Marta Lucchesini fa un lavoro che in Italia è quasi del tutto in mano a figure maschili: la compositrice di colonne sonore per cinema e televisione. Basta aprire la sua pagina Imdb per rendersi conto della levatura dei titoli a cui Marta Lucchesini ha lavorato sia come assistente sia come compositrice: dalla serie tv come Christian, Non mi lasciare, Vincenzo Malinconico e The Good Mothers, a film come Sul sentiero blu, Spin Time e Il mio nome è vendetta (uno dei lungometraggi italiani più visti di sempre su Netflix).
Nota anche come cantautrice con il nome di Marat, Marta Lucchesini collabora ormai da più di due anni con il compositore Giorgio Giampà, che l’ha voluta al suo fianco come assistente.
Con la passione per l’hockey, uno sport che ha scoperto casualmente e che ancora pratica, Marta Lucchesini racconta il suo mondo e la sua professione nel corso di questa intervista in esclusiva.
Intervista esclusiva a Marta Lucchesini
“Ho ricominciato due settimane a frequentare il conservatorio a Rovigo, non proprio vicino da Mentana, dove invece vivo. Però mi trasferirò presto a Bologna per essere più vicina”: inizia così la nostra intervista in esclusiva a Marta Lucchesini.
“Studio a Rovigo musica applicata ai film. Ho frequentato il triennio a Roma ma poi ho cercato un posto dove ci fosse lo stesso indirizzo per il biennio. La scelta di Rovigo non è stata casuale: hanno speso parecchi soldi per i corsi di studi e le tecnologie sono all’avanguardia”.
Tu hai scelto come nome d’arte Marat. Chiaramente, inverti le ultime due lettere del tuo nome, Marta. Ma mi sa tanto che dietro si cela anche qualche riferimento alla Rivoluzione francese…
In realtà, qualcosa di vero c’è. Il mio nome da cantautrice sottende ironicamente la volontà di rivoluzionare un po’ il contesto che mi circondava quando ho cominciato a scrivere canzoni. Era il periodo dei nuovi cantautori “impegnati”, anche se a me sembravano tutti dire cose banali. Volevo dunque prendere in giro l’idea che mettendo nelle canzoni qualche altisonante concetto socio-politico si potesse fare la rivoluzione. Piuttosto in Italia è un fatto politico l’esistenza di musicisti che seguono una coerenza e un’etica rispetto al fare arte e non solo soldi.
Una delle serie tv alle cui musiche hai collaborato, The Good Mothers, ha appena vinto l’Orso d’Oro alla Berlinale…
La colonna sonora, stupenda, è firmata dal compositore con cui lavoro e collaboro, Giorgio Giampà. Il mio ruolo è stato quello di assistente e musicista, ho poi prestato la mia voce su alcuni brani. Quando qualcosa a cui lavori vince un premio, sei felice di aver collaborato alla sua costruzione con altre persone: le colonne sonore sono lavori molto totalizzanti e direi più faticosi della realizzazione di un disco. Il disco è tuo ed è frutto della tua scrittura e fantasia, per le colonne sonore devi invece entrare nel mondo di qualcun altro e rispettarlo, e lavorare in un team molto ampio, non è facile.
Com’è stato entrare nelle atmosfere della serie tv, che sono comunque molto cupe?
Di base, occorreva capire cosa servisse alla serie, un lavoro che in questo caso ha svolto principalmente Giorgio.
Il punto non è mai stato quello di sottolineare alcuni aspetti che già erano nelle immagini (l’argomento, il dialetto ecc..) ma ha scelto un approccio più trasversale legato all’aspetto umano: il cinema ha raccontato tantissime storie legate alle organizzazioni criminali ma di opere che avessero punti di vista femminili così forti non ce ne sono tantissimi.
Così come non ci sono tantissime donne che lavorano nel mondo del cinema a livello musicale. Inspiegabilmente, direi dal momento che le ragazze che studiano musica e frequentano il conservatorio sono tantissime. In effetti io e Giorgio Giampà ci siamo incontrati in un workshop gratuito (Fury Workshop), da lui stesso organizzato, proprio per compositrici che volessero lavorare nel cinema, e in quell’occasione gli ho chiesto se gli servisse un assistente.
Com’è diviso il lavoro tra te e Giorgio? Decide lui per tutti o hai voce in capitolo nelle decisioni?
Chiaramente i lavori per cui io faccio l’assistente sono gestiti da lui a livello decisionale, così come i miei sono gestiti da me. Questo non vuol dire che non prendo decisioni a livello produttivo, però è senza dubbio lui il terminale di tutto. Ci sono quindi poi i lavori che firmo da sola e di cui mi occupo totalmente io, come ad esempio le musiche per il documentario Sul sentiero blu, e altri ancora in cui abbiamo collaborato come compositori (come Spintime e Il mio nome è Vendetta).
Fare da assistente, comunque, non significa svolgere un lavoro meno “qualificante”, come tendono a pensare in molti: è una concezione alquanto diffusa. Quando si instaura un clima di collaborazione molto stretto come il nostro, vuol dire far da arrangiatrice, orchestratrice oppure produttrice nel senso più musicale del termine. Ed è un ruolo bellissimo e molto soddisfacente.
Come si lavora ad esempio alle musiche di un documentario?
Ovviamente, il lavoro cambia molto a seconda dei diversi casi. In Sul sentiero blu, è stato tutto molto facile anche grazie all’ottimo feeling che c’era tra me e il regista: condividevamo lo stesso pensiero riguardo alla storia. Non significa però che andasse tutto subito bene: sarebbe stato inquietante! È stato però sicuramente tutto molto fluido.
A me piace molto lavorare sui documentari, mi permettono di avere maggiore libertà di racconto e non sono vincolata ai movimenti dei personaggi o agli stacchi di montaggio. Quindi, è anche più facile dialogare ed essere d’accordo con il regista.
Quando è nata in te la passione per la composizione delle colonne sonore?
Dopo aver finito il liceo mi sono tuffata a capofitto nel percorso a Officina Pasolini e nel percorso da cantautrice. Ma mi sono resa conto abbastanza presto che fare la cantautrice di lavoro voleva dire essenzialmente avere la fortuna di riuscirci, quindi ho cominciato a studiare musica davvero.
E nello specifico, a studiare composizione. Ho scoperto così che al conservatorio c’era questo corso di musica applicata alle immagini e ho cercato di capire come funzionasse il lavoro del compositore. La passione ce l’ho sempre avuta, ma era collegata solo alla musica per film, meno al mondo del cinema, che ho scoperto meglio attraverso la musica.
Ma questo non ti portato a mettere un po’ da parte il tuo percorso da cantautrice?
Eh, sì, per forza di cose. Mi sono allontanata perché non ho la possibilità di essere costante a causa del tempo che serve per esserlo. E nel frattempo il mondo è andato avanti e oggi ci sono ragazzi e ragazze molto più bravi di me: non penso che farò mai balletti su TikTok o cose del genere. Non riesco, come dire, a seguire bene il flusso. Ho in programma di pubblicare un altro album ma non so quando: è tuttora abbastanza in progress… Nel frattempo, continuo però a occuparmi di colonne sonore: il mio desiderio è quello di coltivare entrambe le cose.
Che donna è oggi Marta Lucchesini?
Non penso di essere molto allineata con quello che a livello musicale sta proponendo l’Italia in questo momento storico. Purtroppo o per fortuna, coincide anche con un momento molto particolare della mia vita privata… mi sento un po’ sconnessa e forse è anche frutto di quello che abbiamo vissuto a causa del CoVid. Non se ne parla più molto ma la pandemia a me ha fatto tanti danni e non ho avuto il tempo di processarli in alcun modo. Non c’è il tempo di guardare indietro, andiamo avanti troppo veloci e le cose che fanno parte del passato ormai le abbiamo in qualche modo perse.
È un po’ quella dicotomia di cui parlavi in un tuo post su Instagram, la carta velina tra il morire e il conquistare il mondo?
È quello il punto: per me sono la stessa cosa, una è dentro l’altra. Ci sono dei momenti in cui, per via di qualcosa che mi richiede moltissimo sforzo e che sembra non portare da nessuna parte, mi sento piena e vorrei dire basta. Però, allo stesso tempo, ho ambizioni grandi e non voglio smettere. E infatti alla fine sono arrabbiata ma faccio un sacco di cose belle.
Ma il lavorare così tanto non ti aliena dai rapporti personali?
Ho tutti rapporti splendidi però faccio tantissima fatica a frequentare le persone, anche quelle più strette. Avere poco tempo a disposizione ti porta anche a desiderare del tempo solo per te e le tue passioni: devi essere poi capace di spiegarlo e non è facile. E ciò crea dei problemi a livello relazionale.