Love Life è il film di Koji Fukada in concorso al Festival di Venezia 2022. Uscirà nelle sale italiane il 9 settembre distribuito da Teodora Film e racconta la storia di Taeko, una donna chiamata ad affrontare con il marito la perdita del figlioletto Keita.
“Quando faccio un film, cerco di capire quanto possa essere universale”, ha commentato il regista. “L’argomento principale di Love Life non è la tristezza di una coppia che ha perso un figlio, ma la solitudine che prova per l’incapacità̀ di condividere il dolore: la tristezza, infatti, è unica e personale, la solitudine invece è tipica della condizione umana”.
Da una canzone al film
Considerato uno dei maggiori autori del cinema giapponese contemporaneo e già premiato a Cannes per Harmonium, Fukada firma un ritratto di donna, una riflessione sull’imprevedibilità della vita che appassiona e commuove. Protagonista del film Love Life è Taeko (Fumino Kimura), la cui vita scorre tranquilla accanto al marito e al figlioletto Keita, finché un evento drammatico segna il ritorno del padre biologico del bambino (Atom Sunada), di cui la donna non aveva notizie da anni.
Il titolo del film, Love Life, è ispirato dalla canzone omonima di Akiko Yano, una delle più celebri cantanti e musiciste giapponesi, già collaboratrice tra gli altri di Ryūichi Sakamoto, Pat Metheny e Peter Gabriel. “Ho sentito per la prima volta la canzone di Akiko Yano, Love Life, quando avevo vent’anni e mi ha subito catturato. Avendola ascoltata più e più volte, ho iniziato a pensare al modo migliore di tradurla in un film”, ha ricordato Fukada.
“Mi è venuta allora in mente questa storia, la storia di una coppia con un bambino piccolo che non riesce a condividere il dolore di una perdita. Ci sono molto modi di intendere le parole della canzone e una grande ispirazione per me è stato il verso “Qualunque sia la distanza tra di noi, niente può impedirmi di amarti”. Non credo che sia la canzone ad essere al servizio del film, piuttosto il contrario”.
Una famiglia felice?
La prima parte del film Love Life presenta una famiglia che all’apparenza sembra felice. Tuttavia, diverse sono le tensioni interne che presto vengono fuori. “Per me, una famiglia in cui tutti vivono vicini, nonostante siano tutti in qualche modo soli, non ha alcun senso”, ha aggiunto Fukada. “Non fa differenza se la struttura familiare è comune o insolita, quello che conta è la capacità di comunicare. La coppia protagonista ha impostato la propria vita in modo da trascorrere una diversa quantità di tempo con il bambino e per questo motivo il loro dolore non viene condiviso in modo paritario”.
A scardinare gli equilibri e a spingere i personaggi su nuove traiettorie è il tragico incidente che costa la vita a Keita. “Per raccontare questo evento così drammatico, ho creduto fosse importante considerare come la morte può essere rappresentata realisticamente in un film di finzione”, ha sottolineato ancora Fukada.
“Non intendo solo la verosimiglianza dell’evento in sé, ma il problema del mostrare come la morte può intromettersi improvvisamente nella nostra vita quotidiana, senza alcun preavviso e senza alcun significato. Per trasmettere questa sensazione al pubblico, ho inserito diversi eventi casuali, apparentemente estranei alla morte di Keita, per distogliere l’attenzione. Poi la morte interrompe bruscamente tutto e i diversi personaggi devono affrontare questo evento all’interno delle proprie relazioni, dandogli ciascuno un significato proprio”.
Un film al femminile
Love Life, il film di Fukada in concorso a Venezia, ruota intorno al personaggio di Taeko, impersonata da Fumino Kimura. A raccontare chi è Taeko è lo stesso regista. “Taeko è una persona gentile, disposta a lavorare sodo per gli altri e ad aiutare le persone bisognose. D'altra parte, la sua identità non è fissata. Al di là dei suoi ruoli di moglie e madre e del suo lavoro, Taeko non si prende il tempo necessario per esaminare chi sia la donna al centro di tutto ciò. In altre parole, è una persona normale, di quelle che trovi ovunque. La presenza di Park illumina la sua gentilezza nel tentativo di aiutare gli altri, ma mostra anche la sua arroganza nell'assumere tale ruolo di protettrice”.
Il linguaggio dei segni
Taeko, la protagonista del film Love Life, è l’unica a capire il linguaggio dei segni usato dall’ex marito sordo Park. “Il linguaggio dei segni mi ha aperto a un'ampia varietà di idee visive e cinematografiche, ma ciò che mi ha colpito in particolare è stato il fatto che chi lo usa presta una grande attenzione alle espressioni facciali e ai movimenti delle mani”, ha dichiarato Fukada.
“Questo sembra ovvio, ma si scontra con la tendenza che hanno le persone udenti, quando comunicano, a distogliere lo sguardo dal viso dell'altro quanto più vi si avvicinano. Questo pensiero ha portato alla frase nell'ultima scena: "Guardami". Credo in ogni modo che la cosa più importante da sottolineare sia che rendere sordo il personaggio di Park non è stata una scorciatoia per indicare che deve essere compatito o che è puro e innocente. È semplicemente qualcosa di naturale, così come lo è questa relazione che coinvolge tre esseri umani. Non devo trovare ragioni per includere persone udenti nei miei film; quindi, sarebbe ingiusto chiedere una ragione per includerne una sorda”.
La distanza
Park, oltre a essere sordo, è anche coreano, un’origine che lo rende distante dal resto dei personaggi, tutti giapponesi. “La distanza in sé è un elemento importante nel film e il fatto che Park sia coreano non ha un significato più profondo di quello. I genitori di Jiro vivono nel condominio di fronte a quello di Taeko e del figlio, e Park alla fine si trasferisce per un po’ a casa loro”, ha concluso Fukada. “La vicenda del film Love Life si muove avanti e indietro tra questi due condomini e la piazza antistante. Anche i luoghi di lavoro di Taeko e Jiro sono a una manciata di secondi di distanza l’uno dall’altro. Questo spazio tra i condomini e i luoghi di lavoro viene mostrato al pubblico con il minor numero possibile di tagli di montaggio, mantenendo la continuità dell’inquadratura”.
“Dopo la morte di Keita, Jiro incontra la sua ex amante Yamazaki in un posto lontano in campagna. Seguendo questo scarto determinato dalla distanza, Taeko e Park devono partire per una destinazione molto più lontana. Il viaggio finale deve per forza avere una destinazione più remota di quella del viaggio precedente, perché ovunque fossero andati in Giappone non ci sarebbe stata una differenza abbastanza profonda dalla scena con Jiro e Yamazaki. Quindi Taeko e Park devono andare all'estero, in un luogo in cui è evidente che si trovano in una sfera culturale diversa. D'altra parte, viaggiare in aereo non sembrava adatto alla loro fuga, quindi avevo bisogno un paese straniero raggiungibile in nave: il risultato di questa necessità narrativa è che Park è coreano. O almeno, non completamente, avendo un padre coreano e una madre giapponese”.