La Settimana della Critica, sezione collaterale del Festival di Venezia, ha visto trionfare il film Malqueridas di Tana Gilbert sulle donne di un carcere, a cui è andato il Gran Premio IWonderFull come Miglior Film e il Premio Mario Serandrei per il Miglior Contributo Tecnico.
Questa la motivazione della giuria internazionale composta da Baloji, Ava Cahen e Bianca Oana: “Perché il suo soggetto è vertiginoso, perché il suo approccio formale è magistrale, un gesto radicale che fa rivivere il fuori campo e ci mostra solo i dettagli, l'immagine sfocata, i pixel rubati. Narrativa e set-up sono asservite alle testimonianze. La regista ci mette accanto alle donne incarcerate, senza esprimere alcun giudizio sul loro valore, e questo è un prodigio della licenza poetica del cinema”.
L’apposita commissione di esperti composta da Matteo Berardini, Marco Contino, Raffaella Giancristofaro, ha invece così motivato il Premio Mario Serandrei - Hotel Saturnia per il Miglior Contributo Tecnico: “Per l’articolato processo di post produzione, attraverso il quale si dà forma cinematografica a immagini clandestine del vissuto, altrimenti inaccessibile, di un carcere femminile. Questo è un film-dispositivo che rende fruibile il materiale di partenza in bassa definizione, rispettandolo. Una scelta tecnica antiestetizzante e dal chiaro valore politico”.
Una storia di legami interrotti
Malqueridas, il film di Tana Gilbert, ci porta all’interno di una prigione femminile in Cile. Le detenute sono donne e madri che stanno scontando lunghe pene. I figli crescono lontano da loro ma rimangono nei loro cuori. In prigione, le donne trovano l’affetto delle altre detenute che condividono la loro stessa esperienza. Il sostegno reciproco diventa una forma di resistenza ed emancipazione.
Il film Malqueridas ricostruisce le loro storie attraverso le immagini che le detenute stesse hanno girato con i cellulari vietati dentro la prigione, recuperando la memoria collettiva di una comunità dimenticata. “Mari. Carolita. Cristal. Dominique. Yvonne. Dayana. Angel. Sono alcune delle voci che si levano di nascosto dall’interno di un istituto di detenzione femminile cileno”, scrive Beatrice Fiorentino nel catalogo della Settimana della Critica. “Le loro esperienze si somigliano fino a sovrapporsi, identiche a infinite altre. Sono storie di ordinaria sopravvivenza che si consumano ai margini di una società che scorre indifferente al di fuori delle mura del carcere”.
“Storie che appartengono a uno spazio e a un tempo “altro” e che Tana Gilbert, attratta dai temi sociali e dalle questioni di genere già nei suoi precedenti lavori brevi, racchiude insieme in un racconto esemplare: quello di Karina, uno fra tutti, uno fra tanti, come chissà quanti altri che appartengono al passato e al futuro. Karina è una, nessuna, centomila. E la sua storia è la storia di tutte. Malqueridas non è un film a senso unico. Anzi. È un film “collettivo” che contiene in sé molteplici anime, direzioni, sensi diversi. Malqueridas è molte cose. È una storia di legami. Di legami interrotti e di sostituti/e. Legami che si generano, crescono, si rafforzano anche grazie al potere dell’immagine”.
L’assenza delle donne da casa
A dirigere il film Malqueridas è Tana Gilbert. Classe 1992, è una regista cilena. I suoi cortometraggi documentari sono stati presentati a livello internazionale in numerosi festival tra i quali Hot Docs, RIDM Montreal International Documentary Festival, Chicago International Film Festival, Seminci, Valdivia International Film Festival. Ha un Master in film documentario dall’Università del Cile e tiene corsi di cinema in diversi atenei del paese. È stata selezionata per far parte dell’IDFA Academy nel 2019. Malqueridas è il suo primo lungometraggio.
“Sin dai miei primi cortometraggi, temi come la cura, la prigione e i ruoli di genere hanno animato le mie riflessioni artistiche”, ha spiegato Tana Gilbert. “Malqueridas è un progetto realizzato tra loro e noi, sfidando la narrazione dominante e preservando le loro storie, la loro esistenza e la loro umanità. Sulla base di registrazioni effettuate con i loro cellulari clandestini all’interno del carcere, abbiamo ideato una storia collettiva che ricostruisce le loro esperienze e i loro affetti. Il racconto emerge da estese conversazioni con più di venti donne, reinterpretate a partire dall’esperienza di una di loro, Karina. Ogni fotogramma del film è stato stampato e ri-digitalizzato, allo scopo di assegnare uno spazio fisico a queste immagini, rendendole eterne e impossibili da cancellare. In questo modo, il film custodisce una memoria collettiva che solleva una domanda sul valore delle immagini: creare immagini significa appropriarsi della realtà e farla propria”.
L’idea di realizzare un film come Malqueridas è nata nella mente della regista per via di un aneddoto relativo alla sua storia personale. “Mio padre è stato incarcerato negli Stati Uniti quand’ero bambina”, ha rivelato. “Il supporto che ha ricevuto da mia madre è stato fondamentale nell’affrontare la detenzione. Ciò mi ha portato a chiedere cosa succede alle donne cilene quando vengono arrestate. Il 91% di loro sono madri, molte delle quali cresciute in contesti di povertà. Vivo in America Latina, in un contesto culturale in cui sono le madri a sostenere le famiglie e a portare il pane a casa. Il sistema giudiziario non considera le conseguenze della loro lunga assenza dalla sfera domestica”.