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Marta Gastini: ‘Libera, combattiva e felice di essere imperfetta’ – Intervista esclusiva

marta gastini
Al cinema nel nuovo film di Neri Marcoré, Marta Gastini si racconta a TheWom.it rivelando la sua natura non solo di attrice talentuosa ma di donna che ha imparato, con determinazione e sensibilità, a conoscere se stessa.
Nell'articolo:

Nel vivace viaggio di ritorno da Brescia a Roma, in compagnia dei colleghi Cesare Bocci e Galatea Ranzi, Marta Gastini si rivela con la stessa energia che caratterizza i personaggi che interpreta sul grande schermo. Attesa per la sua interpretazione di Ada nel film Zamora diretto da Neri Marcoré, al cinema dal 04 aprile con 01 Distribution, Marta Gastini incarna la forza e la determinazione di un personaggio che sfida le convenzioni sociali degli anni Sessanta.

In questa intervista esclusiva, Marta Gastini condivide i suoi pensieri su Ada e riflette sul parallelo tra la sua vita e quella del personaggio che interpreta. Ada, una giovane segretaria dell'azienda Tosetto, si distingue per la sua modernità e indipendenza, affrontando con fermezza situazioni di molestie sul luogo di lavoro e reagendo con risolutezza di fronte agli atteggiamenti maschili dominanti.

Parlando della sua esperienza personale, Marta Gastini rivela la sua passione per il cinema indipendente e la sua dedizione al teatro, sottolineando l'importanza di affrontare i momenti difficili con determinazione e coraggio. Tra le riflessioni sulla maternità e sulla sua carriera artistica, emerge un ritratto di una donna forte e autentica, pronta ad affrontare le sfide con una combinazione di grinta e sensibilità.

Attraverso le sue esperienze sul set e sul palco, Marta Gastini ci regala preziose considerazioni sul valore dell'arte e della libertà di espressione. Con umiltà e sincerità, racconta la sua evoluzione personale e professionale, rivelando una Marta che abbraccia la vita con passione e determinazione.

Perché Marta Gastini non è solo un'attrice talentuosa ma anche come una donna che incarna i valori di coraggio, autenticità e determinazione, ispirando coloro che la incontrano a seguire i propri sogni e a lottare per ciò in cui credono.

Marta Gastini (foto: Alan Gelati; Press: MPunto Comunicazione).
Marta Gastini (foto: Alan Gelati; Press: MPunto Comunicazione).

Intervista esclusiva a Marta Gastini

“Sono in macchina con i colleghi Cesare Bocci e Galatea Ranzi”, mi risponde Marta Gastini quando la raggiungo telefonicamente per parlare di Ada, il personaggio che interpreta in Zamora, il film diretto da Neri Marcoré. “Stiamo tornando a Roma da Brescia, dove fino a ieri sera eravamo in scena a teatro, e abbiamo tre ore di ritardo: per strada, abbiamo trovato di tutto”, ride.

Ada, il personaggio che interpreti, colpisce per la forza e per la determinazione con cui è tratteggiata. Rispecchia totalmente l’idea della sceneggiatura di proporre figure femminili molto più risolute di quelle maschili. Chi è Ada dal tuo punto di vista?

Ada è una segretaria che lavora per conto dell’azienda Tosetto, dove il protagonista Walter Vismara, interpretato da Alberto Paradossi, va a lavorare. Tra i due nasce una simpatia immediata spinta anche dal carattere di Ada che, pur vivendo negli anni Sessanta, è una ragazza lavoratrice e molto moderna che non sottostà ad alcune delle regole della società di quel periodo. In altre parole, Ada è capace di prendere in mano il proprio destino e farne ciò che desidera, al punto che tra lei e Alberto c’è un certo ribaltamento di ruoli, soprattutto quando, a seguito di un equivoco, lui la tratterà male e la farà sentire ‘sbagliata’.

Di fronte all’aria di superiorità maschile che Alberto le mostra, Ada gli dirà in faccia come stanno realmente le cose e lo rimetterà al suo posto, senza chiedere scusa per qualcosa che non ha fatto. Metterà la propria dignità davanti a tutto quanto e, quindi, si mostrerà forte e decisa, al punto di salutarlo e di dimostrargli di non avere bisogno di lui in quanto ‘uomo’: la miglior soluzione da mettere in atto di fronte a giudizi e pregiudizi.

L’equivoco di quel momento è dettato da una molestia sul luogo di lavoro che Ada subisce da parte di un collega un po’ troppo invadente.

Il carattere di Ada si evince anche in quella circostanza, quando in lei si intravede la capacità di tenere a bada un collega decisamente troppo invadente trattandolo per quello che è di fatto: un poveretto convinto di essere molto più di quello che è realmente.

Marta ha la stessa capacità di Ada nel rimettere al proprio posto chi oltrepassa un certo limite?

Sì. Finora non mi è praticamente capitata nessuna situazione del genere ma è chiaro che ci sono delle attenzioni che non desidero. Raramente ho incontrato persone che hanno con me superato il limite e men che meno le tollererei adesso.

La domanda era quasi obbligatoria, considerando come spesso le molestie siano un problema urgente per chi fa il tuo lavoro.

Ne abbiamo sentito parlare spesso e dobbiamo anche dire grazie al #MeToo, il movimento che si pone l’obiettivo di combattere certi atteggiamenti nel mio ambito professionale. Tuttavia, la verità è che le molestie sono un problema in qualsiasi ambito, ahimè, dove è possibile che ci siano ovunque personaggi che si arrogano il diritto di superare i confini. Viviamo fortunatamente in una fase storica in cui sta avvenendo un cambiamento importante: noi donne stiamo prendendo in mano la situazione per attuare dei confini che siano chiari. E, di conseguenza, che ben vengano personaggi come Ada che mostrano come reagire in determinate situazioni.

Da Zamora tutti quanti possiamo trarre una piccola ma importante lezione, quella dell’imparare a buttarsi anche senza protezioni. A te quando è capitato di farlo?

È nel momento in cui è nato in me il desiderio di intraprendere il percorso di attrice che mi sono buttata senza avere alcuna rete sotto. Provenivo dalla provincia e da una famiglia che con la recitazione non aveva nulla a che vedere quando, nel trovarla come passione, l’ho abbracciata in pieno, inizialmente forse solo per gioco e poi facendone un lavoro.

Come hai trovato la passione?

È lei ad aver trovato me quando, a undici o dodici anni, ho preso parte a un piccolo spettacolo mentre frequentavo in catechismo. Nel vedermi in scena in quell’occasione, mio padre mi disse che ero stato brava e mi suggerii di seguire il laboratorio teatrale che si teneva a scuola, perché secondo lui avrebbe potuto aiutarmi di base anche nella vita. Tra l’altro, aveva ragione: allora ero molto più timida di quanto non sia adesso e, quindi, stare davanti a un pubblico e parlare agli altri non poteva che essermi utile. Ho poi capito che recitare era qualcosa che mi piaceva veramente tanto, al punto che a diciassettenne anni chiesi di poter andare a Parigi a seguire un corso di recitazione.

Tra l’altro, la passione per il cinema è qualcosa che ti lega ulteriormente ad Ada. In Zamora, Ada ama un certo tipo di film e smania per andare a vedere in sala Giulietta degli Spiriti di Federico Fellini anziché uno dei tanti musicarelli che spopolavano al tempo. Nell’eventuale gioco di specchi tra persona e personaggio, cosa ha Ada di Marta e cosa ha Marta di Ada?

Domanda complicata. Posso dire subito cosa non ho io di Ada: la sua capacità di farsi avanti. Quando incontra per la prima volta Walter, ne è colpita e si dimostra molto moderna nell’approcciarlo, in maniera aggraziata, lasciandogli intendere come da parte sua ci sia della simpatia nei suoi confronti. Ada è molto, molto elegantemente spigliata mentre io, come accennavo, sono più timida.

Nel film di Neri Marcoré, il calcio ricopre un ruolo molto importante. Tu sei originaria di una regione come il Piemonte, terra di un paio di squadra che hanno fatto la storia sportiva del nostro Paese, Juventus e Torino su tutte. Hai mai subito, direttamente o indirettamente, la passione per il calcio?

Indirettamente… e molto. Ho un papà che è un grande tifoso dell’Inter (la sua passione ha oltrepassato i confini regionali) e sin da piccola ho potuto tramite lui capire cosa significasse il calcio: mi portava allo stadio e a me piaceva assistere alle partite. Quando mi sono sposata, ho assistito poi a una diatriba interna molto divertente tra Inter e Roma, la squadra per cui fa il tifo mio marito, soprattutto quando poi è nato mio figlio.

Mio padre e mio marito hanno tentato sin da subito di dare un imprinting calcistico al piccolo con me che cercavo di far da ago della bilancia tra i due. Mio padre ha persino comprato due maglie dell’Inter, di due taglie diverse, con il nome di Orlando sulle spalle mentre mio marito una della Roma con tanto di firma di Totti: colpi bassissimi tra i due (ride, ndr).

Zamora: Le foto del film

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Hai appena citato tuo marito e tuo figlio. Hai scelto di sposarti e di diventare madre molto giovane. Hanno influito nel tuo percorso lavorativo la gravidanza e la maternità?

Sì, ma in maniera positiva. Diventare mamma mia dato maggior forza rispetto a quella che avevo prima… mi ha rafforzata ulteriormente, facendo sì che cominciassi a vivere il lavoro in maniera diversa per essere la mamma che desideravo e che desidero essere per mio figlio. La gravidanza è coincisa con un momento di ritrovamento di me stessa dopo un lungo lavorio interno.

Professionalmente, non ha sortito alcuna conseguenza perché ho avuto la fortuna di rimanere incinta durante la pandemia: quasi non se n’è accorto nessuno proprio perché mi sono fermata nel momento in cui s’era fermato il mondo intero. Tuttavia, sono consapevole di quanto ancora sia evidentemente molto difficile conciliare sfera professionale e maternità: leggiamo di fin troppe mamme che si trovano ancora oggi costrette ad abbandonare la carriera perché i capi decidono che non sono più adeguate per i ruoli che ricoprivano prima o a scegliere tra il lavoro e la famiglia… una scelta non libera ma obbligata.

A proposito di scelte, dopo il liceo ti eri iscritta a Giurisprudenza, per seguire un po’ le orme di tuo padre avvocato. Hai poi abbandonato gli studi?

No, li sto semmai per finire: mi mancano tre esami alla laurea. Con in mezzo varie pause, ho proseguito perché desideravo concludere quel percorso anche per una questione di soddisfazione personale e non per accontentare qualcun altro. Mio padre, ad esempio, mi ha sempre sostenuta nella mia scelta di fare l’attrice, anche se nei momenti più complicati della professione mi ha sempre riproposto la possibilità dell’università. Purtroppo, quello di attrice è un lavoro fatto di momenti molto buoni e di altri più difficili, ma non mi ha mai proposto di fare della giurisprudenza un percorso di carriera.

Come vive Marta Gastini i momenti complicati?

C’è stata una fase della mia vita in cui non li ho vissuti molto bene. Ho attraversato anche una piccola depressione, che però per certi versi si è rivelata salvifica: era arrivata per me l’ora di confrontarsi con dei nodi irrisolti: mi sono rivolta allora a una psicologa e ho affrontato un bellissimo percorso che ricordo come un regalo.

Quei nodi irrisolti avevano a che fare con il tuo essere donna o con il tuo essere un’attrice?

Credo che avessero a che fare, come succede spesso, con l’origine e col vissuto, non tanto con i ruoli che da individuo vivevo nella vita.

Il tuo percorso lavorativo è abbastanza unico. A grandi titoli, hai sempre affiancato piccole produzioni. Scelte volontarie o imposte?

Ho sempre avuto una certa passione per il cinema indipendente, per quelle che possiamo definire piccole produzioni. Di conseguenza, quelle fatte sono state tutte scelte libere legate alla mia necessità di confrontarmi con realtà, non in termini artistici, più piccole. Erano realtà in cui sentivo di avere un po’ più di controllo e in cui mi fidavo ciecamente della visione dei registi con cui lavoravo. Ricordo, ad esempio, con molto piacere Beniamino Catena, con cui ho girato Io sono Vera: non avrei potuto non fare quel film anche perché lo aveva scritto pensando appositamente a me.

Marta Gastini nel film Questi giorni.
Marta Gastini nel film Questi giorni.

Ma sei stata anche una delle quattro protagoniste di Questi giorni, film di Giuseppe Piccioni presentato in concorso al Festival di Venezia. Interpretavi Caterina, una giovane segretamente innamorata della sua migliore amica, Liliana. È stato complicato relazionarsi nei panni di un personaggio così distante da te?

No. Ho vissuto la storia di Caterina nella maniera più naturale possibile: quello di Caterina per Liliana era amore e l’amore non ha connotazione, pregiudizi o confini. Il fatto che l’oggetto amoroso fosse un’altra donna non rendeva il sentimento diverso da quello che si potrebbe provare in altre circostanze: non mi ha sconvolta. Ero chiamata a mettere in scena un amore.

Che reazione hai di fronte ai pregiudizi e agli stereotipi?

Di grande fastidio e di rabbia. Ci sono storie e situazioni che non dovrebbero sconvolgerci, come quella di un amore omosessuale, come dicevo prima: è amore e non conta il genere… la libertà è un valore fondamentale a cui nessuno di noi dovrebbe rinunciare.

E tu credi di essere stata vittima di pregiudizi nei tuoi confronti?

Sì, soprattutto in ambito lavorativo. Venendo da una realtà di provincia, alcuni hanno pensato che il mio essere riuscita a fare determinate cose sia dipeso non tanto dalle mie capacità ma quanto dal fatto di avere un papà influente. Senza che tutto ciò avesse un senso: mio padre è un avvocato e la sua influenza rientra in quel campo lì e non di certo nel cinema. Sono state diverse le occasioni in cui tale osservazione è arrivata alle mie orecchie, ferendomi.

Anche quando ci fosse, la segnalazione sarebbe limitata alla prima volta: dopo spetterebbe a te dimostrare valore, potenzialità e capacità. E sin da subito lo hai fatto venendo scelta per una grossa produzione internazionale come il film Il rito.

Ero molto giovane ed era il quarto progetto che giravo come attrice nella mia vita. Mi sentivo incredibilmente pronta per il ruolo e forse un po’ meno per la sostenere la grandezza del progetto stesso, con tutto quello che sarebbe potuto venire dopo. Ammetto che l’essere scelta mi ha anche spaventata ma ho cercato di vivere il tutto con grande gioia… era pur sempre una di quelle occasioni che ti arrivano (forse) una sola volta nella vita!

… o due: l’anno dopo, sei stata scelta come protagonista del Dracula di Dario Argento.

Argento mi aveva vista proprio nel Rito e mi aveva chiamata direttamente per propormi il ruolo, dandomi grande fiducia e accrescendo la mia sindrome dell’impostore: era pur sempre un ruolo quello offertomi già rivestito in passato da nomi molto più importanti del mio e ne sentivo la responsabilità sulle spalle.

Tuttavia, è stata una bellissima esperienza che non definirei nemmeno faticosa: in quell’occasione ho avuto anche l’enorme privilegio di lavorare con Rutger Hauer (aveva partecipato anche a Il rito ma non c’eravamo incrociati sul set) e di ammirare la forza e il magnetismo che trasudavano dai suoi occhi. Ricordo ancora il suo copione zeppo di appunti e annotazioni!

Dario Argento si è poi rivelato con me molto affettuoso e gentile, per cui non posso che definirla una bella esperienza.

Sul set, hai imparato più dai registi esordienti o, comunque, giovani o dai grandi maestri?

Non c’è una risposta netta: si impara veramente qualcosa quando si è aperti e pronti a farlo. Ogni esperienza ti insegna qualcosa. Come mi sta ad esempio insegnando molto in questo periodo il teatro: lo considero un’esperienza incredibilmente formativa, che ha colmato delle lacune che ancora erano insite in me.

Marta Gastini e Rutger Hauer nel film Dracula 3D.
Marta Gastini e Rutger Hauer nel film Dracula 3D.

In scena dal 3 aprile anche al Teatro Parioli di Roma con Il figlio di Zellner (da cui è stato tratto anche un film con Hugh Jackman), il teatro ti permette di sentire sin da subito il feedback del pubblico. Qual è l’emozione maggiore che ti è arrivata direttamente sul palco?

Più che un’emozione specifica, in questo caso mi sorprende e mi piace molto sentire come, durante lo spettacolo, il pubblico si lasci andare a una marea di commenti sulla rappresentazione scenica. Ma mi colpisce anche come questa reazione cambi di regione in regione e di città in città. Del resto, ogni pubblico ha le sue caratteristiche: capita anche che sia più silenzioso solo perché più rispettoso ma il sostegno che arriva è sicuramente incredibile per tutti noi: ne abbiamo proprio bisogno!

C’è un ruolo che ti piacerebbe interpretare e che ancora non è arrivato?

Difficile da dire… forse in questo momento mi piacerebbe molto interpretare una detective o un’avvocata. Ma tutti i ruoli belli in bei progetti sono ruoli della vita (sorride, ndr).

Nemo propheta in patria. Eppure, nel tuo caso, la tua città ti ha assegnato nel 2010 il Gagliaudo d’Oro, un ricevimento che si assegna agli alessandrini che si sono distinti per meriti professionali. Che effetto ti ha fatto?

Mi ha restituito una forte sensazione di calore. A parte qualche spiacevole e raro episodio legato ai pregiudizi di prima, la mia città mi ha sempre sostenuta molta e per questo cerco in qualche modo di coinvolgerla quando posso, organizzando proiezioni o presentazione dei miei film. Alessandria non mi ha mai dimenticata e io non ho mai dimenticato lei e i miei concittadini…

Ricorderanno allora la giovane Marta che si muoveva per la città. In che cosa sei cambiata da allora?

Sono cresciuta, mi sono strutturata e sono diventata donna, pur continuando a essere quella ragazza semplice di allora, con le sue passioni e i suoi amici. Credo ci sia stata una Marta di allora, una Marta di mezzo e quella di ora. Quella di mezzo ha avuto il compito ingrato di affrontare il caos che aveva dentro la Marta di allora. La Marta di ora è molto più libera, molto più felice di essere imperfetta e consapevole di ciò che le piace, del tempo e di quanto sia sciocco sprecarlo.  È più combattiva, più leggera, più lucida, più capace di essere se stessa… e sta lavorando per la Marta del futuro.

E, oltre a quella per il cinema, quali sono le sue passioni?

Mi è sempre piaciuta tantissimo la danza, anche se l’ho un po’ abbandonata. Ma ho la passione per lo yoga, pe la natura, per la lettura e per l’arte contemporanea.

E non per la scrittura?

Quella la lascio a mia madre, che ha un grande talento. Non ho mai avuto nessun input dall’interno che mi spingesse a scrivere.

Marta Gastini (foto: Alan Gelati; Press: MPunto Comunicazione).
Marta Gastini (foto: Alan Gelati; Press: MPunto Comunicazione).
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