Lina Galore è la vincitrice della terza edizione di Drag Race Italia. L’episodio finale del programma, disponibile dal 29 dicembre su Paramount+ in Italia e su WOW Presents Plus nel resto del mondo, l’ha proclamata Italia’s Next Drag Superstar facendole avere la meglio sulla seconda classificata, Melissa Bianchini.
Esplosa artisticamente nel 2019, Lina Galore era stata un anno fa tra le pagine di TheWom.it insieme alle altre drag queen di La Boum, mitico locale milanese di cui avevamo esplorato il mondo nel corso di una lunga videointervista esclusiva. Avevamo imparato già in quell’occasione a conoscere il suo mondo, a carpire la sua esperienza e a sondare i suoi pensieri, colpiti dalla schiettezza con cui raccontava gioie e dolori di un’arte, come quella del drag, non sempre capita e su cui ancora troppo spesso si punta l’indice.
Tornare a conversare con Lina Galore a un anno di distanza ha, dunque, un sapore per noi speciale. Non è un déjà-vu e mai potrebbe esserlo perché Lina Galore non è mai banale nelle sue esternazioni sia in drag sia out of drag. Dietro il trucco, le parrucche e gli abiti di Lina Galore si cela infatti Giovanni Montuori, trentaquattrenne originario di Avellino che ha ben chiaro cosa significhi oggi essere una drag queen e quali responsabilità comporti la vittoria di un programma che non è solo un talent televisivo ma anche un lucido spaccato del mondo inclusivo che tutti vorremmo.
Con un nome che omaggia Lina Sastri per ricordarsi sempre delle sue origini e della sua famiglia, Lina Galore ha scoperto l’arte drag quasi per caso, grazie al suo ex compagno che quasi per scherzo l’ha iniziata a quel cammino che l’ha portata a rivelare se stessa senza più se o ma, puntando sia sull’estetica sia sulla forza della sua intelligenza e della sua sensibilità sia su una capacità di pensiero che va ben oltre le frasi fatte. Ragione per cui, dietro Lina Galore, non c’è solo Giovanni Montuori ma ci siamo anche tutti noi che aspiriamo a un mondo in cui la parola “gap”, con qualsiasi declinazione, sia soltanto un lontano ricordo.
Intervista esclusiva a Lina Galore (Giovanni Montuori)
Come ci si sente ad aver vinto Drag Race Italia?
Assurdo, è una situazione assurda… però, rappresenta per me anche un ulteriore bagno di umiltà perché comunque ti dà consapevolezza, anche solo per l’impatto mediatico della notizia in sé, del diametro della piattaforma su cui sei. Ti dà un maggiore senso di responsabilità: sono in grado di riconoscerlo perché mi fa stare lontano dalle stronzate.
Qual è stato il primo pensiero che ti è passato per la testa nel momento in cui sei stata proclamata vincitrice?
Sono onesto: non me l’aspettavo. Ero arrivato in finale con una delle artiste più incredibili e più umili (Melissa Bianchini, ndr) a cui la comunità lgbtqia+ credo debba di più in termini di rappresentazione e condivisione della sua storia. La prima cosa che ho pensato è stato un “te lo meritavi anche tu” … Il secondo pensiero, subito dopo, è stato “Bravo ma non sederti sugli allori: adesso inizia il lavoro!”. Ho vissuto la vittoria sin dal primo momento come un punto di partenza e non di arrivo.
Solitamente la vittoria si dedica a qualcuno. A chi nel tuo caso?
Partendo dal presupposto che non ho mai vinto niente in vita mia, nemmeno un euro al “gratta e vinci”, sono vergine di dediche… Ma, se dovessi dedicare la mia vittoria a qualcuno, la dedicherei a tutte quelle persone che hanno fatto fatica nella vita a trovare la propria strada, a capire chi fossero e cosa volessero, e che nel corso della loro ricerca hanno cercato di accontentare persone diverse da sé. Nel farlo, si perde il focus su quelle che sono le cose importanti non solo della propria vita ma anche della propria comunità di appartenenza e si finisce fondamentalmente per fare le proverbiali stronzate di cui sopra.
Chi è stata invece la prima persona che hai chiamato per comunicarle la vittoria?
La mia drag mother. È stato il mio compagno per otto anni ed è stata anche la persona che mi ha fatto scoprire il mondo drag nell’ottica di una ricerca di sé completamente sconvolgente. Ricordo ancora le sue parole: “fare drag ti aiuta a conoscerti in una maniera che non ti aspetti”. E in effetti è stato così: non ho mai avuto così tanta consapevolezza e una considerazione così positiva del corpo o della sessualità di Giovanni fino a quando non ho vestito i panni di Lina Galore. È stato il mischiare i due mondi che mi ha reso consapevole di quanto sia stupido basare l’opinione delle persone su costrutti di genere, su canoni estetici e su dogmi mai scritti da nessuno ma inculcati da una società eteronormata e patriarcale.
La tua runway finale era chiaramente simbolica di una sessualità che non ha bisogno di suddivisioni di genere: il tuo corpo in quel momento poteva appartenere a chiunque, senza distinzione tra maschile e femminile. Era un po’ come se l’amazzone Wonder Woman e Aquaman, per citare due fumetti, si fossero incontrati.
Se proprio vogliamo dirla tutta e rimanere negli anni Ottanta, la reference era She-ra (ride, ndr).
Patriarcato e maschilismo sono due termini che chi come te cresce nell’Italia del Sud impara a conoscere presto. È stato facile fare i conti con la propria sessualità?
C’è un motivo politico per cui si dice che nel Sud Italia la vita delle persone lgbtqia+ sia meno facile che altrove ma non voglio scendere nel dettaglio perché altrimenti diventerebbe un trattato di storia e non credo di essere la persona più competente in merito. Sicuramente è difficile crescere in un contesto di provincia proprio perché si parla di provincia, una realtà in cui prevalgono tutti quelli che sono i vincoli legati al patriarcato e all’eteronorma ma anche, molto banalmente, a un concetto restrittivo e costringente di religione.
Tutto ciò rende difficile vivere la propria sessualità in modo – non voglio dire libero perché non è così scontato dirlo – consapevole in una società schiava di un retro pensiero che ci inculcano sin da bambini. Nel momento in cui provi certi istinti, li reputi sbagliati ed è su questo che bisognerebbe lavorare nella rappresentazione dei media e nella comunicazione. Per tale motivo, sostengo che l’arte drag ha una forte responsabilità politica: nel momento in cui un ragazzino vede le nostre storie in tv o sui social, è importante che vada dai genitori a chiedere cos’è ciò che sta guardando. Così com’è importante che i genitori vadano a istruirsi in merito per dare il giusto insegnamento su “quella cosa”.
Per tornare alla domanda, sì, è stato sicuramente difficile ma l’essermi concentrato su di me e l’aver acquisito una consapevolezza personale di chi sono mi ha reso possibile comunicare in modo estremamente pacato, fluido e pulito, con le persone che hanno fatto parte di quella mia prima parte di storia per fare in modo che poi mi dicessero “Guarda che qui siamo più avanti di quello che pensi”.
Lina Galore: Drag Race Italia
1 / 4A proposito di arte drag, aiuterebbe una drag queen eterosessuale o, meglio, un uomo eterosessuale che si cimenta nell’arte drag?
Se lo fa con consapevolezza, sì. Ho sempre detto che tutte le forme d’arte sono valide purché abbiano un obiettivo, un messaggio. Se è consapevole, perché dire no? Nel dire ciò, probabilmente mi sto macchiando di pregiudizio ma ritengo che la forma d’arte drag sia indissolubilmente vincolata al mondo lgbtqia+: affinché la si possa espletare nel modo migliore possibile, bisogna avere conoscenza della comunità. È questa la challenge che do alle persone eterosessuali che vogliono intraprendere questo percorso: se lo fai, per me hai lo stesso valore di un’altra qualsiasi di noi però devi mostrare di conoscere a pieno la comunità.
Per tornare alla tua esperienza a Drag Race Italia, ripensando a tutto il percorso, qual è stato il complimento che ti ha fatto più piacere ricevere e qual è stata invece la critica che ti ha maggiormente infastidito?
Comincio dalla domanda più scomoda. Sicuramente sentirsi dire “Ti percepisco in difesa” o “Non mi arriva la tua reale personalità” in un momento in cui non sei in difesa o in cui senti che invece stai mettendo tutto te stesso, in qualche modo ti scuote e ti innervosisce perché ti fa mettere in discussione. Sono super grato a me stesso di aver avuto la lucidità di riflettere su quelle parole e di capire se potesse esserci un fondo di verità o meno. I giudici si aspettano da te qualcosa che non hanno visto altrove o visto in precedenza rispetto a una puntata, a una challenge o a un episodio specifico.
Il complimento più grande ricevuto, invece, non è un vero e proprio complimento ma è stato ciò che nell’episodio finale ha detto Priscilla quando ha cercato di elencare a tutte le finaliste quelle che erano le caratteristiche di ognuna di noi che le erano rimaste impresse (che credo essere anche un po’ quelle trasmesse al pubblico). Ha riconosciuto in me la gentilezza e l’accoglienza: mettiamo da parte la gentilezza che è fondamentalmente puro bon ton (devo tutto a mia madre) ma che sia emerso il mio essere capace di accoglienza è qualcosa che mi rende molto orgoglioso.
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