Matteo Santorum, giovane promessa del panorama artistico italiano, è uno di quegli interpreti che trasforma il mestiere dell’attore in un atto di verità, intrecciando sensibilità e introspezione in ogni ruolo. Parlando di Elia, il personaggio che interpreta nella serie di Rai 1 Libera, Matteo Santorum apre una finestra sulla sua stessa anima, condividendo un’idea di recitazione che trascende il copione per abbracciare l’essenza più pura delle relazioni, delle fragilità e del viaggio interiore.
Matteo Santorum si racconta senza filtri, dimostrando come l’arte possa essere una bussola, un rifugio e una missione, e sottolinea con una profondità disarmante quanto sia necessario guardare alle proprie crepe per creare connessioni autentiche. Elia, con la sua dolcezza d’altri tempi e il suo romanticismo, diventa il veicolo perfetto per esplorare temi universali: l’altruismo, l’empatia e il coraggio di essere se stessi in un mondo che tende a giudicare piuttosto che ascoltare. Attraverso questa intervista, emerge un attore che non si limita a interpretare, ma vive il proprio mestiere come un viaggio verso l’autenticità, sia per sé stesso che per il pubblico.
Matteo Santorum non è solo un interprete, ma un artigiano di emozioni che usa il suo passato, le sue fragilità e le sue conquiste per raccontare storie che vibrano di vita vera. E questo, oggi più che mai, è il segno distintivo di un talento destinato a lasciare un segno. Perché ci sono incontri che non si limitano a raccontare una carriera o un progetto, ma diventano uno specchio di ciò che significa essere umani.
Intervista esclusiva a Matteo Santorum
“Elia è un inguaribile romantico e racconta anche tanti lati di me”, esordisce Matteo Santorum quando gli si chiede di spiegare il personaggio che interpreta nella serie tv di Rai 1 Libera. “Spesso, quando costruisco un personaggio, parto da me e da parti che non sempre nella vita di tutti i giorni vengono fuori o emergono. Elia ha la mia goffaggine, la mia timidezza e, come me, un mondo interiore enorme. Con Clara, la nipote della protagonista, interagisce facendosi guidare dal cuore e senza secondi fini: è quello che in parole, si può definire un ragazzo buono e super romantico, che agisce per l’altro e non tanto per se stesso. Non è mai egoriferito e sposta sempre il fulcro fuori da sé. Nell’approcciarmi a lui, il regista Gianluca Mazzella me lo ha descritto come una specie di novello Romeo, un giovane all’antica”.
Vuol dire che anche tu sei un ragazzo all’antica?
Dipende ovviamente dal contesto in cui ci muoviamo e di cui parliamo… però, sì, ci sono sicuramente dei valori in cui credo fermamente. Sono un ragazzo che ama in senso lato (per amore della poetica, mi sono ad esempio scritto a Lettere Moderne) alcuni mondi antichi, con cui ci si rapporta sempre meno. Siamo sempre talmente proiettati verso il futuro e verso il progresso da perdere di vista alcune cose importanti che hanno fatto parte del nostro passato, a cominciare dal culto dell’arte, dall’incanto della bellezza e dalla sensibilità delle relazioni: con Clara, Elia si pone con gentilezza, qualcosa che fin troppo spesso ci dimentichiamo nelle nostre vite sempre di corsa.
Accade spesso però che la sensibilità venga vista come una zavorra da portare sulle spalle…
La sensibilità viene tante volte collegata alla fragilità e, pur di non mostrarla, ci costruiamo sopra l’impossibile, nascondendo il grande essere umano che c’è sotto. Per ogni mio personaggio, positivo o negativo che sia, parto sempre dalla fragilità: se tutti quanti ci ricordassimo del nostro bambino interiore, saremmo degli esseri umani migliori, senza sovrastrutture… basterebbe riconoscere le nostre fragilità.
Libera: Le foto della serie tv
1 / 63Lavorare sulle fragilità comporta d’altro lato che si riconoscano anche le proprie.
Non si tratta di riconoscerle ma di abbracciare ciò che siamo nella nostra totalità, crepe comprese. Quello di attore è un lavoro che ci scartavetra dentro: per me, i grandi attori solo coloro che offrono la propria umanità come seme per far germogliare qualcosa in chi sta guardando. Per me, è quella la grande arte: se mi comunica qualcosa, è perché si è messo a nudo, mostrando le sue fragilità e insicurezze.
Ricordiamoci sempre che noi attori stiamo facendo un’arte stupenda che nasce nell’Antica Grecia per portare lo spettatore a una catarsi e per riuscirci occorre che si metta umano di fronte a umano. È anche la ragione per cui parliamo tanto di realismo e cerchiamo di essere veri: se il pubblico vedesse la finzione, si allontanerebbe e non verrebbe colpito. Nel mio caso, cerco di abbracciare tutti i giorni il mio bambino interiore portando avanti questo sogno che si chiama recitazione e che coltivo da quando avevo tre anni.
Com’è nato?
Per gioco. Amavo circondarmi di storie ma più di ogni altra cosa recitare mi permetteva di trovare quel posto nel mondo in cui sto bene con me stesso, in cui posso concedermi di essere chi sono senza pensare ai tormenti interiori o ai moti d’animo di tutti i giorni. Sul palco o sul set, ancora oggi, posso concedermi totalmente di essere me stesso.
Ma ciò non comporta che ci sia un equilibrio molto precario tra la tua esistenza reale e quelle che porti in scena?
È un bel tasto da toccare: a volte, temo la solitudine. Però, spesso, è quando siamo soli che entriamo in contatto anche con le nostre più grandi paure e, vivere quell’inquietudine e starci dentro, permette di uscirne rafforzati. Riconosco comunque di avere un grande problema con la solitudine, tanto che amo circondarmi di persone in grado di colmare sia il vuoto fisico sia quello emotivo. Poche persone ma buone, come si direbbe, che possano garantirmi uno scambio, un arricchimento.
Se ci pensiamo, è questo l’amore, no? Un darsi qualcosa a vicenda per crescere insieme e camminare sulla stessa strada prendendosi per mano, anche se non sappiamo per quanto. Ogni rapporto umano ha un suo perché e vale anche nel caso di Elia e Clara: lui potrebbe essere il suo angelo custode che la cinge da dietro, stando silenzioso e mettendo da parte se stesso. Non è facile ma lui ci riesce.
La recitazione per sentirsi a proprio agio nel mondo. Da cosa cercavi rifugio?
Da piccolo non avevo ancora la consapevolezza bellissima che quel gioco sarebbe diventato un giorno un lavoro che avrebbe dovuto mantenermi. Mi dava semmai la possibilità di crearmi immaginari possibili in cui immergermi e che poi sono diventati un’ancora di salvezza per tutto il bullismo che ho subito alle scuole, elementari ma soprattutto medie. A differenza degli altri maschietti, non sapevo quasi nulla di calcio, nonostante un padre grandissimo tifoso: durante il rientro pomeridiano a scuola, non sapevo mai cosa fare in quelle due ore in cui si giocava a pallone…
Il mio poco interesse per quello sport aveva conseguenze sul mio posizionamento sociale tra gli studenti e di sicuro non ero il ragazzo più popolare dell’istituto. Di contro, però, è stato per sopperire al non sapere cosa fare in quelle due ore mi sono inventato dal nulla uno spettacolo, in cui sono riuscito a coinvolgere sia altri ragazzi e ragazze sia gli insegnanti: un remake dell’Inferno di Dante dove per ogni girone avevo collocato un professore diverso. E quello spettacolo, con la sua regia da curare, è stato per me un motivo di salvezza da situazioni sociali imbarazzanti: mi ha permesso di dire che c’era qualcosa che mi faceva stare bene e sapevo cosa.
Cosa pensi che spingesse gli altri a prenderti di mira?
Il mio avere una fragilità e una sensibilità diversi. Per chi come me viene da una piccola realtà, seppur bellissima, sul Lago di Garda, basta poco per rientrare nella categoria del “diverso”. Mi sentivo davvero solo contro il mondo: fortunatamente, ho potuto contare su una madre super presente… è sempre stata un lume in tutta la mia infanzia e adolescenza, oltre che colei che poi mi spinto ad andare a Londra per studiare arti sceniche alla Royal Drama Academy: “Se hai questo amore, vai a Londra: io ti sostengo”. Mia madre è un’insegnante e ha un approccio alla vita che mi ha comunque ispirato molto e ha appoggiato ogni mio passo, spingendo quel bambino che ero verso l’uomo che sono diventato. Chiaramente, anche noi abbiamo avuto i nostri scontri, com’è normale che sia.
Penso davvero che a salvarmi da tutto sia stata la recitazione: era quello il mio grande talento… ogni essere umano ne ha uno, seppur nelle piccole cose, ma spesso la società circostante non lo riconosce, come succede spesso nelle scuole: il talento è un’ancora nella vita di tutti i giorni per camminare su una retta via e avere una direzione, una bussola che ti mantiene vivo anche quando ti senti terribilmente solo e così tanto giudicato.
E com’è oggi sentirsi giudicati in continuazione, anche se per motivi diversi, da un direttore di casting, da un regista, da un collega o dal pubblico?
Un lavoro quotidiano, di cui occorrerebbe chiedere conto alla mia terapeuta. Anche in quel caso, devi cercare di isolarti dalle proiezione che sono nate nella prima infanzia sapendo quanto invece sei bravo. Un lavoro che mi sono imposto di fare quotidianamente è cercare di capire cosa mi è utile o no in questo momento del mio percorso e una delle qualità a cui non rinuncerei mai è l’empatia, il sentire da dove le parole sono mosse e tutto ciò che hai dentro al cuore: può essere motivo di crescita.
Ti giudichi?
Molto: sono una persona che pretende tantissimo da se stessa e il primo a esprimere un giudizio su di me sono io. Ma è questo che mi spinge giorno dopo giorno a cercare di essere una persona migliore, accettando sempre ciò giudizi da persone che so che comunicano col cuore e che mi permettono di crescere. Devi sempre avere un certo distacco emotivo per captare ciò che ti dicono ed evitare di sentirsi attaccato e scivolare in un attimo a quelle dinamiche da bambino ferito che sei stato. Per assurdo, in Libera, interpreto quello che potrebbe essere per stereotipo il bello della scuola ma mi auguro che possa emergere anche la sua grandissima fragilità, sensibilità ed empatia verso la vita e verso l’altro.
Hai mai avuto paura che il giudizio degli altri potesse influire sulla tua identità come in una sorta di profezia che si autoadempie o potesse in qualche modo spegnerti?
Ho avuto grandi crolli ma ho avuto sempre dalla mia quel grande amore, quella bussola, che mi guidava: l’arte. Il mio scopo finale è fare arte e con essa smuovere qualcosa a livello sociale diventando megafono per grandi verità e non qualcosa di puramente egoico.
“Tienila sempre a mente, Itaca. La tua metà è approdare là. Ma non far fretta al tuo viaggio. Meglio che duri molti anni; e che ormai vecchio attracchi all’isola, ricco di ciò che guadagnasti per la via, senza aspettarti da Itaca ricchezze. Itaca ti ha donato il bel viaggio. Non saresti partito senza lei. Nulla di più ha da darti. E se la trovi povera, Itaca non ti ha illuso. Sei diventato così esperto e saggio, e avrai capito che vuol dire Itaca”: faccio mie le parole di Itaca di Costantino Kavafis sull’importanza del viaggio in cui ogni cosa che fa parte di un bagaglio è un arricchimento umano se pensiamo alla vita come a un’evoluzione.
Tornando alla domanda, non ho avuto paura semplicemente perché con il lavoro verso me stesso ho imparato il valore di ciò che sono. E, quando accade ciò, non ti lasci definire dagli altri.
Quando ti sei detto “io valgo”?
Mi dico tutti i giorni che “valgo”: la ricerca è sempre continua ma ci sono quei momenti in cui c’è una specie di benedizione dall’alto in cui realizzi che nulla giustifica il giudizio degli altri. Ed è forse questo che non riusciamo a fare nell’adolescenza perché non ne abbiamo gli strumenti per farlo: non ci viene spesso detto quanto valiamo dalla società che ci circonda .
Ci assegnano un voto a scuola ma non un valore: è molto triste quando un bambino non è un 8 in matematica ma ha un talento altrove che nessun altro sta notando. Ognuno di noi ha una sua unicità, basterebbe scoprirla anziché soffermarci su quello che non sappiamo fare: se educassimo i bambini nei contesti in cui crescono, a partire dalla famiglia, alla diversità, il giudizio altrui perderebbe di significato… se vivessero nell’infanzia un ambiente in cui si sentono accettati, visti e amati, avrebbero tutti radici molto più centrate e sarebbero meno periferici. Perché è in periferia che saranno bersagliati facilmente, come è accaduto a me nonostante avessi una madre iper presente e appartenessi a una famiglia molto buona. Fortunatamente, ho avuto la recitazione, senza la quale sarei forse un po’ più perso nel mondo.
È troppo facile giudicare e per tale ragione che oggi evito di farlo con gli altri: quando ad esempio mi chiedono di dare giudizi su qualcun altro, mi sforzo sempre di trovare almeno cinque giudizi positivi prima di uno negativo che non ferisca o faccia male.
Com’è stato poi il ritrovarsi a 14 anni a Londra per studiare alla Royal Drama Academy, lontano da quel mondo di giudizi e pregiudizi?
L’essere andato via da casa da piccolo mi ha posto di fronte a tappe per me importanti, sia dal punto di vista formativo sia a livello umano. Sono stato a Londra ma da lì anche a Dublino o Malta per via di alcuni contest legati alla stessa accademia, in cui ho preso anche la mia prima medaglia d’oro per la recitazione. Londra da questo punto di vista è una città che ti sprona a fare sempre di più e a rimetterti costantemente in gioco offrendoti con la sua apertura mentale la possibilità di scoprire meglio te stesso.
E chi sei oggi? Rispondi usando il tuo gioco dei 5 aggettivi positivi e uno negativi.
Un giovane uomo fragile, empatico, solare, determinato e romantico nell’eccezione letteraria del termine. Ma sono anche poco paziente, nonostante mi alleni in tal senso. La colpa è anche della città in cui oggi vivo, Roma, e che ti giudica in base a quanti progetti lavorativi hai accumulato o a quante conquiste hai fatto. Vivo quindi una vita di corsa alla ricerca di nuovi traguardi, cercando nel frattempo di non perdere di vista il quotidiano. Ma sentiamoci tra un anno perché mi auguro di poter migliorare in ciò (ride, ndr).
Che rapporto hai invece con il tuo corpo?
È anche questo un continuo lavoro quotidiano: non è che non accetti il mio corpo ma l’amore per se stessi è ciò che dobbiamo anteporre a tutto il resto, soprattutto quando si vive in una società che ha degli stereotipi di bellezza dentro cui rientrare. Se ripenso al bullismo subito da bambino, una delle cause era data dai miei capelli lunghissimi: ero bellissimo ma erano le bambine a portarli lunghi e non i bambini… e, quando ti viene introiettato di essere “diverso”, ogni volta che ti guardi allo specchio ti devi convincere di quanto questa diversità sia importante e abbia un suo valore nel definirti, anche lottando contro quel giudizio altrui sempre presente. Una delle cose che consiglio sempre a tutti è provare a spegnere quelle vocini interiori, richiedendo anche l’aiuto della terapia se servisse.
La recitazione è la tua ancora, lo hai detto. Ma reciti oggi per ambizione o per necessità?
È nata da una necessità e oggi la vivo come una missione. Non è mia intenzione pontificare ma credo nella catarsi dell’arte, come spiegavo prima, e nel suo potere trasformativo a livello sociale: allora, in tal senso, a muovermi è l’ambizione di raggiungere quel posizionamento tale da divenire una figura di riferimento che, condividendo la sua verità, può essere d’aiuto agli altri. Almeno così accadeva con me quando da adolescente riguardavo i video in cui potevo identificarmi o trarre ispirazione dalle parole, per esempio, di Meryl Streep e dirmi che non ero da solo. Sono sereno oggi e ci terrei a essere d’appoggio per chi invece in questo momento sereno non è.