Entertainment

Ludovica Martino, il volto di una generazione – Intervista esclusiva

Ludovica Martino
Nessuno più di Ludovica Martino può essere assurto a simbolo della generazione dei millennials. Non solo grazie ai ruoli che ha interpretato: Ludovica Martino è lei stessa una millennial, consapevole delle sfide e delle difficoltà che la sua generazione affronta giorno dopo giorno.
Nell'articolo:

Per Ludovica Martino è un momento professionalmente molto felice, consacrato dalla copertina di Io Donna dello scorso sabato. Da mercoledì 11 ottobre la vedremo su RaiPlay nella serie tv YOLO – You Only Love Once, di cui è protagonista insieme a Lorenzo Adorni. Interpreta Laura, una millennial che deve fare i conti con la precarietà che accompagna la sua generazione, con quella mancanza di certezze che offusca il domani e rimette in discussione ogni certezza.

Diretta da Michele Bertini Malgarini e prodotta da Giovanni Cova con QMI per Philadelphia, YOLO – You Only Love Once è stata presentata in anteprima alla 80a Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia nel nuovo spazio "Brand come Autori”, nato dalla collaborazione delle Giornate degli Autori con QMI. Composta da sei episodi di circa dieci minuti ciascuno, ruota in modo ironico e leggero intorno alla generazione dei millennials, nelle sue gioie e difficoltà lavorative, sentimentali ed esistenziali, usando come trait d’union temi come food & love ai tempi dei social. Nel cast, oltre a Ludovica Martino e Lorenzo Adorni, troviamo Alberto Paradossi, Mikaela Neaze Silva, Ugo Piva ed Eugenia Costantini.

Ed è da Laura che partiamo per entrare in punta di piedi nel mondo onesto, sincero e senza sovrastrutture di Ludovica Martino, attrice che può considerarsi il volto di un’intera generazione sin da quando ha catturato l’attenzione dei giovani grazie alla serie tv SKAM Italia, un cult generazionale che ha ben saputo affrontare temi come la salute mentale, il pregiudizio e il rapporto con il proprio corpo.

Da allora, Ludovica Martino di strada ne ha fatta e tanta ne continuerà a fare. In questo momento, la vediamo anche nella seconda stagione di Vita da Carlo ma la attendono anche due film molto diversi per il cinema, Resvrgis e Il mio posto è qui, progetti che sceglie con particolare attenzione e dedizione per un lavoro che sa, nonostante essere difficoltoso, offrirle un mezzo potente per far sentire la sua voce: il solo strumento che ha a disposizione per impegnarsi a rendere il mondo un posto più inclusivo.

Classe 1997, Ludovica Martino non ha paura di esporsi in prima persone su argomenti complessi, senza nascondersi dietro un dito o la facciata delle copertine patinate. Le ansie social, le pressioni, il gender gap e il rapporto con il suo corpo sono solo alcune delle questioni affrontate insieme, con risposte che rivelano quanta determinazione e autodeterminazione ci sia dietro una ragazza che a una foto sui social preferisce un film da guardare sul divano per cercare emozioni e porsi domande.

Ludovica Martino.
Ludovica Martino.

Intervista esclusiva a Ludovica Martino

Chi è Laura la protagonista della serie tv YOLO?

Laura è una millennial, una ragazza giovane e precaria. La serie tv nasce con l’obiettivo di raccontare la fascia dei trentenni o quasi di oggi, quella che è segnata dall’ansia della precarietà e delle aspettative sociali, quelle che portano gli altri a far chiedere continuamente “Quando ti sposi?”, “Quando poi fa un figlio?”, “Alla fine, che lavoro fai? È quello che sognavi?”. Vivere una situazione di precarietà lavorativa come quella di Laura e degli altri personaggi raccontati fa sì che si moltiplichino le incertezze e si rimettano persino in discussione quelle consapevolezze che si crede di avere acquisito ma che non possono essere messe in atto come si vorrebbe perché mancano i mezzi per farlo.

Non è per nulla facile confrontarsi a trent’anni con una realtà di per sé difficile, fatta di affitti alle stelle, di convivenze e di lavori precari. Ma Laura è anche una ragazza che sogna di fare la chef. Per perseguire il suo sogno varca anche i confini italiani ma si scontra con l’essersi innamorata di una persona che vive in Italia. Questa linea narrativa affronta un tema altrettanto complesso, portando la protagonista a chiedersi cosa preferire: l’amore o la carriera? Mentre Lady GaGa non aveva dubbi (“il lavoro non si sveglierà mai un giorno per dirti che non ti ama più”), Laura no.

A grandi linee, il personaggio di Laura sembra somigliarti. Avete entrambe la stessa età (più o meno), un lavoro precario, pressioni sociali e una relazione sentimentale con cui far convivere le proprie aspirazioni. Ti sei rivista in lei?

Con le dovute differenze, sì. Ma si tratta di temi universali in cui possono riconoscersi (quasi) tutti i trentenni di oggi. Ci sono comunque degli aspetti caratteriali di Laura che coincidono con i miei, come la dedizione al lavoro, l’etica, la professionalità, la voglia di crescere e il desiderio di sognare in grande. E altri che, invece, non mi appartengono. Ciò che comunque lega tutti quanti noi millennials è la ricerca continua di una stabilità che, quando a sedici anni la noti negli altri, ti sembra quasi una priorità da “vecchio”. Ma quando sei adolescente non riesci a comprendere a fondo i problemi di un’età che non è tua: li capirai solo quando vivrai anche tu quel momento.

Il poster della serie tv YOLO - You Only Live Once.
Il poster della serie tv YOLO - You Only Live Once.

Quando hai accettato il ruolo di Laura in YOLO, ti sei resa conto che saresti cresciuta anche sullo schermo rispetto alla Eva Brighi che hai interpretato in SKAM Italia?

Le due serie sono accomunate dall’essere entrambe un racconto generazionale. SKAM, che ho girato dieci anni fa, raccontava la realtà di una sedicenne mentre YOLO, girata oggi, quella di una quasi trentenne: sembrano quasi seguire la mia traiettoria. E mi fa sorridere: non ci avevo mai pensato.

Fa sorridere ma fa anche capire come chi pensa a quei racconti veda nel tuo volto il simbolo di un’intera generazione.

SKAM è stato il racconto di un’adolescenza vera e senza filtri, caratterizzato da una grande cura dei dettagli, soprattutto nell’attenzione data alle sofferenze degli adolescenti protagonisti. Nulla veniva trattato in maniera superficiale: si cercava di farlo semmai nel modo più realistico possibile, ragione per cui SKAM è stato un racconto generazionale pieno. Anche YOLO lo è ma ha sicuramente tutt’altro tono… YOLO è una commedia leggerissima che spinge al sorriso, al contrario di SKAM che, prodotto un po’ più d’autore, era pieno di consapevolezza, tristezze e tanta emotività. Come dice in una delle puntate di YOLO il personaggio di Edoardo, interpretato da Lorenzo Adorni, “a trent’anni si diventa pratici”: è in questa frase che è racchiusa tutta la differenza tra le due serie tv.

Tu senti di essere diventata pratica?

Mi faccio molte meno paranoie e seguo molto più il flusso della mia vita, del mio destino o dell’universo. In passato, provavo invece ad avere molto più controllo sia sulla mia vita sia su quello che mi succedeva. Sono diventata meno cervellotica, ad esempio: prima cercavo sempre il perché delle cose che mi accadevano, oggi lascio che a sorprendermi sia il flusso senza pormi chissà quali domande. Mi piace non sapere e vedere dove vado a parare. Anche quando metto tutte le mie energie per portare a termine i miei obiettivi, se non si realizzano, non ne faccio una dramma, al contrario di quanto accadeva in precedenza.

Yolo: Le foto della serie tv

1 / 10
1/10
2/10
3/10
4/10
5/10
6/10
7/10
8/10
9/10
10/10
PREV
NEXT

YOLO è l’acronimo di You Only Live Once, che in italiano possiamo tradurre con “Si vive una volta sola”. Quand’è l’ultima volta che te lo sei detta? In tutta franchezza, è una di quelle frasi che ci diciamo soprattutto quando commettiamo qualche cazzata…

Me lo ripeto continuamente: è un po’ il mio mantra di vita. Me lo dico ad esempio quando mi regalo un viaggio (amo viaggiare!) anche costosino in un momento non proprio giusto o quando commetto qualche cavolata. Ma ci sta: non saremmo umani altrimenti. Secondo me, è bello sbagliare: è anche sbagliando che si accumulano quelle tante esperienze che torneranno utili in avanti per scegliere se sbagliare ancora o no.

A me piace vivere il momento e godermi a pieno l’attimo senza pensare a quello che sarà dopo: se vado a bere uno spritz con le amiche al tramonto, non ho fretta di tornare a casa perché magari il giorno dopo si lavora o si affronta qualcosa di pesante. Non ci penso perché voglio vivermi il momento come se fosse l’ultimo: si rischia altrimenti di vivere di rimpianti e di non avere ricordi ben saldi nella mente. L’ho capito a mie spese dopo qualcosa di importante che mi è successo e che tengo per me.

Vivere alla giornata aiuta anche ad alleggerire quell’ansia da perfezione che soprattutto la generazione millennial ha avuto cucita addosso dalla generazione precedente. Fai un lavoro, l’attrice, per cui bisogna sempre apparire perfetti o esserlo agli occhi degli altri.

Sì, soprattutto quando si combina tanto il lavoro con i social. Nel mio caso, preferisco usare pochissimo i social e sempre facendo riferimento alla sfera lavorativa. Non posto mai nulla della mia sfera privata perché semplicemente ho notato che mi fa stare meglio non farlo: mi crea meno ansia e meno pressione, non devo mostrare di essere perfetta in tutti i giorni della mia vita o che va tutto bene… non sarebbe vero: la vita di nessuno è perfetta.

C’è chi si trova molto più a suo agio creandosi una realtà social e non mostrando i momenti di debolezza o quelli più delicati: vuol dire che fa meno fatica di me per una questione caratteriale. Nel mio caso, preferisco stare tutto il giorno a farmi i fatti miei in pigiama: voglio permettermi il lusso di avere la libertà di decidere di sparire dai social anche, che ne so, per un anno.

Il mio è un lavoro che porta a essere presentabili quando c’è una necessità “cinematografica”: una presentazione, una premiere o una conferenza stampa legata a un’opera a cui hai preso parte. Sei lì per quello e non per presentare te stessa: metti in primo piano il lavoro e tendi a non parlare di te. Ciò, in un certo senso, ti offre una tutela mentre i social spingono verso un’esposizione h 24 di te stesso. Ma ripeto: è una questione caratteriale, anch’io all’inizio ho provato a far come molti altri ma poi ho capito che non faceva per me. Troppa ansia e troppa pressione sociale: non mi piace, preferisco vivermi la vita vera.

Quando hai cominciato a sentire maggiore ansia e pressione sociale? Qual è stato il tuo rifugio?

È successo dopo che in pandemia SKAM Italia è diventato un fenomeno. I 70 mila follower, quelli che da quattro o cinque anni erano la mia community, sono diventati 500 mila. È in quel momento che mi sono chiesta cosa avrei dovuto fare: dovevo essere continuamente presente? La confusione ha preso il sopravvento: non capivo bene nemmeno io come restituire quella gratitudine che mi era arrivata addosso. Ho provato quindi a stare sui social e a parlare con il mio “pubblico” ma, per come sono fatta, preferisco toccare tutto con mano: anziché lasciare che l’ansia prendesse il sopravvento, ho preferito allora staccare. Il mio rifugio, ieri come oggi, è il cinema: ho deciso di fare l’attrice perché sono da sempre una cinefila.

Che film guarda Ludovica Martino?

Per via della mia professione, cerco di vedere tutti o quasi tutti i film che ogni settimana escono in sala. Sto quasi sempre al cinema, dove vado anche da sola, solitamente dopo pranzo. Tendo comunque a vedere più o meno un film al giorno, anche quando la sera sto comoda sul divano di casa: prediligo i film d’autore. Tra gli ultimi visti, rientrano ad esempio Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti, Io capitano di Matteo Garrone, Jeanne du Barry di Maiwenn e L’immensità di Emanuele Crialese.

Hai un guilty pleasure, quel film che non è un capolavoro ma che allo stesso tempo ti fa star bene?

Le commedie. Mi fanno ridere e mi piacciono molto. Ma preferiscono sempre i film d’autore perché mi emozionano e mi arrivano dentro: rimangono nella mia testa anche a mesi dalla visione, portandomi a pormi delle domande finanche al punto di star male. È una sensazione che ricerco in ogni film che vedo: se non la trovo, mi infastidisco anche.

Ludovica Martino nel film Il mio posto è qui.
Ludovica Martino nel film Il mio posto è qui.

Ti vedremo a breve in due film molto diversi. Il primo è Il mio posto è qui di Cristiano Bortone e Daniela Porto, che racconta della profonda amicizia tra una ragazza madre e un omosessuale all’indomani della fine della Seconda guerra mondiale. Occorre ancora oggi raccontare ai millennial l’omosessualità per promuoverne l’accettazione?

Sì. Un po’ perché l’omosessualità è una ancora una realtà che si cerca di offuscare: le generazioni precedenti hanno provato a tener nascosto qualcosa che esiste sin dai tempi dell’Antica Grecia e che è sempre stata una verità. Perché lo hanno fatto? C’è sempre bisogno di verità, di realtà, di emozioni e di passioni vere: perché farci bere una falsità per anni? Solo pensarci, mi fa arrabbiare.

E un po’ perché l’accettazione non è così scontata come sembra. Noi attori facciamo un lavoro che ci permette di avere voce in capitolo: usiamola per cambiare questo mondo ed eliminare quelle sovrastrutture che si sono create non si sa bene (o si sa) per quali motivi. Negli ultimi anni c’è stato di sicuro un bel cambiamento ma c’è ancora tanta strada da fare per quello che molto banalmente si riassume in un semplice “facciamoci i fatti nostri e non quelli degli altri”.

Questa propulsione a guardare cosa fanno gli altri è qualcosa che non capisco: trovo surreale che ci siano ancora così tanti pregiudizi o tantissime persone poco evolute… come vogliamo chiamarle? Ignoranti? Noi attori abbiamo, quindi, il dovere di parlare di certe situazioni: abbiamo una voce e un mezzo per poterlo fare. Ragione per cui, quando mi si presentano progetti cinematografici inclusivi, non mi tiro mai indietro.

Il secondo film invece è Resvrgis, un horror che verrà presentato ad Alice nella Città, la sezione parallela della Festa del Cinema di Roma. Un divertimento, in pratica, per un’attrice…

Sì, soprattutto per un’attrice che non sopporta la vista del sangue arrivando persino a svenire come mi è accaduto negli ultimi anni. Non so perché ma a un certo punto della mia vita m’è sorta la “paura” del sangue: ogni volta che sanguino o mi taglio, comincio a sentirmi accaldata e devo anche sedermi… mi son detta che forse recitando in un horror con tutto il sangue che prevedeva avrei esorcizzato la paura, che forse sarebbe stato terapeutico. Macché… Mi sono ritrovata a recitare scene intere ricoperta di sangue e la cosa peggiore era, dopo le riprese, andare a fare la doccia: sembrava che avessi veramente ucciso qualcuno, una sensazione orribile…

Fobia del sangue a parte, è stata un’esperienza divertente girarlo. Mi sono cimentata in attività che non avevo mai svolto, come imparare a sparare con dei fucili a un poligono: non avevo mai visto un’arma in tutta la mia vita! È anche un po’ il bello del mio lavoro: mi porta a fare o a scoprire qualcosa di inedito, come adesso che sto seguendo un corso di swing per un nuovo film.

Sei coordinata nel ballo?

Il cinema fa magie: i vari ciak e le diverse inquadrature aiutano. Ma non me la cavo così male: sono semmai io a essere severa con me stessa.

Ludovica Martino nel film Resvrgis.
Ludovica Martino nel film Resvrgis.

Nel primo episodio di YOLO, Laura ed Edoardo si conoscono perché accompagnano i loro rispettivi amici a un appuntamento rimediato su Tinder. L’incontro tra questi ultimi non va come dovrebbe per via degli stereotipi e dei cliché legati alle differenze di genere. Per lavoro, sei spesso a contatto con colleghi maschi: noti delle disparità di trattamento da parte di chi dirige, scrive o produce?

Soprattutto economica. Sembra quasi che non si sia autorizzati a dirlo perché il cinema permette guadagni maggiori rispetto ad altri lavori ma, se non diamo noi donne voce a tale disparità quando ci viene chiesto qualcosa, sarebbe un’occasione sprecata non sottolineare il gap economico, altissimo e quasi imbarazzante, che esiste tra attore e attrice. Stiamo cercando negli ultimi anni di combatterlo, così come portiamo avanti una battaglia non indifferente sui crediti: capita che, almeno a me è successo, tu sia la protagonista di un film ma che il tuo nome finisca in quarta posizione perché c’è qualche altro collega a cui dare la precedenza. È come se i nomi maschili venissero quasi favoriti, anche se hanno solo tre pose: è come se noi donne non potessimo contare sulla sola meritocrazia.

Tra le righe, hai tirato in ballo un’altra questione di non poco conto: quello dell’attore o dell’attrice non viene quasi mai percepito come un lavoro duro ed è ritenuto come più fortunato rispetto ad altri, come se non presentasse criticità.

In certi contesti si pensa che si sia dei miracolati dalla vita, come se per far l’attore non occorresse studiare o formarsi, come se per girare una scena non si dovesse ripetere infinite volte il ciak o come se non si facessero levatacce o sacrifici. Spesso mi dicono: “Che bello il tuo lavoro: ti truccano!”… Che non si dia dignità al nostro lavoro è per me una follia: ci si dimentica di formazione e preparazione, ad esempio.

Ludovica Martino.
Ludovica Martino.

Nonostante una carriera in ascesa, hai concluso da poco il tuo ciclo universitario con la laurea magistrale.

Avevo ultimato la triennale nel 2018 e la magistrale non era la mia priorità, tanto che il giorno della laurea non ero neanche particolarmente felice. Ma mi ero imposta di conseguirla perché più in là con gli anni, se avessi lavorato ancora di più, non avrei avuto il tempo per farlo. Mi ero iscritta dicendomi “vediamo se ci riesco”… e riuscirci mi è costato veramente molta, moltissima fatica. Una fatica che ha richiesto anche ritmi infernali: studiavo di notte mentre di giorno giravo. È stato un massacro inutile: è bello aver portato a termine il percorso ma, confesso, che neanche a me forse interessava veramente riuscirci. Se mi chiedessero perché l’ho fatto, probabilmente non avrei una risposta. Forse l’ho fatto per inerzia.

È ammirevole la tua onestà soprattutto di fronte alla pressione del “dopo il liceo, laureati”, senza che si accenni mai alle difficoltà per portare a termine gli studi.

È una logica del tutto inutile, soprattutto quando si sceglie una facoltà che nulla ha in comune con i propri desideri. Un po’ come è capitato a me: mai fatto nulla finora con la mia laurea. Mi è servita a livello personale per arricchire il mio bagaglio culturale e nient’altro. Non bisogna mai scegliere una facoltà non consona ai propri sogni solo perché si pensa che possa garantire un lavoro: a lungo termine, la scelta non ripagherebbe.

Ecco, ho trovato la risposta al perché ho portato a termine il percorso di laurea: a me piace tantissimo viaggiare e mi piacciono le lingue. Una laurea in Interpretariato e Traduzione mi ha aiutato a non perdere la fluency anche grazie a quegli esami molto pratici in cui ti si richiedeva di tradurre in tempo reale un video che andava sullo sfondo.

Pensa che il giorno della laurea magistrale non ho nemmeno fatto una festa, contrariamente a quanto avvenuto con la triennale, quando con molto entusiasmo ne avevo organizzata una bellissima. Dopo la discussione della tesi, mi sono cambiata e sono andata al lavoro.

La tua è una bellezza molto particolare. Che rapporto hai con essa?

Sembra una frase fatta ma do maggiore importanza alla bellezza interiore. È una risposta banale ma per me la bellezza è stare bene con se stessi ed essere liberi dal giudizio degli altri, un po’ come quando da bambini non si pensa all’aspetto fisico. Da piccola, non mi chiedevo se fossi bella o brutta: è crescendo che tutti quanti cominciamo a farci caso perché ci relazioniamo con una società che ci vuole tutti rispondenti a certi standard. Dobbiamo, invece, ricordarci tutti che il nostro viso, come il nostro corpo, è solo nostro e che nessuno potrà mai avere i nostri stessi segni o le nostre cicatrici: è l’involucro che raccoglie le nostre esperienze e che dobbiamo imparare a guardare tutti solo con i nostri occhi e non con quelli del mondo.

Per chi fa il mio lavoro, non sempre è facilissimo riuscirci. Gli addetti ai lavori notano qualsiasi cambiamento, soprattutto nella forma fisica. Se ti sei goduta l’estate mangiando e bevendo qualcosa in più, ti guardano anche con gli occhi storti. Ti viene sempre richiesto un certo rigore per rispondere a degli ideali condivisi ma la vera bellezza consiste nell’amarsi liberandosi del giudizio degli altri: quella fisica scompare, quella interiore rimane per sempre.

A proposito di aspetto estetico, a differenza di altre attrici, i tuoi capelli rossi sono naturali.

È facile oggi presentarsi con i capelli tinti di rossi ma quand’ero piccola io nessuno voleva essere al mio posto. Devi avere i capelli rossi sin dalla nascita per conoscere quale bagaglio comportano: è facile godersi da adulti solo i benefici del loro lato buono…

Oggi, mi piacciono i miei capelli rossi ma da bambina non sempre è stato facile averceli: i bambini sapevano anche come essere cattivi e gli adulti erano i primi a notarmi in mezzo alla folla o a richiamarmi per qualcosa, anche di stupido: tu con i capelli rossi mettiti di là... E, quindi, inevitabilmente ci soffrivo un po’ perché ancora non ne conoscevo il potenziale: ti assicuro che nessuno quando sei piccolo ti dice che i capelli rossi sono bellissimi e che ti saranno utili. A me non l’ha mai detto nessuno, a parte la mia famiglia… ma la famiglia non fa testo: l’accettazione deve venire da te stesso. Adesso non cambierei per nulla colore: amo da morire i miei capelli!

Ludovica Martino.
Ludovica Martino.
Riproduzione riservata