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Luca Criscenti: “La versione di Anita Garibaldi, una donna libera, coraggiosa e moderna”

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Abbiamo incontrato il regista Luca Criscenti, che grazie al suo film La versione di Anita rilegge e ridà giustizia alla figura di Anita Garibaldi, per troppo tempo circondata di falsi miti e narrazioni fuorvianti e, talvolta, anche devianti.
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Raccontare Anita Garibaldi, in bilico tra passato e presente, in un film come mai fatto finora è quello che si propone Luca Criscenti con La versione di Anita. Distribuito da Exit Media a partire dal 1° giugno, La versione di Anita è frutto del lavoro di scrittura dello stesso regista con la storia Silvia Cavicchioli, autrice del libro Anita. Storia e mito (Einaudi, 2017), e la sceneggiatrice Daniela Ceselli, collaboratrice anche dell’ultimo film di Marco Bellocchio. Con la produzione di Criscenti e Juan Zapata, ha avuto la sua presentazione al 25° Festival Internacional de Cine de Punta del Este, in Uruguay, dove ha ricevuto una menzione speciale, e parteciperà in questi giorni a Buenos Aires, in Argentina, al prestigioso Festival dei Diritti Umani.

In poche parole, quella che il film La versione di Anita racconta è la storia di una donna libera e coraggiosa, che va ben oltre la figura di Giuseppe Garibaldi. Grazie alle interpretazioni di Flaminia Cuzzoli e Lorenzo Lavia, La versione di Anita sfrutta l’espediente dell’intervista (impossibile) che ai giorni nostri Anita Garibaldi concede al giornalista Marino Sinibaldi nei panni di se stesso per demistificare alcuni dei luoghi comuni che sulla compagna dell’eroe dei due mondi si sono tramandati in base alle diverse epoche. Un progetto particolare che fa leva su un’accurata ricerca storica, fatta di documenti, visioni, ricerche e sopralluoghi nei luoghi in cui Anita è nata, si è mossa ed è morta, tra Sud America e Italia.

Del film, della sua genesi e dei falsi miti smantellati su Anita Garibaldi dal film La versione di Anita abbiamo parlato con il regista Luca Criscenti con un’intervista esclusiva che ci aiuta a capire quanto la leggenda sia ancora vita anche grazie al supporto degli storici che accompagnano la narrazione. Rimettere in discussione le fonti è, in fondo, necessario, soprattutto quando a farlo è la stessa voce di Anita, più incoercibile che mai.

Intervista esclusiva a Luca Criscenti

Da dove nasce l’idea di raccontare in chiave inedita la figura di Anita Garibaldi?

Abito a Roma, non lontano dal Gianicolo, un luogo per me del cuore e dell’infanzia. Mio nonno mi portava spesso a vedere il cannone, la statua di Giuseppe Garibaldi e la statua di Anita: sono tra i primissimi ricordi d’infanzia che ancora conservo e che avranno influito nell’inconscio. L’idea è nata dopo aver letto il libro in cui Silvia Cavicchioli (divenuta poi cosceneggiatrice del mio film) prova trovare la quadra sulla storia di Anita tra i pochi documenti storici che abbiamo e i tanti racconti sul suo conto soprattutto maschili.

Il racconto di Anita è sempre stato filtrato da diversi mediatori, il primo dei quali è Garibaldi stesso con le sue memorie, e in base alle diverse epoche storiche. A metà dell’Ottocento la si dipingeva ad esempio come una guerrigliera anche a ridosso della morte, come una donna coraggiosissima col coltello tra i denti e pronta a sfidare senza paura qualsiasi pericolo. Dopo l’unità d’Italia, quando la figura di Garibaldi va incontro a un processo di normalizzazione e la si trasforma in patrimonio dell’Italia liberale (ma se vogliamo persino della monarchia), per raccontare di Anita si è privilegiato un aspetto molto più domestico: quello della moglie, della madre e della donna che accompagna l’eroe.

Durante gli anni del fascismo, Anita è diventata funzionale al gioco di Mussolini. Il duce provava da un lato a costruire un’immagine di sé come erede del garibaldinismo e da un altro lato a sottolineare come Garibaldi avesse avuto Anita al suo fianco mentre lui no. Con l’avvento della Repubblica, è cambiata notevolmente la narrazione su Garibaldi ma rimane da chiedersi come mai una donna così particolare come Anita non sia mai entrata per esempio nell’immaginario del femminismo. O perché, se vi è entrata, lo ha fatto solo molto limitatamente, dimenticandosi che è l’unica donna ad avere avuto eretta in suo onore una statua equestre con il cavallo rampante.

Forse alla base di tale rifiuto o della poca considerazione c’è molto probabilmente la percezione di Anita semplicemente come donna di un capo come Garibaldi la cui ombra nasconde anche lei. Il mio tentativo è quello di far uscire Anita dall’oscurità con l’aiuto di Cavicchioli, che da storica mi garantiva dati certi e credibili, e dell’altra cosceneggiatrice, Daniela Ceselli, una scrittrice di grande professionalità che ha collaborato anche alla sceneggiatura dell’ultimo film di Marco Bellocchio, Rapito, oltre che di vari suoi altri lungometraggi.

Con Daniela, donna di grande fantasia, abbiamo giocato e pensato di attualizzare la storia di Anita stabilendo un ponte temporale tra il passato e il presente e, soprattutto, dando la parola ad Anita stessa. Proviamo a vedere come Anita in persona si pone via via di fronte alle fonti storiche per capire quale verità ci racconta.

Nel tuo film, La versione di Anita, il racconto parte da molto lontano, dagli anni dell’infanzia di Anita in Brasile. Figlia di una famiglia povera, con mamma sarta e papà allevatore, Anita dimostra tutto il suo carattere quando a 12 anni perde il padre e comincia a difendersi anche dai tanti uomini adulti che la infastidiscono.

Più che infastidirla, che le mettevano le mani addosso… Su un aspetto occorre essere chiari: di Anita prima dell’arrivo di Garibaldi nella sua vita sappiamo ben poco. Non esiste ad esempio un atto di battesimo e la data stabilita per la sua nascita, il 30 agosto 1821, è convenzionale. Potrebbe essere nata quel giorno o un mese prima, non c’è nessun documento storico che l’attesti, anche se negli ultimi tempi in Brasile spuntano come funghi documenti sulla sua infanzia la cui attendibilità è tutta da dimostrare.

Quello che sappiamo di certo è che Anita è nata in una famiglia molto numerosa, forse povera proprio perché numerosa: i genitori lavoravano entrambi, ragione che cui non erano proprio poverissimi ma pur sempre genitori di 10 o più figli. Tanti sono gli aneddoti che, non storicamente provati, si sono tramandati oralmente su Anita dopo la morte del genitore e tutti concordano su come fosse una bambina dal carattere molto vivace, capace di rispondere o di imporre la cifra di quello che sarà il suo carattere da donna libera… a tutto campo, non solo rispetto alla politica ma anche rispetto agli stessi rapporti con Garibaldi.

Almeno questa è l’idea che ci siamo fatti. Anita è stata un personaggio molto particolare ma, trattandosi pur sempre di una donna di una certa epoca, era inevitabile chiedersi che rapporto avesse con un uomo così ingombrante come Garibaldi. Noi una risposta ce la siamo data: un po’ Anita se la comandava…

Ecco perché nell’immaginare la relazione con Garibaldi abbia giocato a demistificare alcune cose contenute in alcune delle biografie più famose sull’eroe dei due mondi. Come ad esempio l’aneddoto, divenuto quasi verità storica, riportato nella biografia scritta da Jessie White Mario (una donna, una volta tanto) negli anni Ottanta, in cui si asserisce che Anita andava in giro con due pistole: una per sparare eventualmente a Garibaldi e una per sparare alla sua eventuale amante. La gelosia fa parte di uno dei tanti luoghi comuni che hanno costruito nel tempo intorno alla sua figura... aveva sì un carattere focoso ma non siamo così sicuri che avrebbe potuto sparare a Garibaldi: sarebbe stata più donna da due calci dati…

Il poster del film La versione di Anita.
Il poster del film La versione di Anita.

A proposito di rapporti di genere, due anni dopo la morte del padre, Anita sposa con la costrizione un uomo molto più grande di lei. Un matrimonio che diventa quasi controproducente per la stessa Anita per il racconto che se ne deve fare in Italia nel momento in cui intraprende la sua relazione con Garibaldi.

Chiaramente si deve riportare tutto ai suoi tempi. Una cosa del genere ai giorni nostri sarebbe assurda: un primo matrimonio non è da ostacolo a un nuovo amore per nessuno, neanche per quelli che partecipano ai Family Day! (ride, ndr). All’epoca, però, per la Chiesa rappresentava un problema: era comunque un sacramento anche dalla forte valenza sociale, anche in Sud America, forse ancora più bigotto dell’Italia.

Eppure, Anita non ci pensa due volte ad andare con l’uomo che ama, una scelta ancora oggi poco sottolineata: Anita molla del tutto Duarte per seguire colui che ama in piena libertà, al di là delle convenzioni e delle regole che la Chiesa imponeva.

La Chiesa non ha mai digerito del tutto quel primo matrimonio e questo è anche uno dei motivi per cui si è faticato anche a erigere un monumento in onore di Anita. Mussolini ci è riuscito dopo il compromesso storico tra Stato e Chiesa.

Altro elemento biografico certo di Anita Garibaldi è la morte di una dei figli avuti da Giuseppe Garibaldi, Rosita, a soli due anni. Il dolore, nel tuo film, sembra segnarla.

Anche in questo caso dobbiamo fare i conti con il passato quando la morte dei bambini era molto più comune di oggi e, di conseguenza, aveva una carica di sofferenza sicuramente minore. Il rapporto tra genitori e figli era molto più libero tanto che i secondi venivano spesso lasciati a se stessi per forza di cose. Leggendo le parole di Garibaldi, si sente però del dolore profondo quando racconta della morte di Rosita, ragione per cui abbiamo pensato che il lutto abbia colpito profondamente anche Anita. Era sì una donna libera e coraggiosa ma era anche una moglie e una madre affettuosa.

Tuttavia, non casalinga come a un certo punto una certa narrativa la descrive, soprattutto negli anni in cui si trova a Montevideo. Anche in Uruguay Anita si rende protagonista di un’altra scelta di libertà incredibile: molla il Sud America e parte per l’Italia per stare vicina a Garibaldi, rientrato nel frattempo in patria. E parte fondamentalmente da sola, lasciandosi alle spalle il continente e l’oceano per andare, a soli 24/25 anni, a Nizza, in un posto dove a malapena conosce la lingua.

E dove in un primo momento è costretta a vivere con la suocera, con cui si dice che i rapporti non fossero proprio idilliaci…

Sui rapporti con la suocera ci sono narrazioni che hanno calcato forse un po’ troppo la mano. È comunque ammissibile che la suocera, di fronte a una brasiliana con tre figli, s’è posta qualche domanda…

Marino Sinibaldi e Flaminia Cuzzoli in una scena del film La versione di Anita.
Marino Sinibaldi e Flaminia Cuzzoli in una scena del film La versione di Anita.

In La versione di Anita, Anita oggi si racconta tramite un’intervista radiofonica al giornalista Marino Sinibaldi: perché sei ricordo a tale escamotage per il tuo film?

È una delle invenzioni che abbiamo costruito con Daniela Ceselli: ci serviva come cornice narrativa per mandare avanti il racconto. Ci piaceva l’idea del passaggio radiofonico e abbiamo trovato la disponibilità di un giornalista di lungo corso ed ex direttore di Rai Radio Tre come Sinibaldi, che si è prestato in questo gioco tra realtà e finzione a essere se stesso. Così facendo, abbiamo evitato il racconto in prima persona e scongiurato il rischio che non funzionasse.

Per i ruoli di Anita e Giuseppe Garibaldi ti servi di due validi attori come Flaminia Cuzzoli e Lorenzo Lavia.

Flaminia mi ha letteralmente folgorato. Si è presentata ai provini con delle treccine e sono rimasto colpito dal suo viso: in qualche modo, per me era perfetta. Quando l’ho vista, dopo settimane di provini, non ho avuto alcun dubbio e la mia intuizione si è rivelata molto felice: è stata bravissima nel districarsi con un personaggio poliedrico e ricco di sfaccettature. Lo stesso dicasi per Lorenzo Lavia: aveva la faccia giusta per quel Garibaldi che volevamo antieroico e lontano dal racconto classico.

Racconto classico che è anche racconto cinematografico. In La versione di Anita si citano due film che raccontano la sua storia: Anita Garibaldi di Mario Caserini del 1910 e Camicie rosse di Goffredo Alessandrini del 1952 (in cui Anita è interpretata da Anna Magnani e Garibaldi da Raf Vallone). E se ne prendono le distanze. Quanto è difficile per un regista prendere apertamente le distanze da opere firmate da altri autori?

Torna sempre fuori il discorso delle fonti storiche. Nel film del 1910, Anita è rappresentata come una contadinella folgorata dal fascino dell’eroe e con dei richiami, secondo alcuni storici, all’iconografia biblica di Rachele e Isacco: era il tentativo normalizzatrice di una donna che non poteva essere troppo focosa o fuori dalle regole condivise.

Il film di Alessandrini (con un aiuto regista d’eccezione come Francesco Rosi e con una sceneggiatura firmata tra gli altri da Enzo Biagi) mi è invece tornato utile per demistificare il racconto degli ultimi mesi in Italia di Anita: a quasi due passi dalla morte, viene rappresentata ancora coraggiosa e indomita quando invece era malata e febbricitante, in fuga da un mese con Garibaldi e con quattro eserciti al seguito. E no, non poteva essere così forte come la ritrae Anna Magnani…

La versione di Anita: Le foto del film

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Il tuo film è frutto anche di una grandissima ricerca d’archivio.

Le fonti entrano in gioco anche nel racconto: Anita stessa interagisce ad esempio con la scena di Camicie rosse mentre vede quel film nel televisore di un bar oppure sta all’interno di un cinema con Garibaldi a guardare le immagini del trasbordo della sua salma. Entra anche all’Archivio di Stato di Bologna per leggere un documento, va in una chiesa di Montevideo per vedere l’atto di matrimonio… è stato fatto un gran lavoro.

Un lavoro che vi ha portato a girare, nella ricerca di autenticità, nei luoghi in cui Anita è vissuta, tra Italia e Sud America.

C’è oramai una lunga tradizione di interviste impossibili ma i luoghi così come i documenti rendono La versione di Anita differente dalle altre. È stato emozionante ad esempio per entrare nella casa di Montevideo dove Anita e Garibaldi hanno vissuto per anni: ne immaginavi il contesto e le situazioni. Sui luoghi abbiamo discusso molto ma ho voluto che ci fosse ad esempio la parentesi al Teatro Carlo Felice a Genova, quando Anita, figlia della pampa e combattente, viene portata a vedere l’opera sicuramente per la prima volta in vita sua. Ma anche la pineta di Ravenna, le Valli di Comacchio e la fattoria di Mandriole in cui Anita è morta. Per me era importante seguire i luoghi in cui è stata e vedere anche come si sono trasformati nel tempo.

Quando sei stato in Sud America, hai avuto la curiosità di capire quale sia oggi la visione che la gente del posto ha di Anita?

È pazzesco: a Laguna c’è una venerazione incredibile per Anita. Siamo stati accompagnati dall’ex sindaco, presente anche nel mio film, che ha cercato di mantenere viva la memoria di Anita trasformandone ad esempio la casa in museo. Ci ha anche organizzato un incontro con un gruppo eterogeneo di donne che, tutte vestite più o meno allo stesso modo con una divisa, hanno anche intonato un canto di giubilo nei confronti della nostra Anita.

A Montevideo, capitale dell’Uruguay, c’è una Piazza Anita Garibaldi, così come a Porto Alegre c’è una statua di Anita con Giuseppe (anche se Giuseppe è in piedi e lei in ginocchio). Ma di statue ce ne sono tantissime sparse per il Brasile, dove nello stato di Santa Caterina e in quello di Rio Grande do Sul c’è ancora un fortissimo e vivo ricordo. Quando siamo stati a girare a Mostardas, nel luogo in cui secondo la tradizione è nato il primo figlio di Anita e Garibaldi (Menotti), un signore si è presentato vestito da garibaldino!

Tuttavia, quello che più mi sorprende è il ricordo che di Anita si ha in Romagna, dove se ci pensiamo è rimasta poco tempo (un giorno e mezzo). La prima statua a lei dedicata è stata eretta a Ravenna negli anni Ottanta dell’Ottocento…

Luca Criscenti, regista del film La versione di Anita.
Luca Criscenti, regista del film La versione di Anita.
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