Luca Filippi è un nome che negli ultimi anni ha saputo farsi spazio nel panorama cinematografico e televisivo italiano, conquistando il pubblico con interpretazioni profonde e complesse. Attore di talento, volto noto di serie di successo come Lidia Poët o Fiori sopra l’inferno, Luca Filippi rappresenta l’incarnazione di un artista che non si è mai arreso alle difficoltà, trasformando ogni sfida personale in un trampolino di lancio verso una carriera brillante. Ma dietro il fascino del grande schermo e la magia del teatro si cela una storia intima e intensa, quella di un giovane uomo che ha combattuto contro i propri limiti per trovare una voce autentica e inconfondibile.
In questa intervista esclusiva, Luca Filippi ci racconta con rara sincerità il percorso che lo ha portato a diventare l’attore che è oggi. Partendo da un’infanzia segnata dalla balbuzie, una condizione che ha messo a dura prova la sua sicurezza e la sua capacità di esprimersi, Luca Filippi ha trovato nella recitazione non solo un mestiere, ma un modo per esorcizzare le proprie paure. “La balbuzie mi condizionava tanto da piccolo”, confessa, “ma la recitazione mi ha permesso di mettermi nei panni di un altro, spostando il giudizio dal mio Luca al personaggio che interpretavo”.
La vita di Luca Filippi è un viaggio tra luce e ombra, tra il desiderio di affermarsi e la necessità di ritrovarsi. Oggi, con uno sguardo che brilla di passione e determinazione, Luca Filippi porta sullo schermo un nuovo capitolo della sua carriera, vestendo i panni di Teschio, un giovane spacciatore negli ultimi episodi di Libera, la serie TV di Rai 1 in onda dal 19 novembre. "Teschio è un personaggio che vive nei bassifondi, risponde agli ordini di un boss e si muove sempre in ombra", ci spiega Luca Filippi, lasciando trasparire tutta la complessità del ruolo. “Ho lavorato molto per cercare di restituire un’interpretazione misurata ma d’impatto.”
Ma quanto di Luca Filippi c’è in un personaggio come Teschio? Quanto può incidere il passato su chi si diventa e su ciò che si interpreta? In questa lunga conversazione, Luca Filippi si apre senza riserve, raccontando non solo il suo percorso professionale, ma anche il significato più profondo che ha attribuito alla recitazione. Non si tratta solo di ambizione: per Luca Filippi, il mestiere dell’attore è diventato una necessità esistenziale, un modo per rimanere vivo e connesso al mondo.
Dalle prime esperienze in Trentino, sua terra natale, al trasferimento a Roma per frequentare scuole prestigiose come la “Gian Maria Volonté”, Luca Filippi ha costruito la sua strada con una determinazione rara. "Non ho mai avuto dubbi: dovevo uscire dal mio piccolo mondo, esplorare e scoprire una nuova vita", racconta, ricordando i primi passi in una città che inizialmente gli era estranea ma che oggi considera casa. “Il primo sì della mia carriera è stato per il cinema, e non lo dimenticherò mai: quel momento mi ha confermato che stavo seguendo la strada giusta”.
Ma non sono stati solo i successi a definire Luca Filippi: anche i no, le difficoltà e i momenti di crisi hanno contribuito a formare l’attore e l’uomo che conosciamo oggi. "Un no può scoraggiarti o farti crescere," riflette. "Oggi lo vedo come un segnale che non ero la persona giusta per quel ruolo, non un giudizio sul mio valore". Una consapevolezza maturata negli anni e che gli ha permesso di affrontare con maggiore serenità anche le incertezze di un mestiere tanto affascinante quanto imprevedibile.
Intervista esclusiva a Luca Filippi
“Il mio è un personaggio che compare negli ultimi due episodi”, esordisce Luca Filippi quando gli si chiede di raccontare chi interpreta nella serie tv di Rai 1 Libera, in onda dal 19 novembre, Teschio.
“Visivamente ha i caratteri dell’antagonista: è un piccolo spacciatore che si muove nei bassifondi e risponde a Kovacic, il suo boss, un uomo molto ambiguo coinvolto in affari non proprio puliti. Esegue semplicemente i suoi ordini senza farsi troppo domande e anche con un certo disinteresse proprio perché è molto ingenuo e non percepisce il pericolo, non rendendosi conto di rimanere coinvolto in una questione molto più grande di lui che lo mette a rischio. E più di ciò non aggiungo per evitare spoiler”, sorride Luca Filippi.
Già il solo nome, Teschio, incute timore. Com’è stato per chi come te ha gli occhi così luminosi camminare sul lato delle ombre?
Il regista, Gianluca Manzella, ha voluto un po’ smorzare la forza del mio sguardo, chiedendomi di non sbarrare troppo gli occhi per non sembrare Jack Nicholson in Shining o, come mi è stato recentemente detto a un provino, Malcolm McDowell in Arancia meccanica. Quindi, Teschio non ha per nulla l’aspetto dello psicopatico, anzi: è sì uno spacciatore che fa uso di sostanze ma è molto sereno, tranquillo e in grado di muoversi rapidamente ma contemporaneamente con i suoi tempi: aspetta che siano sempre gli altri a tirargli fuori le informazioni che servono, rimanendo nel suo mondo, in ombra.
Teschio sta nel suo mondo… e Luca è sempre stato nel suo?
Diciamo che Luca sicuramente voleva fuggire dal suo mondo, quello che fin da piccolo lo portava a fare i conti con un problema che gli stava troppo stretto: la balbuzie. Ho lottato molto con le parole e con quella vocina dentro che mi ripeteva che non sapevo parlare, che non potevo esprimermi, che non sarei mai riuscito a comunicare come volevo e, appunto, ad intrattenere. Ho vissuto male quella condizione che mi segnava fino a quando a scuola non ho avuto la possibilità di uscire dal mio guscio e gestire, per un programma formativo, un albergo per un mese.
Tra le varie attività da svolgere, c’era anche l’animazione serale per le classi, qualcosa in cui mi sono buttato e che mi è piaciuto. Il mettermi in gioco in quella circostanza mi ha fatto poi comprendere che volevo uscire da quell’universo ormai per me stretto che era anche il mio Trentino: dovevo andare fuori, essere curioso, esplorare e conoscere un’altra vita.
Il non riuscire a esprimersi fluidamente intaccava in qualche modo la tua identità, chi eri e come ti relazionavi con gli altri?
Sicuramente mi generava tantissima insicurezza proprio perché non riuscivo a esprimermi per una condizione subdola come può essere la balbuzie: sai di riuscire a dire una determinata parola ma non sai mai se saprai farlo nel momento in cui ti servirà. Molto banalmente, anche quando entri in un bar per chiedere un caffè, non sai se riuscirai a portare a termine la tua ordinazione: per non mostrare all’altro che balbetti, finisci con l’ordinare tutt’altro pronunciando la prima parola che non ti faccia incappare nel balbettio… quando capita, avverti che stai per balbettare e giochi di anticipo, finendo con il fare anche scelte che non volevi.
Quindi, sì, la balbuzie mi ha condizionato tanto da piccolo. Mi ricorderò sempre quelle assemblee scolastiche in cui chiunque poteva alzare la mano per porre una domanda su una determinata questione ma non io: anche se ne avessi avuta una, me la sarei tenuta perché, se mi avessero dato la parola, mi sarei dovuto esprimere con la paura di balbettare davanti a tutti i compagni e di quello che avrebbero pensato.
Ho amato la recitazione proprio perché mi permetteva, grazie alla fantasia, di dire “Non sono io”: mettendomi nei panni di un altro, il giudizio non avrebbe più riguardato Luca ma il personaggio che interpretavo. Qualora si fosse presentata la balbuzie, sarebbe stato un problema suo e non mio.
Come se ci fosse una sorta di proiezione sull’altro del giudizio che poteva arrivare…
Esatto ma è una deduzione molto matura a cui sono giunto molto più avanti nel mio percorso. Da piccolo, era più forte la sofferenza e il senso di colpa che provavo nel chiedermi perché non parlassi come tutti gli altri: è stata per molto tempo la domanda che mi sono posto e che mi ha perseguitato fino a quando non ci ho fatto pace.
Sei stato più inclemente tu con te stesso o gli altri?
Sicuramente io. Negli anni del lavoro da attore, ho trovato persone che mi hanno sempre messo a mio agio ricordandomi che, se mi trovavo lì, non era per caso ma perché mi avevano scelto: ero quello giusto al posto giusto. È sempre stato un problema mio, figlio del desiderio di voler performare a tutti i costi e di essere sempre al top… anche perché, in una società che punta alla performance in tantissimi ambiti, è impossibile non sentire ancora di più il problema sullo spalle.
Cosa hai pensato nel momento in cui la recitazione ti ha restituito il primo sì?
Credo che si viva per quei frangenti lì: il primo “sì” è arrivato per il cinema e non lo dimenticherò mai. Dopo aver scoperto cos’era ciò a cui ambivo, mi sono messo a cercare su Google tutte le migliori scuole di recitazione da Rovereto, dove vivevo, in giù e il primo risultato mi portava inevitabilmente a Roma. Non ho avuto dubbi, ho contattato la Fondamenta per il provino, l’ho sostenuto e sono stato preso. È arrivata dopo la Volonté: ero all’ultimo anno quando ho avuto la possibilità di mettermi alla prova con il mio primo film.
Per In fondo al bosco di Stefano Ludovichi si cercava un ragazzo per un personaggio un po’ autistico originario di un paese di montagna delle mie zone: dovevo avere quel ruolo, lo sentivo mio… E così è stato: sebbene fosse qualcosa di piccolo, sette pose, sono esploso di gioia quando mi è stato comunicato, dopo tre o quattro provini, di essere stato preso. Non ero più io a dirmi che potevo fare quel lavoro ma qualcun altro…
È come se ti fosse stato detto “tu vali”.
Una frase di cui dovremmo ricordarci tutti ma che molto spesso dimentichiamo, soprattutto nei momenti di vuoto lavorativo o nei periodi di crisi: sarebbe invece importante riconoscere sempre le qualità, il valore, il talento e la bravura che si hanno. Quando non solo gli altri a darti una pacca sulla spalle per dirti “bravo”, devi dartela da solo… so che sembra presuntuoso dirlo ma si tratta di una grande atto di autodeterminazione: vali anche al di là del tempo che stai passando a oziare o a guardare il soffitto.
E come reagisci di fronte a un “no”?
In passato, un no mi scoraggiava mentre adesso, con il passare del tempo e con la maturità, sono più corazzato. Ho imparato a capire che il “no” non equivale a un “tu non vali”: semplicemente, non eri la persona giusta per quel personaggio o per quel ruolo, non rispondendo a ciò che il regista o la regista stava cercando. L’importante per me è aver sostenuto sempre un buon provino, presentandosi preparati: mi colpevolizzo quando mi rendo conto che avrei potuto fare di più ma, quando esco da un casting con la sensazione di aver dato il mio meglio, sono felice… anche se poi dovesse arrivare il “no”, avrei comunque lasciato una bella impressione, donando qualcosa che in futuro potrebbe anche tradursi in un’altra occasione.
Nel tuo percorso personale, quando ti sei reso conto di essere diventato “maturo”?
Domanda interessante: magari non lo sono ancora… è difficile separarsi dall’idea di essere comunque sempre un ragazzo e accettare di diventare un uomo. Ma è proprio quello che mi si chiede, anche da un punto di vista lavorativo, considerando che mi arrivano anche più proposte per personaggi e caratteri che hanno determinate responsabilità. Il passaggio, però, non è semplice: si è sempre legati a quella parte infantile che non si vuole lasciare andare.
D’altro canto, tuttavia, penso che la mia maturità si esprima nel mio modo di rapportarmi agli altri, di presentarmi ai provini o di relazionarmi alla vita. Ma, se dovessi rispondere nettamente, direi che mi sento ancora un ragazzo per determinati aspetti e un uomo per altri.
C’è qualcosa che negli aspetti per cui ti senti un uomo ti fa paura?
Più che paura, preoccupazione: con l’avanzare del tempo, da figlio, mi preoccupo per i miei genitori. Ogni anni che passa fa sì che invecchino di più e il non viverli abbastanza da vicino comincia a pesarmi. Loro sono rimasti a vivere a Rovereto, dove c’è anche mio fratello con la sua famiglia (sono anche diventato zio!): ho tutti i miei cari in Trentino mentre tutto il resto della mia vita scorre a Roma.
È stato facile per i tuoi assecondare i tuoi sogni?
Sono stato contento che mi abbiano appoggiato. Ma forse lo hanno fatto secondo me con un filo di presunzione nel pensare che dopo aver scoperto come funzionavano le cose sarei tornato a casa. Non avevo del resto mai frequentato corsi di teatro o di cinema: la mia esperienza si limitava a quei due o tre film che vedevo al giorno… e mai da bambino avevo espresso loro il desiderio di far l’attore o mi ero messo in mostra cimentandomi in barzellette o imitazioni, zero di zero.
E, invece, già dal primo anno a Roma mi sono innamorato del lavoro di attore, scoprendo il teatro. E con grande delusione dei miei genitori non sono più tornato indietro (ride, ndr).
Difficoltà nel ricrearti una rete sociale ex novo nella Capitale? Mai avuto paura della solitudine?
Non particolarmente. Per via del fatto che comunque a Rovereto non mi sentivo a mio agio, non ho mai avuto grandi amici in Trentino: a eccezione di quei due o tre storici, tra cui un mio grande amico che ancora oggi vedo tutte le volte che torno a casa, non ho mai stretto dei legami forti… a differenza di quanto avvenuto a Roma, dove sin da subito mi sono sentito in famiglia con i compagni della mia prima classe di recitazione.
Pochi amici per via della balbuzie?
No, non me l’hanno mai fatta pesare. Sinceramente, credo che dipendesse dall’avere stile di vita e ambizioni differenti rispetto agli altri. Guardavamo il mondo da una prospettiva differente ed è questa la ragione per cui ho costruito a Roma tutti quei legami che mi fanno sentire molto meno solo. Avverto forse più oggi la paura della solitudine in futuro nel vedere vari amici conseguire determinati successi in ambito privato quando io invece sono ancora single…
L’aver visto anche mio fratello diventare padre ha un po’ contribuito ad accentuare il timore, facendo sì che senta la preoccupazione di stare prossimamente da solo, di non avere una famiglia o di non aver costruito nulla. In tal ottica, non vedo l’ora di riuscire a comprare casa a Roma per dirmi almeno di aver finalmente messo le radici.
Libera: Le foto della serie tv
1 / 63Che rapporto hai oggi con il tuo corpo?
Solo negli ultimi anni ho voluto lavorarci sopra. Ho avuto comunque la fortuna di essere alto e di non aver avuto mai problemi di peso tanto, per tanti anni ho lavorato come modello e ancora continuo a farlo ma ho sempre considerato il mio corpo bello per certi aspetti e brutto per altri: mi sono sempre visto gracile. E se c’è qualcosa della mia personalità che non voglio far trasparire è proprio la gracilità: fragile sì ma gracile no perché restituirebbe l’idea di non essere forte. Quindi, da almeno quattro anni vado regolarmente in palestra, seguendo un lavoro di rafforzamento per definirmi meglio.
Ma dipende anche dal bombardamento di immagini che arrivano sui canoni estetici maschili da rispettare?
Per molti anni, ho cercato di allontanarmi dall’immagine del maschio da copertina, del tronista con il fisico statuario e scolpito. Ero molto menefreghista ma da un po’ di tanto in qua mi è venuta voglia di assomigliare a loro non solo per avere anche una presenza scenica migliore ma anche per acquisire maggiore sicurezza: sentendomi più forte, apparirò anche più sicuro in tutto ciò che faccio.
“Apparirò” è futuro… significa che non lo sei?
Vado a fasi altalenanti. Ancora non mi sento così forte emotivamente: ogni tanto ci sono ancora quelle vocine interne che mi fanno dubitare di tutto. So che esiste la manopola per zittirle ma partono da sole forse perché in questo momento mi manca una costanza lavorativa e, in una società in cui il lavoro ti definisce, corri il rischio di non sapere più chi sei se per molto tempo non lavori. Ecco perché la mia massima aspirazione è avere una casa: rappresenterebbe le fondamenta di tutto il resto.
Alla luce di tutto ciò, la recitazione è te ambizione o necessità?
In un primo momento, è stata tanto ambizione, il desiderio di mettere da parte il Luca balbuziente di Rovereto per lasciare spazio al Luca che si prende il centro della scena, andando al cinema e in televisione e ottenendo cose che gli altri credevano che non avrebbe mai ottenuto. Il sentimento di rivalsa, quel primo motore che accende un po’ tutti gli attori, per me è stata la balbuzie ma, dopo averci patto pace, ho cominciato a fare i conti con chi volevo essere veramente per tutta la mia vita ed è allora che la recitazione si è trasformata in necessità. E tutto ciò che mi auguro è che la mia energia creativa non si spenga mai, ragione per cui anche quando non lavoro non mi deprimo e cerco di rimanere molto attivo, energetico!