MAX3MIN è il nome del festival cinematografico di cortometraggi che si tiene a Milano dal 15 al 17 settembre presso i bellissimi spazi della Cineteca Milano MIC. Durante l’arco dei tre giorni, che seguono la consueta programmazione in streaming gratuita worldwide cominciata già lo scorso 11 settembre, è possibile visionare ben 70 cortometraggi provenienti da ben 37 Paesi differenti e suddivisi in due categorie. 50 dei corti concorrono per i premi del Concorso Internazionale, la cui giuria è presieduta da Giacomo Abruzzese, e 20 per il NEXT GEN Award, un premio dedicato ai talenti delle scuole di cinema di tutto il mondo.
La particolarità di MAX3MIN è data dal fatto che i cortometraggi presentati hanno tutti una durata massima di soli tre minuti, un arco temporale all’apparenza abbastanza breve ma che tanto breve non è se si pensa a quante cose possono mostrarsi o raccontarsi. In tre minuti si possono affrontare questioni legate ai corpi, alle relazioni, al rapporto con i social media, all’adolescenza, al passaggio all’età adulta e tanto altro ancora.
Anche perché MAX3MIN, alla sua terza edizione, ha una mission specifica: dimostrare che anche i cortometraggi sono cinema allo stato puro, in grado di raccontare il cambiamento sociale nello stesso momento in cui avviene. A dirigere il MAX3MIN è la scenografa italo-argentina Martina Schmied. Una delle poche donne a capo di un festival cinematografico, Martina Schmied ci spiega in un’intervista esclusiva com’è strutturata la rassegna, le sue peculiarità e anche le sue difficoltà. Ricordando a tutti che MAX3MIN è fondamentalmente una festa con tanti eventi collaterali, il cui programma è disponibile per intero online, così come i biglietti (www.max3min.com).
Intervista esclusiva a Martina Schmied
“La clip che ho scelto per raccontarvi il MAX3MIN è stata chiamata People No Phone. È stato particolarmente difficile trovare delle immagini con delle persone che non si parlassero attraverso uno smartphone, diventato quasi il simbolo di nuova solitudine. Non è il filo conduttore del festival ma mi piaceva l’idea di ritornare a porre l’attenzione sulle relazioni”, esordisce così Martina Schmied nello spiegarmi il particolare reel che ha preparato in esclusiva per TheWom.it, per raccontarci il festival che dirige.
Cos’è MAX3MIN e come nasce?
MAX3MIN è un festival di cinema dedicato a film che durano massimo tre minuti. Il cinema è prima di tutto arte. È anche business e mercato ma fondamentalmente è arte, un’arte nuova che ha la possibilità di muoversi e di trovare nuovi formati solo da un centinaio di anni. Così come in letteratura nel corso degli anni si sono trovate nuove forme anche di breve durata (penso agli haiku), anche al cinema una storia non per forza deve essere raccontata solo in film da due ore: anche un film dalla durata massima di tre minuti può dirci molto.
Mi piace andare un po’ contro senso: diamo valore ai cortometraggi e non consideriamoli soltanto dei film “sfigati” o dei tentativi da parte degli autori di farsi notare per poi passare alla regia di un filmone. Il festival nasce da questa considerazione ma poi ci sono anche altre motivazioni sottese. Del resto, a me come a molte altre persone capita spesso che di un film si ricordi soltanto una particolare sequenza, scene che diventano quasi iconiche e che quando esistevano le vhs andavamo a cercare appositamente. A dimostrazione che ci sono scene che valgono un intero film.
Negli anni Novanta, poi, appena uscita dall’Accademia, ho lavorato come scenografa a diversi videoclip. La loro durata era di tre o quattro minuti, il tempo stesso della canzone, e in quell’arco di tempo doveva raccontarsi una storia.
Un altro aspetto fondamentale che ha portato alla nascita di MAX3MIN è da attribuire al desiderio di dare a registi e opere provenienti da tutto il mondo la possibilità di iscriversi a un festival, con una call che, per la maggior parte delle fasi, è gratis. Per noi, venti euro per iscrivere un film, ad esempio, non sono tanti ma per un giovane regista del Lesotho invece sì… motivo per cui morirò povera (ride, ndr).
MAX3MIN quest’anno arriva anche alla Cineteca Milano per tre giorni, unendo la dimensione digitale a quella in presenza. Cosa significa portare dei cortometraggi in una cineteca?
Gli scorsi anni, a causa del CoVid, non si poteva realizzare il festival in presenza ma solo in piattaforma. Finalmente, quest’anno siamo riusciti a concretizzare tre giorni in una cineteca, in delle sale che di per sé rappresentano il tempio del cinema. I cortometraggi verranno presentati in delle raccolte da una quarantina di minuti: non sono accomunati solo tematicamente ma dallo stare bene insieme per prossimità o per differenza. Nonostante in molti mi proponessero di suddividerli per categorie, ho lottato affinché il legame fosse di altra natura.
A me piace definire le raccolte come “playlist”: mettere insieme una ventina di cortometraggi da tre minuti è come cucire qualche cosa altra rispetto al film singolo. Da un lato abbiamo quindi quello che il singolo regista voleva dire con la sua opera mentre dall’altro lato abbiamo un nuovo senso dato dall’opera stessa che comunica con le altre. È un po’ come se facessimo un montaggio di un montaggio.
I cortometraggi dell’edizione 2023 di MAX3MIN arrivano da 37 Paesi differenti. Qual è il Paese più inaspettato che avete finora accolto?
L’ho citato prima: il Lesotho. L’anno scorso avevamo Curaçao, che bene o male sapevamo dov’era. Quest’anno, invece, è arrivato il Lesotho: ho persino dovuto cercarmi dov’era!
Hai avuto modo di conoscere personalmente i registi dei vari cortometraggi?
Quest’anno, parte dei registi verranno di presenza al festival. Non tutti ovviamente ma alcuni. Esco di nuovo dall’arte e torno all’economia: come festival, non possiamo permetterci di invitare gente che arriva dalla Cina, per citare una nazione lontana, perché non abbiamo fondi o particolari aiuti: tutto è sospinto dalla passione. Abbiamo, dunque, fatto una scelta invitando solo alcuni dei registi e facendo uno sforzo economico non indifferente.
Facendo il punto sulle scorse edizioni, con molti registi c’è stato del dialogo. Ci siamo scambiati per esempio tantissime e-mail, anche dopo la partecipazione al festival o la vittoria. Personalmente, mi è rimasto nel cuore, oltre che il suo film, un giovane ragazzo del Kenya che è riuscito a fare (benissimo, tra l’altro) un cortometraggio con soli 50 dollari che raccontava, anche con molto humor, come il suo villaggio avesse vissuto il CoVid.
Max3Min: Le foto dei film in concorso
1 / 49Il MAX3MIN non prevede solo un concorso per giovani registi con una giuria presieduta quest’anno da Giacomo Abruzzese ma anche un premio, il Next Award, destinato ai lavori realizzati dagli studenti delle scuole di cinema. Quanto è importante sostenere i giovani che vogliono far cinema?
È importante sostenere i giovani che fanno cose, partirei da ciò. Così come è importante spiegare ai giovani che si approcciano a un lavoro quanto fondamentale è la cultura. La cultura non sembra così importante, non è un’emergenza come ad esempio la sanità, ma è quella che ci forma e che ci fa diventare tutti quanti un mondo migliore: alimenta l’anima ed è essenziale per essere felici. È anche alla base da ciò che ci differenzia da tutti gli altri esseri animali, ovvero la possibilità di immaginare. E la cultura dell’immaginazione è importantissima.
A te chi ha insegnato quanto era importante la cultura dell’immaginazione? Sei una scenografa e forse su un set lo scenografo è chi è chiamato ad avere più immaginazione rispetto ad altri per dar vita ai luoghi o alle ambientazioni pensati da un regista o da uno sceneggiatore.
Sono figlia unica, è la risposta più semplice. Un figlio unico non ha fratelli e ha molto tempo per chiacchierare con se stesso. Provengo da una famiglia in cui la cultura dell’immaginazione è sempre stata presente: mio nonno faceva l’editore (a casa nostra giravano Hugo Pratt o Faustinelli) e mio padre lo psicanalista (anche la psicologia è dialogo con se stessi).
Di lavoro, poi, faccio la scenografa. E lo scenografo interpreta da un punto di vista formale un qualche cosa. Nel teatro, più che al cinema, la scenografia è molto immaginativa perché racconta in una scala che va verso non si sa dove qualcosa che ha a che fare con il testo. Basti pensare alla scenografia strepitosa di Il Giardino dei Ciliegi messo in scena da Strehler tanti, tanti anni fa.
Sei italo-argentina…
Argentina da parte di mamma mentre mio padre era svizzero. A essere emigrati in Argentina sono stati i genitori di mia madre che, di origine ebrea, hanno lasciato l’Europa a causa delle leggi razziali.
Com’è da donna dirigere un festival di cinema? Non capita così spesso di trovarne una alla direzione di un festival di cinema a livello mondiale: se pensiamo ai più grandi, vengono in mente solo nomi di uomini.
Capisco e comprendo come le donne abbiano enormi difficoltà rispetto agli uomini per quanto riguarda il posto, i guadagni e le gerarchie in ambito lavorativo. Tuttavia, sono cresciuta in una famiglia in cui, forse erano illuminati, non c’è mai stata differenza tra un uomo e una donna. Io, Martina, so benissimo di essere una donna ma non ho mai vissuto sulla mia pelle il non poter fare qualcosa in quanto donna. Mio nonno, che aveva ereditato tutto dei suoi genitori a discapito delle sorelle, ad esempio ha lasciato metà della sua eredità a mio zio e metà a me, senza far alcuna distinzione tra maschio e femmina. Questo per dire che non sono cresciuta in un ambiente patriarcale: mio padre mi parlava come se fossi intelligente (ride, ndr).
Non mi fermo a pensare che da donna dirigo un festival di cinema. In tutto ciò, ho fatto anche la mamma: a un certo punto, ho smesso di lavorare nella moda perché ho avuto delle figlie e volevo star con loro. Non me lo ha imposto nessuno: non è stato perché le mamme devono star a casa… l’ho scelto io: è una libertà che ancora fatica a essere riconosciuta alle donne.
Ma, ripeto, non posso far della mia storia personale una legge universale: l’universo culturale che mi ha formata è diverso da quello in cui cresce una donna africana (costretta ancora oggi all’infibulazione) o una di un piccolo e sperduto paesino in cui regna ancora l’ignoranza. Sono consapevole di quanti ulteriori passi in avanti debbano essere fatti affinché ogni uomo, donna e persona, abbiano pari condizioni di scelta e libertà.
Tornando al MAX3MIN, si dice che i cortometraggi abbiano il potere di cogliere il cambiamento sociale mentre è in atto. Tra tutti i film selezionati, ce n’è qualcuno che è riuscito a cogliere la discrepanza tra reale e virtuale, tra essere e apparire, che stiamo vivendo tutti quanti?
Ce n’è uno che non mi era piaciuto tantissimo e che forse non è stato nemmeno selezionato che mostra la sofferenza che si prova nell’essere dipendenti dai social e nel trasformarsi, per paradosso, in anti-social: sappiamo tutto quello che fanno gli altri ma questi altri finiamo per il non vederli realmente anche per anni. È un tema che interessa tutto il mondo e che ritorna spesso. Il tema dell’apparire, poi, soprattutto nella moda attraversa i secoli: anche alla corte di Luigi XIV, dove non c’erano sicuramente i social, si mettevano i gioielli sulle scarpe… gesto che dà la mappa di come mancassero (e manchino, se traslato a certe abitudini odierne) cose preziose altrove. Così come ho visto raccontata bene l’angoscia generata dal CoVid trasformarsi in normalità lo scorso anno e persino in comicità quest’anno.
Il MAX3MIN non è però il solito festival di cinema…
L’idea è quella di trasformarlo sempre più in evento trasversale. Mi piacerebbe trasformarlo in una festa dove all’interno succede anche un festival di cinema. Quest’anno, ad esempio, avremo un laboratorio per bambini, un party di musica e del buon cibo calabrese: la gente potrebbe venire anche solo per quelli, approfittandone poi per vedere anche del cinema. Ma tutto questo non sarebbe stato possibile senza la collaborazione di Cabinaa Milano, che sin dall’inizio ci ha aiutati per tutta la parte tech: senza il loro lavoro, non ci sarebbe MAX3MIN!