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Lucia Mascino: “Il calore della recitazione” – Intervista esclusiva

Lucia Mascino
In scena a teatro con tre differenti spettacoli, Lucia Mascino si racconta a The Wom in maniera inedita, affrontando temi come la depressione, la sessualizzazione del corpo femminile e il gender gap, e rivelando molto del suo percorso di vita come donna.
Nell'articolo:

Lucia Mascino, poliedrica attrice anconetana, con la sua presenza scenica magnetica e la capacità di navigare attraverso la complessità dell'esistenza umana, ci invita in un viaggio teatrale che esplora le profondità dell'animo umano in maniera tanto sensibile quanto profonda. L'attrice si appresta, infatti, a portare in scena tre spettacoli teatrali che, pur nella loro diversità, si fondono in un unico, grande racconto della condizione umana: dalla tragicità intrisa di comicità al dramma più puro e intenso, Lucia Mascino si muove con agilità tra i generi, dimostrando una versatilità artistica che tocca il cuore dello spettatore.

Attraverso L'origine del mondo, uno spettacolo cult di Lucia Calamaro già rappresentato con successo nel 2011, Lucia Mascino ritorna a calcare le scene del Teatro Argentina di Roma, non solo come interprete ma come catalizzatrice di un'energia esplosiva che promette di lasciare un'impronta indelebile nel pubblico. La sua interpretazione in quest'opera di Lucia Calamaro, così come nei monologhi Smarrimento e In sen(n)o, si annuncia come un'esperienza teatrale capace di sondare le pieghe più intime e oscure della psiche umana, affrontando temi universali come la depressione, la solitudine, l’esposizione precoce alla sessualizzazione e il senso di smarrimento che spesso accompagna il nostro percorrere la vita.

Lucia Mascino, con la sua profonda sensibilità artistica e personale, si fa portavoce di una narrazione che interpella direttamente lo spettatore, invitandolo a una riflessione sul significato dell'esistenza, sulle relazioni umane e sulla capacità dell'arte di fungere da specchio delle nostre anime. È, quella di Lucia Mascino, una testimonianza del potere trasformativo del teatro, capace di elevare l'individuo e di offrire una prospettiva nuova sul mondo che ci circonda.

In quest'intervista in esclusiva, Lucia Mascino ci offre un assaggio della sua arte, ricordandoci che il teatro è molto più di una semplice rappresentazione: è un dialogo aperto con il pubblico, una ricerca continua che sfida convenzioni e stereotipi, conducendoci verso una maggiore comprensione di noi stessi e dell'umanità tutta. La sua visione artistica si rivela un invito a immergerci in storie che, pur radicate nella specificità dell'esperienza umana, trascendono il personale per toccare l'universale, dimostrando come, attraverso l'arte, possiamo trovare connessione, empatia e, infine, speranza.

E, aspetto quasi inedito, per la prima volta Lucia Mascino, da sempre restia a scendere in resoconti personali, parla di sé, della sua esperienza di vita e delle scelte che l’hanno portata oggi a essere uno dei volti più interessanti del panorama contemporaneo.

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Lucia Mascino (Foto: Martina Mariotti; Press: Cristiana Zoni @CZ - 24 Comunicazione).
Lucia Mascino (Foto: Martina Mariotti; Press: Cristiana Zoni @CZ - 24 Comunicazione).

Intervista esclusiva a Lucia Mascino

“È una cosa assolutamente anomala per me, non mi succede spesso”, mi risponde Lucia Mascino quando le chiedo se siano un caso i tre spettacoli teatrali che porterà in scena uno dietro l’altro. “Si tratta di tre spettacoli completamente diversi. Certo, due sono monologhi ma di natura sono molto lontani l’uno dall’altro: uno è tragicomico mentre l’altro è assolutamente serissimo. Mentre il terzo, L’origine del mondo, è la ripresa di uno spettacolo cult del passato, già rappresentato nel 2011, di Lucia Calamaro, anche autrice di Smarrimento, uno dei due monologhi”.

“In L’origine del mondo, la mia è una parte ristretta a livello di tempo. Entro in scena del secondo atto e porto una specie di carico energetico esplosivo: lo spettacolo non è sulle mie spalle e mi considero una velocista, caratteristica che ha reso possibile la mia presenza, perché altrimenti sarebbe stato quasi un esercizio virtuosistico di capacità. Ho accettato per tale ragione e, poi, perché mi permetteva anche di tornare al Teatro Argentina di Roma, dove ero già stata in passato. Anche lo scorso anno mi è capitata una situazione del genere, in cui avevo più spettacoli da portare in scena: è strano… mi fa estremamente piacere ma raramente occupo tutto l’anno con il teatro”.

Non lo occupi per ritagliarti del tempo per altro o per non stancare il pubblico?

Perché voglio fare anche cinema e televisione. Mi fa piacere dedicarmi al teatro ma da velocista, come dicevo prima: preferisco sei giorni intensi a quattro mesi, a differenza di chi preferisce essere maratoneta. Non è per non stancare il pubblico perché quello cambia sempre, di spettacolo in spettacolo.

Partiamo allora dal raccontare il primo spettacolo: L’origine del mondo, in cui condividi la scena con Concita De Gregorio e Alice Redini.

È composto da tre atti e in scena ci sono tre donne, una nonna, una madre e una nipote, tre generazioni di donne. L’aspetto meraviglioso del teatro di Lucia Calamaro è dato dal fatto che gli attori, in questo caso le attrici, non sono scelte in base alla loro età anagrafica, motivo per cui io mi ritrovo a interpretare la nonna, la madre di Concita De Gregorio. Ed è un aspetto che mi piace perché è molto più libero e simbolico, dettato solo dalla credibilità scenica.

Sono dunque una nonna molto borghese che, nel secondo atto, irrompe nell’interno in cui si svolge la storia per dare una scossa alla figlia in depressione. La protagonista non riesce a uscire di casa, si nasconde dentro le mura domestiche e si sente dentro persa in un’infinità. È una donna in difficoltà la cui madre entra in scena portando un’esplosione energetica con la sua piazzata: mi ritrovo quindi a dirne di tutti i colori a questa figlia, condensando tutti quei discorsi che le madri fanno alle figlie in una vita in un unico atto, di per sé anche molto comico rispetto alla cifra profonda e riflessiva degli altri due.

La donna borghese che interpreto, per usare un’espressione di Lucia Calamaro stessa, è “preanalitica”: l’analisi ha un ruolo importante nello spettacolo ma la mia madre appartiene a quella categoria di persona per cui “la psicanalista è l’idraulica dello spirito o l’ortopedica dell’anima”. Non crede nel suo potere e sprona la figlia all’azione.

Alice Redini, Concita De Gregorio e Lucia Mascino.
Alice Redini, Concita De Gregorio e Lucia Mascino.

L’atto di per sé è molto divertente ma l’argomento è di stretta attualità. Si parla di depressione, stati d’animo, indifferenza e solitudine.

Raramente si vede uno spettacolo che tocca la questione con toni che non siano pesanti. Pur conservando profondità, si cerca di sorridere affrontando una malattia molto attuale e presente di cui si soffre sempre più spesso. L’origine del mondo è una sorta di notturno con alba perché attraversa la depressione e ne racconta l’uscita: la protagonista ne uscirà ma non grazie alla strigliata della madre, non diamole meriti che non ha. Ne uscirà perché decide di non negare il momento e di affrontarlo.

Cosa conoscevi personalmente della depressione?

Conosco la depressione e so quanto sia una malattia terribile, ragione per cui quando sento dire a qualcuno, molto banalmente, “sembri depressa” provo rabbia. La stessa rabbia che provavo già da adolescente di fronte alla facilità con cui si definiva quella che è una patologia che ha tutta una serie di caratteristiche che non sono certamente solo l’essere giù o avere tristezza ma che si accompagna con delle specifiche.

La conosco abbastanza perché credo di averla vissuta direttamente a vent’anni. Non l’ho mai definita con un esperto, non mi è stata clinicamente diagnosticata, però indubbiamente so che cosa significa sentirsi dentro di sé in una landa arida. Per me, la sensazione era quella di sentire la Terra senza nessun tipo di calore fino al centro della Terra stessa ed era veramente terribile, soprattutto quando mi ponevo delle domande esistenziali. Tutto sembrava solo meccanicistico o chimico, senza anima.

Per fortuna, ho poi conosciuto anche l’altra faccia della percezione della realtà e ho trovato l’anima del mondo, il suo respiro, nella recitazione. L’arte mi ha permesso di capire l’altra faccia della vita che non riuscivo a percepire prima: non guardavo più il mondo solo dalla parte scientifica ma anche da quella creativa. E il calore è arrivato dalla parte artistica.

Il tuo ragionamento appare lineare anche alla luce di quelle che erano state le tue scelte di vita: avevi intrapreso un percorso di studi in Scienze Matematiche e Fisiche.

Mi mancavano 16 esami su 29 alla laurea ma ero a meno di un esame dalla chiusura del triennio. Non voglio dire che la scienza non contenga un respiro ma non era quello di cui avevo bisogno io in quel momento. Ero affascinata dalle materie che studiavo ma necessitavo di un’altra zona, di sentire l’altra parte, e, quando l’ho fatto, mi ci sono molto attaccata.

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Lucia Mascino (Foto: Martina Mariotti; Press: Cristiana Zoni @CZ - 24 Comunicazione).
Lucia Mascino (Foto: Martina Mariotti; Press: Cristiana Zoni @CZ - 24 Comunicazione).

In scena, strigli tua figlia. Qual è stata invece nella vita reale la più grande strigliata di tua madre?

Mia madre è stata sicuramente per il ruolo grande fonte di ispirazione. Era colei che, quando noi figli stavamo chiusi nelle nostre stanze, bussava da dietro la porta o ti beccava dal terrazzo per dirti che stavi “zuzzurellando”, perdendo tempo e non facendo niente. Ma era anche colei che la mattina alzava velocemente le serranda per buttarci giù dal letto. Aveva addosso una grande energia ed era infastidita dalla tendenza alla pigrizia, nonostante quelli fossero anni in cui poi noi figli non si stava così sdraiati.

Non è stata ovviamente solo quello però, indubbiamente, la sua tempra era molto forte. Di strigliate ce ne sono state tante e diverse. Erano i meravigliosi anni Ottanta, quelli in cui volavano zoccoli, sedie e tutto ciò che si aveva per le mani, compreso anche qualche schiaffo, non ancora bandito (oggi sarebbe impensabile tale coloritura familiare). Può sembrare feroce ma era la normalità: eravamo quattro figli e quando partivano i “droni” ci metteva tutti a scudo l’uno dell’altro.

Tra l’altro, noi quattro, due maschi e due femmine, non è che le rendessimo la vita facile, poveraccia (ride, ndr). Mio fratello, ad esempio, c’è stato un periodo in cui si era messo a dar fuoco alle panche: ogni giorno faceva qualcosa di disastroso, esperimenti esasperanti che lo facevano sembrare un piccolo vandalo in casa, amabile ma portatore di disastro.

Come ha reagito nel momento in cui le hai detto che lasciavi l’università per dedicarti alla recitazione?

Male, ovviamente. Avevo giurato di terminare gli studi e non avevo il coraggio di dirglielo apertamente. Gliel’ho allora comunicato via lettera (la voce è un mezzo di verità per cui pronunciare quelle parole era per me impossibile), gliel’ho consegnata a mano e ho atteso davanti a lei che la leggesse. C’era scritto che partivo per Pontedera per il percorso di formazione in recitazione. Ha alzato gli occhi dal testo e mi ha chiesto quando partissi. Al mio “domani”, ha risposto che sarebbe venuta con me.

E così ha fatto. Mi ha accompagnata e ha dormito con me la prima notte, preoccupata per il mio futuro: “Sei sicura di quello che stai facendo e della tua scelta?”, erano le sue domande, nonostante quella scelta riguardava un corso che non mi obbligava a far nulla di drammatico, non era di certo uno strappo definitivo. In cuor suo, però, ci vedeva giusto: sapeva che quello rappresentava un punto di non ritorno, che non sarei mai ritornata indietro.

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Il sen(n)o: Foto di scena

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Il secondo spettacolo che porti in scena a Milano, al Teatro Menotti, dal 16 al 21 aprile è Il sen(n)o, trasposizione in italiano di un testo molto apprezzato di Monica Dolan.

Monica Dolan è una brava attrice inglese, presente anche nel cast della serie tv Black Mirror. E, come ho sempre pensato, gli attori inglesi sono i numeri uno al mondo: di fronte alla loro bravura non possiamo che impallidire. Con la drammaturgia nel sangue, Monica Dolan ha scritto un testo che in italiano è stato tradotto da Monica Capua, uno dei più preziosi trait d’union dei testi di drammaturgia contemporanea non solo inglese ma anche francese.

Quando Monica me l’ha fatto leggere, sono rimasta rapita dall’argomento che trattava: solitamente scelgo i testi i base alla simpatia che mi fa il personaggio, alla risonanza che ha in me o al valore della scrittura, ma qui a interessarmi erano i temi trattati che, come cerchi concentrici, riflettevano pensieri, domande e ragionamenti che da qualche tempo stiamo facendo un po’ tutti noi.

Si tratta di un monologo con al centro una psicoterapeuta che si confronta con il caso di una madre che prende una decisione molto forte sul corpo della figlia.  Da qui, nasce una profonda riflessione su come l’esposizione precoce alla sessualizzazione e alla pornografia abbia inciso sulla cultura contemporanea.

Oggi basta uno smartphone in mano per scoprire in una fascia d’età sempre più precoce il sesso, nella maniera sbagliata, o per mitizzare OnlyFans, che altro non è che una forma di prostituzione accettata per quelle o quelli che si definiscono lavoratori o lavoratrici del sesso. Non sorprende che, come si dice anche nel testo, l’aumento delle studentesse che a scuola fanno domande sulla pornografia in Internet, come se dovessero valutare con chi competono.

Nel pensare a quanto la sessualità sia importante nella vita e sia una parte molto grande della propria vitalità, mi preoccupa che mio nipote diciassettenne possa scoprirla solo attraverso il racconto che ne fa la pornografia, soprattutto quella che presenta una visione molto ristretta e poco libera con la donna succube o al servizio dell’uomo di turno. Quella è solo una delle possibili dimensioni della sessualità e non la sessualità in toto ma negli anni ha contribuito a creare danni nell’immaginario collettivo. Più che un porno a mio nipote suggerirei di andare a vedere al cinema Estranei, dove la sessualità è raccontata in tutta la forza, la libertà e la profondità che contiene.

Sono molto contenta di portare in scena Il sen(n)o per il messaggio importante che contiene: per me, è come se fosse una sorta di impegno civile.

Sin dal titolo, Il sen(n)o gioca con la parola “seno”. E da donna sai quali valigie pesanti comporta averne uno che già da adolescente attira gli sguardi anche indiscreti da parte degli altri.

W sì: il seno è la parte più esposta della sessualità della donna. È molto evidente, intanto, perché si trova ad altezza occhi e poi perché porta con sé una doppia valenza: oggetto del desiderio o nutrimento materno.

Cosa è successo a te quando da ragazzina il seno è cominciato a crescere?

Rispetto ad altre coetanee non ho avuto uno sviluppo precoce. Avendo praticato tanto sport, c’è stato una sorta di ritardo per cui fino in prima o seconda media, non mi era particolarmente cresciuto. Quando ha fatto la sua comparsa, nonostante non fosse chissà che seno, ho avvertito quello spostamento che mi trasformava in oggetto del desiderio. Ricordo che in fondo desideravo crescere perché ero curiosa di quegli aspetti della vita legati anche all’attrazione che avevo visto in film come La mia Africa, la reputavo qualcosa da grandi molto interessante da vivere. Ma, nel momento in cui ho cominciato ad avvertire il peso della sessualità, anziché andarci incontro l’ho come rifuggito.

L’essere fissata e sentirne lo sguardo altrui addosso molto presente mi restituiva una sensazione brutta da vivere: avvertivo tutta la malizia che certi adulti ti buttano addosso, soprattutto se hanno una questione sessuale non proprio risolta.

È un peso che se vogliamo ti arriva come eredità storica: noi donne ci portiamo sulle spalle tutto quello che è già accaduto. Non capivo perché la vivevo così male o perché mi senti totalmente schiacciata ma ho quasi desiderato che il mio sviluppo sessuale si fermasse per evitare di essere investita dall’inquinamento dello sguardo adulto, quello in grado di manipolare completamente la nostra idea di desiderio. Nel testo di Il sen(no) si parla anche di questo, così come di impulsi sessuali anche sani o di quanto importante sia anche flirtare: non ci sarebbe nulla di sbagliato se non ci fosse quel processo di sessualizzazione a cui assistiamo costantemente in una società come la nostra per vendere.

La sessualizzazione commerciale ci ha spinto verso un punto di non ritorno per cui non sappiamo più se ciò che desideriamo lo desideriamo veramente o se siamo indotti a farlo. Siamo immersi in una realtà creata dalla pubblicità e questa, si sa, ha un fine unico: vendere. E per farlo ci bombardano dall’esterno per renderci insicuri… la logica del capitalismo, non per essere complottista, ha spazzato via tante cose e con l’avvento dei social, dove la persona è pubblicità, tutto è ancora più difficile da decifrare.

Il sen(n)o, dunque, tocca diversi temi interrogandosi sulla manipolazione dell’identità di tutti, il cui sviluppo non va più dall’interno verso l’esterno, come sarebbe nell’ordine naturale, ma dall’esterno verso l’interno. Ragione per cui assistiamo anche a un’omologazione dell’immagine che è mostruosa: basti vedere come noi donne oggi abbiamo quasi tutte le stesse semplici acconciature o lo stesso colore dei capelli, senza che nessuna di noi ascolti la propria voce.

Quando dieci anni fa sono stata protagonista della serie La mamma imperfetta non sapevo quasi come si guardasse in camera per restituire l’idea del diario, eppure ero già un’attrice. Oggi vedo invece come tutti siano molto più abituati a farlo e spinti a guardarci da fuori. Ma non è detto che la consapevolezza sia solo lì: sarebbe bello se non ci si imbrigliasse così, se non ci si impacchettasse. Un po’ più di libertà non farebbe male…

Lucia Mascino (Foto: Martina Mariotti; Press: Cristiana Zoni @CZ - 24 Comunicazione).
Lucia Mascino (Foto: Martina Mariotti; Press: Cristiana Zoni @CZ - 24 Comunicazione).

A proposito di libertà, di recente nella serie tv Mameli interpretavi la madre del primo grande amore della protagonista, una ragazza che per difendere il suo sentimento e opporsi a un matrimonio comandato finiva con il suicidarsi.

Fortunatamente da allora, di passi in avanti ne sono stati fatti. E, per questi passi, dovremmo essere sempre grati a chi ha dedicato la sua vita per farli fare. Nella mia ignoranza, credevo che il femminismo fosse iniziato negli anni Settanta e invece è cominciato molti secoli prima, ottenendo anche tante cose inimmaginabili. È vero che negli ultimi cinquant’anni c’è stata un’accelerata: chi come me è cresciuto negli anni Ottanta e Novanta, nemmeno si è accorto dei progressi che stava vivendo e delle conquiste come l’aborto, il divorzio o altri diritti fondamentali.

Forse perché in quegli anni non si parlava quasi più di femminismo perché le femministe erano sempre viste come quelle pallose o arrabbiate e non come quelle che combattono per un diritto di parità di tutti. Ancora oggi dire “femminista” sembra quasi una cosa brutta, come se esserlo significasse preferire le donne agli uomini quando invece vuol dire semplicemente chiedere parità di genere. Ma sono molto contenta di come in questo momento storico ci sia un’ondata di nuova coscienza, forse anche grazie a Michela Murgia e, purtroppo, anche alla sua morte: non buttiamolo via questo momento…

Vorrei davvero che tutti leggessero Il secondo sesso di Simon de Beauvoir, anzi vorrei che diventasse proprio un testo scolastico perché per troppi anni ci hanno nascosto la storia dei millenni passati, una storia che ci pesa addosso e che ha imprigionato tutti quanti, uomini compresi. Sarebbe bello rendersi conto dei passi in avanti, festeggiarli, esserne consapevoli e sentire la conquista, non dando niente per scontato.

Tra le conquiste che ancora mancano quale senti più necessaria?

Il gender gap è qualcosa che ancora si sente, soprattutto nel mio ambito lavorativo. Nonostante sii sventoli una parità, questa non è stata ancora raggiunta. Basti pensare ad esempio come ai David di Donatello si faccia fatica a trovare dei ruoli per cui premiare le donne o come prima si premino le donne stesse per poi arrivare alla parte importante, quella dedicata agli uomini. Sembrano sciocchezze ma sono sinonimo di una continua, sottile e invisibile disparità.

Ovviamente, non è l’unica battaglia che occorre ancora combattere: ce ne sono tante, come tutte quelle (giuste) legate ai diritti, cominciando dalla non discriminazione dell’omosessualità all’antirazzismo e alla differenza di classe. Quest’ultima è forse la più difficile da risolvere ma si potrebbe cominciare dallo stare attenti ad alcuni aspetti, come per esempio il garantire la possibilità di studio a tutti mantenendo costi accessibili. Tutte le battaglie per i diritti sono, secondo me, entusiasmanti e commoventi.

Smarrimento: Foto di scena

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SMARRIMENTO uno spettacolo scritto e diretto da Lucia Calamaro per e con Lucia Mascino scene e luci Lucio Diana costumi Stefania Cempini MARCHE TEATRO “L unica gioia al mondo è cominciare.” Cesare Pavese “Smarrimento” è un dichiarato elogio degli inizi e del cominciare. Di quel momento in cui la persona, la cosa, il fatto, appare o sbuca, ci incrocia insomma, creando presenza dove prima c’era assenza. Questo topoi fiorisce attraverso la figura di una scrittrice in crisi, oramai da un po’, che ha dei personaggi iniziali di vari romanzi che non scriverà mai, perché non riesce ad andare avanti. Gli editori, per sfangare l’anticipo, le organizzano reading/conferenze in giro per l’Italia, in modo da tirar su qualche economia mentre lei non produce niente di nuovo e in un colpo solo riuscire a vendere all’uscita degli eventi, qualche copia delle vecchie opere. Quando non si riesce a continuare, non si può che ricominciare. L.C.
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Il terzo spettacolo che porterai in scena a Napoli, a Teatro Bellini dal 7 al 12 maggio, si chiama invece Smarrimento, un monologo esistenziale di una scrittrice in crisi. In cosa si rifugia un’attrice in fase di smarrimento?

Ce ne sono tanti di smarrimenti nel percorso di un attore. È un percorso anche molto solitario: anche se lo si affronta per stare con gli altri, il cammino che si intraprende per farlo si porta avanti da soli. Ci vogliono delle persone vicino che sappiano come sostenerci o rincuorarci quando prendiamo certe portellate in faccia… E, quindi, occorre cercare forse dei propri simili: percorrere pezzi di strada insieme a qualcuno che ti somiglia è più bello.

Quello della recitazione è un mondo molto ampio dove dentro c’è di tutto, dal teatro in cui non vorresti trovarti mai al cinema che non ti corrisponde. Per non smarrirti, devi cercare i tuoi gusti e trovare i tuoi simili, quelli con cui ti piacerebbe lavorare e quelli con cui ogni tanti ti piacerebbe fare anche altro che sia di nutrimento. L’essere costantemente sotto giudizio può mettere davvero a dura prova, siamo costantemente soggetti ai “no” e ogni tanto conviene anche portare avanti dei progetti che nascono da te, come è accaduto a me con Il sen(n)o: non sempre si può restare in attesa di venire scelti, con il rischio che accada per qualcosa neanche adatta a noi.

Spesso ci rimaniamo male quando non veniamo presi ma siamo davvero sicuri che sia un male? Io, ad esempio, avrei tanti ceri di ringraziamento da accendere per i “no” che ho ricevuto…

Lucia Mascino (Foto: Martina Mariotti; Press: Cristiana Zoni @CZ - 24 Comunicazione).
Lucia Mascino (Foto: Martina Mariotti; Press: Cristiana Zoni @CZ - 24 Comunicazione).
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