Laura Locatelli è nota a tutti per essere la moglie del Milanese Imbruttito, fenomeno cult che dal web è arrivato al cinema con Mollo tutto e apro un chiringuito. Il film dallo scorso 9 maggio è disponibile su Prime Video e, in breve tempo, è diventato un must per tanti alla ricerca di due risate spensierate ma non superficiali.
Ma, oltre a essere la moglie del Milanese Imbruttito, Laura Locatelli è un’attrice che ama spaziare da un genere all’altro. A teatro ama ad esempio portare titoli classici e contemporanei con cui può mettersi alla prova. Sì, perché Laura Locatelli si diverte a interpretare anche personaggi lontanissimi da lei e dal suo modo di fare. Le permettono di esplorare le sue mille “moltiTUdini”, termine che preso in prestito da Walt Whitman ha fatto proprio e riscritto graficamente. Nel corso di quest’intervista capirete perché.
Leggendo le risposte di Laura Locatelli scoprite che si occupa anche di formazione professionale e di comunicazione. Prima di far l’attrice, professione a cui secondo lei è arrivata tardi, si è laureata in Scienze della Comunicazione alla IULM di Milano e ha lavorato dietro le quinte degli spettacoli. Ed è in quel frangente che Laura Locatelli ha capito che le aspirazioni artistiche che coltivava da adolescente reclamavano il loro posto nella sua vita.
Last but non least, scoprirete anche che Laura Locatelli è una donna che ha le idee ben chiare sui social, sul mestiere di attrice, sulle differenze di genere e sulle molestie. Non si nasconde dietro un dito e sa che la sua è una professione ad alto rischio. Proprio per questa ragione invita le giovani che vogliono intraprendere un percorso attoriale a essere sicure di ciò che vogliono.
Intervista esclusiva a Laura Locatelli
Dopo essere uscito in sala sfidando la pandemia, è appena arrivato su Prime Video Mollo tutto e apro un chiringuito, il film che ha portato al cinema il fenomeno del “milanese imbruttito”. Cosa si prova a essere la moglie del milanese imbruttito da così tanti anni? Non ti sei stancata?
Il nostro è effettivamente un matrimonio longevo: io e Germano Lanzoni siamo ormai la coppia fissa del Milanese imbruttito dal 2016. E proseguiamo a esserlo: la produzione delle varie puntate web continua. Quindi, per il momento rimango la moglie ufficiale.
Com'è essere la moglie del milanese imbruttito? La cosa divertente è che tante persone pensano che sia una cosa vera. Mi fermano per strada e mi dicono: “Ah, troppo forte tuo marito”. E io mi devo schernire per dire: “Vabbè, saremo due attori: non è un reality, vi ricordo!” (ride, ndr).
Vedi? Uno pensa che il pubblico sia oramai smaliziato e invece…
Mi imbatto in questo equivoco più spesso di quello che si possa pensare. All'inizio non ci credevo, dicevo “Vabbè, questo sarà un pazzo” e, invece, mi è capitato più di una volta. Comunque, interpretare la moglie imbruttita è divertente di sicuro: nonostante tanti anni di questo ruolo, io mi diverto ancora. È una parodia di un lato reale di chi vive a Milano: molte persone ci si rivedono perché la città impone dei ritmi da imbruttito, come si dice.
Alla fine, penso che abbia tanto successo proprio perché, anche se uno non è un milanese doc ed è un giargiana, nel vivere Milano si trova in qualche modo a incarnare un po’ quello stereotipo. Molte persone sorridono di questo, per prima io stessa che giargiana lo sono davvero. Sono originaria di Crema e, per chi non lo sapesse, i giargiana, secondo i milanesi, sono tutti coloro che vivono fuori dalla “circonvalla”. Il giargiana è, scherzando, colui che vive o lavora a Milano senza avere il physique du role.
Visto che sei originaria di Crema, come è stato per te l’impatto con Milano?
Un po’ come lo descrivono tutti i giargiana. Ho provato un misto di fascinazione e sudditanza. Ti senti attratto ma allo stesso tempo sovrastato dalla città, devi obbedire alle sue regole. Almeno questo è stato il mio impatto con Milano, il ricordo di quando per l’università iniziai a frequentare la città più assiduamente.
Negli ultimi anni, invece, Milano mi sta regalando grandi soddisfazioni, con il ruolo della moglie del milanese imbruttito, una bellissima esperienza arrivata persino al cinema: è stata una vera sorpresa, mai avrei pensato che accadesse. Ho imparato negli anni ad amare Milano, anche se all'inizio il nostro è stato un rapporto un po’ complicato.
Il Milanese imbruttito ti ha regalato una popolarità che va da Nord a Sud, senza distinzione alcuna. La serie web e il film piacciono tanto a Milano quanto a Palermo. C’è chi nel milanese si riconosce e chi invece ne prende simpaticamente le distanze. Mi dicevi che le persone ti fermano per strada.
Qualche volta capita, devo dire la verità. A Milano qualcuno si appella effettivamente a me come se fossi il mio personaggio. È divertente. Non ho raggiunto ovviamente la popolarità che ha Germano Lanzoni, il protagonista, che oramai viene fermato a ogni passo. La community dell’Imbruttito è molto viva a Milano ma, è vero, esiste anche al di fuori. Pensate poi che uno dei “founders” del Milanese Imbruttito è pugliese!
La popolarità che regala il web è molto diversa da quella che regala la televisione? Molto spesso si ha il mito della tv. Tu hai preso parte a diversi progetti televisivi e spot in passato.
Credo che per una certa parte di popolazione sia ancora il medium che definisce la popolarità. Quando mi capita di prendere parte a delle fiction o di essere testimonial di qualche campagna pubblicitaria televisiva, il fatto che ti abbiano vista in televisione ti dà una sorta di aurea di importanza data dal mezzo che arriva in tutte le case. È ancora un po’ così, soprattutto per la generazione precedente a quella dei millennial.
Per i giovani di oggi, il riconoscimento della cultura popolare non passa più per la televisione. Quest’aspetto mi fa un po’ pensare: i prodotti web forse sono più per nicchie, non sono poi così trasversali. Alla fine, mi chiedo quali siano gli eventi culturali davvero popolari, crossmediali, che rimangono alle nuove generazioni. Solo Sanremo o l’Eurovision?
Tornando al mio caso, non ho mai vissuto la popolarità televisiva vera e propria. Non venivo riconosciuta in un personaggio perché le esperienze precedenti erano comunque più brevi e non da protagonista. Sperimento oggi la popolarità da web. Internet, i social e le piattaforme video arrivano nei cellulari di tutte le persone. Sembra di essere amici e di conoscersi lo stesso: non hai visto un volto in tv ma su un altro medium.
Ci sono dei casi in cui, quando incontri un personaggio popolare, rimani deluso perché lo hai trovato diverso dalle aspettative che ti eri costruito. Si tende a confondere il personaggio con la persona.
È una questione su cui riflettere molto. Mi occupo della differenza tra persona e personaggio anche in un’altra attività che porto avanti, quella di formatrice. Il divario non viene spesso percepito dal pubblico, soprattutto quando il personaggio è molto forte e molto presente nel tempo: diventa quasi un tutt’uno con la persona, si perde la distinzione.
Torniamo quasi alla teoria del proiettile magico. Non è che sia cambiato molto nonostante siano passati anni da quando è stata formulata. È ancora attualissima.
Rispetto al passato, c’è ancora più spazio per creare personaggi. Grazie al web, ognuno ha la possibilità di essere creatore di contenuti e di diventare a sua volta un personaggio. Un po’ come com'è successo al Milanese imbruttito, fenomeno nato per caso e spontaneamente che è diventato nel tempo un brand, a cui lavora un team di persone. Oggi, ognuno di noi col cellulare si mette lì e crea un suo canale, parla a un suo pubblico.
Non c’è il rischio che si perda di vista il messaggio?
Si perde di vista la consapevolezza che ci deve essere, un messaggio. Molto spesso le persone si mettono a pubblicare senza avere un obiettivo, semplicemente per fame di connessione, di visibilità, di riscontro. Per essere, appunto, visti e diventare visibili. Probabilmente, in molti manca la consapevolezza che debba esserci anche qualcosa da dire, qualcosa che vada al di là del puro mettersi in mostra.
Forse sta prevalendo un po’ una forma di narcisismo e di esibizionismo che è insita in molti di noi. E te lo dice una che, per il lavoro che ha scelto, una certa quota di narcisismo nel mostrarsi lo ha chiaramente. Non ci si ricorda che un messaggio deve essere in primo luogo autentico.
Anche sul tema dell'autenticità mi interrogo molto: ci sto lavorando nell’ambito della formazione. Parlo, ad esempio, di maschera autentica. È un termine che mi sono un po’ inventata - è un ossimoro, se ci pensate - per descrivere la necessità di avere la consapevolezza che non siamo più “persone” una volta che siamo mediati diventiamo tutti in qualche modo “personaggi” in una storia. Questo meccanismo ci “appiattisce”, ci semplifica, riduce la nostra profondità, e anche la nostra complessità come persone, viene meno per esigenze di comunicabilità.
Quello che mi auguro, a questo punto, è che si mantenga la quota personale di verità, la quota di autenticità del diamo al nostro personaggio, quantomeno. Se manca, il rischio è di perdersi nella finzione. Magari nell’ansia di aderire con coerenza al personaggio con il quale ci si è mostrati fino a quel momento, per avere altri like, cuoricini e condivisioni.
Nessuno di noi è una cosa sola e possiamo portare all’esterno, attraverso i social, una parte alla volta, possibilmente autentica e opportuna per i nostri obiettivi comunicativi. Attenzione però: non è un invito a mostrare infine tutto di sé sui social, tutt’altro. È un invito alla consapevolezza.
Io, ad esempio, sono una persona molto riservata. Uso i social ma non mostro quasi mai aspetti davvero privati. Raramente parlo delle mie vicende personali, per scelta. Mi piace mantenere separate la sfera pubblica e quella che è la mia vita privata, la mia famiglia. E proteggo la mia privacy, la mia intimità. Dall'altra parte, però, mi piace anche comunicare ed essere in relazione con chi mi segue. Ciò che pubblico, è tutto vero e autentico. Ma è una solo una porzione di verità sulla mia persona.
Non possiamo mai essere completamente rivelati e svelati, anche perché siamo molto complessi e ci contraddiciamo, fortunatamente. La vita è piena di contraddizioni. Ma possiamo scegliere in modo strategico di essere coerenti con i nostri obiettivi, e di essere riconoscibili. Finché non cambiamo obiettivi, però, aggiungo.
Tu, tra l’altro, con un gioco di parole, parli di “moltiTUdini”.
Siamo tutti molto molteplici e abbiamo mille volti. Io ho scelto di fare l'attrice perché sentivo il bisogno di viverli tutti, di cambiare spesso maschera. Possiamo essere tutti più versioni di quei pochi volti che mostriamo e concederci più opportunità di quelle che viviamo. Le moltitudini che abbiamo dentro, alla fine, sono i ruoli, le emozioni, le capacità, le esperienze. È un po’ la possibilità di darsi anche libertà e nuovo spazio.
C'è una frase di Walt Whitman che amo tanto e dice “Mi contraddico? Ebbene sì, mi contraddico. Sono vasto, contengono moltitudini”. Ho preso da questa frase la parola “moltitudini” e ho messo il “tu” in evidenza. È un modo per indicare che le moltitudini sono dentro, e la loro somma, mutevole e imprevedibile, definisce chi siamo profondamente. A volte, ho chiesto sui social cosa richiamasse la parola moltitudine. In molti pensano a una massa indistinta di persone. C’è una componente di caos in questo, però credo che sia il caos che abbiamo dentro tutti.
Specchio delle tue moltiTudini sono anche i ruoli impegnati che hai interpretato a teatro, ad esempio, lontanissimi dalla realtà del Milanese Imbruttito.
Ho avuto dei periodi in cui in me ha prevalso la dimensione drammatica piuttosto che quella comica e della commedia. Non credo che potrei mai rinunciare all'idea di poter fare tutto: ho iniziato col teatro, ho fatto cinema indipendente e ora l’esperienza del cinema a larga distribuzione con Mollo tutto e apro un chiringuito. Ma anche tante pubblicità, in cui ho fatto delle esperienze bellissime. Ho sperimentato il web.
Ho dunque fatto tante cose diverse, con registri completamente differenti. Questa è un'esigenza mia personale. Voglio essere libera, anche di passare da un registro all’altro. Non mi piace l'idea di chiudermi in un genere specifico o in un ruolo. Vorrei continuare a esplorare tutto.
Quali sono i ruoli che ti propongono più spesso?
In maniera probabilmente stereotipata, corrispondo per fattezze e per il modo in cui mi propongo abitualmente, al ruolo della classica moglie o della fidanzatina, qualcosa di molto rassicurante.
Qualche volta, invece, forse perché ho anche dei colori piuttosto freddi, algidi, mi hanno proposto di interpretare completamente l’opposto, l’antagonista. E, quindi, l'amante, il killer… In quelle occasioni, mi sono divertita molto di più. Più il personaggio è lontano dalle mie maschere quotidiane, intendo quelle della vita vera, più mi diverto perché posso giocare, sperimentare.
Il mestiere di attrice di permette di mettere in scena, in un contesto lecito, delle emozioni che non sono di solito praticabili apertamente, almeno non senza conseguenze, come l’aggressività.
Ricordo l’opportunità, per un progetto terminato con un mediometraggio, di interpretare Medea, un personaggio non proprio edificante: è una donna che ammazza i suoi figli per vendetta. Eppure, mi sono immersa con molta empatia nei panni di un personaggio così arrabbiato ed estremamente negativo in termini narrativi. Lei era una belva ferita per me e, pur nella difficoltà di concepire il suo gesto estremo, ho contattato la disperazione e il bisogno di rivalsa che potevano aiutarmi ad interpretarla.
Non so giudicare il risultato ma per me era stata quasi una sorta di catarsi. Dico spesso che faccio teatro perché ho bisogno di passare attraverso l’espressione di tutte le mie molteplici sfaccettature.
Da Crema ti eri trasferita a Milano per studiare Scienze della Comunicazione. Quando è scattata in te la molla della recitazione?
Ci ha messo un bel pezzo a scattare la molla della recitazione! Anche se, a dir la verità, quando ero ragazzina già al liceo studiavo danza. Finito il liceo, ero al bivio tra l’università e un’accademia di arti performative di Milano che aveva frequentato un’amica. Non ho però avuto assolutamente il coraggio di fare la seconda scelta.
Per un po’, ho messo da parte le aspirazioni artistiche ed espressive. Ho optato per l’università e ho iniziato presto a lavorare, nell'ambito della formazione prima, e del marketing e nella promozione degli spettacoli teatrali dopo, avendo conseguito un master alla Bicocca in merito.
È come se avessi fatto un giro molto largo, passando da dietro le quinte… per arrivare infine sul palcoscenico. Mi ero detta: “Vediamo se sei capace a organizzare e promuovere gli spettacoli che ti piacciono tanto”. E invece mi sono così resa conto, in breve tempo, che non volevo stare solamente nell'ambito organizzativo.
Mi sono iscritta a un'accademia di recitazione professionale a Milano a 29 anni suonati, una cosa che invece viene fatta circa dieci anni prima da chi inizia questo mestiere. Avevo il desiderio di sperimentare e di provare a trasformare la mia passione per il palcoscenico in un mestiere. Mai mi sarei immaginata di fare l'attrice fino a un po’ di anni prima. Non mi ero mai concessa nemmeno il lusso di pensarci.
Hai dunque vissuto il mondo dello spettacolo sia da dietro le quinte sia davanti. È davvero così sessista, discriminatorio, come lo dipingono?
Lo è come lo sono tutti gli altri settori. C’è una disparità impressionante in termini numerici, tra uomini e donne che dispongono di potere. Nei ruoli decisionali è davvero raro trovare delle donne, anche in questo settore come nella maggior parte dei settori lavorativi.
In merito a ciò, sostengo il lavoro di alcune colleghe che hanno fondato un'associazione che si chiama Amleta.
Amleta si occupa proprio delle disuguaglianze di genere nell'ambito dello spettacolo. In questo settore, c'è sicuramente un'aggravante in più rispetto ad altri. Noi attrici lavoriamo col corpo, chiaramente, e con l’espressività fisica. Ciò crea, a volte, una forma di ambiguità che fa vivere esperienze anche poco felici. Io stessa ho avuto esperienze imbarazzanti, fortunatamente non particolarmente pesanti, in cui non c’era un livello di professionalità tale da farmi sentire tranquilla.
In pratica, il rischio molestie è dietro l’angolo.
Raccontare storie in cui sono previste scene intime, mostrare il corpo o altre dinamiche che solitamente restano nella sfera del privato, è qualcosa di scontato per un’attrice o un attore: fa parte del nostro lavoro. Si tratta di situazioni che richiedono però particolare tutela ed è opportuno che si verifichino in contesti professionali che facciano sentire sicure, al di là dell’eventuale, normale imbarazzo che si può provare.
Il discorso vale anche per i colleghi uomini, non sono esenti da molestie nemmeno loro. Noi donne dobbiamo però più frequentemente chiederci se ci troviamo o meno in una condizione di potenziale pericolo.
Mi viene ad esempio in mente la volta in cui per un provino mi hanno convocata in un albergo. Partivamo già male: avrebbero dovuto spiegarmi il perché. Una cosa del genere ti fa partire già col piede sbagliato, non hai una percezione di professionalità. Avevo già lavorato tranquillamente con quella produzione e decisi, quindi, di andare: fortunatamente il provino si svolse con professionalità, avevano bisogno di una location con quelle caratteristiche. Ma ricordo ancora l’ansia che mi accompagnava mentre ci andavo: ero pronta a scappare alla prima mossa falsa.
Alcuni prendono la “scusa” della recitazione come un alibi. La finzione “lecita” sostiene comportamenti non sempre professionali. Il “facciamo finta che”, in determinati contesti, può diventare addirittura pericoloso.
Quale consiglio daresti a una giovane che si avvicina al mondo della recitazione?
Sicuramente, di capire quali sono le motivazioni reali per cui si approccia al lavoro di attrice. Serve in primo luogo tantissima conoscenza di se stessi. La consapevolezza e la conoscenza della propria peculiarità si costruiscono nel tempo perché si impara sperimentandosi a prestare grande attenzione ai propri bisogni, attitudini e desideri. È importante che non si subiscano condizionamenti esterni e che non si accontentino i bisogni degli altri. Ma questo vale in ogni scelta.
Quello dell’attrice è un lavoro che presenta tante ombre, non ha solo aspetti luminosi. L’ombra principale credo sia rappresentata dalla precarietà: non hai la sicurezza di un impiego fisso. Oggi è una condizione purtroppo molto diffusa anche in tanti altri settori. Servono resistenza e perseveranza, caratteristiche che solo la passione e un amore sincero per questo mestiere, ti danno.
Da attrice hai portato in scena tantissimi personaggi. Qual è quello che ancora ti manca?
Mi piacerebbe raccontare personaggi femminili fuori dagli stereotipi, donne che hanno fatto scelte non prevedibili. Non in uno specifico settore ma proprio nella vita, nel modo di vivere l’essere una donna in una società complessa come la nostra. Un personaggio che possa essere anche d’ispirazione, non convenzionale.
E tu sei una donna poco convenzionale?
Non lo so fino a che punto, potrei esserlo ancora di più! Considero l’essere non convenzionale una forma di vivere coraggioso, perché non restare dentro agli schemi può fare paura. A volte, ho il coraggio di fare delle scelte che non ha fatto nessuno prima di me e di seguire la mia strada. L’ho sempre fatto se ci penso bene ma non sono ancora dove sento che vorrei essere.
Una delle scelte più anticonvenzionali che ho fatto in questo periodo, vivendo in una città sempre di corsa come Milano, è quella di rallentare, di prendermi più spazio per me e per la mia famiglia, e di recuperare anche del prezioso tempo vuoto.
Penso che sia una delle esigenze che è emersa più trasversalmente nelle persone dopo l’esperienza della pandemia, quando ci si è resi conto che l’ago della bilancia tra vita professionale e vita privata pendeva troppo da una parte.
Cosa ti aspetta adesso?
Con Germano, il mio marito imbruttito, abbiamo in comune anche l’attività di formatori. Ci capita, a volte, di condurre insieme delle attività di formazione nelle aziende. Lui lavora principalmente sulla comunicazione empatica e ironica, io sulla comunicazione autentica ed efficace in video. Prossimamente, farò parte del gruppo dei docenti che lui ha assemblato per un master all’Università di Milano Bicocca. Mi occuperò di video speaking.
Mi inorgoglisce tornare come docente di un master nella stessa università in cui, io stessa ho frequentato un master: mai da ragazzina mi sarei immaginata che accadesse e proprio grazie al Milanese Imbruttito! Robe da matti!