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Lorenzo Biagiarelli: “Smettere di mangiare carne è un atto di sopravvivenza” – Intervista esclusiva

Lorenzo Biagiarelli
Volto televisivo ed esperto di cibo, Lorenzo Biagiarelli racconta a The Wom la sua scelta di smettere di mangiare carne raccontata nel libro Ho mangiato troppa carne, dopo alcuni eventi che lo hanno portato ad approfondire la situazione degli allevamenti intensivi in Italia. Il vaso di Pandora che ha aperto lo ha portato a cercare sempre più risposte. A volte sono arrivate, altre volte no.
Nell'articolo:

Quella con Lorenzo Biagiarelli è un'intervista che non ti aspetti per tante ragioni. Innanzitutto, perché per scelta di chi scrive, con Lorenzo Biagiarelli non parleremo dei suoi fantastici viaggi in giro per il mondo che tanta invidia suscitano. Non affronteremo la sua conoscenza del cibo che ogni giorno condivide con noi nel programma di Rai 1 È sempre mezzogiorno, condotto da Antonella Clerici. E non spettegoleremo sul suo rapporto con la compagna Selvaggia Lucarelli o della sua esperienza a Ballando con le stelle.

Lorenzo Biagiarelli sarebbe anche pronto a farlo ma ci sarà tempo in futuro. Detto tra le righe, è una delle persone più disponibili con cui abbia conversato in vent’anni di lavoro. E, scoop, è anche molto simpatico, a differenza di quanto sostengono in molti. Forse il segreto sta nell’empatia che sin dal saluto si crea: Lorenzo Biagiarelli è uno di quegli esseri umani (a cui ancora crediamo) che sa cogliere se dall’altro lato c’è reale interesse nei suoi confronti o su quello che rappresenta.

E l’interesse c’è da subito perché Lorenzo Biagiarelli ha appena pubblicato un libro che necessiterebbe di essere letto da tutti quelli che si apprestano a organizzare il loro pranzo di Natale a base di carne. A scanso di equivoci, lo diciamo subito: qui nessuno ha intenzione di fare terrorismo alimentare o di convertire qualcuno. Tuttavia, parleremo di allevamenti intensivi, di biomassa, di inquinamento, di ecosostenibilità, di resistenza agli antibiotici, di un documentario quasi horror, di animali uccisi, di epidemie e di interessi economici. Argomenti ostici, direte a voi, ma necessari di fronte a un mondo che necessita di cambiamenti, anche piccoli ma urgenti.

Lo spunto ce lo dà Ho mangiato troppa carne, il libro che Lorenzo Biagiarelli ha appena pubblicato per Cairo Editore. Si tratta nella fattispecie di un’indagine approfondita e accorata (sfidiamo chiunque a leggere l’ultimo capitolo senza emozionarsi e incazzarsi) nello spazio e nei tempo, in cui ogni risposta genera un’ulteriore domanda, partendo dalla più fondamentale di tutti: perché mangiamo animali e cosa succederà se non smettiamo di farlo?

Il viaggio nella carne che il libro di Lorenzo Biagiarelli narra nelle sue 208 pagine “non è una caccia alle streghe, ma una storia di uomini e di cibo, di tradizioni e di futuro, di polli e di gatti, alla ricerca di responsabilità ma soprattutto di soluzioni. Perché l’acqua sta salendo, e bisogna decidere chi far salire sulla nuova arca: noi, oppure i cento miliardi di animali che macelliamo ogni anno per il nostro irriducibile amore. Della carne”.

Lorenzo Biagiarelli.
Lorenzo Biagiarelli.

Intervista esclusiva a Lorenzo Biagiarelli

“Gli ho dedicato anima, corpo e tutto il mio tempo libero”, è una delle prime risposte che mi dà Lorenzo Biagiarelli quando ci sentiamo per parlare di Ho mangiato troppa carne. “È un libro che ho scritto di getto ma in maniera ragionata. Ho cercato di scriverlo più o meno in tempo reale rispetto a ciò che mi sta accadendo e a ciò che sto scoprendo. I vari capitoli non sono collegati l’uno all’altro da un artificio letterario ma sono legati perché ad ogni scoperta segue una domanda. Ho cercato di ridurre il nozionismo al minimo ma, trattandosi di un libro che, affrontando comunque la realtà, quando parla di cose molto specialistiche fa parlare gli altri, chi a determinati argomenti dedica vita e professione da tanti anni”.

Come si passa dal mangiare 71 kg di carne all’anno (consumo medio pro capite stando alle statistiche) a non mangiarne niente se non in casi eccezionali, come hai scelto di fare tu?

Non mangio carne di animali terrestri, in via eccezionale posso mangiare carne di pesci ma sta succedendo sempre di meno: non ricordo nemmeno quando è stata l’ultima volta ma non voglio essere tranchant, potrei rimangiarla dopo sei mesi. Lo specifico perché penso sia importante dirlo alle persone: affrontare qualsiasi percorso del genere con un senso di colpa legato a quello che si faceva prima o a quello che si rischia di continuare a fare anche dopo disincentiva tantissimo. Trovo che sia bene sottolineare gli aspetti virtuosi anziché quelli “viziosi”.

Chiaramente la tua scelta di non mangiare quasi carne ricade anche sul tuo percorso professionale: hai ad esempio smesso di sponsorizzare e promuovere consumo di carne.

Non amo parlarmi addosso ma, visto che hai tirato fuori l’argomento, affrontiamolo. Le aziende che investono sulla promozione di prodotti a base di carne sono quelle che pagano meglio perché molto spesso ricevono anche soldi pubblici per farlo. C’è un programma specifico dell’Unione Europea, Enjoy is from Europe, che prevede lo stanziamento ogni anno di milioni di euro per la promozione di salumi, di formaggi e di prodotti zootecnici. Senza contare che si tratta di aziende spesso molto ricche he fatturano fino a sei miliardi di euro l’anno.

Uscire da un certo meccanismo è stata forse la scelta più difficile, forse ancor più che smettere di mangiare carne, perché erano per me proventi importanti ma era il primo anello da spezzare: non potevo più far parte di quella promozione pervasiva, molto spessa mossa da interessi lobbistici, che regge il consumo di carne a livello globale.

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Colpisce come il consumo di carne sia favorito non solo da politica e imprenditoria ma anche dalle politiche sociali. In uno dei capitoli di Ho mangiato troppa carne racconti un episodio significativo legato a un senzatetto, che aveva accanto a sé un pacco di un ente caritatevole contenente solo ed esclusivamente carne.

Ma non solo. Racconto anche delle proteste da parte dei clochard alla Festa dell’Antoniano con il pranzo curato dallo chef Simone Salvini per l’assenza di carne. Nel giro di settant’anni quello che era considerato l’alimento più ricco è diventato paradossalmente quello più povero: è talmente senza valore che è la cosa più economica da dare a un clochard. Non gliela si dà perché il benefattore è buono o ha a cuore la salute del clochard ma semplicemente perché è economica. E non è per fare populismo ma, se fosse stato per il benessere, lo avrebbero fatto con gli ortaggi.

Non è populismo perché, chi legge il tuo libro, può rendersi conto come dati alla mano e testimonianza tutto ciò sia una cruda realtà. Sul finire del tuo lavoro, ci sono una serie di domande a due importanti figure della filiera della carne, definiamole così, che non hanno mai trovato risposta: nonostante la tua mail e in un caso la promessa di risposte, è calato un silenzio assordante. Come hai reagito alla loro non risposta?

Potrei dire che me l’aspettavo perché on si trattava di domande aperte ma ben circoscritte. Avendomele chieste scritte, fossi stato in loro avrei dato una risposta non dico convincente ma, se non altro, per prendermi lo spazio di una replica. Nelle mie domande c’erano dati incontrovertibili che facevano riferimento a ciò che loro stessi avevano dichiarato in occasioni pubbliche o scritto: non facevo altro che chiedere contezza di ciò, non li accusavo di crimini contro l’umanità.

Ho chiesto ad esempio al Presidente di Coldiretti perché era così preoccupato dei rischi della carne coltivata sulla salute umana e non di quelli causati dal tabacco, visto che con Filiera Italia stringono partnership e accordi con Philip Morris, ad esempio. Di mio, so perché non mi ha risposto: i presunti danni alla salute legati alla carne coltivata non esistono, non sono stati dimostrati e non sono al momento dimostrabili…

Non ci sono studi che mostrano come esiste differenza a livello chimico tra un chilogrammo di carne coltivata e un chilogrammo di “carne vera” se non che crescono in due ambienti diversi. Eppure, ci si affretta a suggerire che la carne coltivata sia rischiosa: si continua a coltivare la cultura della paura per timore che in un futuro prossimo possa portare a una contrazione del mercato più tradizionale. Non sono andato a scavare nei meandri dell’inchiesta: basta prendere un giornale e leggere le dichiarazioni degli interessati per capire come ciò di cui chiedevo sia alla luce del sole. E, quindi, mi ha stupito che non abbiano risposto: c’era lo spazio per farlo e avevano molto tempo a disposizione. Semplicemente, non l’hanno voluto fare.

Lorenzo Biagiarelli.
Lorenzo Biagiarelli.

L’argomento che ti ha spinto a scrivere il libro sono gli allevamenti intensivi. Non parliamo di fantascienza ma di una questione di estrema attualità di cui possiamo tutti i giorni vederne le conseguenze: la resistenza agli antibiotici e la biomassa.

La resistenza agli antibiotici preoccupa particolarmente la scienza: ce lo racconta nel libro Pier Luigi Lo Palco, uno degli epidemiologi più autorevoli a livello nazionale e internazionale che ho voluto intervistare. Solitamente si pensa che la diffusione di virus e batteri sia legata a una questione di prossimità soltanto tra animali selvatici e animali di allevamento intensivo, banalizzando la vicinanza di questi ultimi all’uomo. proprio in questi giorni in Cina si combatte un’epidemia batterica che ci sta ponendo davanti a un dato incontrovertibile: c’è un sacco di gente che non reagisce più a un determinato antibiotico.

Siamo portati a pensare che se un maiale sviluppano antibiotico resistenza questa rimanga limitata ai maiali stessi. E, invece, no: come viene ben spiegato, questa arriva anche all’uomo. E, se un animale non combatte un virus o un batterio con un chilogrammo di antibiotico, figuriamoci l’uomo con pochi milligrammi.

Il dato sulla biomassa ha sorpreso anche me per quanto è incredibile. Per tutti noi, gli animali sono semplicemente quelli che stanno nella foresta, quelli domestici e l’uomo: quelli che mangiamo è come se venissero rimossi anche dalle nostre coscienze, come se non esistessero. Secondo i dati, in Italia ci sono una decina di milioni di maiali: se facciamo un breve calcolo, dovremmo vederne tutti almeno uno al giorno…

L’allevamento intensivo ha creato un’enorme biomassa, un insieme di esseri viventi “creati” appositamente con l’unica finalità di essere allevati e uccisi per il nostro consumo. Gli animali chiusi in allevamenti rappresentano il 60% dei mammiferi sulla Terra, il doppio degli uomini e 15 volte tanto quelli selvatici. E consideriamo che tra quelli selvatici ci sono anche le balene: a ogni balena corrispondono miliardi di mucche in più. E quello della biomassa è un dato che continua ad aggiornarsi giorno dopo giorno: ogni anno si macellano 90 miliardi di animali che vengono rimpiazzati da esemplari diversi ma sempre con la stessa finalità, finire nei piatti.

Con tanto di inquinamento anche per l’atmosfera terrestre. Si dovrebbe smettere di mangiare carne per mero atto egoistico: l’uomo sopravvaluta la sua potenza credendo di controllare il mondo. Ma che mondo controlla se continua a immettere azoto nell’aria in così elevata quantità? In gioco non c’è l’esistenza detta Terra: a finire non è il mondo in sé ma l’umanità.

Il problema è che sono egoismi ancora da trasferimento, al massimo da progenie. Se hai figli, puoi tentare di non voler lasciare un mondo in implosione a loro ma non sempre accade: in tutti c’è una sorta di rimozione della fine. Per quanto la gente dica, non si crede alla scienza pensando che anche le nostre scelte non impattino sulle nostre vite sminuendo persino quello che viene dato per certo che sarà. In pubblico, tutti hanno piacere a dimostrarsi “scientisti”, razionali, ma nel privato prevale lo scetticismo e il menefreghismo.

Lo scrivo alla fine del libro: “smetto di mangiare carne, è un atto di sopravvivenza” pubblica e non solo privata. Se non mangi carne rossa e insaccati hai meno probabilità di sviluppare un tumore e quindi più probabilità di vivere meglio: riguarda la tua salute e quella del mondo e mette in pericolo il sistema di allevamento intensivo. Gli atti pubblici sono molto più importanti di quelli privati e il perché è sotto gli occhi di tutti anche se non ci se ne rende conto finché non c’è un’alluvione a Milano, decine di migliaia di persone muoiono in Pakistan sotto la pioggia o in estate si soffoca per il caldo per temperature mai raggiunte prima.

Fortunatamente, il metano, come racconta anche Luca Mercalli, resiste meno nell’aria rispetto all’anidride carbonica di un’industria siderurgica. È 86 volte più climalterante ma i suoi effetti durano solo dieci anni e non cento. Quindi, se chiudessimo gli allevamenti intensivi di bovini, nel giro di dieci anni avremmo un risultato tangibile sulle emissioni: in un’ottica di utilità, secondo me, sarebbe il primo settore su cui intervenire.

Lorenzo Biagiarelli.
Lorenzo Biagiarelli.

Ho mangiato troppa carne e la tua decisione di approfondire il sistema degli allevamenti intensivi nascono da un insieme di fattori privati concomitanti: un viaggio in Corea in cui tu e la tua compagna mangiate effettivamente troppa carne, una conseguenza medica poco simpatica dopo un viaggio in Colombia e la visione di un documentario scioccante, Dominion.

Vedere Dominion non può non cambiare la vita: è potentissimo. Non è l’unico, ce ne sono tantissimi altri che avrei potuto citare. Dominion ti fa vedere cos’è realmente l’allevamento intensivo sollevando domande di fronte alle quali non si può rimanere indifferenti. Nasce dall’esigenza del regista di mostrare a tutti gli scettici come anche in Australia la situazione non sia differente, ad esempio, dagli Stati Uniti: è una premessa fondamentale che fa capire come la situazione sia la stessa in qualsiasi Paese del mondo.

È come se fosse una puntata di Linea Verde che ti mostra non cosa avviene dopo o cosa arriva nelle nostre tavole ma tutto il processo che fa sì che un animale da vivo si trasformi in prosciutto, per dire. Mostra senza troppo romanticismo ciò che sono gli animali per gli allevamenti intensivi, ovvero macchine da cibo: dovrebbero vederlo tutti anche semplicemente per capire da dove viene la loro cena. Saperlo, non obbliga al cambiamento, dipende chiaramente dalla sensibilità di ognuno.

Dopo quel viaggio in Corea, fortunatamente il Paese ha messo per iscritto il bando alla carne di cane, un risultato che conta di ottenere nel giro di tre o quattro anni. Faceva molta impressione vedere come il consumo non fosse sottobanco, di contrabbando o stigmatizzato particolarmente. I ristoranti dedicati alla zuppa di cane erano alla luce del giorno ma si tratta di un consumo che le nuove generazioni rifiutano totalmente: in un sondaggio, il 100% degli intervistati con meno di 40 anni si sono detti contrari. Da noi sarebbe impensabile mangiare un cane ma perché tale sensibilità non viene estesa a ogni specie di animali che viene uccisa per il cibo? Mangiare un cane non è eticamente o biologicamente diverso dal mangiare un maiale: non c’è bisogno di conoscere quale disastro stia producendo l’umanità, basterebbe riflettere sulla legittimità o no di uccidere un animale.

La tua scelta di non mangiar carne è stata condivisa in casa?

Beh, Selvaggia (la sua compagna, ndr) è stata la prima che ha avanzato la proposta al ritorno dal viaggio in Corea. Leon, sua figlio, l’ha condivisa ben volentieri prendendola di fatto come una scelta politica: il rifiuto del sistema capitalista dell’allevamento intensivo. Si interessa molto alle questioni di giustizia sociale di esercizio del potere economico: quando ha capito cosa c’era dietro l’industria e il consumo della carne, l’abbiamo sfidato a non mangiarne per un mese. E, dopo quel mese, non ne ha voluto più sapere: credo che, con tutto quello che ha sentito in casa, si sia documentato e abbia capito la questione. Ognuno di noi ha un buon motivo per non mangiare carne: ce ne sono così tanti che sicuramente qualcuno è vicino ai propri interessi.

Estenderei la questione anche ai ragazzi della Generazione Z…

Sono quelli che maggiormente usufruiscono degli hamburger di una nota catena di fast food, che celebra il trionfo dell’allevamento intensivo con le sue offerte a uno o tre euro. È una generazione molto più sensibile rispetto al passato ma non vedo grandi rotture: non ne fa una questione di identità. Diverso sarebbe se ci fosse una scelta o un’alternativa vegana o vegetariana a loro disposizione nei posti in cui si recano a mangiare.

Lorenzo Biagiarelli.
Lorenzo Biagiarelli.

Qual è il commento più ricorrente e sbagliato che ti scrivono sui social dopo la tua scelta?

“La carne è necessaria”, ad esempio, anche quando ormai tutti i biologi del mondo hanno dimostrato il contrario. Oppure “Ma se smettiamo di allevare gli animali, dobbiamo aprire le gabbie: dove finiranno tutti quei maiali?”, come se fosse un’eventualità che dall’oggi al domani chiudessero tutti gli allevamenti e ci fosse un’invasione di maiali nel mondo. Chiaramente, si tratta di qualcosa che hanno sentito dire da qualche parte e ciò significa che esiste una comunicazione in tal senso: negli ultimi dieci anni, il consumo di carne è in calo e l’industria deve correre ai ripari.

Poi c’è anche l’hater della situazione, che pensa di far lo spiritoso o il brillante da un contenuto da cui poteva trarre spunti di riflessione: “Dopo aver visto questo post, corro a farmi una bella fiorentina”… “Ma fai come vuoi” è la mia risposta, come se stesse facendo un torto a me e non a se stesso, al mondo e agli animali: posso essere dispiaciuto ma non è che non ci dormo la notte (ride, ndr). Non saranno comunque una decina di troll al giorno a dissuadermi dall’andare avanti.

Sei presenza fissa nel cast di È sempre mezzogiorno su Rai 1. Hai mai pensato di introdurre una rubrica anche settimanale sulle ricette vegane o vegetariane?

Sinceramente, non ho ancora proposto niente in merito. Fino a pochi mesi fa ero un carnivoro e non vorrei che qualsiasi mia proposta venisse vissuta in maniera giudicante: non corrisponderebbe alla realtà. Tuttavia, se succedesse in futuro, lo farei molto volentieri ma parliamo comunque di un programma che si rivolge anche o soprattutto a generazioni che non sono interessate all’argomento. Non è mio desiderio imporre la mia visione lì dentro.

Il non mangiare carne non mi vieta di continuare ad esempio a parlarne: ne ho mangiata così tanta in passato che posso continuare a raccontarla anche bene. E non mi vieta di raccontare il cibo, che non è solo carne. Nel programma mai nessuno mi ha fatto pesare il mio cambiamento. Antonella stessa mi è sempre stata di supporto in qualsiasi cosa io abbia fatto o voluto fare: sinceramente, se ci fosse stato qualcun altro, non so se lo avrebbe fatto.

Cosa hai provato nell’entrare nell’allevamento Fenati, la cui storia viene raccontata nell’ultimo capitolo del tuo libro?

Quella vicenda ha fatto piangere me quando me l’hanno raccontata, ha fatto piangere Selvaggia quando l’ha letta e ha fatto piangere la editor quando l’ha avuta davanti. È stata una catena di lacrime perché quella vicenda è devastante sia dal punto di vista umano sia da quello animale. La storia dei Fenati è figlia di una grande ingiustizia e ben racconta come nessun animale sia al sicuro nel regime produttivo che caratterizza la nostra alimentazione: nemmeno quelli destinati a vivere ce l’hanno fatta, sono morti perché la priorità della legge nel contenimento di un’epidemia aviaria è stata quella di preservare gli animali dei vicini allevamenti alimentari, quelli intorno a cui si concentrano gli interessi economici.

Sono così stati uccisi 1736 uccelli senza alcuna ragione. Uccelli protetti, uccelli colorati, uccelli rari, uccelli da compagnia e uccelli che dovevano prendere parte a un programma di ripopolamento faunistico in Thailandia, ad esempio. Non hanno guardato in faccia nulla: alcuni non potevano nemmeno ammazzarli ma non hanno fatto alcuna distinzione.

È stata la classica battaglia di Davide contro Golia in cui a perdere è stato però Davide. Nella lotta per la difesa dei diritti degli animali le associazioni animaliste vivono di piccoli e grandi successi: sono entrambi importanti e qualche cambiamento sta per avvenire o è avvenuto. Già solo il divieto, finalmente avallato anche dalla legge, di uccidere i pulcini maschi appena nati è un grande passo in avanti. Anche un piccolo successo che sembra insignificante per un sistema di potere migliora di un centesimo la vita di milioni di abitanti.

Lorenzo Biagiarelli.
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