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Lodo Guenzi: “Trappola per topi, i traumi che tutti ci portiamo dietro” – Intervista esclusiva

Lodo Guenzi porta a teatro il celebre testo di Agatha Christie offrendo una riflessione sulla società in cui viviamo. Lo abbiamo raggiunto per un’intervista in cui l’attore, cantante e influencer, ci apre le porte del suo pensiero e del suo percorso artistico e personale.
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Per Lodo Guenzi questo è un periodo lavorativo molto florido. Lo abbiamo visto al cinema tra i protagonisti di La California di Cinzia Bomoll e lo stiamo vedendo alle prese con il Natale in Improvvisamente Natale, il film Prime Video diretto da Francesco Patierno, da giorni tra i più visti in Italia. Ma non solo: a teatro, è il protagonista di Trappola per topi, uno dei testi a cui la scrittrice Agatha Christie era particolarmente legata.

In Trappola per topi, cinque strani clienti e i proprietari sono isolati in una locanda nella campagna inglese. Tra loro, però, si nasconde un assassino psicopatico che ha già ucciso a Londra: ma sotto quale travestimento si cela? Dopotutto, ciascuno dei presenti sembra avere qualcosa da nascondere. Toccherà al sergente Trotter, interpretato da Lodo Guenzi, risolvere l’enigma.

Un enigma che, secondo le parole di Lodo Guenzi, molto ha a che fare con la società in cui siamo immersi: “Tutti noi da bambini abbiamo subito dei traumi, piccoli o grandi, è inevitabile e tutti noi siamo dei potenziali assassini, potenziali colpevoli, o conniventi”, spiega l’attore, cantante e influencer nelle note dello spettacolo diretto da Giorgio Gallione. “Questa è la cosa veramente attuale e interessante di questo testo, soprattutto in una società che oggi, per una forma di pulizia della coscienza molto commerciale, decide di separare in maniera netta i colpevoli dalle vittime. Trappola per topi ci dice che, anche se esiste materialmente un assassino, i presenti sulla scena non sono del tutto innocenti”.

Ed è a partire da Trappoli per topi che abbiamo voluto confrontarci con Lodo Guenzi direttamente. Abbiamo approfittato di un momento di pausa del nuovo film che sta girando con il maestro Pupi Avati per raggiungerlo telefonicamente ed entrare nel suo mondo. Ed è un bel mondo, soprattutto, interiore quello che Lodo Guenzi ci propone e disvela. Innanzitutto, perché ha una straordinaria capacità nel prevenire le domande. Solitamente è l’intervistatore che deve scardinare la mente dell’intervistato anticipandolo. Nel suo caso è accaduto esattamente il contrario.

Quella che leggerete è sicuramente un’intervista dai contenuti spigolosi ma anche delicati. Lodo Guenzi, ad esempio, non fatica a riconoscere l’errore di aver dato in pasto ai leoni da testiera i bulli che da ragazzino lo chiamavano Cinzia. Così come, con emotiva lucidità, riesce a fotografare l’attuale situazione politica italiana da un punto di vista unico, andando a ricercare i buoni motivi per cui oggi ci sia un governo di destra. “I cattivi motivi li conosciamo tutti”, afferma senza timore.

Per chi scrive, è anche complicato estrapolare un solo pensiero tra quelli espressi da Lodo Guenzi: ci sono tante di quelle riflessioni e spunti da non poter dare un’unica direzione di lettura al nostro confronto. La morte diventa a un certo punto argomento inatteso di conversazione. Eros e Thanatos, “ma capirai che il sesso è sicuramente migliore della morte”, scherza. Come dargli torto, penso io?

Così come le strane coincidenze della vita: la proposta di un film che gli arriva il giorno dopo aver vissuto un’esperienza particolare, un amico del padre ex fidanzato di Gloria Guida, lo stesso liceo frequentato da Pupi Avati.

Ma una su tutte è la risposta che tutti aspettiamo. La domanda è semplice: cosa ti rende felice?

Lodo Guenzi in Trappola per topi.
Lodo Guenzi in Trappola per topi.

Intervista esclusiva a Lodo Guenzi

Cosa significa per te portare a teatro Trappola per topi, un testo di Agatha Christie a cui l’autrice era particolarmente legata: ancora oggi esiste una clausola che ne vieta la trasposizione cinematografica fino a quando sarà in scena a teatro a Londra. Tanto che un film come Omicidio a West End ha dovuto trovare una formula tutta sua per farlo arrivare al cinema.

Quello di Trappola per topi è un testo molto particolare. In Italia, tutti ne conoscono il titolo ma pochissimi ne conoscono la trama. È stato portato in scena quasi sempre da compagnie amatoriali e in qualche maniera ha serpeggiato nell’immaginario italiano mentre in Inghilterra è un equivalente di quello che per noi è Pinocchio: è inciso a ferro e fuoco nella cultura popolare. Quindi, la verità è che mi sono approcciato in maniera molto vergine all’opera, senza lo spavento del macigno.

Al di là di tutta una serie di considerazioni sul genere thriller e sulla condizione economica dell’Inghilterra del Secondo dopoguerra di sappiamo poco o niente, leggo nel testo una forte componente inerente alle maschere sociali che hanno finito per imprigionare coloro che le indossano. I protagonisti sono tutti personaggi e persone che hanno subito dei traumi e che sono stati menati, chi dai genitori e chi dalle aspettative sociali. La maschera che tutti indossano è esasperata, un aspetto che ha molto a che fare con la nostra epoca.

Negli ultimi dieci anni, causa l’iper diffusione dei social network e della cultura wok e la pressione del capitale, siamo riusciti a fare un giro più raffinato. Ognuno di noi si porta dietro dei traumi che, anziché essere celati da una facciata accettabile e vincente come avveniva nell’Inghilterra di Agatha Christie, vengono indossati e rivendicati. Non a caso, in Agatha Christie l’aspetto interessante è che quelli che non sono gli assassini sono coloro che non si arrendono alla vita e superano il trauma. Chi, invece, il trauma se lo porta dietro per tutta la vita, ammazza gli altri.

Si indossano delle maschere per apparire vincenti e non mostrare i propri traumi: è una verità che in questi giorni è sotto gli occhi di tutti per un caso di cronaca molto delicato. È la società che ci indottrina a difenderci dall’essere perdenti?

Siamo in una fase molto più violenta: questo accadeva negli anni Novanta. Adesso, anche chi è perdente è una fetta di mercato. Il problema è che non c’è il socialismo. C’è ora una sovrapposizione disumana tra merito e sopravvivenza: non tutti meritano di eccellere in qualcosa, tutti meritano di vivere. Si entra in quella retorica orrenda cavalcata dagli industriali e da certi giornalisti per cui devi lavorare sottopagato, farti sfruttare e fare qualsiasi cosa perché altrimenti non ti meriti niente. Ma al contempo ciò alimenta un’altra retorica: non bisogna performare mai, tutti hanno il diritto di essere capiti, compresi e sentirsi dire “sei bravissimo”. Non tutti sono bravissimi, tutti devono poter vivere.

Tale sovrapposizione è molto malata ed è semplicemente un problema di non alternativa al capitalismo. Tutto diventa al tempo stesso performativo e non performativo: il lavoretto estivo per campare come la realizzazione delle proprie ambizioni personali più complesse.

Mentre parli penso all’opinionista televisiva che diceva di accontentarsi di un gelato come paga per un lavoretto estivo o alla studentessa laureata in cinque anni in Medicina portata sulle copertine come modello vincente.

Il delirio nasce dalla confusione tra ambizione e diritto. Ognuno ha diritto ha una vita dignitosa e per questo non basta lavorare per un gelato. Poi, se io ho l’ambizione di vivere di musica con la mia band e per anni suono a un ca*zo pur di continuare a fare qualcosa che riesce a uno su un milione, è un altro discorso. Questo ha a che fare con la mia ambizione: non sto cercando di sopravvivere ma di realizzare un sogno, è molto diverso.

La locandina di Trappola per topi.
La locandina di Trappola per topi.

Siamo abituati a vederti in scena come attore o nel ruolo di musicista o di un attore. In Il giorno più bello o Est interpreti un musicista, così come un aspirante musicista sei in La California, mentre in Improvvisamente Natale ricopri il ruolo di un attore. In Trappola per topi, invece, ti vediamo nei panni di qualcuno che si allontana da ciò che sei nella vita reale. A cosa hai fatto appello per interpretare il tuo personaggio?

È chiaro che la tentazione mia era quella di costruire il personaggio sul segreto che si porta dentro. La parte più importante, invece, per sostenere questo tipo di personaggio ha a che fare con il controllo: è uno sbirro. E rispetto a quello che mi capita di fare di solito è il primo personaggio che deve stare attento a usare le marce basse per molto tempo: se usa le marce alte, lo spettacolo finisce. È, comunque, un lavoro di misura: forse è il primo lavoro che mi viene richiesto con una certa misura. Questo vuol dire che sto diventando vecchio: mi hanno sempre richiesto di arrivare e sparigliare le carte mentre in questo caso devo tenere le redini, cosa che non ero abituato a fare.

Forse è anche il primo personaggio che ti costringe a misurarti con una certa responsabilità. A parte Est, di cui eri protagonista, ti abbiamo visto come attore in ruoli da comprimario.

Faccio l’attore da tutta la vita, al di là di quello che si vede al cinema. Considero quelli in La California e in Improvvisamente Natale due ruoli assolutamente da protagonista però il punto è un altro. È un po’ come in Est: non mando avanti la trama. Nel caso di Trappola per topi, invece, sì.

In La California e in Improvvisamente Natale interpreti per la prima volta il ruolo di padre. Nel primo, sei un padre che ha a che fare con il tema del doppio su cui è incentrata la vicenda. Nel secondo, invece, un padre che deve fronteggiare il disfacimento familiare. Com’è stato per te calarti nei panni del padre? Sottintende anche un certo desiderio personale?

No no, è semplicemente una mia esplorazione del genere fantascienza. Non lo esplorerò fino in fondo ma è un’esperienza che va fatta, ci sta. Siamo nel genere fantasy spinto: elfi, fate, dragoni, pegasi, figli… tutta una serie di cose inimmaginabili.

In La California sei stato diretto da Cinzia Bomoll. Non voglio cadere nel classico discorso sessista per cui la sensibilità di una regista è diversa da quella di un uomo. Però, è innegabile che Bomoll abbia portato sul set la visione di un modo tutto suo. Ti ha creato qualche problema entrare nella dimensione da lei cercata?

No, Cinzia mi ha messo molto a mio agio: è molto piacevole passare il tempo con lei. A parte che la divisione in generi comincia a mostrare la corda di quella retorica che è stata spesso cavalcata per ragioni commerciali, ho la percezione che ci siano lati femminili delle persone con cui è facile entrare in contatto e in empatia mentre si fa qualcosa di creativo.

Trovo che Francesco Patierno, il regista di Improvvisamente Natale ma anche un padre e un marito, sia una persona molto femminile sul lavoro. È una sua qualità: ha una grande capacità di accogliere le istanze. Ho delle amiche o delle colleghe che invece – in qualche modo, anche questa è una qualità – hanno delle parti molto maschili nell’imporsi, nell’essere assertive e nell’essere muscolari per mettere in campo le loro decisioni. Cinzia e Francesco hanno un’energia abbastanza femminile. Pupi Avati, invece, ha un’energia e un’ironia abbastanza maschili.

Credo che ciò prescinda abbastanza dal genere. Io ho sicuramente un’energia molto femminile, poco molto machista o alfa nel rapportarmi alle cose che faccio soprattutto quando sono con gli altri. Ho una maniera di impormi abbastanza mancina, non muscolare.

Lodo Guenzi in La California.
Lodo Guenzi in La California.

Quest’ultima tua affermazione mi porta, anche non volendo, a fare un salto indietro nel tempo, a quando vittima di bullismo ti chiamavano Cinzia durante l’adolescenza. Quanto pensi che quella fase della tua vita ti faccia male ancora oggi? In un post su Instagram, scrivevi che forse non riesci a perdonare quello che ti hanno fatto.

Non sono contento della storia che ha avuto quel post perché poco dopo ho visto la verità. Quei ragazzini che per le loro ragioni sbagliate compivano quelle azioni erano molto meglio di un’orda di adulti che si pulivano le coscienze insultando degli ex bambini su internet. Viviamo in una fase in cui la violenza non è mai accettata ma in cui è incredibilmente accettata la violenza sul violento, senza se e senza ma: la tolleranza zero più giustizialista del mondo. Credo di aver commesso un errore di fronte a un mondo di linciatori che sono molto ma peggio di quelli che ti menano alle medie. E che sono molto più miserabili perché hanno una presunzione di giustizia che quei ragazzini non avevano: facevano cazzate come si fanno cazzate.

L’unico giro che mi ha fatto fare quel post è pensare a quanto erano meglio loro di quelli che si sono messi a insultarli quindici anni dopo. E, infatti, poi ho portato in scena Uno spettacolo divertentissimo che non finisce assolutamente con un suicidio, un monologo che espone ovviamente delle domande teatrali - quindi conflittuali e intelligenti - e che ragiona sui buoni motivi che avevano per menarmi.

Il problema vero del politically correct è che ci fa concentrare solo sui problemi dei ricchi e ci fa rimuovere una parte di società. Un problema secondario, che però a che a fare con l’arte, la cultura e tutto il pensiero, è che esiste una divisione tra ciò che è legale, giusto, e ciò che in qualche maniera si agita nel profondo di ognuno di noi. Non c’è una buona opera d’arte che ti dica una cosa ovvia e scontata.

È giusto non menarsi tra ragazzini, lo possiamo appurare, però le domande teatrali sono domande profonde, conflittuali e mai stupide. Un esempio banale: è giusto non ammazzare i propri figli ma il fatto che Medea si interroghi sulle ragioni per cui lei lo ha fatto fa di Medea un grande testo. Altrimenti era una pubblicità progresso: il vero sballo è dire no ma io guardo più volentieri Trainspotting senza essermi mai drogato!

Lodo Guenzi in Trappola per topi.
Lodo Guenzi in Trappola per topi.

Rimanendo su Instagram, non hai mai celato il tuo disappunto sulle feste comandate. E tra queste c’è anche il Natale. Fa sorridere in senso buono che tu sia tra gli interpreti di un film che risalta lo spirito natalizio quando tu invece odi il Natale.

Mi rompe un sacco i cog***ni il Natale. Sarebbe divertente, come accade ad alcuni miei amici, tornare a casa e incontrare 700 persone con teglie di lasagne sconfinate. Ma sono figlio unico di figli unici e i miei nonni non ci sono più. Mi becco con i miei, in tristezza. I miei non cucinano neanche: o cucino qualcosa io o ordiniamo. Di una malinconia unica: se non fosse Natale, non sarebbe malinconico.

Comunque, il Capodanno è anche molto peggio: è una sera in cui tutti si sentono in obbligo di divertirsi e di esser fuori di testa, l’esatto contrario di ciò che è il divertimento. Ma avere una band è per me un buon bancomat, quindi ce lo facciamo andar bene: ogni tanto si suona a Capodanno. È come quando lavori in discoteca, fai la guardarobiera e per Capodanno ti pagano il triplo.

Stai dicendo tra le righe che suonerai a Capodanno?

Non lo so ancora. Come tutti gli anni, stiamo sondando delle possibilità per capire se le proposte che ci sono ci piacciono. A me piacerebbe in generale suonare sempre al sud per Capodanno perché mi piace molto il freddo ma non alle mani: ricordo un Capodanno a Mantova in cui era molto difficile suonare la chitarra.

In questo momento sei in viaggio ma non stai guidando tu. Perché non hai la patente?

Per pigrizia. Non ho avuto lo sbattimento di prenderla e dopo non mi è sembrata qualcosa di particolare. E, comunque, nemmeno Francesco Guccini, Lindo Ferretti, Enrico Mentana e Giuliano Ferrara hanno la patente. Tutti maschi, per smentire un antico luogo sulle donne.

Ma la pigrizia non ti fa perdere dei treni? Eventualmente, che treni pensi di aver perso?

Ho perso diversi treni non pigrizia ma per incapacità di separare il lavoro dall’amicizia o per la mia natura poco alfa: dove ci sono delle relazioni umane, non ho la capacità di impormi. Ho perso dei treni e li ho fatti perdere alle persone con cui non mi sono imposto e forse che in qualche maniera mi chiedevano di non farlo.

Fortunatamente, non sono mai salito su dei treni per ragioni economiche. Ciò mi ha salvato. Posso fare quello che voglio tuttora: non ho dei credits da restituire a nessuno, non sono impegnato con degli anticipi milionari che mi obbligano ad andare in giro per date che non voglio fare o a pubblicare dischi quando penso di non avere ancora niente da dire.

Chiaramente, non bisogna essere disonesti, è un vantaggio dato anche da una buona condizione economica di partenza: non prendiamoci per il c*lo. Un vantaggio che, però, ho avuto la capacità di sfruttare.

Non ti dà fastidio quando dicono che puoi farlo solo perché sei un figlio di papà?

Sono molto sereno. Non posso far finta, come certi rapper, di essere cresciuto nel Bronx. Credo però che la fortuna di avere avuto una certa visione del mondo e di una certa cultura (e la cultura è un lusso) sia stata quella di non orientare al guadagno ciò che mi andava di fare.

Nel mio piccolo, le cose che ho combinato sono le stesse in cui hanno tentato molti anche più ricchi di me. Non è quello che fa la differenza: c’è sicuramente il vantaggio di investire del tempo. Nel poco che avevo da dare ho dato qualcosa ad altre persone magari ha strappato un sorriso, ha migliorato una giornata o ha dato la possibilità di sentirsi raccontato: ho speso del tempo nel mio talento e in qualche maniera ha funzionato.

Lodo Guenzi.
Lodo Guenzi.

Hai la percezione che la tua vita ti abbia mandato dei segnali che non riuscivi a capire quando eri adolescente? Ci sono delle innegabili coincidenze che non possiamo col senno di poi non vedere. Hai frequentato il Liceo Galvani a Bologna. Si trova a due passi dal Teatro Duse, lo stesso dove hai portato in scena Trappola per topi. Ma è anche lo stesso liceo in cui ha studiato Pupi Avati, che ti sta dirigendo in un nuovo film. Credi nelle coincidenze?

Si, ma ce ne sono di più assurde. La proposta del film di Avati mi è arrivata il giorno dopo aver visto il concerto di uno della mia generazione a cui è andata peggio rispetto a tutti quelli che siamo partiti nello stesso momento. Eravamo un gruppo largo: noi, Dente, Brunori, Nicolò Carnesi, Calcutta, i Cani (che poi si son sciolti), i Camillas… Lui aveva smesso di suonare, poi ci aveva riprovato e aveva nuovamente smesso: ora era lì a quasi quarant’anni a suonare in un localino con la band presa apposta e con cui aveva fatto le prove il giorno prima. Mi sono chiesto: “Ma io l’avrei mai fatto? Avrei mai passato dieci anni a crederci?”.

E l’indomani mi è arrivata una sceneggiatura che parla esattamente di uno che ci prova per tutta la vita. La risposta alla mia domanda è stata subito “Forse nella vita no ma nella finzione sì”. Uno tendenzialmente per finzione recita delle vite che non ha vissuto: è chiaramente un delirio mitomane di persone che hanno paura della morte.

Perché paura della morte? È quella fase di vita che tutti quanti siamo chiamati ad affrontare con maggior serenità perché certa. Morte e sesso, tabù sociali, riguardano tutti ma fanno spesso nascere paure spropositate.

Si, però, il sesso è molto meglio della morte! Avrà i suoi difetti ma in confronto alla morte è veramente una figata! È chiaro che c’è un pensiero mitomane dietro all’idea che ho io della morte: che il tempo sia limitato, che sia limitato io e che non possa vivere tutte le vite dell’universo. È un pensiero banale ma al tempo stesso intollerabile. Il fatto che io non vincerò mai un’Olimpiade di basket è banale ma intollerabile. Alla fine, recitare è un escamotage per illudersi di una cosa impossibile. Il che lo rende però un’attività abbastanza sana psicanaliticamente.

Ma la paura non è legata all’aver conosciuto la morte da vicino troppo presto?

No: è una paura che avevo già da prima. Mi procurava angoscia tra le elementari e le medie, tra le medie e il liceo e tra il liceo e l’accademia. In quest’ultimo passaggio, era anche molto forte: ti prepari per essere ammesso, trascorri un mese in attesa ma non sai che ne sarà di te. Fai allora dei pensieri esistenziali nel tuo cervello non ancora del tutto sviluppato che si annidano.

In Improvvisamente Natale, c’è il ritorno al cinema di Gloria Guida dopo tantissimi anni. Nel nuovo film di Pupi Avati, quello attesissimo di Edwige Fenech. Ammettilo che hai accettato i due progetti solo per questo.

Non lo ammetto però posso dirvi che il migliore amico di mio padre è stato un ex fidanzato di Gloria Guida! Ma, soprattutto, mio padre da giovane era il sosia di Johnny Dorelli, tanto che io ci somiglio un po’: se guardate le foto di Dorelli da giovane, ve ne accorgerete!

Violante Placido e Lodo Guenzi in Improvvisamente Natale.
Violante Placido e Lodo Guenzi in Improvvisamente Natale.

Hai poi fatto l’amore all’estero dopo le elezioni? Cosa ti faceva o ti fa più paura di quel risultato elettorale?

No, non sono andato all’estero dopo le elezioni. Tra le cose spaventose, c’è lo stupirsi del nostro stesso stupore, ovvero il ferale sconforto con cui è stato accolto il risultato elettorale: racconta di quanto siamo in generale lontani dalla politica e dal Paese reale, ampliamente schierato a destra.

La cosa che più inquieta sono tutti i buoni motivi per cui ha vinto Meloni: l’abbattimento negli ultimi trent’anni di qualsiasi idea di sinistra sociale non liberale, l’immaginare la sinistra come liberale (una contraddizione in termini), la sostituzione dell’identitarismo alla politica, il mettere in campo modelli economici di destra e sinistra che sono i medesimi e che ti fanno fare una vita di me**a, l’abbattimento della sanità pubblica e dell’istruzione pubblica, il decentramento delle aziende, gli stipendi alla fame.

Tu fai una vita orrenda, sei frustrato, non hai studiato perché non c’è una buona istruzione pubblica. C’è ancora dagli anni Ottanta il tetto di amianto nelle scuole in cui mandi i tuoi figli. Se devi fare un esame per qualche problema medico ti rimandano di 6, 8, 12 mesi o 3 anni. Se devi lavorare, ti spostano lo stabilimento in Romania dove sfrutteranno delle persone molto più di te. La concorrenza sugli stipendi è giocata al ribasso da quelli più ricercati di te che vengono col barcone e che, grazie alla Bossi-Fini, sono inesistenti e possono lavorare a un euro e mezzo alla settimana. E, quindi, figurati te cosa vuoi chiedere. Sei disperato, non hai strumenti culturali, ti incazzi, sei pieno di rabbia e dici “n**ro di m**da”: è l’unico che sta peggio di te e non hai alcuna prospettiva di riscatto.

C’è una parte, la sinistra, che ti mette in questa condizione e poi ti umilia, dicendoti “sei uno sporco ignorante, devi parlare bene come noi che abbiamo studiato mentre tu lavoravi al posto nostro”. E una parte, la destra, che ti fa vivere questa vita di m**da ma che ti dice “sei libero di fare schifo, vai bene così”. Terribile.

Quello della Sanità è un problema terribile.

È un’americanizzazione dell’Europa sconfortante. Come accadeva nella sinistra liberale in America, si usano delle pratiche borghesi per mascherare la mancanza di diritti per tutte le categorie discriminate. Soprattutto, quando non hanno soldi. Per non parlare della differenza di classe: è la discriminazione più forte di tutte le altre. Il politicamente corretto americano cosa è stato se non sterminare gli indios per fare il Giorno del Ringraziamento? Noi schiavizziamo a Rosarno o San Giovanni Rotondo o li facciamo annegare in mare, però se Fausto Leali pronuncia la parola n**ro lo cacciamo dal Grande Fratello: è esattamente la stessa cosa.

Ci si augura che le nuove generazioni possano portare veramente a un cambiamento, a una rivoluzione culturale.

La base di partenza è sempre l’economia, la cultura è una conseguenza. Parlando della classe borghese, il problema è che mi sembra che si stia ancora troppo bene. Siamo sempre sul ciglio di una guerra mondiale e di una crisi climatica irreversibile ma stiamo ancora troppo bene: ce ne accorgeremo tardi. E la struttura di protezione che ci è stata fornita inevitabilmente dal piano inclinato della storia, cioè la convinzione che siamo il centro del mondo e la percezione di una bolla social come il mondo attorno, allontana di molto il momento in cui ci sveglieremo e ci accorgeremo che il problema non è accettarci con la cellulite. Il problema sono, ad esempio, gli operai della Gkn, in presidio permanente da un anno perché li hanno licenziati in 400 via mail: c’è anche il mondo fuori.

La consapevolezza del mondo fuori è anche quella cosa che ti fa dire “ama chi è diverso”. Scrivi che il poco di te che hai imparato lo hai appreso da chi è diverso da te: ciò che hai capito come uomo dalle donne, come etero dai gay e, infine, come italiano dagli stranieri. Credo che non possa esserci miglior inno all’inclusività di questo.

Certo, perché l’identitarismo è il contrario dell’integrazione, banalmente. Questa è la deriva folle della cultura wok che in America ha portato a fare nelle università le palestre per neri e quelle per bianchi pensando di essere nel rispetto dei neri. Ma anche l’idea di chi è titolato a parlare è un’idea folle: poi, è ovvio che storicamente certe categorie hanno avuto meno voce e adesso vanno ascoltate, su questo siamo tutti d’accordo. Ma l’idea che su una questione maschile si possano esprimere solo gli uomini suona subito stridente ed è stridente anche dall’altra parte perché alcune difficoltà che ho io come uomo non le posso comprendere da dentro. È il motivo per cui se sono matto vado da uno psicologo, non mi confronto con un altro matto.

L’integrazione può passare solamente dal confronto: tu non parli perché sei un uomo - io sto anche volentieri zitto, rispondo quando mi fanno le domande – è chiaramente una sconfitta. E ripeto: la struttura di protezione che abbiamo e che ci fa confrontare più spesso su internet che al bar ci difende dalla possibilità – oh, mio Dio! – di cambiare idea. Ma è la possibilità di cambiare idea la vera definizione della parola cultura.

È molto, molto, molto pericolosa questa deriva. Non è neanche vero che certe categorie alzano la mano e ti raccontano: sarebbe molto bello se fosse così. La sperequazione economica e i rapporti di forza della società sono talmente fondati sulla discriminazione di alcune categorie che solo i non discriminati di quelle categorie hanno il lusso di raccontarsi. Ascoltiamo l’omosessuale che lavora nel cda di Vogue, non quello ventenne di Scampia che viene menato anche oggi: probabilmente lui direbbe che non gli danno fastidio i commenti di tre deficienti su internet, gli danno fastidio altre cose. Direbbe probabilmente la verità: se avesse la possibilità, nella situazione in cui è, di avere un riscatto economico, non lo menerebbero più.

In una recente intervista rilasciata a Mario Manca per Vanity Fair, hai raccontato di sentirti irrisolto. Alzo l’asticella sul personale: cosa ti rende felice? Quali sono le tue autostrade che portano al mare?

Intanto, complimenti ai Pinguini Tattici Nucleari per gli stadi sold out. Finalmente qualcuno che arriva anche a un ampio successo di biglietti venduti con una narrazione non da fenomeno. È bello sapere che ogni tanto qualcuno fa delle cose che intercettano così tanto le persone da non aver bisogno di farsi le marchette da solo, dicendo di essere dei gran fenomeni, di esaurire tutto, di far dischi di platino e di spaccar il c*lo a tutti. Una band di ragazzi semplici che piace a tanta gente: son proprio contento.

Mi sento vivo nel momento in cui ho un’idea, nel momento in cui salgo su un palco e nel momento in cui vinco una partita di basket.

Lodo Guenzi in Trappola per topi (foto di Federico Riva).
Lodo Guenzi in Trappola per topi (foto di Federico Riva).
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