Martina Difonte è una delle giovani protagoniste del film La grande guerra del Salento, in sala per Ahora! Film dal 5 maggio. Interpreta Giovanna, la fidanzata di uno dei giovani che sarà impegnato in una fatidica partita realmente disputata nel 1949.
Il film La grande guerra del Salento, diretto da Marco Pollini e prodotto da Evelyn Bruges, è tratto dal romanzo omonimo di Bruno Contini e ci porta direttamente nel Salento del Secondo dopoguerra. Mentre l’intera Italia si lecca le ferite del conflitto appena terminato, due piccoli paesini vivono una guerra tutta lora. Si tratta di Ruffano e Supersano, separati da pochi chilometri, da ideologie differenti e da due squadre di calcio assurte a simbolo di potere e supremazia.
“La Grande Guerra del Salento è un film di lacrime, sudore, sangue ma anche di amore e passione. Raccontiamo un mondo sconosciuto, il dopoguerra nel basso Salento. Una storia vera che in pochi conoscono. Raccontiamo le origini del tifo, la passione per il calcio, l’amore per il proprio paese, la rivalità e il desiderio di vendetta e di rivalsa verso gli “amici” del paese vicino”, ha spiegato Pollini.
Nel cast del film La grande guerra del Salento, figurano attori del calibro di Marco Leonardi, Paolo De Vita, Pino Ammendola e Uccio De Santis. Ma anche tantissime promesse del cinema italiano. Una di queste è la giovanissima Martina Difonte, sulle scene sin da quando era bambina. Classe 1996, Martina Difonte è cantante e attrice e ha già alle spalle esperienze di un certo peso, tra musica e cinema. Sono poche le attrici italiane che alla sua età possono, ad esempio, vantarsi di aver lavorato con un mostro sacro del cinema come Abel Ferrara (in Tommaso).
Eppure, nonostante l’esperienza accumulata, Martina Difonte è rimasta una ragazza con i piedi per terra. Una “principessa” dall’animo nobile e libero, determinata e sincera. Le basta poco per essere felice: una carriera che insegue senza scendere a compromessi ma, soprattutto, una famiglia che la sostiene e un uomo che la ama. Reduce da una tournée teatrale con uno spettacolo diretto da Michela Andreozzi, Martina Di Fonte sta vivendo un momento particolarmente prospero della sua carriera: ben presto, sarà la protagonista di due progetti importanti. E uno di questi le permetterà di spiccare il volo sia come cantante sia come attrice.
Siamo felici di ospitarla per un’intervista senza paletti, in cui Martina Difonte non ha paura di esporsi per quello che è. Del resto, è sempre stata una sua scelta quella di mostrarsi, sui social come nella vita di tutti i giorni, per quella che è, senza sovrastrutture ma con tanta anima.
Intervista esclusiva a Martina Difonte
Come stai, innanzitutto?
Tutto bene, grazie. Un po’ presa da mille cose, però tutto bene. Ho appena finito la tournée teatrale di Fiori d’acciaio, durata tre mesi e mezzo.
Quindi, immagino un po’ di stanchezza accumulata.
Si, ma quando si lavora, va bene tutto.
È bello lavorare quando si portano in scena personaggi che esulano dalla tua vita, che ti permettono di confrontarti con un mondo che forse non conosceresti mai.
Io ho lavorato sia nel teatro sia nel cinema. Vedo spesso che c’è differenza tra le due esperienze. Il teatro è come se facessi un concerto live ed è anche un po’ più bello, forse. Nel cinema è come se stessi sempre dietro le quinte. Vedi il prodotto finale dopo mesi o, in alcuni casi, dopo anni. È tutto più lento. A teatro, invece, hai la possibilità di vedere e avere l’emozione e l’energia del pubblico nel momento stesso in cui sei in scena.
Anche perché la carica teatrale è diversa ogni sera. C’è sempre un pubblico diverso con una reazione differente, mai uguale. Anche se è un luogo comune, possiamo affermare che il cinema è da questo punto di vista statico mentre il teatro è dinamico.
Esatto. Il palcoscenico teatrale rappresenta per me tante cose proprio perché ogni volta che entro in scena è come se fosse sempre la prima volta. Lo spettacolo, ogni giorno, è diverso da quello del giorno prima e sarà diverso da quello del giorno dopo. È una sfida diversa ed è bello anche per questa ragione.
Sei dal 5 maggio al cinema tra i protagonisti del film La grande guerra del Salento. Che esperienza è stata?
Già da quest’estate, da quando giravamo in Puglia, la fotografia del grande Alessandro Zonin mi aveva fatto rendere conto che si trattava di un grande progetto. Non conoscevo né il regista né gli attori e, come spesso accade in tutte le prime esperienze, mi chiedevo come sarebbe stato il film, se fosse venuto bene o come sarebbe risultata la mia prova. Sono bastate poche immagini a farmi capire che sarebbe stato un film bellissimo.
Immaginate la fatica che si è fatta sul set a girare d’estate in Puglia, con cinquanta gradi all’ombra, e a indossare le calzemaglie, i vestiti di lana e gli altri abiti tipici degli anni Quaranta… Non è stato facile ma è stata una bella esperienza per me.
Inoltre, non avevo mai girato un film in Puglia: è stata la mia prima volta. Ed è stata una doppia emozione poter girare e raccontare una storia realmente accaduta nella mia terra, anche se pur triste. È stato bello rivivere i sapori e gli odori della Puglia.
Cosa ti manca di più della tua terra?
Della mia terra mi mancano un po’ gli odori, i sapori, i colori. In Puglia hai il mare, la montagna, campi vastissimi tutti verdi. Spesso, quando ritorno a casa, mio padre mi viene a prendere in stazione per portarmi a Lucera, il piccolo paesino in provincia di Foggia di cui sono originaria. Nel piccolo tratto che separa Foggia da Lucera, pieno di verde e prati fioriti infiniti, mi perdo a osservare il paesaggio dal finestrino dell’auto. Vivendo a Roma, una grande metropoli, perdo un po’ queste cose perché sono continuamente presa dalla vita frenetica, dai mille impegni. Non ho la possibilità, se non vado in un parco, di poter vedere tale bellezza.
Ci racconti di cosa parla La grande guerra del Salento? Qual è il tuo personaggio?
Racconta una storia vera, accaduta durante una partita di pallone tra due squadre appartenenti a due paesi rivali, Ruffano e Supersano. Durante la partita, muore un ragazzo, Antonio, impersonato da Fabius De Vivo. Io interpreto Giovanna, la fidanzata di Antonio. Giovanna è una ragazza molto passionale, un po’ come sono io nella vita: una ragazza determinata, che incoraggia il proprio fidanzato e che si preoccupa per quello che potrebbe accadergli. Poco prima della partita, ad esempio, alla luce dell’accesa rivalità, Giovanna vorrebbe quasi che Antonio non partecipasse.
La morte di Antonio è stata l’ultima scena girata ma Giovanna non è presente. Sul set, non ho mai avuto modo di vedere scene di guerra piuttosto che di sangue. Ho dovuto immaginare quei momenti. Un po’ come accaduto con Marco Leonardi: siamo stati insieme sul set ma non ho girato scene con lui.
Giovanna ha anche un’amica. Sta sempre con nonna Maria e Agnese, interpretata da Rossana Cannone. Preparano la pasta o il pane fatto in casa, come facevano le ragazze e le donne a quei tempi.
È stata un’esperienza felice dal tuo punto di vista?
Si, molto. Sul set regnava vera armonia, erano tutte persone molto disponibili, dal cameraman Roberto Leone all’aiuto regia passando per la produttrice Evelyn Bruges. C’era una bella squadra: è il motivo per cui ne parlo bene. Mi sono trovata a mio agio, mi sono sentita ancor di più a casa.
Immagino si siano legati anche dei legami al di fuori del set. Eravate tantissimi gli attori giovani.
Eravamo tanti ragazzi e anche questo ha reso l’atmosfera più bella. Organizzavamo anche delle uscite insieme la sera. Cercavamo di fare quanto più possibile gruppo anche per la riuscita stessa del film.
Nella vita sono una caciarona, una molto di compagnia. Mi piace uscire, mi piace fare tardi con gli amici, bere un buon bicchiere di vino. Ma sul set ero forse l’unica che alle 10.30, dopo aver cenato nel casale in cui stavamo tutti insieme, era in camera sua a letto per dormire. L’indomani mattina dovevo essere pronta e concentrata per affrontare la giornata di lavoro che era molto lunga.
Ho vissuto relativamente poco la vita fuori dal set perché, purtroppo, quando lavori tutti i giorni e hai un ruolo così importante, senti la stanchezza e la responsabilità sulle spalle. Sono una persona molto responsabile. Sono comunque rimasta in contatto con tutti i ragazzi, spesso li sento. Si è creato un bel gruppo.
Ricordi ancora il primo consiglio che ti ha dato Marco Pollini, il regista di La grande guerra del Salento?
Marco Pollini mi fece un provino mesi e mesi prima di dirmi che il ruolo era mio. Mi ero quasi dimenticata del film. Quando mi ha chiamata per la parte, ho accettato subito perché mi piaceva la storia, la sceneggiatura, come il film era scritto, il mio personaggio. E, quando sono arrivata sul set, l’unica cosa che mi ha detto Marco e che mi ha ripetuto durante le riprese, sorprendendomi, è stata: “Martina, devi essere il più naturale possibile”. Di solito, il regista ti indirizza in qualche modo dicendoti come vede il personaggio.
Marco teneva poi molto al dialetto leccese. Eravamo affiancati da una brava coach, che ci consigliava sul come parlare in leccese. Puntava in tutto e per tutto sulla naturalezza. E La grande guerra del Salento funziona anche per questo: il cinema è verità. Ed io personalmente ho dato una bella verità.
Il cinema rappresenta ormai la tua zona comfort. Hai già diverse esperienze alle spalle. Cosa ti spinge a scegliere un ruolo anziché un altro? Immagino ti arriveranno molte proposte.
Mi arrivano proposte cinematografiche da quando sono piccola. Però, spesso, mi propongono ruoli da adolescente, da ragazzina. L’unico ruolo che mi ha fatto uscire dalla mia zona comfort è quello che ho interpretato nell’ultimo film che ho girato subito dopo La grande guerra del Salento. Parla di Alberto Genovese, l’imprenditore milanese accusato di violenza sessuale nei confronti di alcune ragazzine.
Il mio ruolo è quello della segretaria di Genovese e nel film, come narra la storia, ho dei rapporti sessuali con lui. Mi sono dovuta fare coraggio e interpretare un ruolo non solo così importante ma anche duro. Per me, impersonare una donna che scende a compromessi con il proprio capo è stata una bella sfida. Però, con lo studio e con l’aiuto del regista e dell’attore protagonista, sono riuscita a cavarmela. Non avrei altrimenti potuto interpretare delle scene di nudo e di sesso. Mai avrei immaginato di farle ma è lavoro, il cinema è anche questo.
Ma è anche un personaggio che psicologicamente è lontanissimo da te.
Assolutamente. Faccio questo lavoro da quando avevo dieci anni, ho iniziato come cantante. Canto da sempre. Una volta trasferita a Roma, ho cominciato a ricevere proposte dal mondo del cinema e del teatro. Però, c’è una cosa di cui vado fiera: non sono mai scesa a compromessi per ottenere un ruolo o una parte importante in qualche film, in qualche spettacolo o in ambito musicale.
Anzi, è stato il motivo per cui tante volte sono stata penalizzata. Ho trovato persone che volevano andare oltre o che mi proponevano un lavoro con un secondo fine sotto. Mi sono sempre tirata fuori da quelle situazioni. Se hai talento, se sei determinata e se hai quella cazzimma, come si dice a Napoli, giusta, anche con il sacrificio le cose prima o poi arrivano. Sono felice perché tutto quello che ho fatto, che sto facendo e che farò, è frutto del mio sacrificio e del mio impegno.
Questo dipende anche dal tipo di educazione che una persona riceve proprio quando è piccola. O dai valori che i genitori tendono a trasmettere.
Ho alle spalle una famiglia che mi ha sempre supportato, sin da quando sono bambina. I miei genitori ci hanno sempre creduto probabilmente perché vedevano che in me c’era del talento, c’erano delle doti naturali. Mio padre è sempre stato colui che, in primis, mi ha accompagnato a tutti i concorsi, ai vari provini. Ha fatto file e file e ore di file con me.
È anche colui che ancora oggi mi dice: “Martina, studia, studia”. Ho anche preso una laurea in Lettere e Filosofia, Arti e Scienze dello Spettacolo per far contenti i miei genitori.
È importante sottolineare questi aspetti perché molto spesso la gente si ferma solo all’apparenza. Da un lato, c’è tanto impegno e talento per il mondo dello spettacolo. Ma, dall’altro lato, c’è anche una formazione ferrea.
Può, magari, capitarti il colpo di fortuna ma senza una formazione alle spalle, lo studio e il talento, non vai da nessuna parte. A meno che tu non sia Sophia Loren. È un modello che seguo ma non lo sono. Ho impiegato tanto tempo per arrivare a dove sono oggi. E studierò ancora molto di più per raggiungere traguardi ancora più importanti. Lo studio, per me, è alla base di ogni cosa e per questo devo ringraziare i miei genitori, che tuttora mi invogliano e sono accanto a me sostenendomi con dei sani valori.
Qual è la critica che ti dà più fastidio? Hai una relazione con un personaggio pubblico.
Da un annetto sono fidanzata con Clementino, il rapper napoletano. Molti mi chiedono se mi da fastidio quando vengono definita o riconosciuta come la “ragazza di”. Rispondo che non soffro per niente questa cosa, anzi. Sono consapevole del fatto che lui è un grande cantante, artista, professionista. Giorno dopo giorno, lo dimostra sempre di più, con Made in Sud o nei concerti.
Lo ammiro molto: lui, come me, è una persona che ha studiato tanto e che lavora tanto, dalla mattina alla sera. Mi insegna ogni giorno come si fa a essere grande e umile nello stesso momento. Quindi, per me non può essere un motivo di disagio o una cosa brutta essere chiamata la “fidanzata di Clementino”. Ne vado fiera: è una bella persona. Sono fiera di essere accanto a lui e ho tanto da imparare da lui, ha qualche anno più di me e molta più esperienza alle spalle. Spesso mi dà dei consigli.
Non ti è mai capitato che qualcuno ti dicesse “tu fai l’attrice perché stai con Clementino”?
No, non mi è mai capitato. Anzi, ti dirò di più. Da quando sto con Clemente, la gente sta scoprendo quello che io ho sempre fatto, sin da prima di incontrare lui. Sono felice perché tutte le critiche e tutti i giornali mettono in risalto il mio lavoro e la mia professione. Parlano della relazione ma poi scrivono: “Sapete cosa fa lei nella vita?”.
Quand’ero più piccola c’era invece qualcosa che mi dava fastidio. Spesso fermavano i miei genitori per strada per dire “ah, ma sì, lei è bella. Per questo va avanti, chissà che cosa ha fatto”. In cuor mio, so di non aver mai accettato alcun tipo di compromesso e di essermi sudata tutto ciò che ho fatto. Per questo mi infastidiva. Ora ho imparato a lasciarmi scivolare addosso quel tipo di annotazioni. Mi vivo i miei successi, tutto ciò che mi costruisco da sola, rimanendo sempre con i piedi per terra.
Accade lo stesso con gli haters: avessi il tempo di rispondere… quando ero più piccola, rimanevo male di fronte a un commento da leone da tastiera. Ora, invece, non li leggo quasi più o mi faccio una risata quando leggo qualcosa che va contro di me. Ho superato un altro step. Sono anche diventata donna e con il tempo ho capito quali sono le cose a cui dare valore e quali sono quelle da lasciar perdere.
E quali sono le cose a cui dai maggiormente valore?
Sicuramente la famiglia, l’amore e il rispetto. Il rispetto viene prima di qualsiasi altra cosa, nel privato come anche nel pubblico. Non mi sono mai permessa di rispondere con lo stesso tono a persone che ho incontrato e mi parlavano in maniera altezzosa. Ho sempre avuto educazione nel rispondere e nell’affrontare le varie situazioni che mi si presentano. Questo poi ti ripaga: la gente, anche quella che non ti porta rispetto, che non ti stima o che non ti vuole bene, lo capisce e ti viene incontro.
Come procede invece la tua carriera di cantante? Hai iniziato che eri ancora una bambina.
Ho iniziato piccolissima a cantare nel coro della parrocchia. Ho avuto modo di fare vari concorsi e la mia prima esperienza importante è stata il Premio Mia Martini, nel 2012. È stato il mio trampolino di lancio: vinsi il riconoscimento “Nuova immagine per la Musica”. Successivamente ho partecipato ad Area Sanremo, ho vinto e ho avuto accesso a Sanremo Giovani nel 2018, nell’anno in cui c’era direttore artistico era Claudio Baglioni. Ho fatto vari concerti e un tour con la vocalist di Ray Charles e Zucchero.
Quest’estate debutterò nel musical Romeo e Giulietta con la regia di Giuliano Peparini. Sarò Giulietta e avrò modo di unire le due cose, il canto e la recitazione.
È inutile che ti chieda cosa sceglieresti un domani tra canto e recitazione.
Entrambi. Solo in Italia esiste il presupposto per cui se fai la cantante non puoi fare l’attrice o viceversa. In America, terra in cui il musical è nato, non si pone la questione. Proverò a unire le due sfere: se sai fare più cose, è giusto metterle tutte insieme e mostrare che si è validi in più campi contemporaneamente.
A proposito di mondo dello spettacolo tutto italiano, ti è mai capitato di essere testimone di episodi di pregiudizi, discriminazioni, disparità di trattamento tra un attore e un’attrice?
Non mi è capitato di vedere disparità di trattamento tra un attore e un’attrice ma mi è capitato di vederla, varie volte, tra un’attrice e un’altra attrice. Ho visto come un regista o una regista mettessero in atto trattamenti di disparità all’interno di un gruppo di lavoro.
Come si reagisce in quei casi?
All’inizio ci sono rimasta male. Sono sempre stata la più piccola del gruppo quasi in tutti i progetti a cui ho preso parte. Da una parte, ero felice perché avevo la fortuna e l’onore di lavorare con grandi nomi del teatro o del cinema. Dall’altra parte, ero quella con meno esperienza, la più giovane.
Ma anche in questo caso ho imparato che i pregiudizi e le cattiverie lasciano il tempo che trovano. Lo notavo quando, a fine spettacolo, uscivo per gli applausi e vedevo che il pubblico mi sosteneva molto. Era la soddisfazione più grande, si annullava ogni cosa. Tutto il resto non contava e non conta: pensavo e penso solo a fare il mio lavoro bene.
Il film La grande guerra del Salento parla di calcio. Che rapporto hai tu con questo sport?
Io? Zero rapporto con il calcio. Ultimamente sto guardando delle partite del Napoli perché sono un po’ “obbligata” stando con Clemente che le guarda. Però, io non ne capisco nulla, non conosco i calciatori e non so le regole del calcio. Proprio zero. Non so giocare a calcio… sono proprio una principessa!
Cosa significa per te oggi essere una donna moderna? Hai un profilo Instagram al passo con i tempi.
Non so se mi definirei una donna moderna. Vengo da un piccolo paesino di provincia e tante libertà spesso in quei contesti vengono negate. Vivendo in una grande città, tutto cambia. Quando sono fuori, ad esempio, tendo a mettere in risalto la mia fisicità o a essere un po’ più “ribelle”. Cosa che non potrei fare se vivessi ancora nella mia città, dove c’è gente con la mentalità ancora un po’ troppo chiusa. Mi definirei semmai una donna libera più che altro. Faccio quello che mi sento di fare senza scadere nel volgare o nel patetico.
Sono me stessa. Sui social, ciò che mi piace di più è mostrarmi senza filtri. Così come mi mostro, sono nella realtà: non ho alcun velo davanti che separa la mia immagine dalla mia persona. Sono sempre io: è giusto che la gente mi conosca per come sono. E forse dà anche un po’ di fastidio.
Cos’è per te la felicità?
Innanzitutto, la lasagna di mia madre! Nel momento in cui faccio il biglietto per tornare giù a casa mia e durante il viaggio, non c’è cosa a cui penso se non alla lasagna di mia madre. A parte gli scherzi, la felicità per me è avere una famiglia e una persona accanto come Clemente, che mi vogliono bene e che mi sostengono. Ma è anche vedere le rose bellissime che ho in questo momento di fronte: il mio cuore è felice. Tutto ciò che è bello, tutto ciò che mi piace attorno a me rappresenta un motivo per essere felice.