Studio Battaglia 2, la serie tv di Rai 1, ha catturato sin da subito l'attenzione del pubblico e Marina Occhionero, talentuosa attrice che porta sullo schermo il vibrante personaggio di Viola, una delle tre figlie della matriarca Marina, prova con noi a capirne le ragioni.
La trama della serie ci immerge nelle vicende delle avvocate Battaglia, guidate dalla madre Marina. Questa nuova stagione promette emozioni intense e scontri familiari mentre le donne Battaglia affrontano le sfide del diritto di famiglia e i turbamenti della vita personale. Nelle nuove puntate, la cui trama è magistralmente orchestrata da Lisa Nur Sultan, il pubblico trova un equilibrio perfetto tra dramma legale e affetti familiari, il tutto condito da una sottile ironia che permea ogni episodio.
Interpretare Viola non è stato difficile per Marina Occhionero, anche grazie ai rapporti di fiducia instaurati sul set con il regista Simone Spada e i colleghi di lavoro. Ma è sempre la stessa Marina Occhionero, attrice di origine astigiana, a raccontarci come Viola rappresenti non solo se stessa, ma anche una generazione che affronta sfide abitative e lavorative nel contesto urbano di Milano. La serie, infatti, tocca temi attuali e sensibili, anche se trattati con leggerezza, come la difficoltà di trovare casa in una città dai costi proibitivi.
Con un passato in cui avrebbe voluto fare l’avvocato per seguire le orme del padre, Marina Occhionero condivide come la scoperta della passione per il teatro sia avvenuta in modo inaspettato, durante gli anni universitari a Milano. Da lì è nato un percorso che l'ha portata a rispondere alla sua vocazione artistica.
Parlando di sfide e successi, Marina Occhionero ci rivela il suo approccio positivo e consapevole al giudizio esterno, compreso quello dei casting. Vede ogni "no" come un'opportunità di crescita e di ricerca interiore, consapevole che il successo dipende da molteplici fattori oltre alle capacità dell'attore.
Marina Occhionero riflette, inoltre, sulla sua identità in costante evoluzione, sottolineando l'importanza della psicoterapia nel processo di auto-conoscenza. Con umorismo e profondità, Marina Occhionero si descrive come una persona che affronta la vita con equilibrio tra tempesta e calma, con il desiderio costante di crescita personale e artistica.
Intervista esclusiva a Marina Occhionero
Come ci si sente dopo che la prima puntata di Studio Battaglia 2 è andata in onda raccogliendo oltre il 20% di share in un panorama televisivo profondamente cambiato rispetto a quando era stata trasmessa la prima stagione?
È vero che sono rimasta stupita ma mi era capitato di incontrare negli ultimi due anni parecchie persone che mi chiedevano quando la famiglia Battaglia sarebbe ritornata. La seconda stagione era quindi attesa da molti e credo che la ragione si trovi nel tipo di racconto che la serie tv propone: ha il pregio di interessare più fasce di spettatori e più generazioni, grazie alla qualità di scrittura di Lisa Nur Sultan. La reputo una sceneggiatrice molto brava, aspetto che si evince da come riesce a coniugare la linea orizzontale e le linee verticali.
Da un lato, ci sono i vari casi legali, che cambiano di puntata in puntata e sono molto credibili (da figlia di avvocati, non posso che confermarlo) mentre dall’altro lato c’è la storia familiare con tutti i suoi annessi, a cominciare dalla crisi coniugale di Anna, dalle lotta di Marina per recuperare il rapporto con le figlie e dalla gravidanza/non gravidanza di Nina e Viola.
Cosa significa per un’attrice riprendere un personaggio dopo averlo messo da parte per un periodo di tempo e aver sperimentato altri ruoli?
Tutto quello che nel frattempo si sperimenta non è altro che ulteriore ricchezza da apportare a chi per un po’ avevi salutato. Per quanto mi riguarda, anche il solo fatto di essere cresciuta e aver fatto nuove esperienze non solo lavorative ma anche di vita mi ha aiutato a comprendere meglio come si sarebbe evoluta Viola.
Da attrice, ha rappresentato per me quasi una novità (era già accaduto per Monterossi): ero abituata al teatro dove, a differenza di cinema e televisione, esiste solo il momento presente, dove niente rimane e tutto muore. Forse, c’è qualche affinità relativa con il riprendere uno spettacolo o una tournée a un anno di distanza: cambiando, anche in quel caso vibrano e risuonano aspetti nuovi di te che inevitabilmente confluiscono nel personaggio, nonostante questo rimanga imbrigliato nello stesso schema narrativo.
Riprendere Viola non mi è costato fatica, anche grazie ai rapporti che si erano vissuti sul set. Rapporti di fiducia sia con il regista Simone Spada, al comando di entrambe le stagioni e in grado di creare un humus fertile sul set, sia con i colleghi e le colleghe.
Niente sindrome di Eva contro Eva sul set?
Assolutamente no. Non mi è ancora capitato una situazione del genere: sto aspettando che succeda (ride, ndr). Lunetta Savina o Barbora Bobulova sono due ottimi esempi per me di come ci si relaziona su un set non solo a livello artistico ma anche a livello umano.
Hai quasi la stessa età del personaggio che in Studio Battaglia 2 sei chiamata a interpretare, Viola. Ti rivedi in lei?
Più che rivedere me in lei, rivedo un’intera generazione, la mia, che vive tra le altre una crisi abitativa fortissima. Negli ultimi due anni, per lavoro, ho frequentato molto Milano e ho molti amici che vivono in quella che è la città con un tasso di criticità abitativa altissima. Come tanti giovani, Viola è alla ricerca di una sua casa ma il prezzo degli affitti è proibitivo, una circostanza che è testimoniata anche da un recente studio che sottolinea come negli ultimi quattro anni ci sia stato un aumento vertiginoso del costo per metro quadro.
È una questione drammatica che nella serie viene declinata in maniera leggera per rispondere al tono del racconto: Viola, comunque sia, ha il privilegio di avere una casa, quella della madre, a cui appoggiarsi. Non posso, però, non pensare alle moltissime coetanee che invece avrebbero il desiderio di emanciparsi dalla famiglia, di andare a studiare a Milano o di frequentarla per lavoro, ma non possono farlo per via di politiche abitative da qualche anno interrotte o inesistenti in favore di altro.
Milano, al di là dei proclami, sempre essere diventata una città che spinge fuori da sé il dissenso, le differenze e la povertà. Genera, in questo periodo storico, alienazione e disparità. Sebbene lo si racconta in chiave leggera perché Studio Battaglia parla di altro, penso che il nostro lavoro debba sempre cercare di rimanere ancorato il più possibile a quello che capitando intorno a noi.
In che città vivi?
Vivo a Bologna ma so che cosa significa cercare casa a Milano. Ho frequentato lì la facoltà di Filosofia prima di scappare a Roma per studiare all’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico. La mia idea in un certo momento della mia vita era quella di acquistare una casa, anche piccola, ma per farlo avrei dovuto firmare un mutuo che non si sarebbe estinto prima di 25 anni… poi, per caso, sono arrivata a Bologna per uno spettacolo teatrale e ho pensato che forse quella sarebbe stata la mia dimensione ideale. Ma a trovarmi casa è stato mio padre, l’aveva vista e mi aveva invitato ad andare a vederla…
Sei originaria di Asti ma ti sei formata a Roma, affrontando l’Accademia…
Quello dell’Accademia è un percorso molto intenso, chiaramente, ma lo è soprattutto a livello umano, perché sei costantemente a stretto contatto con le stesse persone e con loro si condivide tanto materiale emotivo. Ma, al secondo anno di Accademia, ho avuto anche la possibilità di fare uno scambio con il Conservatoire National Supérieur d’Art Dramatique di Parigi: mi sono trasferita a vivere a Parigi, avendo così l’opportunità di andare a studiare all’estero e di imparare un’altra lingua.
Comunque sia, l’accademia in genere è una sorta di buffet: ti arriva addosso una quantità abnorme di nozioni tra loro molto diverse o antitetiche che si finisce con il sapere quale sia la più giusta. E questo perché quello di attore è un lavoro totalmente soggettivo. La vera formazione, dal mio punto di vista, arriva solo dopo, quando ci si ritrova su un set… Manca anche un po’ di praticità e concretezza: sarebbe interessante formare i giovani anche per i vari aspetti burocratici legati al lavoro che andranno a fare, a cominciare dai contratti che si stipulano: è solo negli ultimi anni che hanno inserito anche un corso di Economia dello Spettacolo.
Occorrerebbe dare ai ragazzi una certa contezza. Associazioni come Unita sta facendo a tal proposito un lavoro importante anche di comunicazione per far sì che i giovani conoscano i diritti connessi a questo mestiere, che riguardano non solo l’ambito creativo (come molti erroneamente credono) ma anche quello giuridico. Recitare è un lavoro a tutti gli effetti e non un hobby: spesso dietro ci sono anni e anni di studio, fatica e preparazione.
Figlia di avvocato, sarebbe stato quasi più logico per te portare avanti l’attività di famiglia, no?
Ma io volevo far l’avvocato nella vita (ride, ndr). Per tutta la vita avevo espresso il desiderio di studiare Legge perché era quello che mi interessava: non avevo nemmeno valutato l’ipotesi di poter salire su un palco. La fiamma si è accesa in maniera del tutto fortuita: mentre frequentavo l’università a Milano, avevo cominciato ad andare spesso a teatro e, per racimolare qualche soldo, avevo cominciato a lavorare ogni tanto come maschera. Ma, a un certo punto, mi hanno chiesto di fare una sostituzione in scena: avrei dovuto interpretare una morta… o, meglio, avrei dovuto dire qualche battuta all’inizio e poi rimanere immobile per il resto dello spettacolo.
Il vedere come funzionava dall’interno la macchina scenica, che avevo imparato a conoscere un minimo in varie situazioni amatoriali, mi ha affascinata. Ho avuto come la sensazione di trovarmi finalmente nel posto giusto. E ho seguito quell’istinto cominciando a sostenere provini ma senza mai pensare di voler fare l’attrice come lavoro: mi sembrava aliena da me come possibilità, tanto che all’inizio mi vergognavo persino di pensarlo.
Come hanno preso il cambio di decisione i tuoi genitori?
Bene, devo dire. Anche perché mio padre è un avvocato “pentito”: non mi ha mai incoraggiato ad esempio a seguire la sua strada, era disponibile di fronte alle mie domande ma non mi ha mai spinta a prendere una decisione in tal senso. Quando gli ho comunicato la mia decisione di voler diventare un’attrice, era estasiato di fronte all’idea perché, comunque, anche lui ha grandi velleità artistico-musicali.
I miei mi hanno dato fiducia, concedendomi la libertà di sostenere i provini per l’Accademia, non sapendo quanto questi erano in realmente complessi: ho evitato allora di dirglielo. Fortunatamente, sono poi andati bene.
Qual era la complessità maggiore legata ai provini?
Il numero dei candidati era ed è ancora altissimo. In questo momento storico, avere un diploma d’accademia facilita l’ingresso nel mondo del lavoro. Da sempre, credo nello studio: avevo voglia di studiare e non mi sarei fatta spaventare. Tuttavia, la difficoltà maggiore è stata quella già detta prima: non c’è niente di oggettivo… non importa quanto tu sia preparato o abbia studiato, tutto dipende da come si incrociano i pianeti.
Qualcosa che risuona continuamente anche quando ci si sottopone a un provino per un ruolo. Come reagisce Marina Occhionero di fronte a un “no”?
Credo bene. Anche perché, a differenza dei provini per essere ammessi in un’accademia, non è la persona in discussione. Come mi ha insegnato un direttore del casting, quando ci si presenta a un provino, sia provinato sia provinanti desiderano la stessa cosa: che sia quello l’attore giusto per il personaggio. Se non lo è, non è per colpa del provinato ma semplicemente perché entrano in ballo altri fattori anche energetici che portano a una mancata coincidenza.
Non hai mai avuto paura del fallimento?
Tutti i giorni: sono sempre al lavoro per un nuovo errore. Quello che ho porto avanti, anche se da poco, è un mestiere per cui si raccoglie ciò che si è fatto e, ovviamente, si possono commettere sbagli nelle scelte che si fanno, nel ponderare un progetto o nel valutare come andrà: ogni lavoro è una scommessa, anche con se stessi. Non sempre, ad esempio, un ruolo corrisponde a quello che ti aspettavi e, in quel caso, occorre andare sul set o in scena per restituire al meglio qualcosa che non ti rispecchia. Ma anche quelli sono passi in avanti nel tuo percorso di evoluzione d’essere umano: ti permettono di guardarti dentro, in profondità.
Studio Battaglia 2: Le foto
1 / 79Nelle scelte che si fanno, che peso hanno gli agenti?
Moltissimo. Ma io ho capito il valore del lavoro di un agente solo di recente. Ho sempre puntato molto sulla formazione e, avendone avuta una fondamentalmente teatrale, seguivo quel pensiero per cui l’attore di teatro è anche promotore di se stesso. Cinema e tv sono invece due sistemi molto diversi, in cui l’attore non è più solo ma vive in un ambiente di gruppo, ragione per cui è necessario sapersi rapportare non solo con il resto del cast artistico ma anche con quello tecnico, dal regista al montatore o al costumista.
E nel gestire questi rapporti, che esporrebbero molto l’attore, l’agente è fondamentale: ho la fortuna di essere seguita da due persone come Federico Grippo e Dante Perrel, con cui mi confronto spesso e che hanno un punto di vista sul mondo del lavoro nuovo e interessante. Con loro, ho imparato ad esempio il valore della condivisione delle scelte: se condivise, assumono un peso e un senso maggiore e cambiano l’attitudine al lavoro stesso… molto banalmente, ti fanno sentire anche meno stress addosso.
Così come fondamentale è anche il rapporto con l’ufficio stampa, che ti permette di capire chi o cosa vuoi essere: se un attore o semplicemente un influencer da social.
Viviamo nella società delle immagini e mi interrogo spesso sul ruolo dei social. Quello di un attore è un lavoro che ti espone e che ti porta a stare al passo con i cambiamenti dei mezzi di comunicazione, che avvengono a velocità supersonica. Rispetto ad altri, penso di essere addirittura molto indietro sull’uso dei social: ho solo un profilo Instagram, che riguarda più che altro la mia vita… in questo frangente della mia carriera artistica, mi preoccupo di fare bene il mio lavoro e delego ciò che non compete a esso a professionisti, come Valentina Palumbo, che sapranno fare al meglio il loro di lavoro.
Sei costantemente esposta, per lavoro, al giudizio altrui, da quello dei casting, come accennavamo, a quello del pubblico. Cosa vorresti che non si scrivesse mai di Marina?
Che non si capisce quello che dico in scena: mi darebbe fastidio leggerlo o sentirlo perché significherebbe che avrei buttato via tanti anni di studio. È un problema che ultimamente sembra attanagliare la produzione italiana ma la colpa non è solo degli attori, come si potrebbe pensare: si risponde a una precisa esigenza di chi sceglie il realismo come cifra o di chi ti dice che tutto deve sembrare naturale anche se costruito.
E se invece dovessi dare tu una definizione di te stessa come individuo che parole utilizzeresti? Hai capito chi sei?
Sto cercando di capirlo, con l’aiuto della psicoterapia. Sono di sicuro una persona che cerca di vivere con i piedi per terra… anche se negli ultimi tempi ho notato quanto influente sia in me la parte legata al mio nome, Marina: quella tempestosa. Penso di essere anche ironica e di affrontare le cose nel loro fluire, con i miei momenti di tempesta e quelli di mare calmo. Come tutti quanti…
La psicoterapia per capirsi mi sembra un ottimo modo per sdoganarla agli occhi di tutti quanti.
Spesso si pensa che si vada in terapia solo perché si hanno dei problemi irrisolti. Sono semplicemente andata per capire chi fossi.
Sei della Bilancia. E, come tutti i segni doppi, ami le sfide: a teatro hai sempre fatto scelte oculate e di un certo spessore anche testuale.
In questo momento, sono a Pistoia per le prove di Fedra di Racine, tradotto da un poeta come Raboni…
Anche teatro russo? Tra le tue skills, c’è il parlare il russo.
È una lingua che ho studiato perché nel primo film da me interpretato avevo delle battute in russo. Ho studiato anche il cirillico e sono da sempre un’appassionata di letteratura russa, soprattutto teatrale, a partire da Cechov. Mi ha sempre incuriosita la musicalità della lingua… ma non solo quello: uno dei miei sogni era fare la Transiberiana, per cui volevo avere dei fondamenti. Non ci sono ancora riuscita ma sarà uno dei miei prossimi obiettivi!
Sogni come tutte le attrici che amano il teatro russo di interpretare Nina?
In realtà, dal Gabbiano, mi piacerebbe interpretare Arkadina… ma sempre nello stesso testo rimaniamo! (ride, ndr).