In un'epoca in cui la nostra comprensione della salute mentale sta finalmente emergendo dalle ombre degli stereotipi e dei pregiudizi, le voci che condividono apertamente le proprie esperienze personali diventano faro di speranza e cambiamento, come nel caso di Ludovica Bizzaglia, che sui set si muove da quando era solo una bambina. Ludovica Bizzaglia non è solo un'attrice di talento ma anche una voce autentica che ci guida attraverso la sua lotta personale contro i disturbi d'ansia, sfidando le aspettative e le misconcezioni che spesso circondano coloro che vivono con queste condizioni invisibili.
Nell'intervista in esclusiva concessa a The Wom, Ludovica Bizzaglia ci offre un'introspezione unica nel suo percorso personale e professionale, sottolineando come la battaglia contro il bullismo e la cattiveria gratuita in rete si intreccino profondamente con le questioni di salute mentale. Attraverso il suo ruolo di Costanza nel film Flaminia di Michela Giraud, Ludovica Bizzaglia esplora la complessità di un personaggio che potrebbe facilmente incarnare lo stereotipo del bullo senza redenzione, ma che invece ci presenta l'opportunità di riflettere sulle radici più profonde dell'aggressività umana - radici spesso annidate in traumi non risolti e in una mancanza di consapevolezza e comprensione delle proprie emozioni e di quelle altrui.
Questa conversazione non è solo un'analisi di un personaggio cinematografico, ma un dialogo aperto sulla necessità di un cambio di prospettiva culturale, dove il supporto, l'educazione e la comprensione sostituiscano la vergogna e l'isolamento. È una riflessione su come, anche nei momenti più bui, la presenza di una famiglia amorevole o di una comunità di supporto possa fare la differenza nella vita di chi affronta sfide legate alla salute mentale.
Con Ludovica Bizzaglia, discutiamo non solo delle sue esperienze di attrice ma anche del suo impegno nell'usare la propria piattaforma per educare e sensibilizzare su questi temi vitali, sperando di contribuire a un futuro in cui l'amore e il sostegno possano essere le risposte immediate alle sofferenze psicologiche. Con questa introduzione al nostro dialogo, speriamo di illuminare non solo le sfide, ma anche le potenziali vie di guarigione e comprensione che si possono aprire attraverso la condivisione e l'accettazione.
Intervista esclusiva a Ludovica Bizzaglia
“Ho anche la luna in Leone ed è una tragedia: non ho idea di cosa siano la calma e la tranquillità”, scherza subito Ludovica Bizzaglia quando le rivelo una cosa in comune: siamo entrambi gemelli ascendente gemelli, motivo per cui per quest’intervista non sappiamo a priori quale delle nostre infinite personalità prenderà il sopravvento. Di sicuro, sappiamo che partiamo da Flaminia, il film di Michela Giraud in cui interpreta il personaggio di Costanza, una delle amiche snob della protagonista.
Possiamo definire Costanza con un termine elegantemente francese: stronza. Quanto di te hai messo nel personaggio?
In questo caso, dobbiamo pensare al contrario: quanto di me non ho messo. Però, paradossalmente è stato più facile del previsto interpretarla. Avendo sofferto in prima persona di bullismo o avendo, comunque, assistito a tante realtà intorno a me di persone che hanno incontrato nel loro percorso gente così cattiva, avevo una sola grande paura, ossia di estremizzare troppo lo stereotipo del bullo. Quindi, sono andata all’indietro a scavare le sensazioni che i bulli avevano fatto provare a me o a gente vicina.
Più che la stronzaggine, che emerge a primo impatto, mi ha sempre molto colpito la facilità con cui i bulli usano la cattiveria verbale. Credo che derivi anche tanto dall’ignoranza, dal non conoscere realtà come la disabilità o la salute mentale. Michela Giraud ci ha dato un’indicazione ben precisa: sebbene ci siano battute tremende che io stessa ho faticato a esternare, avremmo dovuto farlo con nonchalance… con quella stessa normalità a cui certe persone ricorrono senza pensare di creare un trauma per tutta la vita a chi le loro parole sono rivolte.
Nel tuo caso, il bullismo non è stato solo fisico ma anche psicologico e virtuale.
Nella mia esperienza online, ciò che più mi ha fatto male negli anni è stata la reazione che mi sono trovata a fronteggiare quando ho deciso di cominciare a parlare proprio di salute mentale. Soffro di un disturbo d’ansia generalizzato diagnosticato da tanti anni, per cui vado in terapia. La cosa peggiore che ho letto o che mi sono sentita dire è stata ‘Ma tu sei perfetta: di cosa vuoi soffrire?’, una frase che delinea quanto poco si sappia ancora oggi di cosa sono l’ansia, la depressione o i disturbi del comportamento alimentare. Tutto ciò che concerne la salute mentale è invisibile: la depressione può essere presente anche in chi si mostra sorridente tutto il giorno e non solo in chi non riesce ad alzarsi dal letto.
Flaminia, il film di Michela Giraud, mi ha insegnato molto a capire qualcosa che sembra una frase fatta ma che in realtà non lo è: non sai mai chi sono le persone con cui hai a che fare, che storia nascondono e qual è la realtà dello status quo. Ci sono problematiche che non sempre sono così evidenti da individuare e di cui, secondo me, bisognerebbe parlare un po’ di più.
Tuttavia, non per difendere il personaggio di Costanza, è anche vero che spesso dietro al bullismo o alla cattiveria gratuita di certa gente si nascondono anche traumi pregressi o ancora in corso che diventano ancora più forti se non hai qualcuno accanto che ti aiuti. Non a caso, dico sempre che la mia più grande fortuna nella vita è stata quella di avere una famiglia la cui presenza costante e quasi ossessiva mi è sempre stata d’aiuto, soprattutto avendo cominciato già da bambina a lavorare come attrice.
La mia era una famiglia in cui la sera a tavola si parlava e si toccavano temi come la salute mentale, l’educazione sessuale, la dipendenza, le relazioni… Vengo da una famiglia molto fisica che ha sempre dimostrato l’amore nella maniera più sana possibile. Sono consapevole di come molte persone non abbiano avuto la mia stessa fortuna e di come, purtroppo, si aggrappino a ciò che incrociano nel loro percorso, sfogandosi a volte in maniera sbagliata quando sono invece le prime che in realtà soffrono, ancora più fragili delle persone che prendono di mira.
Se vogliamo vedere il lato ‘umano’, il tuo ragionamento non fa una piega. Tuttavia, credo che quello del cyberbullismo sia un atteggiamento che è figlio anche dell’invidia social.
Ma è anche figlio di un aspetto che reputo folle nel 2024: ci si può iscrivere ai social media nel più totale anonimato, senza documento d’identità. Se ci fosse una regolamentazione apposita, cambierebbe molto nel modo di relazionarsi con gli altri: gli utenti non potrebbero nascondersi dietro a un nickname e avrebbero l’obbligo di palesarsi, di metterci la faccia e di usare il loro vero nome e cognome. Oggi, rintracciare un hater è quasi impossibile: denunciare qualcuno e individuarlo è una delle cose più complicate al mondo.
Oltre all’identità, anche l’età rappresenta un problema. Occorrerebbe essere maggiorenni mentre vediamo invece anche dodicenni iscriversi aggirando i limiti e avendo accesso a tutti quei contenuti che non sono pensati per loro. Mi spaventa molto quest’aspetto, con tutte le sue derive, challenge comprese. Siamo tutti quanti passati da quella fase dell’invincibilità che ci caratterizza da adolescenti, quella in cui siamo convinti che le brutte cose accadono sempre agli altri e mai a noi.
Con la consapevolezza di non essere invincibili e di non volerlo essere fai i conti solo quando succede qualcosa di specifico, soprattutto dal punto di vista della salute, come è accaduto a me. È nella mia fragilità che trovo la mia ipersensibilità per provare a condurre la mia vita con amore, con coraggio, con gentilezza. È stata una transizione molto bella in realtà.
Oltre alla tua famiglia, chi ti ha aiutato nella transizione?
Devo un grande grazie al mio coach di recitazione, Alessandro Prete. Quando ho iniziato a studiare recitazione con lui e a preparare i ruoli insieme, ho cambiato idea su tante cose. Di recente, mi ha detto una frase che mi è rimasta dentro: ‘Le cose succedono solo quando ne abbiamo realmente bisogno e quando ci servono. Se non succedono è perché magari non siamo ancora pronti. Magari pensiamo di esserlo ma in realtà non lo siamo. E se qualcosa non accade è perché ci servirà molto di più tra due giorni, un anno o dieci anni’.
Tutti noi nasciamo con una storia già scritta ma è fondamentale l’attesa, il non voler tutto e subito, lo studio ma anche la frustrazione. Alessandro mi ha ridato la possibilità di vedere del romanticismo nel mio lavoro.
Pensi che comunque nell’acquisire fragilità e sensibilità abbia contribuito l’aver cominciato da piccola a lavorare come attrice e a relazionarti con un mondo di grandi che non conoscevi ancora?
Se tornassi indietro, non dico che non rifarei l’attrice ma non ricomincerei da così piccola: se avessi una figlia, non le permetterei di fare il mio stesso mestiere così presto. Il grande problema è stato il rendermi adulta così presto: a dodici anni non puoi assumerti sulle spalle l’etica e la responsabilità del lavoro così come non puoi lavorare con gente che ha anche quarant’anni più di te. Automaticamente, perdi un po’ di spensieratezza: devi lavorare e studiare la notte, non puoi frequentare il campo scuola perché devi stare sul set, in strada ti riconoscono quando ancora sei in una fase di vita in cui neanche tu sai chi sei… ragione per cui, se avessi la possibilità di avere un’altra vita, ricomincerei tutto ma molto più in là con gli anni.
Quel processo di adultizzazione cominciato così presto ti porta a sentire sulle spalle più dei tuoi 28 anni?
Inevitabilmente, sì. Tra una cosa e l’altra, il prossimo anno festeggio i vent’anni di carriera. Ma riesco comunque a intravedere l’aspetto positivo di essere stata una Barbie quando ancora avrei dovuto io giocare con le Barbie: l’esperienza. È stata l’esperienza che mi ha poi salvata, anche in occasioni spiacevoli o complicate: aver accumulato tanta conoscenza dell’umanità e di come gira il mondo mi ha sempre aiutata rispetto all’avere quell’ingenuità che ti porta a sentirti smarrito. Non mi sono mai sentita persa perché comunque qualsiasi situazione era già qualcosa di visto e di vissuto.
Smarrita no ma impaurita sì?
Tutti i giorni. Penso di non avere il carattere adatto per questo lavoro ma non potrei mai fare altro: è il motore della mia vita. Recitare è per me l’aria che mi fa respirare e andare avanti. Avrei qualche volta voluto avere passione per altro ma mai amore è stato così forte come quello che ho per la recitazione e mai lo sarà, lo so. A nove anni mia mamma ha provato a iscrivermi a tutti gli sport possibili immaginabili ma dopo una settimana scappavo via.
Volevo solo recitare e la prova concreta ne è il fatto che a sette anni non sono scappata via nemmeno durante un incendio che si è sviluppato durante una recita alle scuole elementari: è andato a fuoco il sipario mentre facevamo la prova generale ma, mentre tutti fuggivano via, io sono rimasta sul palco fino alla fine, fino a quando la maestra non mi ha letteralmente presa per i capelli. Volevo finire la prova del mio monologo, anche con le fiamme intorno.
Flaminia: Le foto del film
1 / 23In Flaminia, hai lavorato su un set prettamente femminile. Ti sei trovata più a tuo agio rispetto ad altri set con forte predominanza maschile?
È stato più facile perché da sempre il concetto di sorellanza mi piace molto. In un mondo in cui mi piacerebbe che ci fosse posto per tutti, l’essere circondata da donne ti fa sentire più al sicuro perché sai che anche loro hanno passato, in un modo o nell’altro, ciò che hai passato tu: un uomo difficilmente nel mondo del cinema ha provato sulla propria pelle ciò che viviamo noi donne.
Quando vedo che c’è una ragazza come Michela Giraud che a 36 anni scrive un film, lo dirige, lo interpreta e sceglie di circondarsi di donne lasciando a ognuna la libertà di essere donna a proprio modo, penso che sia fantastico. Siamo diventate tutte estremamente amiche e abbiamo persino un gruppo WhatsApp, ‘Le Erinni’, creato il giorno del callback, un anno e mezzo fa, quando ancora nemmeno sapevamo di essere noi le scelte definitive: sentivamo che avremmo fatto il film insieme. Prese singolarmente, non potevamo essere più diverse l’una dall’altra ma si è creata tra noi una sinergia incredibile.
Siamo state tutte di conforto all’altra e non succede spesso: mi è sono capitate anche situazioni in cui attrici molto più grandi di me sul set mettevano in atto atteggiamenti di superiorità nei miei confronti o delle altre. Forse per questa ragione è anche molto bello promuovere il lavoro fatto insieme, un lavoro a cui tra dieci anni ripenserò ancora con il sorriso.
Quello della sinergia è un aspetto che ci ha sottolineato anche Rita Abela qualche giorno fa…
Rita è diventata il grande amore della mia vita. Un giorno, mi ha detto qualcosa di meraviglioso: “Dal punto di vista del percepito esterno, io e te non dovremmo nemmeno piacerci perché siamo veramente all’opposto e, invece, ci siamo trovate”. C’è una scena con lei che ogni volta che rivedo mi commuove. Siamo in una spa e i nostri due corpi di alternano, una scena per cui avevo paura che il mio corpo potesse in qualche modo essere sessualizzato o oggettivizzato solo perché presenta alcuni standard.
Ma, dopo averla vista montata, l’ho trovata molto poetica: in quel momento, il mio corpo è un mezzo di comunicazione per far capire quanto brutto sia nella vita non sentirsi a proprio agio o essere messi a paragono con qualcun altro. È lì che ho capito come il mio corpo fosse in realtà un treno su cui le persone potevano salire per rispecchiarsi o per aver conferma di quanto sbagliata sia la continua rincorsa alla perfezione che vogliono propinarci. Se mai qualcuno vedrà il mio corpo solo come un culo in primo piano, il problema sarà loro e non mio.
Hai ravvisato quell’atteggiamento di superiorità di certe attrici navigate anche negli uomini?
Non in maniera così diretta. Con gli uomini, semmai, ho percepito più una volta di dover dimostrare che oltre all’aspetto fisico c’era molto di più. Ho dovuto sgomitare e impegnarmi maggiormente, come se l’estetica diminuisse le mie capacità. Starei attenta all’estetica e al mio benessere psicofisico anche se facessi l’avvocata, la maestra o l’impiegata alle poste, non può essere quello a svilire la mia artisticità o le mie qualità. A me piace la moda, vestirmi in un certo modo e aver cura del mio corpo, l’unico che avrò fino a quando morirò e il solo che mi aiuta a interpretare anche storie: tutto può quindi convivere… anzi, deve farlo proprio perché mi dà la possibilità di interpretare molte più storie.
Uno dei miei più grandi sogni nel cassetto è interpretare un giorno, anche attraverso il corpo, un ruolo che sia esattamente l’opposto di ciò che sono. Non vedo l’ora che arrivi un personaggio che sia impossibile da pensare su di me: se accadrà, rappresenterà la mia più grande rivalsa.
Amare il proprio corpo, rispettarlo, apprezzarlo e valorizzarlo non è un delitto.
Ma, purtroppo, nella percezione comune sembra quasi che farlo ti tolga in automatico tempo per nutrire la tua profondità e la tua cultura. Paradossalmente, agli uomini non viene mai posto il problema… ma, parlando con la mia psicologa del mio disturbo compulsivo per l’ordine e per la pulizia, ho realizzato che se non ho ordine fuori non riesco ad avere ordine dentro. Anche quando devo preparare una scena e studiarla, ho bisogno di farlo in un ambiente intorno a me (la casa che finalmente ho comprato dopo vent’anni di lavoro e sacrifici folli) che sia sano, pulito e accogliente: sarebbe sbagliato andare contro il mio stesso benessere.
Non ho la casa in disordine solo perché farebbe più artista avercela e lo stesso vale per il mio corpo: usciamo dal cliché dell’artista bello, dannato e puzzolente… una goccia di profumo o un bell’abito non hanno mai ammazzato l’artisticità, tutt’altro: aiutano semmai ad esprimerti anche meglio.
Anche perché il profumo accentua maggiormente un altro senso: l’olfatto.
A ogni provino, in base al personaggio che devo interpretare, vado con un profumo diverso. Mi aiuta tantissimo il sentire un odore diverso in base alla personalità che viene richiesto.
Che profumo metteresti per quest’intervista?
Un profumo che sappia di fiore, di primavera e di rinascita. Mi vestirei di bianco o comunque di un colore chiaro perché come dice la mia insegnante di pilates aiutano a farsi attraversare da energia positiva. Che io sia già in questo con un vestito bianco addosso non è una casualità (sorride, ndr).
I capelli rossi sono stati per te un dono enorme o un’incredibile condanna?
Già quando frequentavo l’asilo o le scuole elementari, mi si diceva che portavano sfortuna e che le streghe nel Medioevo venivano bruciate per i capelli rossi, o mi sentita appellare ‘pel di carota’ o ‘Pippi calzelunghe’: ho una lista intera di epiteti. Ma sono estremamente affezionata ai miei capelli: mi hanno fatto sentire, forse per la prima volta, unica nel mio lavoro, anche se tuttora mi creano dei problemi perché per alcuni ruoli sono fuori luogo.
In Italia, non siamo poi così tante ad averceli: i miei derivano dai miei parenti umbri che sono stati invasi dai normanni… l’incursione germanica ha fatto sì che fossero di un rosso molto particolare con radici molto lontane nel tempo: non li cambierei per nulla al mondo ma solo temporaneamente per esigenze professionali se dovessero chiedermelo.
A proposito di professione, perché hai lasciato Un posto al sole, la soap di Rai 3 in cui hai interpretato il personaggio di Anita?
Difendo e difenderò per sempre Un posto al sole: molto spesso, me ne parlano come se fosse un problema avervi recitato o come se la soap, per pregiudizio, fosse un prodotto di serie B. Io sarò per sempre grata a quell’esperienza perché è stata una grande palestra attoriale: ho trascorso un anno a lavorare tutti i giorni e tutto il giorno e a dover allenare la memoria per girare anche sei scene al giorno. Ero anche molto giovane, avevo vent’anni, mi trovavo in una città nuova e lontana da casa…
Tuttavia, sono andata via per un motivo molto semplice: Anita aveva fatto il suo corso. Se fossi rimasta, avrei forzato le cose: era giusto lasciarla andare ma sarà sempre nel mio cuore, così come Napoli, una città che mi ha accolto, e il gruppo di professionisti unici con cui ho condiviso il set. Farla restare nella trama sarebbe stato come una presa in giro per il pubblico. Per un attore, non c’è cosa più bella che raccontare una storia ma, da quando esistono, le storie hanno tutte un inizio, uno svolgimento e una fine. Ad Anita ho dato tutto ciò che potevo dare e non mi sarei sentita a posto neanche con me stessa nel proseguire con una storia che non aveva un senso continuare.
Sarà stato divertente ritrovare Nina Soldano in Flaminia…
Amo Nina Soldano: è la regina della mia vita… si sappia e venga scritto che l’adoro, che è meravigliosa e che per me è un’icona italiana! Il bello del nostro lavoro è dato anche dal ritrovare persone con cui si è stati bene.
Le storie hanno un inizio, una svolgimento e una fine: vale anche in amore?
Credo pienamente nell’amore. Tutto ciò che faccio è accompagnato dall’amore che ho per la vita, per le cose e per le persone. Mi spaventa un po’ il pensiero di riuscire a tenere la fiamma accesa in maniera costante per chissà quanti anni. Forse sono ancora giovane per poterlo dire ma mi piacerebbe che per me fosse come quella coppia che ho visto di recente intervistata: alla domanda sul segreto per stare insieme da settant’anni, hanno risposto che in amore non esiste mai un cinquanta e un cinquanta… ci sono semmai dei momenti in cui uno deve mettere il settanta e l’altro il trenta: se uno dei due ha la batteria scarica, l’altro l’alimenta con la sua energia. L’amore è scambio. E ci credo molto.
Andrea, il mio compagno, è la persona di cui al momento mi fido di più. Ed è la persona che non ho paura che mi veda anche nei momenti più bui e tremendi: è stato lui a insegnarmi quanto importante sia rispetto al farsi vedere sempre perfetti anche a livello emotivo. È bello riuscire a entrare in profondità anche a livello comunicativo, parlarsi e avere la libertà di sapere che qualsiasi cosa tu dica non verrà mai giudicata o, peggio ancora, usata contro di te. Questo, per me, è l’amore.
L’amore eterno esiste?
Secondo me, sì. Non so se farà parte del mio percorso, lo spero, ma non mi piace sentir dire molto spesso che l’amore si trasforma e diventa bene o amicizia. L’amore per me è passione: o quello o niente. Ecco perché serve anche il coraggio di interrompere una relazione quando è giusto farlo senza trascinarsela dietro: per quanto difficile sia rimanere in buoni rapporti, se l’amore finisce non è un delitto. Meglio lasciarsi anziché tradirsi o non concedersi a vicenda la possibilità di trovare la felicità altrove.
Sei anche un’imprenditrice digitale di successo. È cambiato il tuo lavoro negli ultimi tempi o è rimasto quello di prima?
È cambiato nel momento in cui ho capito quanto importante fosse dire di no. La gratitudine per me è un concetto fondamentale: sono cresciuta con il pensiero di essere grata a tutto ciò che la vita mi dava e, quindi, a ogni proposta lavorativa che arrivava, anche dal cinema, era un sì. Con il passare del tempo e maturando, ho capito che avere la possibilità di scegliere è un lusso enorme e che dire di no è bello oltre che utile. Dico di no a tutto ciò che non rispecchia i miei valori per cui scelgo con molta più cura i progetti da sposare, anche online: se non condivido la filosofia o l’etica dei brand, non accetto nulla…
Mi sentirei estremamente a disagio nel far qualcosa solo per soldi, motivo per cui spesso faccio passi indietro se non trovo qualcuno che la pensi come me o se non c’è dietro una progettualità più ampia. Anche perché, come dico sempre, potremmo risvegliarci anche domani e trovare i social chiusi in tutto il mondo per sempre: bisogna sempre costruirsi un’alternativa per evitare di essere troppo schiavi del sistema.
Hai alle spalle anche la pubblicazione di due libri di successo, Abbi cura di splendere e Di pioggia e di fiori: due titoli che dicono molto di te.
I titoli dei miei libri sono molto importanti per me perché sono anche un po’ un filo conduttore della mia vita. Dei due, mi ha sorpreso particolarmente il riscontro di Abbi cura di splendere e sono felice di avere il titolo tatuato dietro la schiena: non lo leggo tutti i giorni ma so che mi copre alle spalle, sempre. Me lo ripeto spesso da sola ed è lo stesso incoraggiamento che amo trasmettere agli altri affinché trovino una propria luce e la difendano a spada tratta.
Di pioggia e di fiori è la conclusione di tale pensiero. Esistono milioni di fiori diversi al mondo, c’è chi necessita di essere innaffiato tre volte al giorno e chi nasce nel deserto: la diversità è un valore aggiunto per cui ognuno ha bisogno di una cura che sia personale… è giusto anche difendere le proprie necessità anche se non sono conformi a quelle del resto del mondo.
Un ruolo particolare nella tua vita ricopre Olivia…
Lo so che sembro patetica quando lo dico ma Olivia, il mio cane, è come se fosse mia figlia: è una delle poche cose della vita che mi fa commuovere anche solo parlandone perché è stata la mia ancora di salvataggio tante volte. Amo i cani, penso che siano delle creature superiori e Olivia ha vissuto tutto insieme a me: mi accompagna da cinque anni e mi ha reso una persona migliore. Mi ha insegnato l’arte della responsabilità e della cura dell’altro… forse esagero ma mi rendo conto di trattarla come se non fosse un cane ma è molto bello vedere quanto ama e quanto le persone che amo si innamorino di lei.
Da tanto porto avanti sui social una causa che non mi stanco di sposare: adottiamo i cani dai canili, luoghi che sono pieni di anime buone che aspettano semplicemente di trovare una famiglia. Chi ne ha la possibilità lo faccia, non alimentando il commercio illegale di cuccioli di razza.
Per tornare da dove siamo partiti, sui social continui a portare avanti anche un’altra nobile battaglia, quella per la salute mentale.
Mi tocca veramente molto e non mi stanco di sottolineare l’importanza della salute mentale. So di poterne parlare da un punto di vista privilegiato, ho la disponibilità economica per potermi prendere cura della mia testa ma, purtroppo, fino a quando uno psicologo continuerà a costare 70 euro all’ora o a scuola non ci sarà un’educazione civica e psicologica, sarà sempre difficile che abbia la giusta rilevanza. Parlarne sempre più spesso potrebbe portare a un reale cambiamento dello stato delle cose: farlo, fa stare meglio me e permette anche agli altri di capire che non c’è niente di sbagliato nell’andare in terapia. Se tutti lo facessimo, il mondo sarebbe sicuramente un posto migliore.