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Marianne Mirage, la voce delle emozioni dei Leoni di Sicilia – Intervista esclusiva

marianne mirage
La serie tv I Leoni di Sicilia ha trovato la loro voce in Marianne Mirage, cantautrice cesenate che con il regista Paolo Genovese aveva già collaborato per il film The Place. Il legame tra musica e cinema ha sempre fatto parte della vita di Marianne Mirage, per cui l’arte è un’esigenza.
Nell'articolo:

Marianne Mirage è la voce di I Leoni di Sicilia, la serie tv tratta dal romanzo di Stefania Auci che Paolo Genovese ha diretto per Disney+. Nella colonna sonora composta da Maurizio Filardo, Marianne Mirage mette la sua voce al servizio della storia dei Florio che, dalla Calabria alla Sicilia, riscriveranno la cultura di un’intera isola e non solo.

La serie tv è il punto di partenza con cui Marianne Mirage si racconta a TheWom.it in un’intervista esclusiva che mira a conoscere il suo essere donna, oltre che cantautrice. Nata a Cesena nel 1989, Marianne Mirage ha all’attivo tre album in studio, di cui l’ultimo, che porta il suo stesso cognome, pubblicato nel 2021 e un altro è quasi pronto per essere rilasciato. Il quasi, però, nel caso di Marianne Mirage è indeterminato: in un momento storico in cui tutti sentono l’esigenza di essere onnipresenti con un singolo dietro l’altro, lei preferisce dare precedenza all’arte.

Del resto, arte è una parola che l’accompagna sin da piccola grazie al papà pittore. Ma dal padre, anche marinaio, Marianne Mirage ha ereditato anche la passione per i viaggi: con i soldi guadagnati come barista, ha viaggiato in lungo e in largo per l’Europa per assecondare quella voglia di conoscenza che ha sempre avuto. Una conoscenza che è necessaria per aprirsi non solo agli altri ma anche a se stessa in rapporto con il proprio io, con la natura e con il posto che occupiamo nel grande cerchio della vita.

Al di là di retorica, virtuosismi e frasi fatte che lasciano il tempo che trovano, lasciamo che a parlare sia Marianne Mirage.

Marianne Mirage.
Marianne Mirage.

Intervista esclusiva a Marianne Mirage

“Mi piace passeggiare per il mercato, è uno dei luoghi più pieni di vita che possano esistere: si fanno incontri, si osservano le persone, si percepiscono profumi e odori”, mi spiega Marianne Mirage quando la raggiungo al telefono per la nostra intervista e le chiedo la ragione dei rumori di fondo. Ed è in quell’ambiente che, magicamente, viene avvolto dal silenzio che cominciamo la nostra chiacchierata.

Insieme a Maurizio Filardo, dobbiamo a te e alla tua voce la colonna sonora che accompagna le vicende della dinastia dei Florio nella serie tv I Leoni di Sicilia, disponibile su Disney+. Com’è stato immergersi nel loro mondo?

Un bellissimo viaggio. Maurizio Filardo ha composto tutte le musiche mentre è stato Paolo Genovese a segnalargli i punti dove voleva la mia voce, come se fosse essa stessa un po’ un personaggio. Dar vita alle emozioni di quello che stava avvenendo in scena con la mia voce è stata, forse l’esperienza più grande e bella della mia vita. Mi era già capitato di cantare per un film ma in questo caso l’ho fatto per una storia d’amore forte e importante che mi ha dato la possibilità di spaziare con la voce per arrivare a raccontare tutto uno spettro di emozioni… stato anche molto intenso come lavoro: ho pianto tutte le lacrime che avevo in corpo.

Mi sono lasciata trascinare completamente dalla vicenda entrando nelle storia dei protagonisti e lasciandomi travolgere. Sono molto contenta che Paolo stia contribuendo a farla conoscere a molta più gente possibile perché deve essere di ispirazione per chi, magari, ha paura a lasciarsi andare in amore o si fa vincolare da tante costruzioni e costrizioni sociali: rimarrebbe una forte amarezza nello spendere una vita o nel fare scelte che non siano coerenti col tuo cuore solo perché era ciò che gli altri volevano da te.

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Ma non solo. La storia di I Leoni di Sicilia fa risuonare una parola che tutti quanti conosciamo e a cui tutti attribuiamo molta importanza: autodeterminazione. I Florio partono da un piccolo paese della Calabria (Bagnara Calabra, lo stesso che decenni ha dato le origini alle sorelle Loredana Bertè e Mia Martini) per divenire con fatica, sacrificio e combattività, una delle famiglie più potenti e ricche dell’intera Europa. Cosa significa per te autodeterminazione?

È qualcosa che mi ha accompagna da sempre e che è con me costantemente: mi sento appagata da me stessa. Ci si nasce con l’autodeterminazione e la si mette in atto quando si sa cosa si deve fare, cosa si vuole e come muoversi per arrivare alla propria meta. L’ho anche allenata con il tempo lavorando sulla concentrazione che occorre per essere completamente se stessi e per darsi senza risparmiarsi. In ciò, mi è tornato molto utile lo yoga: mi ha permesso di conoscere me stessa. “Conosci te stesso” è da sempre il mio mantra: è solo attraverso la conoscenza che puoi dare realmente tutto te stesso, imparando a riconoscere le tue potenzialità ma anche i tuoi limiti… devi avere la visione di ciò che vuoi per te stessa ma anche il desiderio di scoprire i tuoi confini per poi superarli.

Mirage, il cogname d’arte che ti sei scelta, vuol dire anche visione e scoperta. Nomen omen.

Totalmente. Quello di Marianne Mirage è un nome che mi sono data da sola. Avevo un grande amore nei confronti della Marianne francese, portatrice di libertà, uguaglianza e fraternità. Mi piace sposare le cause importanti per portare qualcosa di bello nel mondo. La pace è l’unica cosa che possiamo contribuire a trasmettere con l’arte, che da sempre ha la funzione di curare e di unire i popoli anziché dividerli.

I Leoni di Sicilia: Le foto della serie tv

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Sei cresciuta sin da piccola circondata da arte: tuo padre era un pittore. Quella dei Florio è anche una storia in cui è forte il confronto generazionale e non sempre è sereno. Qual è il rapporto che lega te con tuo padre e la sua arte?

Sono molto fortunata nel non aver vissuto nessuno dei traumi o delle sfortune familiari che accompagnano la vicenda di I Leoni di Sicilia. I miei genitori mi hanno cresciuta nella massima libertà: ho sempre potuto fare tutto ciò che volevo permettendomi da piccola anche di non studiare per perdermi in mezzo ai campi e alla natura. L’unica regola che avevo era quella di tornare a casa quando faceva buio. Sono stata libera di decidere i miei amori e di vivere la mia vita… c’è stato solo un momento in cui mio padre ha preso una posizione ferma ed è stato quando ho manifestato il desiderio di cantare.

Avrei voluto farlo subito dopo le superiori ma è stato categorico: prima l’università. Mi ha anche distrutto la chitarra ma con il senno di poi non posso che dargli ragione: l’aver frequentato Filosofia mi ha dato più strumenti per capire il mondo. L’università non è stata importante in quanto attestato di formazione ma per la ricchezza e la conoscenza che mi ha lasciato dentro.

Lo studio arricchisce tanto. Nella vita, non conta quanto tu abbia sul conto in banca: la vera ricchezza è quella mentale e spirituale, la ricchezza delle nozioni che ti aiutano a comprendere meglio quello che accade nel mondo ma anche a te.

Ritornare a casa prima che facesse buio per paura che incontrassi il lupo cattivo?

No, anche perché a volte i lupi cattivi sono anche travestiti da agnelli. Non è vero che le donne possano in qualche modo prevedere chi sia il lupo perché il lupo può essere fatto anche di parole e non solo di azioni, lo sappiamo purtroppo molto bene. Allontaniamo queste frasi veramente sconvenienti su come potrebbe sentirsi una donna o su cosa dovrebbe fare: rispondono a una narrazione che, come sempre, proviene dagli uomini. Credo che ad aiutare le donne possa essere solo l’esperienza, la sola che può farci capire cosa fare e perché.

Per diventare donne non ci si deve sentir dire quello che si deve fare. Nella serie tv I Leoni di Sicilia, Giulia ne è un esempio: è una donna nuova che decide di crescere due figlie che non state riconosciute anche quando tutto il mondo l’avrebbe marchiata per sempre. Accadrebbe anche oggi, figuriamoci nel passato: le rivolte e le rivoluzioni in tal senso sono necessarie. Mi ha colpito molto quello che è successo qualche giorno fa in Danimarca con le proteste delle donne: da sempre, quello è uno dei Paesi più liberali in termini di diritti alle donne, eppure anche lì che l’urgenza di affrancarsi dagli uomini.

E, comunque, per tornare alla domanda, no. Il lupo nel mio caso sarebbe stato reale: vivevamo in mezzo alla campagna, dove era forte la presenza di cani selvatici. Di altri lupi ne ho incontrati. Ho viaggiato spesso per il mondo, da Berlino a Londra o Parigi, ed è solo viaggiando che scopri cosa c’è fuori e cosa devi fare in base alle relazioni e alle situazioni. Ho vissuto ad esempio a Berlino in un momento in cui c’era solo feste e droghe: mi sono sempre chiesta cosa portasse una persona a decidere di drogarsi, a me sembrava un’utile perdita di tempo.

Questo per dire che ci si può da donne ritrovarsi anche in situazioni difficili ma occorre sempre non avere paura e non lasciarsi soggiogare. È l’esperienza e la conoscenza che ti portano non a non uscire più di casa da sola la sera ma ad avere la consapevolezza di sapere cosa rispondere o fare davanti al lupo.

https://www.instagram.com/p/CyQ7hvOKkDO/

Tra le tante città in cui hai avuto la possibilità di stare c’è Istanbul, da tutti considerata la metropoli che separa l’Occidente dall’Oriente. Che ricordi ne porti con te?

Ho avuto la fortuna di andarci dieci anni fa, quando Erdogan non era ancora al potere. La situazione era molto diversa da quella attuale. Pensiamo tutti che l’Oriente sia qualcosa di molto povero e lontano da noi quando in realtà è più vicino a noi di quanto pensiamo non solo territorialmente ma anche culturalmente. È pieno di bellezza, meraviglia e ricchezza, ragione per cui si tratta di terre che vengono sempre così desiderate anche da chi ci vive.

Istanbul è una città stupenda: ho un ricordo molto vivido della Riina Sofia, è lì che ho vissuto la mia grande connessione alla spiritualità nel sentire il muslim cantare in quel modo alle quattro del mattino. Ricordo ancora che mi sono chiesta perché da noi non accada qualcosa di simile: mi ha incantata al pari dei nostri canti gregoriani o di quelle cantilene di origini arabe che si sentono ancora nel Sud Italia, a dimostrazione che siamo tutti uniti.

Se non avessimo una cartina geografica che segna le divisioni, saremmo tutti mescolati ovunque. Sarebbe come la migrazione delle piante raccontata in La nazione delle piante di Stefano Mancuso: perché, pur rispondendo a delle regole, i semi sono liberi di muoversi come vogliono e gli uomini no? Che poi è anche il tema di Io, capitano, il film di Matteo Garrone con al centro quel viaggio orrendamente bello di due ragazzi che vogliono solo potersi muovere liberamente.

https://www.instagram.com/p/Cw96bvyKl_u/?img_index=1

Sul tuo profilo Instagram, non hai paura di mettere a nudo, tra virgolette ma anche senza, le tue fragilità.

Ne ho tantissime ma proprio per questo sono forte. Michael Jordan nel suo libro scrive di aver sbagliato nel corso della sua carriera più di mille canestri ed è proprio ciò che lo ha reso forte. Non è la vittoria o la perfezione a renderci forti ma è l’esatto contrario che ti permette di andare dentro ai propri problemi e testarli, metterli alla prova.

Sono stufa del racconto che si è soliti fare sui social, dove tutti sembriamo vivere un’esistenza magnifica o passare giornate bellissime: non ce la faccio. Pur preservando certi aspetti della mia vita e mantenendo un filtro su ciò che è la mia sfera personale, preferisco raccontare qualcosa di me che è sempre vero e sensazioni in cui qualcun altro in quel momento può riconoscersi. Sono tante le volte in cui mi sono sentita sbagliata e ho cercato un confronto con chi quella sensazione la stava vivendo: ho capito tante cose grazie alla comunicazione di Instagram e, quindi, più è vera e sincera più può essere da stimolo. Dietro i numeri ci sono sempre persone, c’è sempre l’umano ed è meraviglioso per me oltre che d’ispirazione conoscere le storie dei miei follower e capire come loro mi vedano.

Hai ancora paura di non essere meritevole?

L’essere meritevole è sempre stato un grande traguardo per me da raggiungere. Nasco dislessica, un grande problema che mi ha accompagnata negli anni della scuola perché non riuscivo a parlare e leggere in modo fluente. Era per me un grande limite il non sentirmi adeguata. Ho cominciato a suonare la chitarra perché, non sentendomi adeguata, facevo cose inadeguate… la suonava anche a scuola, durante la ricreazione (la tenevo chiusa nell’armadietto), e mi piacevano ovviamente i Nirvana, ero punk. Le scelte inadeguate mi hanno però dato grande forza: potevo essere quello che volevo.

Ho anche raggiunto traguardi per cui mi sento meritevole: quando mi chiedono perché esco con così poca musica, penso sempre a quanto mi interessi più il poco e il bello anziché il tanto e il mediocre. Ho un disco pronto, ad esempio, ma aspetto per pubblicarlo. Nel frattempo, me lo ascolto, cambio le parole e non ho alcuna fretta di lanciarlo: voglio vederne tutti gli angoli prima di farlo uscire. Per me la musica è arte: è mossa da un’esigenza e da una necessità… e, se non hai niente da dire, meglio il silenzio.

Scrivi sui social che non devi mai dimenticarti di sorridere. Cosa ti fa sorridere?

Le belle interviste mi fanno sorridere. Mi fanno sorridere le persone intelligenti e il senso dell’umorismo ma anche la natura e la sua bellezza: è nel contemplare tutto ciò che abbiamo intorno che vivo momenti di felicità. Mi fa sorridere tantissimo mio mamma con il suo carattere molto naif, diverso dal mio, che adoro… ma mi fanno sorridere i miei genitori in generale.

Hai fatto pace con il tuo corpo?

Dopo anni, ce l’ho fatta. Sono sempre stata poco attenta al mio corpo, però sempre in contatto. Sono stata anche anoressica e anche questo vuol dire essere in contatto con il corpo: è lì che sfoghi la tua rabbia e i tuoi dolori. Lo yoga mi ha fatto far pace col corpo perché me ne ha fatto conoscere ogni aspetto, facendomene amare persino i difetti.

Marianne Mirage.
Marianne Mirage.

I Leoni di Sicilia rappresenta la tua seconda collaborazione, dopo The Place, con Paolo Genovese. Mai pensato di dedicarti finalmente alla recitazione?

Ho studiato recitazione al Centro Sperimentale di Cinematografia. Il vero insegnamento su come stare su un palco davanti a un microfono lo devo per assurdo alla recitazione e non alla musica. Quando canto una canzone, devo entrare dentro la sua storia anche emotivamente: è questo il lavoro dell’attore. Quindi, sì: sari pronta per un lavoro che reputo un po’ sofferente ma molto divertente… chiaramente dipende sempre dal personaggio che devi portare in scena!

Sofferente?

È ha molti più nodi da sciogliere rispetto alla musica. Pensiamo a tutte quelle volte che si devono portare in scena personaggi distanti da sé: l’attore deve riuscire in tempi brevissimi ad entrare e uscire dalle emozioni vere che dà a un personaggio. Come diceva il mio insegnante Michael Margotta, si deve fare come i bambini, in grado di cambiare emozioni anche dieci, venti o trenta volte nell’arco di una giornata.

A proposito di insegnamenti, cosa ti ha insegnato il contatto con Patti Smith?

L’ho guardata sputare sul palco mentre cantava. In quel gesto c’erano tutti gli avi indiani che onoravano la terra, c’era una donna che non ha mai avuto schemi e c’era tutto il rock’n’roll che ho sempre voluto vedere quando la immaginavo nella mia stanzetta. Mi ha insegnato molto sul canto ma anche sui silenzi sul palco. Avrei voluto regalarle la mia chitarra ma non ho potuto farlo: mi serviva per la mia esibizione e non ne avevo un’altra con me.

Non consideri la chitarra la tua copertina di Linus?

No, non ho attaccamento a nessun oggetto, a niente. Ma ciò nasce anche da tutta la filosofia legata allo yoga: non voglio esercitare possesso su nessuna cosa, né sulle persone né sugli oggetti, tantomeno su me stessa.

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