porta in India, Italia e Canada, per raccontare le storie di tre donne dalle vite differenti in tre diversi continenti. Quelle che affrontano Smita (Mia Maelzer), Giulia (Fotinì Peluso) e Sarah (Kim Raver) sono sfide uniche e, anche se non si conoscono, le loro esistenze sono legate da qualcosa si intimo e singolare.
In India, Smita una Intoccabile che sogna di vedere sua figlia sfuggire alla sua miserabile condizione e andare a scuola. In Italia, invece, Giulia lavora nell'officina di suo padre ma, quando l’uomo subisce un incidente, scopre che l'azienda di famiglia è in rovina. E in Canada, infine, Sarah è una avvocata di fama, che sta per essere promossa a capo del suo studio quando scopre di essere malata.
Tra tristezza, forza e speranza, la storia rega emozioni intense, al pari di quelle vissute dall’ispirante trio di donne protagoniste.
Il romanzo
Prodotto tra gli altri dall’italiana Indigo Film di Nicola Giuliano, Francesca Cima, Carlotta Calori e Viola Prestieri, La treccia trae spunto da un romanzo che Luciana Littizzetto ha definito “una storia di coraggio, di audacia, e di vita che riprende vita. Altamente balsamico”.
“A un primo sguardo, niente unisce Smita, Giulia e Sarah”, si legge nella sinossi ufficiale. “Smita vive in un villaggio indiano, incatenata alla sua condizione d'intoccabile. Giulia abita nel sud dell’Italia e lavora per il padre, proprietario di uno storico laboratorio in cui si realizzano parrucche con capelli veri. Sarah è un’avvocata di Montréal che ha sacrificato affetti e sogni sull’altare della carriera”.
“Eppure, queste tre donne condividono lo stesso coraggio. Per Smita, coraggio significa lasciare tutto e fuggire con la figlia, alla ricerca di un futuro migliore. Per Giulia, invece, coraggio significa rendersi conto che l'azienda di famiglia è sull'orlo del fallimento e tentare l’impossibile per salvarla. E per Sarah, infine, coraggio significa guardare negli occhi il medico e non crollare quando sente la parola «cancro». Tutte e tre dovranno spezzare le catene delle tradizioni e dei pregiudizi; percorrere nuove strade là dove sembra non ce ne sia nessuna; capire per cosa valga davvero la pena lottare”.
“Smita, Giulia e Sarah non s'incontreranno mai, però i loro destini, come ciocche di capelli, s'intrecceranno e ognuna trarrà forza dall'altra. Un legame tanto sottile quanto tenace, un filo di orgoglio, fiducia e speranza che cambierà per sempre la loro esistenza”.
Come nasce La treccia
La storia di La treccia è nata nel gennaio del 2015, come ha raccontato la scrittrice e regista Laetitia Colombani. “Era il giorno in cui ho accompagnato una delle mie amiche più care in un negozio di parrucche: aveva appena scoperto di avere un cancro e stava iniziando la chemioterapia. Ha scelto una parrucca fatta di capelli indiani naturali. In quel momento ho ricordato un documentario che avevo visto in televisione anni prima, che mostrava come i capelli donati dai pellegrini in un tempio indiano viaggiassero fuori dal paese e venissero utilizzati come base per la produzione di parrucche”.
“Da lì mi è venuta l'idea di una storia ambientata su tre continenti: un'indiana che donava i suoi capelli in un tempio, un'occidentale che li riceveva, e una lavoratrice che li trasformava. Da sempre, i capelli sono associati a un certo concetto di femminilità. Avendo seguito il percorso di un'amica che ha perso i suoi capelli, so quanto questa perdita possa essere dolorosa e associata alla malattia. Mi piaceva questo simbolo della femminilità, ma anche quello della resistenza: la cheratina è una materia molto resistente, e l'idea di questo capello, sottile ma forte allo stesso tempo, mi piaceva, perché è anche una metafora dei miei tre personaggi”.
Per il personaggio di Smita, Colombani si è molto documentata sulla casta indiana degli Intoccabili. “Gli Intoccabili ono emarginati dalla società nonostante siano milioni”, ha spiegato. “Mi sono documentata molto, soprattutto perché sono appassionata dell'India, un paese che mi affascina e mi commuove allo stesso tempo. Ci vado quasi ogni anno, ho spesso attraversato villaggi di Intoccabili e ho parlato con membri di questa comunità, in particolare con le giovani donne - persone a cui non viene data voce, che vengono rese invisibili e tenute al margine della vita sociale. Sono confinati nei loro quartieri nei villaggi, non hanno la possibilità di uscire dalla loro casta, lo status di Intoccabile è riportato nei loro documenti d'identità. Non conosco altre forme così istituzionalizzate di segregazione su così ampia scala nel mondo”.
Giulia
Ciascuna delle tre protagoniste del romanzo e del film La treccia è chiamata a “tradire” o, meglio, a uscire dai propri confini: Smita lasciando la comunità nella speranza di un futuro migliore per la figlia, Giulia innamorandosi di un Sikh e cercando di sconvolgere le tradizioni dell'officina, e Sarah mentendo al suo capo e poi dimettendosi.
“Uno dei temi centrali del romanzo e del film è la trasmissione - ciò che si trasmette e ciò che si rifiuta di trasmettere”, ha aggiunto Laetitia Colombani. “Alla fine del racconto, Sarah decide di lottare contro la malattia, rifiutando una certa fatalità, dal momento che sua madre è morta di cancro: se lei permettesse a se stessa di morire, trasmetterebbe questa maledizione a sua figlia. Per Giulia, la questione fondamentale è se far evolvere l'officina di suo padre equivale a tradirlo. Quanto a Smita, rifiuta di trasmettere la sua "professione" a sua figlia in modo che possa sfuggire alla loro condizione”.
“Per il ruolo di Giulia, la direttrice del cast italiana mi ha proposto molte giovani attrici ma, quando ho visto Fotinì Peluso, ho avuto un'illuminazione. È divina!”, ha continuato la regista “Aveva esattamente ciò che cercavo: una bellezza naturale, una sensualità non costruita, piace ma non lo sa. Ha bellezza e freschezza, ma anche una profondità e una densità incredibili, ed è a suo agio sia nelle scene emotive che in quelle più leggere. È solare e ha tutto per diventare una grande attrice”.
Giulia, nella fattispecie, cerca di emanciparsi da una famiglia tradizionale e da un padre molto presente nonostante la sua assenza. “Le assenze sono sempre molto più rumorose delle presenze!”, ha sottolineato Fotinì Peluso. “Credo che Giulia fosse un po' in un vicolo cieco: dopo la morte di suo padre, scopre una realtà che non conosceva e questa scomparsa scatena un istinto di sopravvivenza, un desiderio di non restare bloccata in quell'ambiente, di non avere la stessa vita delle sue sorelle, perché fino a quel momento solo suo padre lavorava”.
“Quello che è affascinante in Giulia è la sua volontà di continuare l'attività dell'azienda di famiglia, ancorandola alla modernità. Trovo interessante che lei sia un punto di passaggio. Non rifiuta le sue radici, non condanna la tradizione, ma ha una vera capacità di adattamento e capisce che per far sopravvivere l'azienda deve portarla in una direzione diversa. Ma ancora una volta, non ha una reazione di rifiuto o di negazione delle sue radici, ed è ciò che la rende affascinante”.