“È stata una sfida fortemente voluta”, mi risponde subito Leo Gassmann quando gli chiedo, scherzosamente, chi glielo facesse fare di accettare di essere il protagonista del film di Rai 1 Califano e di esordire come attore con così tanta responsabilità sulle spalle. “Mi sono preparato a lungo per questo momento: ho lavorato per un paio d’anni sulle mie qualità di attore per cercare di svilupparle al meglio quando si sarebbero presentate le occasioni”.
“Mi sono guadagnato il ruolo dopo una lunga serie di provini”, continua Leo Gassmann. “Come puoi ben immaginare, si trattava di un ruolo ambito da tanti e la concorrenza era molta. Quindi, sono onorato di essere stato scelto per raccontare questa storia, la storia di un essere umano straordinario come Franco Califano”.
L’argomento del nostro incontro in esclusiva non poteva essere diverso. Nel film di Rai 1 Califano Leo Gassmann dimostra come affrontare un personaggio realmente esistito: non imitarlo ma interpretarlo, con tutte le sue sfumature e i dettagli. Da quelli fisici a quelli caratteriali. Se c’è qualcosa che allo spettatore di Califano la sera dell’11 febbraio salta subito all’occhio sin dalla prima scena è il lavoro che Leo Gassmann ha fatto sulla voce. Fino a quando non scorrono per intero i titoli di cosa rimane costante il dubbio: è la voce di Califano che canta le canzoni in scena o è Leo Gassmann.
La risposta è ovviamente la seconda. “La tua osservazione è una carezza per il mio cuore”, è la risposta di Leo Gassmann ma non è piaggeria o scambio di convenevoli. Al di là di Califano, Leo Gassmann ha sempre dimostrato di avere una certa sensibilità e gentilezza, un’apertura all’altro che è frutto della consapevolezza di chi sa che di vita, come mi dirà più avanti, ce n’è una sola.
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Cantautore venticinquenne, Leo Gassmann esordisce quindi come attore affrontando un confronto che ad altri avrebbe fatto paura sin dalla carta: Franco Califano è tuttora un mito. La sua vita, le sue canzoni, il suo stile di vita e la sua idea di libertà, resa immortale da una canzone, non può che ammaliare ed essere da modello. Sì, perché, al di là degli eccessi di una vita vissuta sempre col piede sull’acceleratore, Califano è entrato nella storia della cultura italiana per quella vena creativa, vivace e battagliera per dirla à la Gaber, che non ha nulla da invidiare ai modelli a cui tanto ci ispiriamo oggi.
Autodeterminazione sarebbe la parola che più tornerebbe fuori se tracciassimo un profilo contemporaneo di Califano, la stessa di cui si è rivestito Leo Gassmann sin quando da piccolo sceglieva la musica e portava avanti la tradizione artistica di famiglia.
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Intervista esclusiva a Leo Gassmann
Cosa ti ha lasciato l’entrare nei panni di un personaggio così iconico?
Mi ha lasciato tanto. Franco mi ha dato la possibilità di guardarmi, di amarmi un po’ di più e di sentirmi, a volte, più a mio agio anche nelle situazioni quotidiane. Non lo dimenticherò mai e farà sempre parte di me. È un personaggio che mi ha dato tanta fiducia in me stesso e che mi ha anche permesso di riscoprire i valori dell’amore e dell’amicizia.
Che emozione hai provato nel girare l’ultima scena del film, la sequenza del concerto finale al Teatro Parioli, circondato dai veri musicisti che avevano accompagnato in quell’occasione Franco Califano?
Grandissima. Si tratta di una delle ultime scene girate ma loro sono stati una presenza fissa sin dall’inizio della lavorazione dal momento che abbiamo realizzato la colonna sonora insieme a tutti i suoi migliori amici. comunque, vedere i loro occhi grati e felici nel realizzare come era stato raccontato il loro amico mi ha reso fiero. Mi ha stretto il cuore ed è forse la vittoria più grande che conservo di quest’avventura: sapere di essere riuscito a renderli felici e sereni per come il loro amico viene dipinto con tanto affetto non ha prezzo.
Hai rieseguito tutte le canzoni di Franco Califano che si sentono nel film di Rai 1. Cosa hanno da dire quelle canzoni a un ragazzo di 25 anni di oggi come te?
Tanto. A parte che le sue canzoni sono come fotografie che ritraggono un’epoca che non esiste più e una romanità che si è estinta, Franco è un esempio per tutti noi ragazzi per essere stato il cantautore della noia, della necessità di fuggire dalla monotonia della vita. È stato un uomo straordinario che ha dovuto combattere tanto per raggiungere ciò che dopo ha costruito: ha preso tante batoste e ricevuto altrettante porte chiuse in faccia ma è stato un grande esempio di grande determinazione e di grande forza di volontà, due tratti distintivi che lo hanno portato a diventare quel personaggio iconico che è oggi.
Per Franco Califano, la musica era anche sinonimo di libertà, lo si evince anche dalla continua esigenza che aveva di scrivere quando si è ritrovato in carcere.
La musica è fondamentale anche per il mio percorso. La faccio sin da quando sono bambino ed è di sicuro uno dei punti di contatto che condividiamo. Ma ciò che mi ha dato la possibilità di empatizzare ulteriormente con lui è l’ingiustizia che ha subito nel corso del suo cammino, rinchiuso in carcere senza aver commesso i fatti come poi dimostrato dalle sentenze. Mi ha fatto star male ad esempio girare determinate scene perché mi sono immaginato nei suoi panni nel pensare a come ci si sente, dopo trent’anni di lotta per emergere, nel venire accusati e imprigionati anche dentro casa. È stato un dolore che ho sentito veramente come mio: a livello di emozioni forse è stato il più intenso.
Nel racconto della gioventù di Franco Califano grande peso ha avuto il suo rapporto irrisolto con le donne, soprattutto in amore. Arrivava sempre un momento in cui le storie dovevano finire, come se avessero una data di scadenza. Ti sei chiesto per quale ragione?
Il motivo è molto semplice ma il realtà è stato per me difficile realizzarlo. Per come l’ho interpretato io, cercava sempre di fuggire quando le cose andavano troppo bene. Aveva subito tanti traumi nella vita, era stato in collegio e aveva perso la figura paterna in età molto giovanile: probabilmente, tutto ciò che gli era accaduto lo ha spinto ad avere paura di rimanere deluso da quello che sarebbe venuto dopo e a fuggire lui per primo. Anche questo suo lato mi ha portato in empatia con lui: spesso anch’io ho paura di essere deluso da ciò che succederà nei rapporti umani. Lo capisco.
Tu e Franco Califano avete in comune più di una caratteristica ma la fondamentale è senza dubbio la sensibilità. Franco la celava dietro all’ironia e al sorriso che mai gli mancava. Che valore ha per te un sorriso?
Un sorriso è molto importante. Sono cresciuto in mezzo ai sorrisi di mamma, di papà e di persone che fortunatamente mi hanno voluto bene. Credo che oggi sia importante nel quotidiano regalare sorrisi alle persone che abbiamo accanto a noi perché poi queste faranno lo stesso con quelle con cui si relazioneranno. Sono convinto che l’amore abbia un effetto a catena. Amore e rabbia sono due sentimenti che nascono dalla stessa cellula ma che poi prendono strade diverse ma, a differenza della seconda, l’amore ti contagia. Ragione per cui è fondamentale regalare sorrisi alle persone che di sorrisi ne hanno pochi.
Per interpretare Franco Califano hai lavorato sul tuo corpo. Sei dimagrito sei chilogrammi e hai usato delle calzature in legno. È la prima volta che ti cimenti in qualcosa che porta a confrontarti con il tuo corpo e a doverlo modificare?
Sì, per lavoro è la prima volta che agisco sul mio corpo per cambiarlo: non avevo mai fatto una dieta, ad esempio, e così tanto sport. Ma è stato anche molto divertente vedere il mio corpo trasformarsi in così poco tempo: ricordo che era stimolante allenarsi all’alba prima di andare sul set. Mi dava la possibilità anche di concentrarmi: allenare il proprio corpo è un lusso che, se concesso, fa bene anche alla mente e le permette di essere più produttiva. Non a casa i latini dicevano Mens sana in corpore sano.
Un concetto che ti ha accompagnato anche nel tuo percorso di studi, con una laurea in Communication and Psychology. Non è notizia dell’ultima ora che tu sei sempre stato attento alla salute mentale. Cosa secondo te la mina nei giovani di oggi?
La falsa percezione che abbiamo del fatto che la vita debba essere per forza velocissima o che bisogna mostrare ciò che di bello ci succede. In questo, i social media hanno una loro dose di responsabilità. Non sono contrario al loro uso, hanno dei risvolti positivi (come la possibilità di essere informati su determinati aspetti che contribuiscono alla crescita) ma ci portano ad avere un’attenzione molto breve e molto limitata per cui rincorriamo una vita molto diversa da quella che è in realtà fuori dallo schermo.
Ogni tanto, invece, sarebbe importante rallentare, lavorare ai propri passi con calma e costruirsi, ascoltarsi e concedersi anche dei momenti per stare da soli con noi stessi. Cerco di farlo anch’io: vado al cinema o a cena anche da solo quando capita. Bisogna volersi bene perché comunque non sappiamo mai quando la vita ci chiamerà e, di conseguenza, è importante viversi ogni giorno come se fosse l’ultimo.
Cosa ancora ti stupisce quando ti guardi intorno?
Di tante cose. Mi stupisco del sorriso della gente, delle stagioni che cambiano, delle persone straordinarie che incontro sul mio percorso. C’è molto da cui vale la pena farsi emozionare, forse l’abbiamo semplicemente dimenticato. Potrebbe però essere un buon esercizio da suggerire: con una buona determinazione si può tornare a emozionarci… è un lusso che gli attori, ad esempio, si concedono spesso e, quindi, sono molto grato a questo mestiere e anche alla musica, che è sempre stata la mia più grande amante.
Hai cominciato a lavorare sul set di Califano, il tuo primo film, a 24 anni. Le note biografiche vogliono che anche tuo nonno abbia girato il suo primo film a 23 anni, Incontro con Laura, andato sfortunatamente perso.
Ah, sì? Non conoscevo questo dato (sorride, ndr).
È curioso come allineamento anagrafico, peccato non possa vederti.
Ma magari ci guarda. Che ne sappiamo noi?
Temi il giudizio della tua famiglia che, ricordiamolo, è composta da un bel po’ di attori?
No, ma non per presunzione: so che sarebbero carini con me: genitori ti ripetono sempre che sei il loro figlio e quindi ti vogliono sempre bene e ti sostengono. Ciò ha un lato positivo e negativo al tempo stesso… Al di là di questo, sono convinto che saranno anche sinceri nel dirmi se piacerà o meno loro il mio lavoro. Tuttavia, il giudizio non mi peserà perché so che loro sono con me.
Chi ha scelto i brani riproposti nel film?
Il regista insieme alla produzione. Ne sono stato comunque entusiasta perché si trattava di canzoni bellissime su cui, come si vedrà, è stato fatto un grandissimo lavoro con i musicisti e i produttori: sono veramente onorato di aver potuto lavorare con professionisti così grandi.
Tu stai lavorando a un tuo nuovo album. Ma non hai pensato alla possibilità di pubblicare le canzoni di Califano che hai cantato?
Non se n’è ancora parlato. Qualora accadesse, mi farebbe super piacere. Ma per adesso questo è il momento di Franco Califano e non del progetto Leo Gassmann. Ed è un momento di gioia: ho fatto il mio lavoro e aspetto soltanto di emozionarmi con tutti coloro che avranno il piacere di vederlo.
Sono i giorni del Festival di Sanremo. Hai preso parte all’edizione del 2023 con Terzo cuore: ti è pesato il piazzamento nella classifica finale?
No. Per me contava relativamente. Ho partecipato in un anno abbastanza tosto e ho sempre visto il Festival come una grande opportunità per fare musica. Sono felice di come stia procedendo il mio percorso musicale e anche di quel Sanremo, tra artisti che si dovevano affermare o che erano già affermati e ritornavano all’Ariston: la vittoria più grande per me era già partecipare ed esserci. Quest’anno ho calcato il palco in altra veste, da ospite, e ne sono anche onorato: Sanremo è un po’ casa mia, è lì che sono cresciuto e non nascondo che mi piacerebbe anche un giorno tornare in gara… ma molto, molto più avanti!