I protagonisti di Scuola di danza – I ragazzi del Teatro dell’Opera,la docuserie di RaiPlay,imparano dalla direttrice Laura Comi quali sono le caratteristiche per diventare dei ballerini professionisti: sacrificio, dedizione, convinzione, ordine, rigore, studio. Quelle che vengono loro richieste possono sembrare richieste caratteristiche rigide ma servono a forgiare un carattere che li accompagnerà non solo nel mondo della danza classica professionista ma anche nella vita di tutti i giorni.
Laura Comi accoglie i ragazzi sin da piccoli. Spesso hanno meno di dieci anni. E li lascia una volta diventati giovani donne e giovani uomini, pronti a fare quel salto di qualità che una disciplina, un’arte, come quella della danza richiede. Dirigere la Scuola di Danza del Teatro dell’Opera di Roma per Laura Comi rappresenta una sorta di cerchio che si chiude. È proprio nel teatro romano che, a nove anni, Laura Comi si è esibita per la prima volta di fronte a un grande pubblico, un’emozione che ancora oggi ricorda con tenerezza.
Sono passati decenni da allora e Laura Comi ha smesso di ballare per gli altri. Ha smesso di trasmettere quel sentimento che una volta salita sul palcoscenico provava ed emanava a ogni suo passo, a ogni suo virtuosismo. Il percorso da étoile non è semplice: è mirato al raggiungimento della perfezione, alla conoscenza intrinseca del proprio corpo e al rispetto degli altri, di se stessi e di un’arte che trascende il tempo stesso. E Laura Comi lo sa benissimo. Proprio per questo cerca di tramandarlo ai suoi ragazzi, gli stessi che anni dopo aver terminato il corso di studi tornano a ringraziarla per le lezioni di vita ricevute.
Chi sia Laura Comi non sta a noi dirlo. Basta fare un giro sul suo sito ufficiale per rendersi conto dell’incredibile percorso fatto, degli spettacoli danzati e dei riconoscimenti internazionali ricevuti. Abbiamo voluto incontrarla per farci raccontare meglio cos’è per lei l’insegnamento e quali sono i motivi di fascinazione che portano la danza classica ad attrarre le nuove generazioni, così cambiate dalle precedenti.
Intervista esclusiva a Laura Comi
Sacrificio, dedizione, convinzione. Sono tutte caratteristiche che in Scuola di danza – I ragazzi del Teatro dell’Opera si cerca di tramandare alle nuove generazioni. È facile come compito?
Beh, insomma. I tempi un po’ cambiano. Come in tutte le cose, c’è un’evoluzione e, quindi, anche nel nostro settore si assiste a un cambiamento delle generazioni, dei giovani. Un pochino è complicato per noi. La società in cui stiamo vivendo è tutta molto veloce, per cui si fa tutto rapidamente. Si pensa di poter raggiungere anche i risultati in tempi brevi.
Per quanto riguarda la danza classica, il percorso dura invece otto anni: sono otto anni di studi intensi. Per diventare professionisti, nella nostra scuola, si studia tutti i giorni per otto anni. Quindi, per arrivare ad avere acquisito tutto il programma didattico e a danzare in modo disinvolto, ci vogliono molti anni.
A volte, i ragazzi un po’ si demoralizzano perché pensano di non raggiungere mai i risultati. Devono, però, capire che bisogna costruire tutta una base prima di poter poi esibirsi e danzare eseguendo anche dei virtuosismi. Devono attendere che il corpo sia più formato. Non si possono esercitare cose troppo complesse in ragazzi ancora in formazione. Si tratta di un programma didattico da seguire in maniera mirata in base all’età.
Quali sono i criteri di selezione che adotta il Teatro dell’Opera di Roma? Non credo vengano accolti tutti i ragazzi che si presentano.
No. Proprio per la finalità della scuola, la selezione è abbastanza rigida: si preparano ragazzi alla professione. Non si studia qui a livello amatoriale, giusto per coltivare una passione. Qui si viene con un obiettivo preciso.
I bambini che iniziano dal primo corso, con l’età adeguata, si sottopongono soltanto a un esame fisico-attitudinale. Si vede il fisico, le attitudini che vengono richieste: il collo del piede, il cosiddetto en dehors (l’impostazione delle anche ruotate verso l’esterno), le proporzioni fisiche e la flessibilità.
Ammettiamo anche per gli altri corsi, fino al sesto. In quel caso, la prova di selezione riguarda il livello di corso per il quale si chiede di entrare. Chi vuole, ad esempio, fare la selezione per il terzo corso, deve essere in grado di sostenere una lezione di fine secondo corso, con tutti gli elementi che sono stati affrontati e raggiunti nel corso di quell’anno.
Quando le è stata proposta la docuserie, Scuola di danza – I ragazzi del Teatro dell’Opera, cosa l’ha spinta ad accettare il progetto? Per quale motivo ha deciso di aprire le porte della scuola del Teatro dell’Opera alle telecamere di una produzione televisiva?
Il progetto che mi hanno presentato era molto interessante. La società di produzione che lo ha proposto, Panamafilm, è comunque una società vicina agli ambienti della danza, non è completamente avulsa. Sapeva bene dove veniva a operare.
Chiaramente, c’è stata molta collaborazione. La troupe si è inserita nella nostra attività senza creare assolutamente il minimo problema. Quindi, abbiamo collaborato molto bene, nel rispetto degli obiettivi di ognuno. Hanno rispettato la nostra tabella di marcia: noi abbiamo un’attività giornaliera molto serrata. Abbiamo una lezione dietro l’altra nelle sale ballo, abbiamo le prove… Non ci sono momenti morti, finisce un turno e ne comincia un altro, giusto le pause per la sanificazione degli ambienti. Prima della pandemia, non c’erano nemmeno quelle.
È tutto molto serrato proprio perché abbiamo tante attività, tanti corsi, più le prove di preparazione per gli spettacoli. Hanno capito subito e si sono adeguati benissimo. Noi, dall’altro lato, abbiamo capito le loro esigenze. Anch’io ho cercato, dove era possibile, di venirci incontro tutti. Abbiamo veramente collaborato in modo equilibrato, con rispetto reciproco e molto bene.
Loro hanno girato anche molte scene all’esterno della scuola.
La professione del ballerino affascina tantissimo i giovani. Secondo lei, dove ha origine questa fascinazione?
Esprimersi attraverso il corpo con gesti e movimenti fa proprio parte dell’essere umano: è stato un po’ il primo mezzo di comunicazione ancor prima dell’uso del linguaggio. Quindi, è un po’ insito nell’uomo.
Poi, sicuramente, il fascino del palcoscenico e, quindi del teatro, fa molto. Io ho ad esempio ho iniziato il mio studio per puro caso. Ho iniziato al Teatro dell’Opera, dove sono stata chiamata a prendere parte a uno spettacolo. Arrivare a nove anni, sul palcoscenico del Costanzi, di fronte a quella sala, è stata una di quelle esperienze che ti segnano. Da quel momento, in me è nata una grandissima passione che non mi ha mai più abbandonato.
Il teatro ha dunque un suo fascino così come questo modo di esprimersi e di trasmettere attraverso il movimento e la musica. Il bello della danza è dato proprio dalla sintonia con la musica. La danza è un sentimento che prende forma. È bellissimo poter trasmettere attraverso un movimento un sentimento, un concetto, qualsiasi cosa… anche senza dover stabilirlo a priori.
Attraverso la musica, la danza è un modo di espressione nobile che affascina tantissimo sia l’interprete sia chi guarda. Anche le persone più comuni hanno il piacere di andare in discoteca perché, come dicevo prima, il movimento è insito nell’essere umano. Certamente, una forma artistica così elaborata e sofisticata come la danza classica ha bisogno di tanto studio e di tanto rigore.
I grandi balletti di repertorio ci permettono un po’ di entrare nelle favole. Fanno vivere una favola allo spettatore ma anche a te che la interpreti. È tutto un mondo magico che un suo fascino, indubbiamente.
Un mondo magico che, però, nella rappresentazione che ne fa il cinema soprattutto è abbastanza inquietante. Penso al successo che hanno avuto film con la danza al centro, come Cigno nero, Suspiria o di recente Danzando sul cristallo su Netflix. sono tutti titoli in cui la danza diventa quasi un demone. È una rappresentazione che fa bene alla danza oppure no?
Assistiamo un pochino a tutte queste deformazioni della realtà per fini diversi. Chi le realizza fa forse anche degli studi a parte. Non lo so… subentra molto il gusto delle persone. Però, ritengo che possano stimolare molto il senso critico e possano anche essere di aiuto. Come anche delle messe in scena particolari di alcuni grandi titoli di repertorio. Perché no? Si vedono, si giudicano e ognuno tira un po’ le sue conclusioni.
Non sono contraria, sinceramente. Ci sono tante sfaccettature, tante chiavi di lettura che possono stimolare o semplicemente soltanto suscitare una reazione di non apprezzamento che ti porta a dare un giudizio.
Rispettano però tutti i punti cardine della danza: il sacrificio, il rigore, la dedizione, la perfezione…
Lo studio quotidiano fino a che non si smette di danzare è proprio quello di perfezionarsi sempre di più. Poi, è chiaro: la perfezione non è di questo mondo però si cerca di raggiungerla. L’obiettivo è quello.
Rimanendo in tema di rappresentazione della danza da parte dei mass media, cosa ne pensa dei programmi televisivi che utilizzano la danza per diventare spettacolo di pura evasione? Penso ai talent, ad esempio.
In effetti, la danza è arrivata un po’ a tutti, attraverso i talent o agli altri programmi. Certo, si discostano un po’ da quello che è lo studio e la vita reale in una scuola di danza professionale. È anche vero che hanno avvicinato moltissimo le persone. Magari, poi, si rendono conto che nella realtà le cose sono un po’ diverse. Però, fanno esperienza e capiscono quali sono gli obiettivi televisivi, quali sono gli obiettivi dei talent e quali sono gli obiettivi invece di una scuola professionale.
Sono tutti stimoli che si danno, bisogna avere la capacità di scegliere, di capire, di valutare, di giudicare. Che se ne parli e che si faccia, sono a favore.
Mi piace molto questa sua visione critica positiva. Solitamente, si tende a demonizzare certe realtà.
Ti permettono di aprirti anche ad altre letture. E di trarre, appunto, le tue conclusioni.
In Scuola di danza – I ragazzi del Teatro dell’Opera, vediamo che sceglie come spettacolo da realizzare Coppelia. Sembra che sia un’opera fondamentale anche nel suo percorso.
L’abbiamo portata in scena a dicembre per lo spettacolo sotto Natale. Io ho danzato Coppelia. Ero molto giovane quando ho danzato la versione classica, tradizionale. Da protagonista, ho danzato le versioni più contemporanee, realizzate da coreografi viventi, Mauro Bigonzetti e Amedeo Amodio.
È particolarmente legata al ruolo di Swanilda?
Si. Anche se, devo dire, che nella mia carriera, quando sono stata nominata prima ballerina e poi étoile, ho interpretato soprattutto altri ruoli prettamente classici. Vanno da Romeo e Giulietta al Lago dei Cigni, Giselle, Lo schiaccianoci, Bella addormentata… Ho affrontato la versione classica di Coppelia solo all’inizio, quando ero molto giovane. Successivamente, invece, mi sono ritrovata con questi capisaldi del balletto classico, per antonomasia, di repertorio, titoli capolavoro che sono meravigliosi sia da danzare sia da vedere. C’è un connubio tra coreografia e musica talmente perfetto e bello che li rende, appunto, dei capolavori.
Stiamo realizzando quest’intervista durante la Giornata Internazionale della Danza, il 29 aprile. Le devo, obbligatoriamente, fare una domanda sul mito della danza classica italiana più famoso nel mondo: Carla Fracci. Qual è il suo ricordo personale?
Ho collaborato con Carla Fracci per tanti anni. Lei ha diretto la Compagnia del Teatro dell’Opera di Roma, dove io ho danzato per tanti anni. Con lei, ho interpretato tantissimi ruoli, tra cui Giselle. Nonostante l’abbia ballata per più volte, ogni volta che riprendevamo le prove, c’era sempre qualche sfumatura, qualche particolare in più che Carla mi faceva notare, su cui insisteva che venisse fuori. È stata per me una scuola importantissima.
Lei ha smesso di ballare?
Si, certo. Io ho danzato fino all’ultimo. Quando ho ricevuto l’incarico dalla Scuola di Danza del Teatro dell’Opera, per me è stato un onore, una grande gioia. Ritornare in veste di direttrice dove io stessa mi sono formata è stato emozionante. Il ruolo di direttrice mi occupa tantissimo. Mi piace seguire tutti i ragazzi, devo organizzare tutte le attività, ho un bel gruppo di lavoro e un gruppo docente molto bravo e appassionato. E devo uniformare e collegare il lavoro di tutti: la preparazione degli spettacoli, gli esami, le selezioni…
Già la prossima settimana cominciamo la selezione degli allievi per l’ammissione al prossimo anno. A seguire abbiamo gli esami dei nostri allievi interni. È tutto un calendario molto serrato e pieno di attività che mi impegna molto. E non riesco, purtroppo, a fare altro. Dico purtroppo perché mi piacerebbe almeno fare qualcosina ma per me, non per il pubblico. Ormai ho lasciato il palcoscenico.
I ragazzi, come vediamo nella docuserie Scuola di danza – I ragazzi del Teatro dell’Opera, hanno un certo timore nei suoi confronti. Cosa vorrebbe che imparassero da lei? E cosa lei sta imparando dai tanti giovani che ha incontrato lungo il percorso?
Come dicevamo all’inizio, i giovani sono cambiati. Anch’io imparo da loro le evoluzioni dei tempi. Io vorrei trasmettere loro la mia esperienza di danzatrice e, soprattutto, ci tengo molto, l’educazione, il rispetto e la disciplina. Ma non perché debba essere un puro esercizio di indice di severità: servono proprio per affrontare la professione. Ti accompagneranno per tutta la carriera e potrai avere una carriera lunga.
La carriera del danzatore non è molto lunga: a 45 anni, forse anche prima, si smette. Proprio perché si lavora con il fisico, bisogna avere molto metodo. Bisogna cercare di limitare il più possibile gli infortuni. Disciplina significa sapersi mantenere in un certo modo, avere metodo negli allenamenti e nelle prove, essere puntuali e ordinati, essere rispettosi non solo verso gli insegnanti ma anche verso i compagni e tutto il personale della scuola. Fa parte tutto del comportamento che un danzatore deve avere: gli servirà per la sua professione.
Come spesso dico ai ragazzi, non vi adagiate sugli altri. Dovete contare solo su voi stessi. Dovete essere responsabili e fare voi quello che vi serve. Non è una questione di forma, è una questione di sostanza.