Comincia giovedì 22 novembre su Rai 2 la serie tv Noi siamo leggenda, di cui Matteo Buzzanca ha composto la colonna sonora. Classe 1973, Matteo Buzzanca si muove nel mondo della canzone e delle colonne sonore, del cinema e della televisione da molto tempo. È stato ad esempio arrangiatore e autore di successi per artisti come Eros Ramazzotti, Ermal Meta, Max Gazzè, Emma Marrone, Marco Mengoni, Luca Carboni, Arisa, Gianni Morandi, Malika Ayane, Patty Pravo, Rapahel Gualazzi, Noemi, Giusy Ferreri, Francesca Michielin, Anna Tatangelo, Giovanni Caccamo e gli Zero Assoluto. Ma anche compositore della colonna sonora di film come Saremo giovani e bellissimi, Il divin codino o Trash – La leggenda della piramide magica.
Il nome di Matteo Buzzanca risuona anche nella mente di chi ha appena visto la serie tv di Rai 1, Per Elisa – Il caso Claps e della splendida Fiore bianco, la canzone cantata da Beatrice Galimberti. Del suo lavoro ma anche di altro abbiamo parlato direttamente con lui.
Intervista esclusiva a Matteo Buzzanca
“Sono nato a Roma da padre palermitano e madre friulana”, mi risponde Matteo Buzzanca quando gli chiedo del suo cognome, che mi risuona familiare, non solo per via dell’attore Lando. “Mio nonno, Gino, è stato un caratterista del cinema italiano del dopoguerra: ha recitato in centinaia di film, lavorando al soldo di quasi tutti quanti i registi, da Mario Monicelli a Federico Fellini, Totò e Vittorio De Sica. Aveva anche una sua compagnia teatrale con cui girava il Sud Italia e con cui tirava su con sé diversi attori di strada, tra cui anche Franco Franchi e Ciccio Ingrassia: fu lui a portarli da Domenico Modugno, suo grandissimo amico”.
Sei l’autore della colonna sonora della serie tv Noi siamo leggenda, in partenza su Rai 1, ma anche di Per Elisa – Il caso Claps, appena terminata su Rai 1.
Quella di Noi siamo leggenda è una storia un po’ particolare. Racconta di ragazzi che vivono i loro drammi e le loro paure legate all’età ma tutto è declinato in chiave fantasy. I superpoteri che hanno sono “moderati” e non sono altro che la trasfigurazione delle loro crisi esistenziali, insicurezze, debolezze e non accettazione.
Come ti sei mosso per comporre le musiche?
Si tratta di una colonna sonora particolarmente complessa. Le musiche, purtroppo, sono quasi sempre poco attenzionate da parte della stampa: difficilmente se ne parla in una recensione, lo fa soltanto chi è un appassionato perché si considera che riguardi aspetti tecnici che gli spettatori non conoscono. In realtà, le musiche non sono solo fondamentali per un racconto ma talvolta sono anche determinanti, come accade in questo caso.
Le musiche devono infatti tener conto della coralità del progetto e pensare ai target a cui è diretto: ci sono storie di giovani ma anche di adulti che mirano a un pubblico sia giovane sia generalista. Le musiche, quindi, vanno dall’essere inquinate da quei suoni che in qualche modo appartengono alle realtà che si presume che i ragazzi ascoltino all’essere quasi più tradizionali e plastiche per commentare l’azione, le suggestione e le emozioni di storie molto diverse da loro.
Una delle cose a cui mi è piaciuto lavorare maggiormente è la sigla di chiusura di ogni puntata. Con Carmine Elia, abbiamo identificato un brano che di puntata in puntata si evolve: parte in maniera acustica e si trasforma fino a diventare elettronico, quasi a sottolineare la trasformazione stessa dei personaggi.
È stata composta tantissima musica, anche perché la stessa enfatizza le prove degli stessi attori. E me ne ha dato di recente conferma Giulio Della Monica, l’attore che ha interpretato Danilo Restivo nella serie tv Per Elisa – Il caso Claps, che mi ha ringraziato per come ero riuscito con le musiche a dare maggiore intensità al suo personaggio.
Quando hai concretamente cominciato a lavorare alle musiche della serie tv Noi siamo leggenda?
Ciò che cerco di fare quasi sempre è comporre le musiche prima che un prodotto vada in fase di montaggio. Il montatore, per dare ritmo e tempo al racconto, è solito lavorare con delle musiche: se non ne ha di originali, va a pescarle in una library preesistente in base ai propri gusti. Ciò fa sì che diventi poi complicato attenersi a quelle che sono le tracce temporanee scelte: diventano vincolanti, condizionando anche la visione. Per tale ragione, preferisco avere le musiche pronte prima: sono stato sul set a vedere ad esempio il girato e ciò mi ha permesso di dare le mie tracce o, come sarebbe meglio dire, tracce al bravissimo Marco Garavaglia prima che iniziasse il suo lavoro in fase di montaggio.
Così facendo, si evita di scontrarsi con qualcosa che si è sedimentato nella sensibilità di chi ormai una scena la conosce. Tento di prevenire l’uso delle library anche a tutela dell’originalità creativa: per me, i progetti belli sono sempre originali. È un pensiero che mi porto dietro da sempre: vengo dal mondo della discografia, dove ho cercato, anche quando ho lavorato a progetti molto commerciali, di untare all’originalità o al pensiero personale.
L’elenco dei tuoi successi e dischi di platino da autore è lungo ma non stiamo quindi a elencarli.
Esatto, anche perché mi voglio un po’ affrancare da quel lavoro e puntare sulla mia nuova dimensione di compositore di colonne sonore. Ma questo non significa che non mi piaccia il mondo delle canzoni: sono stato ad esempio io a far ascoltare a Carmine Elia la canzone che fa da sigla all’intera serie, Uno come noi, di Nashley, un giovane con cui avevo collaborato per delle session e con cui avevo scritto il brano per il suo disco. Cercavano un brano e mi sembrava perfetto: non è stato scritto ad hoc ma esisteva già, ne abbiamo solo cambiato il titolo da Uno come me a Uno come noi.
Sono molto contento di come stia riuscendo a traghettarmi dal mondo della canzone pop a quello della musica per il cinema, che è molto più sofisticato e richiede una conoscenza molto più elevata: non è sempre detto che tale passaggio accada, non sempre un buon autore riesce a convertirsi in compositore da musica per film e viceversa. Si tratta di lavori completamente differenti.
Dopo una laurea in Economia e Commercio, cosa ti ha portato verso la musica?
Sono cresciuto in una casa in cui la musica è sempre stata presente. Mio padre è stato un importante discografico. La mia famiglia ha sempre gravitato intorno al mondo del cinema e sono un appassionato di cinema sin da quando ne ho memoria. Se ci fosse Lascia o raddoppia?, un tentativo di candidatura per partecipare al quiz in tale categoria lo farei (ride, ndr). In qualche modo, i semi per unire cinema e musica sono sempre stati insiti nella mia vita: direi che, quando mi sono cimentato con la scrittura di brani per tanti artisti tra loro differenti, sono stato un compositore che scriveva canzoni e non un autore, una differenza che non è solo formale ma anche sostanziale. Con le dovute eccezioni, è un po’ come quando Morricone, autore di colonne sonore, scriveva canzoni…
Chiariamo un punto: nonostante il padre discografico alla RCA, non hai cominciato a lavorare con lui.
Purtroppo, no. Anche perché mio padre è venuto a mancare molto giovane quando io avevo vent’anni ed ero ancora all’università, senza sapere nemmeno cosa avrei fatto dopo. Studiavo Economia per volere di mamma ma la musica era sempre stata la mia passione, tanto che studiavo anche al conservatorio. L’ho sospeso solo per completare la laurea ma l’ho ripreso subito dopo. Mia madre non si è nemmeno accorta del passaggio. Non capiva cosa facessi, anche perché vivevo lontano da lei: per un certo periodo, ho condotto un’esistenza un po’ nomade per cercare la mia strada e accumulare esperienza.
Noi siamo leggenda: Le foto della serie tv
1 / 109Esperienza che oggi cerchi di tramandare ai ragazzi della tua music factory, la Rokovoko, avviata nel 2016. Il trasmettere o mettere la propria esperienza al servizio degli altri è un atto di incredibile altruismo.
Non credo ci sia niente di incredibile. Credo semmai che una persona che ha qualche qualità umana, io non so se ne ho, debba cercare di trasferire qualcosa ai più giovani: per me, è quasi un obbligo civile. Insegno anche alla SAE Italy di Milano e non lo faccio certo per soldi. Con la factory, cerco di trovare degli artisti e di farli lavorare.
È accaduto così con Beatrice Galimberti, ad esempio, la giovane ragazza che canta Fiore bianco, la canzone presente in Per Elisa – Il caso Claps e che, insieme a Imagine, è stata intonata di recente in piazza di fronte alla chiesa in cui è stato rinvenuto il corpo di Elisa. Sto producendo ora l’album di Alessandro Ragazzo, un giovane di Venezia che fa delle cose molto particolari e non così commerciali. O lavorando con i Kisses from Juno, una band la cui Cover Me si sentirà anche nella serie tv Noi siamo leggenda.
Cerco di contribuire come posso, nei miei limiti, nell’aiutare qualcuno che ha qualcosa da dire quando avverto dietro grande qualità. Lo faccio perché anch’io quand’ero giovane avrei voluto trovare qualcuno che credesse in me.
A proposito di giovani artisti, ti riconosci nella musica che senti in questo momento portata avanti da giovani artisti?
Sto molto attento a ciò che viene pubblicato: ci sono delle cose che mi piacciono e altre che, tante volte, non mi piacciono. La musica è oramai molto stereotipata: viviamo in un’epoca in cui si tende a ripetere la formula di ciò che funziona all’infinito, facendo sì che generi come l’urban o la trap cadessero nello stereotipo e nel cliché. Certa musica è diventata persino la caricatura di se stessa, ricordiamoci sempre che la sua culla non è italiana e quella che ascoltiamo è derivativa, imitativa di un modello culturale che non ci appartiene. Noi siamo stati bravi a metterci la pummarola ‘n coppa. Di mio, spingo i ragazzi a cercare una loro voce, una loro originalità: chiedo sempre loro di uscire dal trend per cercare la propria unicità e valorizzarla.
Certo, dovranno poi scontrarsi con i ragionamenti che regolano l’industria ma quella è un’altra parentesi complessa da sondare, in cui l’ossessione per i numeri non sempre corrisponde alla qualità o al talento. Ma questa sarebbe una critica da muovere direttamente alle istituzioni, che non fanno nulla per preservare la cultura o sacche di esperienze musicali più autentiche.
Possiamo estendere la critica anche ai conservatori?
Già il termine “conservatorio” nasconde una dichiarazione di intenti. Il problema è un altro. Per come la vedo io, il musicista dovrebbe essere un artista che usa uno strumento per veicolare le proprie idee. Ma se non ci sono idee, cultura e sensibilità, anche se sei il miglior chitarrista del mondo, cosa veicoli? Se non hai un pensiero, rimani un mero esecutore e, probabilmente, anche uno scarso interprete.