Marco Ligabue, un cantautore dalla voce profonda e dalle radici salde nel cuore della provincia italiana, ci accoglie con un sorriso aperto e la semplicità che lo contraddistingue. Nato e cresciuto a Correggio, un piccolo paese di 25.000 abitanti, Marco Ligabue è un artista che ha saputo fare della sua terra natia una fonte inesauribile di ispirazione, trasformando i suoi sentimenti e le sue esperienze in musica.
In questa intervista, Marco Ligabue ci racconta la genesi del suo ultimo brano, Il vento dell’estate, un pezzo che esprime la dualità di sentimenti che accompagna le sue estati: la leggerezza e la libertà da un lato, il tormento interiore e il desiderio di evasione dall’altro. Ci svela come la provincia, pur con le sue limitazioni, rappresenti per lui una comfort zone fatta di amicizie e legami forti, un rifugio sicuro che ha sempre preferito alle tentazioni di una vita più frenetica in una grande città.
Scopriamo come la musica sia stata la sua àncora, permettendogli di esplorare il mondo senza mai rinunciare alle sue radici. Attraverso le sue parole, emergono i temi della famiglia, rappresentata anche dalla collaborazione con il giovane nipote Lenny alla batteria, e della lotta contro i pregiudizi che spesso lo hanno accompagnato, essendo il fratello di Luciano, a sua volta cantautore famoso.
Marco Ligabue condivide con noi la sua evoluzione personale e artistica, la timidezza superata, le sfide affrontate e la determinazione a farcela con le proprie forze. Una conversazione che tocca anche il suo impegno sociale, la passione per il calcio e i progetti futuri, offrendoci un ritratto sincero e appassionato di un artista che ha fatto della sua autenticità la sua forza.
Intervista esclusiva a Marco Ligabue
Com’è nata Il vento dell’estate, la tua ultima canzone?
Il vento dell’estate è un brano che è nato qualche mese fa, dal desiderio di creare una canzone che esprimesse la sensazione di libertà e leggerezza dell'estate, ma che allo stesso tempo raccontasse il tormento interiore che noi ragazzi di provincia sentiamo. Io sono di Correggio, un paese di 25.000 abitanti. Ho sempre vissuto qui, ma ho sempre avuto la tentazione di andare via, verso una grande capitale o un luogo esotico. Ma la lotta interiore si deve al fatto che è in provincia trovo la mia comfort zone, gli amici, i legami e le abitudini, nonostante le pareti siano strette e la realtà non restituisca le possibilità che si potrebbero avere altrove.
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Come hai vinto la tentazione di mollare tutto e andar via?
Ho avuto la fortuna di avere la musica dalla mia parte. Mi ha permesso, comunque, di andare in giro e vedere tanti posti, anche se non ho mai vissuto stabilmente altrove. Correggio per me è sempre stato il luogo del ritorno, del racconto agli amici e agli affetti, il posto perfetto in cui avere il nido. Molto probabilmente, se avessi avuto un lavoro fisso, non so se ce l’avrei fatta.
Al brano, partecipa alla batteria tuo nipote Lenny: con una battuta, è un modo per far sì che la musica sia sempre un affare di famiglia?
No, in realtà Lenny è presente per una questione di merito: è un batterista bravissimo. Ci siamo scoperti un po’ di più durante il lockdown, quando stare chiusi in casa o in studio ci ha concesso molto più tempo assieme. Ho realizzato in quei momenti come fosse un bravo batterista ma anche un ottimo fonico e produttore. È un ragazzo che ha studiato tantissimo, forse era solo un po’ timido e aveva anche un po’ di timore a proporsi.
Non è che vi siete trovati proprio perché in qualche modo condividete la timidezza?
In realtà, siamo caratterialmente molto diversi. Lenny è timido, io non molto. Forse lo ero da piccolo ma da quando è cominciata la bellissima parabola di mio fratello Luciano ho cominciato a sciogliermi anch’io, capendo quanto ci fosse da “godersela”: arrivava il bello. È stato allora che ho messo da parte la mia timidezza.
Non c’era allora la timidezza dietro alla tua decisione di cominciare a cantare intorno ai quarant’anni?
Dietro c’era forse la paura di farlo a causa dell’inevitabile confronto che sarebbe venuto. Io e mio fratello siamo cresciuti nella balera di famiglia e sin da bambini sapevamo di avere in qualche modo la musica nel sangue. Per anni ho scritto brani e suonato la chitarra, stando in seconda linea, fino a quando ho sentito l’esigenza di cantare e di espormi, vincendo a quarant’anni la paura del confronto con Luciano, che aveva preso già da tempo la strada del cantautorato, e realizzando che dovevo essere io la voce alle mie canzoni.
La paura del confronto era eteroindotta?
All'inizio, era una paura tutta mia di non essere giudicato per quello che facevo e proponevo ma solo come "il fratello di Ligabue": l’idea del pregiudizio mi girava in loop di continuo. Con il tempo, però, ho imparato a superare il tutto e a concentrarmi sulla mia identità artistica, anche se ancora qualche forma di timore c’è, soprattutto quando mi presento in pubblico. Dura qualche istante e poi svanisce: se la gente apprezza la mia musica, rimane ad ascoltarla indipendentemente dal di chi sei il fratello.
Al di là della paura qual è stato lo switch che ti ha portato a cantare?
Il percepire di avere scritto delle canzoni che sentivo dentro avessero bisogno della mia faccia e della mia voce. Comunque sarebbe andata, dovevo buttarmi e ho deciso di farlo, fino a quando dopo qualche anno di gavetta e di live sono stato invitato a un grande festival in Sardegna nel 2015. Aprivo in quell’occasione il concerto di Caparezza, con davanti a me 60 mila persone, un numero davanti al quale non avevo mai cantato.
Quella che a prima vista sembrava la mia grande occasione nei primi minuti si è rivelata essere un incubo a occhi aperti: avevo tutto il pubblico contro, probabilmente o per quel pregiudizio enorme che in tanti hanno avuto nei miei confronti o per l’impazienza di sentire Caparezza, non l’ho mai capito fino in fondo.
Stavo per mollare tutto dopo due canzoni pensando che non fosse quello il mio posto. Ma una vocina dentro, quella che vien fuori nei momenti di difficoltà, mi ha spinto a fermare la musica per un breve discorso. Ho chiesto a tutti di far silenzio per almeno mezz’ora, invitandoli a valutarmi come volevano soltanto dopo avermi ascoltato e non prima. E ha funzionato, segno che dovevo stare sul palco.
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E il mercato radiofonico o discografico ha mai mostrato segni di pregiudizio nei tuoi confronti?
Tantissimo. Ricordo come, dopo aver pubblicato nel 2013 il mio primo album, nel proporre il mio primo singolo alle radio la risposta era sempre la stessa: non era mai “ci interessa o non ci interessa, ci piace o non ci piace” ma “no, grazie: passiamo già un Ligabue”. Non arrivavo nemmeno a far sentire la canzone perché il rifiuto era netto. Per non parlare poi della televisione: c’era sempre chi mi invitava solo perché interessato alla mia storia in quanto fratello di un personaggio così famoso. Ci sarebbero mille risvolti di cui parlare ma essere “fratello di” ti mette molti più ostacoli davanti.
Eppure, non hai mai chiesto aiuto a Luciano per la tua carriera, anche quando avresti potuto. Perché?
Volevo fare il mio percorso senza scorciatoie. Volevo dimostrare a me stesso e agli altri che potevo farcela con le mie forze. Ora, dopo undici anni di carriera, sono contento del mio percorso e delle mie conquiste. Spesso mi chiedono perché non abbiamo mai fatto un duetto e la risposta è facile: un duetto non è semplice.
Non avrei mai che voluto che di fronte a un duetto con mio fratello, soprattutto all’inizio, qualcuno si fosse sentito legittimato a pensare che fossi io il primo a non credere nella mia musica. Ecco, forse l’idea potrebbe piacermi oggi, dopo undici anni di percorso solo mio: se arrivasse il testo giusto su qualcosa che lega entrambi, direi di sì ma mai per una roba nata a tavolino. Come accadeva anche tanti anni fa, un cantautore deve sentire l’urgenza di ciò che canta o del testo che ha scritto non quella di passare su tutte le radio, di andare in tendenza su TikTok o in cima agli streaming di Spotify.
Dopo quell’esperienza in Sardegna, quand’è stata la prima volta che hai avuto la sensazione che il pubblico fosse venuto per ascoltare solo ed esclusivamente Marco Ligabue?
Nel 2015, ho tenuto qualcosa come 120 serate, tra grandi eventi e concerti in piccole piazze. Per festeggiare un anno così intenso e particolarmente bello ho provato a fare un concerto a Roma, all’Auditorium Parco della Musica, il tempio sacro per la musica acustica. Si è riempito all’inverosimile, con gente arrivata da tutta Italia solo per me. Ancora oggi, la considero una delle serate per me più emozionanti.
Ti ha permesso quella serata di dirti “Ce l’ho fatta”?
È una frase che non mi dirò mai. Tanto che ho scelto di continuare a suonare nelle piazze per continuare a incuriosire chi ancora non mi conosce, a differenza dei teatri dove, comunque, lo spettatore pagante sa chi sei. Lo considero il luogo ideale: mi piace salire sul palco e cominciare ogni sera da zero, senza quell’atmosfera di celebrazione con il pubblico che canta dall’inizio alla fine le tue canzoni. Il pubblico, me lo devo conquistare tirando fuori ogni volta il 100% di me stesso perché, comunque, è sempre diverso e reagisce in maniera differente ai concerti, al rock e alla band.
Un po’ come gli artisti di strada…
Esatto, un mondo che conosco per esserlo stato anch’io per un breve periodo: un’esperienza che mi ha insegnato molto. La celebrazione di cui si ammantano altri artisti non sortisce effetto su di me, mi affascina semmai l’idea della quotidianità, dell’improvvisazione e dell’intensità che può derivare da un concerto.
Nel tuo caso, cosa la musica ha tolto alla vita privata?
I momenti che posso trascorrere con gli amici e con la famiglia, soprattutto d’estate quando sono via per i concerti. Ma la musica mi regala talmente tanta energia che, al mio ritorno, posso anche diffondere agli altri. Ti toglie del tempo in quantità ma te lo restituisce in qualità.
Il tuo impegno in ambito sociale è palese. Parlano da sole le campagne contro le mafie e il bullismo, che hanno avuto un grande impatto. Cos'è che ti spinge a impegnarti in queste cause?
La mia anima da cantautore mi porta a voler raccontare storie e sensibilizzare su temi importanti. Sin da quando son nato, ho sempre ascoltato i cantautori che sì scrivevano di amicizia e amore ma trattavano anche questioni sociali di una certa rilevanza, per cui per me è stato normale sposare cause civili.
Mi fa molto strano semmai come la musica di oggi sia ormai diventata solo un “io e te che stiamo insieme o ci lasciamo”, un gioco a due che il più delle volte non racconta nulla se non un insieme di frasi ad effetto. Dal mio punto di vista, la musica è racconto ma anche grande riflessione.
Così com’è nota la tua passione per il calcio…
Tifo Torino dal 1976, l’anno dell’ultimo scudetto. È una passione che ho da quando ero bambino e, anche se non abbiamo vinto più scudetti, rimango fedele alla mia squadra tanto che ho voluto girare il video di Anima in fiamme allo stadio Grande Torino. È stata un'esperienza emozionante tornare in quel luogo quasi sacro e rivivere le emozioni della mia infanzia quando giocavo a calcio e sognavo di essere uno dei grandi giocatori di quella squadra.
Quest’estate porterai avanti i tuoi due spettacoli, Salutami tuo fratello e Tutto bene tour.
Tutto bene tour è uno spettacolo rock con la mia band in cui propongo le mie canzoni e le mie cover, mentre Salutami tuo fratello è uno spettacolo acustico dove racconto aneddoti e suono brani legati al mio libro. È un modo per condividere storie e canzoni in un'atmosfera più intima.
Il vento dell’estate è il terzo singolo di quest’anno. Dobbiamo aspettarci presto un album?
Il primo singolo del 2024 è stato Anima in fiamme, a cui è seguito dopo Toc Toc Ecologico, dedicato alla Giornata Mondiale della Terra, e ora Il vento dell’estate. Fuoco, terra e aria, tre elementi a cui in autunno se ne aggiungerà un quarto, dopo il quale svelerò il progetto che sarà.