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Luca Cesa: “L’istinto primordiale dell’essere un attore” – Intervista esclusiva

Luca Cesa
Luca Cesa interpreta il marito di Alda Merini, nel film con cui Rai 1 omaggia la poetessa, Folle d’amore - Alda Merini. L’occasione ci fornisce lo spunto per un incontro con il giovane attore romano per capire l’uomo che si cela dietro l’attore.
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Luca Cesa, uno dei più talentuosi giovani attori del cinema italiano, si è sempre distinto per la sua versatilità e dedizione all'arte della recitazione. La nostra conversazione avviene in un momento particolarmente significativo per Luca Cesa, poiché ci avviciniamo alla premiere di Folle d'amore - Alda Merini, film diretto da Roberto Faenza, che andrà in onda il 14 marzo su Rai 1. Questo progetto, che esplora la vita tumultuosa e la carriera poetica di Alda Merini, vede Luca Cesa nel ruolo di Ettore Carniti, figura chiave nella vita della poetessa.

La scelta di interpretare un personaggio così complesso e radicato in un contesto culturale diverso dal suo sottolinea la capacità di Luca Cesa di immergersi in sfide artistiche che richiedono un'approfondita ricerca e un impegno emotivo. Nel corso dell'intervista, Luca Cesa condivide il suo processo creativo, il rapporto con la figura di Alda Merini, e come il ruolo di Ettore abbia influenzato la sua visione dell'arte e dell'amore. Riflettendo sul suo percorso di attore, tra alti e bassi, Luca Cesa si apre riguardo alle sue aspirazioni, ai sogni e alle inevitabili incertezze che accompagnano la vita di chi sceglie la recitazione come forma di espressione più autentica.

La nostra conversazione non si limita al suo ultimo progetto, ma si estende a esplorare la relazione tra vita personale e professionale, l'importanza della salute mentale, e il ruolo degli intrecci familiari e delle radici nella formazione dell'individuo e dell'artista. In un dialogo intimo e schietto, Luca Cesa ci offre uno sguardo privilegiato sulla sua vita, sulle sue riflessioni e sulle sfide che lo attendono, in un viaggio che da Roma, cuore della sua crescita, si proietta verso l'orizzonte vasto e imprevedibile della creatività e dell'arte.

Luca Cesa (Foto: Gioele Vettraino; Abiti: Primordium Lab; Press: Marta Scandorza).
Luca Cesa (Foto: Gioele Vettraino; Abiti: Primordium Lab; Press: Marta Scandorza).

Intervista esclusiva a Luca Cesa

“Sono reduce da un pranzo con mia nonna e non posso che star bene”, esordisce Luca Cesa quando gli chiedo come sta. “Sto parlando al telefono con te mentre passeggio nella mia Roma, la città in cui sono nati e cresciuto e da cui non mi sono mai spostato”, aggiunge Luca Cesa quasi a prevenire una delle domande che solitamente pongo agli intervistati. “Non sono invece mai stato a Palermo, la tua città: rientra però tra le mete da visitare perché da sempre mi affascina molto il sud”.

E, quindi, com’è stato interpretare nel film Folle d’amore – Alda Merini un personaggio come Ettore Carniti, che tutto era fuorché romano?

Quando mi sono presentato al provino, che poi tale non era perché Roberto Faenza è solito fare dei colloqui, conoscevo a grandi linee la storia di Alda Merini. L’avevo giustamente approfondita ma non sapevo che Carniti, suo marito, fosse lombardo. Una volta ottenuta la parte, ho però preso lezioni di milanese da una mia amica attrice, anche se Carniti non era proprio di Milano ma della provincia di Cremona, di un paese che se non erro si chiama Calcio.

Per me, ha rappresentato una bella prova perché, per indole, cerco di fare qualsiasi cosa al massimo delle mie potenzialità, soprattutto sul lavoro dove amore essere molto preciso e non lasciare nulla al caso. Magari non sarò stato inattaccabile sugli accenti ma spero che il risultato sia credibile.

Ettore Carniti ha ricoperto senza dubbio un ruolo fondamentale nella storia di Alda Merini. È il grande amore della sua vita, l’uomo che sposa ma anche colui che contribuirà attivamente al suo internamento.

Le cronache narrano di come l’amore di Merini per Carniti fosse così forte che, dopo la sua morte, Alda ogni domenica prendeva un treno di nascosto per andare a far visita alla sua tomba, indossando un cappotto per non farsi vedere. Dopo aver perso la testa in adolescenza per Giorgio Manganelli, Ettore è stato l’uomo che più ha amato più di ogni altro, il padre delle sue quattro figlie ma anche lo stesso che fece quella telefonata per cui è stata mandata in manicomio.

Quest’ultimo è un particolare che nel film di Faenza viene raccontato molto bene: è lui a chiamare la Croce Verde che la fece finire all’ospedale psichiatrico Paolo Pini, dove Alda trascorse ben 12 anni durante i quali, tra un andirivieni e l’altro da casa, concepì con il marito le altre figlie. Ettore rimase sempre l’uomo che amava follemente e per cui scrisse molta delle sue composizioni.

Il loro oggi però potrebbe essere definito un ‘amore tossico’, fatto sì di grande passione ma anche di violente litigate. È stato facile calarsi nei panni di un uomo che si relaziona con la propria moglie in un certo modo?

Non è stato semplice. Per un fattore anche anagrafico, non ho ancora vissuto relazioni così lunghe come la loro. Non posso dunque comprendere le difficoltà che si vivono quando si cerca di trovare la quadra tra due persone che condividono la stessa casa da anni e certe dinamiche cominciano a essere così scomode da portare a far emergere i lati anche molto oscuri del proprio carattere.

Nel loro caso, a contribuire all’andamento burrascoso del loro rapporto erano soprattutto le diverse personalità e i differenti caratteri. Ettore era un panettiere: sì, faceva il sindacalista ma rimaneva un panettiere con un forte senso pratico che non gli faceva capire a fondo le esigenze artistiche di Alda, il suo lato creativo o quello che scriveva. Sicuramente, sarebbe stato molto bello se lui avesse sondato maggiormente la sensibilità di Alda. La sua letteratura è viscerale, mossa dalle passioni, dai rifiuti, dalle delusioni e da tutta una concezione interiore che aveva dell’amore, quel sentimento che l’affascinava.

Il rapporto tra Ettore e Alda mette sicuramente in risalto una dicotomia che ancora oggi contrappone praticità ad arte. È qualcosa con cui anche tu nel tuo percorso hai dovuto affrontare?

Quello di attore è un lavoro in cui gli alti e bassi sono all’ordine del giorno. Ci sono volte in cui mi chiede chissà cosa sarei oggi se avessi scelto un’altra strada, se avessi puntato a una laurea triennale o avessi un’occupazione giornaliera stabile. La risposta poi è sempre la stessa: non avrei mai potuto farlo. Conoscendo il mio carattere, so che sarebbe stato per me impossibile non rispondere al mio lato artistico e, quindi, sono alla fine contento della decisione presa… una scelta che nel mio caso è arrivata nel momento in cui avevo appena terminato il liceo.

Ero molto ingenuo ma l’istinto primordiale mi ha portato a intraprendere questo mestiere che sicuramente mi dà dolori a non finire ma anche tante gioie. Forse, in fondo, mi piace vivere in uno stato di incertezza quotidiana: se ci penso, è il motore che mi spinge a voler fare sicuramente di più, a non adagiarmi sugli allori e ad andare avanti. Alla fine, è anche questa precarietà di fondo che mi fa avanzare verso la via dell’autorealizzazione: probabilmente, se non ci fosse, non mi impegnerei così tanto.

C’è chi sceglie di fare l’attore perché vuole diventare famoso, chi perché vuole fare i soldi e chi come me è invece appassionato dell’arte di questo lavoro: a me basterebbe arrivare a fine mese ed essere gratificato dall’arte che me ne viene.

Luca Cesa nel film Folle d'amore - Alda Merini.
Luca Cesa nel film Folle d'amore - Alda Merini.

Hai sempre seguito un determinato tipo di percorso. Hai lavorato con i fratelli Taviani in Una questione privata, girato serie tv come Il Generale Dalla Chiesa e Nero a metà 3, preso parte a Maschile singolare e faticato (perché la soap è un workout) in Il Paradiso delle Signore. Ma è abbastanza chiaro come non ti interessi fare l’influencer sui social come in maniera molto visibile fanno alcuni tuoi giovani colleghi.

Non giudico i miei colleghi e l’uso che fanno dei social ma non è il mio. So che sono fonte di visibilità e di guadagno e lo riconosco in prima persona, non sono scemo. Ma per una questione di carattere non sono portato a postare storie o a realizzare video in cui vendo un prodotto… sarà perché sono molto timido: contrariamente a quanto accade sul set, nella vita di tutti i giorni mi blocco e quindi non mi ci vedrei mai a realizzare dei videoselfie in cui faccio promozione a chissà quale marchio.

E, sempre a proposito di stabilità e precarietà, come hanno reagito i tuoi genitori quando hai spiegato che non avresti frequentato l’università ma avresti provato a fare l’attore?

Il non frequentare l’università, in fondo, era qualcosa che si aspettavano. Non sono mai stato il secchione della classe, ho portato a termine il liceo classico rimediando come voto alla maturità un 64, un po’ più del minimo e ho anche ripetuto un anno perché sono stato bocciato. Non c’erano quindi grandi aspettative sul mio conto e lo dico con molta tranquillità perché era la realtà dei fatti e ne ero consapevole.

La recitazione è arrivata quasi per caso nella mia vita. Durante l’ultimo anno di liceo, ho seguito un laboratorio teatrale tenuto da un’insegnante che era anche un’attrice e mi si è aperto un mondo. Ero in quella fase di vita in cui, come molti adolescenti, non sapevo cosa avrei fatto dopo le superiori: sicuramente l’università, ero quasi obbligato, ma non avevo deciso che facoltà. Il portare in scena l’Antigone e farlo in Sicilia al Teatro antico di Akrai a Palazzolo Acreide nel contesto di un festival ha fatto sì che mi innamorassi di quello che consideravo fino a quel momento un gioco: mi è piaciuto talmente tanto che non ho più voluto fermarmi. Ed è stata quella stessa insegnante che poi mi ha seguito nella successiva trafila di accademie e agenzie.

Fortunatamente, i miei genitori mi hanno appoggiato ma prevaleva in loro anche una certa paura per il mio futuro, tanto che ogni tanto mi proponevano di iscrivermi a un corso o a una facoltà. Ma non ho mai dato retta alle loro parole: sono molto ostinato per quanto concerne ciò che mi riguarda e sono anche state tante le volte che ho sbattuto la testa… con il senno di poi, avrei anche potuto prendere una laurea triennale ma solo per passione e avere una valida alternativa ai periodi di attesa che il mio lavoro comporta.

Luca Cesa (Foto: Gioele Vettraino; Abiti: Primordium Lab; Press: Marta Scandorza).
Luca Cesa (Foto: Gioele Vettraino; Abiti: Primordium Lab; Press: Marta Scandorza).

L’attesa forse è il peggior nemico di un attore: tra un lavoro e l’altro o tra un ciak e l’altro, è sempre presente.

È incredibile come si sia sempre in attesa. Ma, rispetto a prima, quando finisco un lavoro, mi do da fare e mi tengo occupato con qualsiasi altra cosa: mi alleno, guardo film, vado in palestra… Mi piacciono le novità e gli stimoli: quando ne avverto uno, lo accolgo. Lo star fermo mi indebolisce, mi fa pensare troppo e non mi fa bene: per me, è il movimento che genera movimento e quindi anche lavoro. E, seppur non avessi altro da fare, scriverei.

Scrivi, Luca?

Sì, scrivo per analizzarmi. Appunto i miei comportamenti, le mie emozioni, le mie sensazioni: è come se tenessi un diario vero e proprio in cui annotare qualsiasi cosa a caso, senza un apparente senso logico.

Quel diario sarebbe il sogno di qualsiasi psicanalista. E la battuta non è a caso: la salute mentale è uno degli argomenti trattati anche dal film Folle d’amore – Alda Merini. Che rapporto hai tu con essa?

Siamo in un rapporto di conoscenza, sono reduce oggi da una seduta con la mia psicologa perché sto cercando di capire chi sono, se sono realmente così o se indosso una maschera. A 29 anni ancora non l’ho capito.

Qual è stata la molla che ti ha spinto a cercare l’aiuto della terapia?

La normalizzazione dell’avere uno psicologo o una psicologa. Mentre prima era un tabù, adesso la terapia è sdoganata e sono contento sia così: tra i miei coetanei è molto comune rivolgersi andare da uno psicologo e sentire in molti dei miei amici che andavano mi ha spinto a iniziare un mio percorso.

Cosa ti ha permesso finora di scoprire di te che prima non sapevi?

Di avere tante paure che non conoscevo. Raccontandole dei miei sogni, sono emerse angosce e timori di diverse nature. Mi credevo prima molto più coraggioso…

Sono forse queste paure frutto di ciò che hai vissuto da bambino quando, dopo esserti dedicato a uno sport come il tennis e aver raggiunto anche certi livelli, un infortunio ti ha costretto a rivedere i tuoi piani?

Anche. Quando si vivono determinati momenti a 13 anni, non ci rende conto del peso che hanno: anche con leggerezza, si guarda avanti, si rinuncia a un sogno e ci si dice che si può anche fare altro. Con il passare del tempo, invece, se ripensi al passato, ti rendi conto che forse avresti potuto gestire meglio il tutto… ma col senno di poi oggi sarei Presidente degli Stati Uniti d’America (ride, ndr). Qualche rimpianto ce l’ho: è vero che ho subito un incidente ma mi sono anche lasciato andare a cose più da adolescente come uscire con gli amici o con la ragazza, non perseguendo quella strada che mi piaceva. Avrei dovuto avere una forza mentale più spiccata per percorrerla in avanti.

A farti scoprire il tennis era stato tuo nonno quando avevi sei anni e mezzo. C’è ancora il nonno?

È andato via qualche mese fa, lo scorso novembre.

Ti va di parlarne o skippiamo l’argomento?

Parliamone.

Che peso ha avuto quel nonno sul Luca bambino?

Nonno mi ha dato tanto. Mi ha inserito nel tennis e per questo gli sarà sempre grato: il tennis, così come lo sport in generale, è una parte fondamentale della mia vita perché mi fa spegnere il cervello, sia quando lo pratico sia quando lo guardo in tv. Ho sempre fatto attività sportiva e ne ho sempre tratto giovamento mentale e fisico… Nonno mi stava molto dietro: ci allenavamo spesso io e lui, mi portava a giocare e palleggiavamo insieme. Mi diceva che ero particolarmente portato per il tennis, mi osannava e parlava di me come se fossi un piccolo campione del mondo. Per lui, ero quel figlio maschio che non aveva mai avuto, legame accentuato dall’essere io anche il primo nipote maschio della famiglia.

Nel guardare al tuo curriculum, non possono non sottolineare come tu nel 2005 abbia preso parte al videoclip di Arriverà l’amore, canzone di un’amica di molti di noi: Emma Marrone. Sei il ragazzo che si vede baciare un altro ragazzo.

Sebbene sia stato girato solo nove anni fa, sembra essere passato un secolo. Quella era un’altra epoca e, molto onestamente, è stato allora molto strano baciare un altro ragazzo. Ero alle mie primissime esperienze e il pensiero di baciare un altro uomo qualche preoccupazione me la dava semplicemente perché ero condizionato dai giudizi del tempo. Per fortuna, pian piano, qualcosa si è mosso in tal senso e oggi non ci penserei nemmeno…

Quel video ha raccolto a oggi oltre 31 milioni di visualizzazioni su YouTube. Hai mai avuto la percezione che abbia avuto effetti sulla tua vita privata?

È successo. Quando il video è stato rilasciato, ci sono stati amici e conoscenti che hanno cominciato a guardarmi in maniera diversa, come per capire se fossi o meno gay. E ricordo anche uno spiacevole episodio capitato in metropolitana: un gruppo di ragazzine, fan di Emma, mi ha riconosciuto chiedendomi se fossi io il ‘f****o’ di quel video. Ho spiegato loro che ero un attore ma non erano convinte della mia risposta: mi ha infastidito e turbato l’accaduto perché in un attimo ho pensato a chi tutti i giorni quella stessa situazione la vive dovendosi di fronte alla derisione o alla frecciatina giustificare per qualcosa per cui non dovrebbe. E sembravano anche offese dalla mia risposta, andando via senza nemmeno scusarsi.

Paolo Taviani, uno dei due registi del film Una questione privata a cui hai preso parte, è scomparso da qualche giorno. Che ricordo conservi di quell’esperienza?

Un bellissimo ricordo. Era il secondo o terzo film per cui ero stato scelto. Da fan di Luca Marinelli, di cui come attore ero innamorato per film come Lo chiamavano Jeeg Robot e Non essere cattivo, mi sembrava incredibile poter lavorare con lui. A pensare al binomio Tavani-Marinelli non stavo più nella pelle, una sensazione che si è trasformata in concretezza sul set: i due registi sono stati due maestri e Luca un fratello maggiore.

Folle d'amore - Alda Merini: Le foto

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In Folle d’amore – Alda Merini hai ritrovato come partner di scena Rosa Diletta Rossi, con cui avevi già lavorato nella serie tv Nero a metà 3.

Avevamo interpretato gli amanti/fidanzati in Nero a metà 3 quando inaspettatamente ci siamo ritrovati marito e moglie in Folle d’amore: non è qualcosa che capita tutti i giorni. Sul set della serie tv, però, nonostante le tante scene girate insieme, non avevamo avuto la possibilità per via dei tempi stretti di conoscerci molto a livello umano, cosa che è invece avvenuta a Torino mentre giravamo il film di Faenza. Ciò mi ha permesso di scoprire in lei un’amica a cui oggi voglio molto bene: in un mese e mezzo si sia creato un legame molto più stretto rispetto ai sei mesi di ripresa precedenti e ciò ha anche facilitato la riuscita delle scene insieme.

Capita di vedere sul tuo profilo delle foto Instagram in cui sei a torso nudo e, dunque, la domanda è quasi d’obbligo: che rapporti hai con il tuo corpo?

In questo momento, non ho un bel rapporto: non mi sento in confidence. Sono un po’ fuori allenamento, mi vedo un po’ di pancia e comincio a sentire il peso del tempo che scorre. Me ne rendo conto da piccole cose: se prima non prendevo un grammo anche quando stavo fermo per mesi pur mangiando l’impossibile, ora il mio metabolismo sta iniziando a rallentare. Dovrei tornare a darmi da fare, anche perché l’ansia da pancetta per me è una novità e un po’ mi destabilizza.

Qual è il sacrificio maggiore che ha comportato scegliere come lavoro quello dell’attore?

Il non poter pianificare nulla, nemmeno la più banale delle vacanze: l’incertezza fa sì che tu non sappia mai quando lavorerei e, quindi, occorre tenersi sempre pronto. Ed è sempre l’incertezza che non ti fa programmare nulla sul tuo futuro o sull’avere una famiglia o dei figli: non puoi organizzare o progettare nulla, dalle cose più stupide alle più importanti.

È spiazzante la tua sincerità.

È sempre importante essere se stessi quando si parla con qualcuno. Di solito non parlo per compiacere gli altri o per far sì che gli altri siano contenti di ciò che dico: lo faccio per dire quello che penso realmente.

Luca Cesa (Foto: Gioele Vettraino; Abiti: Primordium Lab; Press: Marta Scandorza).
Luca Cesa (Foto: Gioele Vettraino; Abiti: Primordium Lab; Press: Marta Scandorza).
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