Che Luna Melis avesse l’x factor era chiaro a tutti. Ma non perché abbia partecipato all’omonimo talent nel 2018 all’interno del team di Manuel Agnelli classificandosi terza e ottenendo con il suo inedito Los Angeles più visualizzazioni su YouTube degli altri concorrenti. E nemmeno perché l’anno dopo è stata chiamata a condurre il Daily, cimentandosi in un incarico gigante per le spalle di una diciassettenne.
Ce ne siamo semmai resi conto con il tempo, imparando a conoscere anche le sfumature di una personalità complessa che ha reso Luna Melis una delle artiste più talentuose e apprezzate della Gen Z. Canzone dopo canzone, è riuscita a raccontarsi mostrando grinta e “cazzimma sarda”, come direbbe lei stessa.
Eppure, sono tanti i lati fragili con cui Luna Melis fa tutti i giorni i conti, a cominciare proprio dall’essere passata da bambina a adulta in istante. Un processo che l’ha costretta a dire addio per sempre alla versione infantile di se stessa per assumersi sulle spalle il peso delle responsabilità di una donna che sta per diventare adulta, affrontando ansie e insicurezze, momenti felici e altri down.
Tornata di recente in radio e nei digital store con il singolo Farfalla, prodotto ancora una volta da Big Fish e pubblicato da Island Records, Luna Melis ci invita a vivere la vita con leggerezza e a lasciarsi andare senza avere rimorsi di alcun tipo. Ed è proprio da Farfalla che facciamo cominciare la nostra conversazione, che pian piano diventa sempre più intima e profonda, proprio come Luna.
Intervista esclusiva a Luna Melis
Come nasce Farfalla, il tuo nuovo singolo?
La genesi è un po’ particolare perché in un primo momento non ero per nulla convinta della canzone. Un anno fa, quando è nata la canzone, attraversavo un momento in cui ero particolarmente insicura di me stessa e stavo male per delle robe mie personali. Quando ho sentito per la volta il beat, lo trovavo fuori dalla mia zona di comfort e non sono riuscita ad apprezzarlo. Tuttavia, non l’ho rifiutato e insieme agli autori della mia etichetta abbiamo cominciato a lavorarci sopra: stava venendo fuori qualcosa di carino di cui però non ero ancora convinta.
Pian piano, però, ho cominciato ad apprezzare il risultato e mi sono resa conto che non era poi così distante da me e dalla mia personalità. Oggi invece reputo Farfalla come il singolo degli ultimi anni di cui vado più fiera in assoluto. Tutto ha acquisito un senso e grazie alla canzone ho capito tante cose di me che ancora non conoscevo: è come se mi avesse guidato verso un cambiamento anche di consapevolezza.
Hai superato le insicurezze di quel momento?
Più che superarle, direi che ho imparato a convivere con le mie insicurezze e i miei demoni. Da piccola invece non mi davo mai pace sulla questione: cercavo sempre un modo per scappare dalle cose. È solo crescendo che ho realizzato che non tutto è superabile ma basta imparare a conviverci. Quindi, oggi ci sono dei momenti in cui sono in pace con me stessa perché la convivenza funziona bene e altri in cui tutto diventa più difficile.
Farfalla è un inno a vivere con leggerezza. Eppure, mi sembra di capire che tu non sia così leggera…
Hai reso benissimo l’idea. Io mi sento tutt’altro che leggera. La mia profondità mi spinge a essere una persona molto introspettiva e la superficialità non è mai stata una delle mie caratteristiche. E forse è proprio questa la ragione per cui ogni tanto vado in down: mi soffermo tantissimo a pensare e ragionare su tutto. Farfalla per me è come un paradosso: è un pezzo felice e allegro che mi aiuta a separare il mio lato personale da quello artistico. Voglio trasmettere good vibes agli ascoltatori e non appesantirli. E, poi, in tutta franchezza, è anche un modo per ricordare a me stessa di provare a essere o sentirmi più leggera e serena.
A te cos’è che invece trasmette good vibes?
Diverse cose: non sono una persona negativa ma solo profonda! (ride, ndr). Mi trasmettono good vibes l’affetto, l’amicizia, il rapporto con i miei familiari e la relazione che sto vivendo: mi fanno sentire bene. Ma anche la musica, sia da artista sia da ascoltatrice: vivo di musica da ascoltare…
Dal momento che ti hanno definita una “trap girl”, ascolti solo trap o musica a 360°?
Ascolto di tutto. E sfatiamo subito un mito: io non sono una trap girl. È un’etichetta che mi è stata un po’ appiccicata quando ho partecipato a X-Factor ma se dovessi trovare un genere in cui identificarmi totalmente sarebbe il pop. Sono nata e cresciuta ascoltando Lady GaGa, Rihanna o Christina Aguilera: me le porto appresso dalla mia infanzia ed è a loro che vorrei assomigliare. La mia massima aspirazione è proprio Rihanna: vorrei un giorno diventare un’artista del suo calibro perché sono attratta dal suo essere una donna potente, indipendente e autodeterminata non solo nell’industria della musica ma anche in generale. È lei la mia madre indiscussa!
Oltre a essere un inno alla leggerezza, Farfalla è anche un inno a vivere senza rimorsi. Quali rimorsi si possono avere a ventuno anni, la tua età?
Posso essere sincera? Non ho alcuno rimorso, così come non ho rimpianti. Sono sempre stata convinta dell’idea che la vita vada vissuta così come viene. Non si può tornare indietro nel tempo e cambiare l’ordine delle cose: che senso avrebbe stare a rimuginare con i se o con i ma? Non dobbiamo fossilizzarci sul passato ma guardare al futuro: abbiamo davanti a noi tutto il tempo che vogliamo per agire anche diversamente, non possiamo flagellarci per il passato. Dal testo di Farfalla traspare però anche una certa mia testardaggine. Un po’ come tutti i sardi, sono caratterialmente molto testarda ma con un cuore gigantesco.
Hai citato la tua infanzia. Com’è stata?
Per me ha grande importanza perché la ricordo come l’unica fase spensierata della mia vita. Non mi vergogno a raccontarlo ma ho avuto bisogno di un percorso terapeutico con una psicologa proprio perché ho avuto dei problemi ad affrontare la mia crescita. Soprattutto, perché ho dovuto separarmi da me stessa bambina in maniera rapida e immediata. È stato come affrontare un lutto: una parte di me era effettivamente morta. L’ho vissuta con molta difficoltà, avevo paura di crescere e affrontare le responsabilità che arrivavano ma il percorso mi è servito a capire chi fossi e chi stavo diventando.
Eppure, in molti credevano, complice una strofa di Los Angeles, il tuo primo singolo (ho unito il peggio di papà al peggio di mamma), che la tua infanzia fosse stata terribile…
Per verso, è un trigger… se fosse stato per me, avrei scritto “il meglio di papà con il meglio di mamma”: pensa che anche i miei quando hanno sentito la canzone per la prima volta non sono stati particolarmente felici… mia mamma me lo rinfaccia tuttora: “e comunque a me non va bene”! Non ho mai avuto problemi con i miei genitori: sfatiamo anche quest’altro di mito, ho avuto un’infanzia abbastanza serena.
In Donna domani, tuo singolo con Chadia Rodriguez, c’è un verso che invece sembra descriverti parecchio: hai 16 anni ma ne valgono 30. Com’è stato per te ritrovarti a sedici anni sul palco di X-Factor per vivere un’esperienza molto più grande di te prima come concorrente in gara e l’anno dopo con il daily?
È stato tanto bello quanto distruttivo a livello mentale. Ritrovarmi su un palco del genere era l’obiettivo a cui ambivo sin da quando avevo tredici anni. Volevo arrivarci a tutti costi e sono stata felice di averlo fatto. I problemi sono arrivati quando si è concluso il tutto, anche l’esperienza del daily. Nel giro di pochi mesi, ero passata dal niente al tutto e non me ne ero resa conto: a X-Factor vivevamo come in una bolla, senza contatti con l’esterno e senza la percezione di quello che stava avvenendo.
Non ho avuto quindi modo di abituarmi gradualmente al “successo” e non ero pronta a gestirlo. Avevo sedici anni, ero solo un’adolescente in piena fase ormonale che andava in crisi per ogni cosa e che affrontava una realtà anomala per il contesto da cui proveniva: in Sardegna non è che capiti tutti i giorni di vivere un’esperienza come la mia. Di conseguenza, mi sentivo anche un po’ sola al mondo…
E cosa ti ha aiutato?
Tenermi la mia quotidianità: frequentare gli amici di sempre e stare con la famiglia, tutto ciò che facevo prima del talent. Avevo bisogno di non alterare la mia sfera privata, rischiavo altrimenti di andar fuori di testa. Ed è lo stesso motivo per cui ancora oggi continuo a fare la spola tra Milano e la Sardegna, vivendo due vite quasi contrastanti tra loro. A Milano c’è la mia vita frenetica, fatta di impegni di lavoro da rispettare a ritmi frenetici, mentre in Sardegna posso riprendere me stessa, non far niente e adeguarmi ai ritmi lentissimi di giornate che sembrano durare 48 ore. A oggi ho bisogno di entrambe le vite ma mi rendo conto che la vera fortuna è poter ritornare a casa dei miei quando sono stanca.
“Donna non si nasce, si diventa” è una frase che viene sempre da Donna domani. Quando hai capito di essere diventata donna?
Ogni volta che faccio un passo importante nella mia vita, ho la sensazione di starmi avvicinando all’essere una donna adulta. Non mi sento ancora una donna adulta: ho pur sempre ventuno anni, età di cui spesso mi dimentico, e ogni tanto devo ricordarmi di essere ancora una ragazzina. Vivo come in una specie di limbo. In parte, sono adulta perché affronto le mie responsabilità, ho appreso delle lezioni e ho imparato a vivere meno da adolescente impulsiva. Ma lo sarò definitivamente quando imparerò a gestire ogni cosa con molta più maturità e lucidità.
Qual è l’ultima cosa impulsiva che hai fatto?
Un ordine di vestiti su una popolare app. Ma sono cambiata tanto rispetto a prima: ero molto più impulsiva e frenetica, mentre oggi mi avvio a divenire una persona ragionevole. Lo vedo anche con il mio team di lavoro: sono molto più aperta al dialogo e al confronto.
Il tuo team di lavoro è composto da tutti uomini. Non manca qualcosa?
Da quando faccio questo lavoro, non mi è mai capitato di lavorare con un team di donne. Di conseguenza, non posso fare alcun tipo di paragone perché mi manca un’esperienza diversa da quella che ho vissuto. Tuttavia, quelle poche volte che è capitato di avere a che fare con donne per lavoro al di là del mio team ho notato maggiore empatia alle mie esigenze di “ragazzina”. Gli uomini sono per natura un po’ più freddi e quelli con cui lavoro io sono anche più grandi me: è normale che a volte nascano incomprensioni che forse una donna saprebbe gestire meglio. È solo una questione di sensibilità perché rimango pur sempre una persona ultra sensibile, forse pure troppo: non c’è nulla da fare.
E come ti difendi dalla tua stessa sensibilità?
La mia condanna è la fragilità. Ma non ho bisogno di difendermi: la mia sensibilità mi porta anche a vivere situazioni belle. Al massimo, se vengo ferita, divento un po’ più dura, forte…
Forte come il tuo sogno? Lo è ancora così tanto?
Assolutamente. Non smetterò mai sognare: mi tiene in vita. Così com’è forte la mia ambizione: se non ne avessi, non avrebbe senso fare quello che faccio.
Negli ultimi anni, abbiamo visto una forte ascesa di nomi femminili nello scenario italiano, nel pop come nella trap. Secondo te, a cosa è dovuto?
Sempre più donne ci sono, meglio è. Le capostipiti del trap al femminile sono state Chadia Rodriguez e Beba, poi ci sono stata io e dopo sono arrivate Madame o Anna. Abbiamo fatto capire che la donna non è da meno rispetto all’uomo e speriamo che continui ancora per molto così. C’è però un aspetto che non mi piace della scena italiana femminile: credo ci sia troppa gelosia e invidia. Si parla tanto di Girl Power ma alla fine manca la solidarietà e la collaborazione: abbiamo assimilato gli stessi atteggiamenti maschili. E l’assenza di collaborazione è dannosa, non porta da nessuna parte.
Una tua hit si chiamava Ansia 2000. Che rapporto hai oggi con l’ansia?
Abbiamo una relazione, ehm… uso il temine meno pesante che trovo: disastrosa! Convivo con i disturbi dell’ansia sin da quando ero piccolina ma ho sempre cercato la forza di uscire dai momenti peggiori. L’ansia è la mia condanna più grande ma è anche il mio orgoglio più grande: mi sprona a dare tutta me stessa al 100%, sempre. E mi dispiace che ci sia ancora tanta ignoranza sull’argomento per via di una certa disinformazione. Io stessa per capirla meglio mi ero anche iscritta alla Facoltà di Psicologia, mi sarebbe piaciuto diventare una psicologa. Ci ho tentato ma forse ho iniziato l’università in un momento sbagliato: ho smesso di frequentarla ma probabilmente, se un giorno me la sentirò, la riprenderò.