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Maurizio Merluzzo: “Le sfide della mia vita da drag” – Intervista esclusiva

maurizio merluzzo vita da drag
Maurizio Merluzzo, celebre doppiatore e creator YouTube, racconta a TheWom.it cosa ha significato per lui essere una drag queen per la serie, disponibile online, Vita da drag. Una sfida che, da maschio etero cisgender, ha affrontato sia fisicamente sia psicologicamente, imparando a gestire le difficoltà che nascono dal gettare la maschera su chi si è.
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Vita da drag è la serie in cinque puntate curata da Maurizio Merluzzo, doppiatore e creator YouTube. Ed è proprio su YouTube che Vita da drag è disponibile: lo scorso 30 maggio ha debuttato con successo la prima puntata di quello che è il particolare percorso affrontato da Maurizio Merluzzo, coadiuvato dalla regia di Paolo Cellammare (insieme sono i cofondatori della società di produzione The Best Blend).

In Vita da drag, Maurizio Merluzzo affronta una delle sfide più particolari della sua carriera da creator: essere una drag queen. Da maschio etero cisgender bianco, Maurizio Merluzzo ha come guida una “fata madrina” d’eccezione: Priscilla, la presentatrice di Drag Race Italia, per dare vita al suo alter ego drag fino ad esibirsi live in un vero spettacolo assieme al corpo di ballo.

Ma prima di potersi cimentare sui tacchi, vestirsi di paillettes e ballare sul palco del Rose & Crown di San Sebastiano al Vesuvio davanti a un pubblico pagante, Maurizio Merluzzo ha dovuto affrontare diversi ostacoli. Fisici, ma non solo: quelli di maggior impatto sono stati psicologici ed emotivi. Ha voluto infatti conoscere in prima persona le esperienze dirette di chi drag queen lo è da sempre, rimanendo anche vittima di bullismo.

Ed è forse quest’ultimo fattore che ha permesso pienamente a Maurizio Merluzzo di entrare in empatia con un universo di cui prima conosceva ben poco, per non dire nulla. Grazie anche alla verve di Priscilla/Mariano, viene fuori dalla sua esperienza un racconto concreto che non guarda soltanto all’intrattenimento ma mira al cuore, l’unico organo che dovrebbe in un mondo migliore essere scevro di pregiudizi e stereotipi.

Incuriositi da Vita da drag, dall’esperimento e dagli ostacoli che comportava, abbiamo intervistato in esclusiva Maurizio Merluzzo e il regista Paolo Cellammare. L’appuntamento con Vita da drag e la sua seconda puntata è, sempre su YouTube, il 7 giugno, in attesa del finale che ci rivelerà se Maurizio Merluzzo ha vinto o no la sfida di essere drag queen.

Le foto che accompagnano l’intervista sono di Pietro Baroni.

Intervista esclusiva a Maurizio Merluzzo e Paolo Cellammare

“Dietro c’è una storia fantastica”, mi risponde Paolo Cellammare, regista di Vita da drag quando gli chiedo come mai per la sigla, The Queen of the Mirror, abbiano scelto Romina Falconi, una cara amica in comune. “Eravamo negli Stati Uniti, in macchina, attraverso lo Utah, un posto sperduto, quando Vike ci ha mandato una prima versione del pezzo che aveva scritto e composto. Ascoltandola, ci siamo resi conto che però mancava qualcosa: aveva potenziale ma ancora non funzionava. “Servirebbe una voce femminile”, ci siamo detti. Ed io e Maurizio abbiamo pensato contemporaneamente a Romina Falconi: l’abbiamo contattata e ha accettato volentieri. Risentendo il brano con la sua voce sopra, era tutta un’altra cosa”.

Come nasce Vita da drag?

MM: Due anni fa abbiamo realizzato una serie che si chiamava Vita da wrestler, in cui abbiamo raccontato quello che può essere il percorso di un wrestler in Italia. Vita da drag è un po’ sulla stessa scia. Ricordo ancora il momento in cui ho proposto a Paolo, che era venuto in macchina a prendermi per andare in stazione e partire per non so dove, l’idea di Vita da drag: eravamo fermi al semaforo, ha strabuzzato gli occhi e mi ha risposto che era fighissimo. Da quel momento, abbiamo cominciato a parlarne concretamente e a buttar giù le idee con il nostro reparto creativo, un team molto forte di cui ci fidiamo tantissimo.

PC: Probabilmente se avessimo saputo in quel momento le difficoltà che il progetto avrebbe comportato, avremmo detto no. E, invece, l’incoscienza ha finito con il farci affrontare un’avventura che è andata al di là dei nostri limiti ma i cui risultati ci danno grande soddisfazione. L’idea è cresciuta a dismisura quando abbiamo cominciato a coinvolgere altri artisti come Pietro Baroni, che ha creato un progetto fotografico parallelo, Romina Falconi e Priscilla, che si è prestata a far da guida fisica e spirituale per Maurizio. Direi che Vita da drag ha preso vita da solo e ha preso anche le nostre vite.

MM: Le ha risucchiate completamente, lo posso assicurare.

In che modo?

MM: In modo molto diversi. Tutte le persone che hanno collaborato al progetto sono state prese veramente al 150%, chi per un aspetto chi per un altro: dallo studiare alle strategie social al cucire all’ultimo momento in vestito che avrei dovuto indossare per la mia performance finale. Per quanto mi riguarda, il coinvolgimento è stato non solo emotivo ma anche fisico: calarmi nelle vesti vere e proprie di una drag queen comportava anche imparare a stare sui tacchi, a camminarci e a ballarci, indossando un corpetto, una parrucca e del trucco. Il mio è stato un lavoro intenso ma breve mentre quello del team, dalla scrittura al montaggio, non è ancora finito.

PC: Ci sono dei progetti che hanno un interruttore on/off: quando torni a casa, puoi spegnerli e levarteli dalla testa. Non era il caso di Vita da drag che ha richiesto costante impegno sia a livello autoriale sia a Maurizio che doveva ricordarsi le cose, tirar fuori determinate emozioni e liberarsi di determinate barriere.

Maurizio Merluzzo e Priscilla in Vita da drag.
Maurizio Merluzzo e Priscilla in Vita da drag.

Come guida, scegliete Priscilla ma non tanto in quanto Priscilla ma in quanto Mariano Gallo. È interessante la dicotomia che si crea tra personaggio e persona. Quanto è stato difficile convincere Priscilla a mettersi in gioco da un punto di vista privato? E quanto è stato complicato, soprattutto per Maurizio, entrare nella psicologia di Mariano/Priscilla?

PC: Quando abbiamo proposto Vita da drag a Mariano, siamo stati stupiti da quanto si sia sin da subito appassionato al progetto e si sia messo a disposizione: il suo supporto è stato fondamentale per la realizzazione di tutto quanto. Ed è stato eccezionale umanamente per la generosità prodigata sia nel raccontare la sua storia mettendosi a nudo sia nel guidare Maurizio lungo il percorso. Mariano ha capito il nostro intento (che sulla carta, essendo noi etero cisgender, poteva essere travisato) e la nostra curiosità su un mondo che conoscevamo poco ma che volevamo esplorare in maniera neutra per dar voce a chi, magari, non è conosciuto dagli altri cisgender del mondo, che dell’universo drag vedono solo i colori e le paillettes e non l’umanità e l’arte che ci sono dietro. Quindi, è stato facile convincerlo ma non scontato.

MM: Personalmente, a livello emotivo e umano, durante la preparazione è stato molto importante interagire prima con Mariano: è lui che ha insegnato a Maurizio mentre Priscilla ha insegnato alla parte drag di Maurizio. È stato quindi una doppia guida che mi ha aiutato a far quello step che lui aveva già affrontato passando da Mariano a Priscilla: mi ha posto le domande giuste e mi ha spinto a farmele.

Da appassionato di qualunque forma d’arte, inizialmente avrei voluto solo realizzare uno spettacolo nei panni di drag queen ma grazie a Mariano e grazie a Priscilla l’idea si è trasformata in qualcosa che mi ha permesso di scavare dentro di me e di tirare fuori delle emozioni sopite, nascoste e alternative, emozioni che dunque avevo già dentro di me ma che probabilmente senza questo progetto non avrei mai trovato o tirato fuori.

Ciò non vuol dire che io sia cambiato: rimango sempre Maurizio col mio orientamento sessuale ben definito ma da questa esperienza esco sicuramente più arricchito e anche più libero. Non c’è stato nessun processo di brain washing: mai nessuno ha provato a farmi il lavaggio del cervello o a spingermi a cambiare idea sul mio orientamento.

Quali erano queste parti di te sopite da qualche parte nell’interiorità che hai riscoperto?

MM: Sicuramente la mia parte libera, quella che non ha paura di esprimersi e che non deve rendere conto a nessuno. Si pensa sempre che essere drag queen significhi indossare una maschera: ho scoperto invece che vuol dire levarsela per sentirsi più liberi di potersi esprimere in qualunque modo si voglia. Abbiamo girato la serie a marzo e, rivedendo oggi le risposte date dalle drag queen ad alcune domande, mi rendo conto che oggi risponderei anch’io come loro.

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Maurizio, per essere una drag queen hai dovuto anche tagliarti la barba. Cosa è andato via insieme alla barba?

MM: È stato un piccolo trauma personale che s’è ripetuto due volte. Con la barba è andato via anche qualche anno: sembro più giovane! Ciò mi rende conto ma è come se mi mancasse una parte di me che mi contraddistingue… Ma con la barba sono andate via anche tante inibizioni: avrei potuto tenerla (in molti lo fanno) ma, per mia natura, ho sempre preferito aderire a un progetto al 100%, senza risparmiarmi in nulla. In questo caso, ho tagliato la barba per essere il più completo possibile nel momento in cui mi sarei esibito e per non avere strascichi di Maurizio: non volevo che ci fosse qualcosa che mi ricordasse e ricordasse al pubblico chi fossi.

Ovviamente, la serie è appena partita e non ti abbiamo ancora visto in abiti da drag queen. Come sei riuscito a vincere gli ostacoli dettati anche dal tuo fisico imponente?

MM: C’è stato un lavoro di preparazione molto lungo ma il corpo non ha mai rappresentato un problema. L’aspetto delle drag queen, anche di quelle che abbiamo visto a Las Vegas, è molto imponente. Ho la fortuna di avere la vita molto stretta: con il corpetto, mi veniva fuori una bella silhouette! Annullare il mio aspetto mi è servito a livello emotivo.

PC: A livello registico, ho cercato di metterlo nelle condizioni di avere uno shock psicologico nel vedersi, come già si intuisce nel primo episodio quando si incammina verso lo specchio in cui si vedrà per la prima volta in veste drag e vive la tensione del pre-spettacolo. Per arrivare a comprendere quali sono le dinamiche di quel momento culminante dovete aspettare ovviamente l’ultimo episodio: è allora che si potrà capire cosa provasse Maurizio in quel frangente, solo dopo aver vissuto tutto il suo percorso. L’obiettivo della serie è quello di far capire anche il percorso di tutte le persone che abbiamo incontrato.

Le drag queen incontrate raccontano il loro percorso in maniera divertente e ironica. Ma non mancano ovviamente gli episodi drammatici di cui sono state protagoniste sin da quando da bambini erano vittima di bullismo.

MM: Ho provato una forte empatia. Anche se per motivi diversi, anch’io da ragazzino a scuola ho subito bullismo. Ero molto piccolo, molto gracile e molto magro. Avevo l’apparecchio ai denti, portavo gli occhiali e avevo i brufoli: ero il tipico ragazzino con il mirino in fronte. Il loro racconto sul bullismo mi ha dunque colpito per i miei trascorsi personali: mi è venuto naturale cercare di capire come sia stata la loro crescita, la scoperta di se stessi e il trovare la loro parte drag. Affidarmi all’empatia mi ha aiutato anche a cercare la mia di parte drag.

A cosa facevi affidamento per proteggerti dal bullismo?

MM: Alle scuole medie non riuscivo a destreggiarmi agli attacchi ma alle scuole superiori ho fatto affidamento sulla mia voce. La usavo per fare le imitazioni dei professori e per partecipare ai laboratori di teatro e di cinema (abbiamo anche girato diversi cortometraggi con la Regione Toscana). Diventavo così amico dei fighi della scuola e nel momento in cui stai simpatico a loro ti salvi: il mirino in fronte pian piano sbiadisce.

Per una questione di giocoforza, di vigliaccheria, il bullo non dà fastidio a qualcuno che poi può a sua volta dargli fastidio, preferisce prendersela con chi non ha la possibilità di difendersi. L’aver fatto affidamento sulla mia voce si è rivelato un’armatura ma anche un’arma. Ed è da quel momento che ho cominciato a svilupparla maggiormente.

Maurizio Merluzzo in Vita da drag.
Maurizio Merluzzo in Vita da drag.

Paolo, come si gestisce un racconto così drammatico evitando l’effetto della tv del dolore?

PC: Lavoriamo su YouTube da dieci anni. La piattaforma ti offre completa libertà di espressione: sei solo tu il responsabile di quello che vuoi raccontare e di come vuoi farlo. Non c’è un editore dietro che ti dice come fare: ciò ti concede molta libertà ma implica anche tanta responsabilità. Trattare di un argomento del genere comporta maggior neutralità possibile: l’obiettivo era per noi massimizzare ciò le drag queen raccontano e le emozioni che trasmettono con le loro persone.

Se il pubblico si commuove in maniera naturale di fronte a un’esperienza di vita lontano dalla sua è perché si crea un rapporto empatico con chi ne parla, senza bisogno di particolare enfasi o forzatura. A volte, però, non è semplice che accada a causa dei bias, dei pregiudizi che ognuno di noi si porta dietro su qualsiasi argomento: in fase di editing, bisogna tenerne ovviamente conto. Ed è questa la ragione per cui nell’editing delle puntate cerchiamo di offrire un prodotto che sia più profondo rispetto a quando facciamo intrattenimento puro, quello che, come società, è il nostro core business: l’obiettivo è quello di arricchire con il racconto lo spettatore così come ci stiamo arricchendo noi autori.

Maurizio, qual è stato il pregiudizio o lo stereotipo più difficile da abbattere per te nel conoscere da vicino l’universo drag?

MM: Ho la fortuna di essere da sempre una persona dalla mentalità molto aperta. Più che dei pregiudizi, avevo delle curiosità: mi sono state svelate cose che non sapevo e che non mi aspettavo. Il mio è stato un approccio molto curioso perché sono così: voglio conoscere, voglio capire come funziona e voglio comprendere i perché. E avevo paura. La più grande? Quella di cadere dai tacchi…

Le riprese ormai si sono concluse da tempo. Cosa è rimasto in te dell’essere drag queen?

MM: In ognuno di noi si cela una parte femminile: ora ne sono semplicemente più consapevole.

Non hai paura dei commenti che arriveranno?

MM: E che sono già arrivati. Ma se non avessi le spalle larghe per sopportare le critiche o i commenti negativi non avrei mai potuto resistere su YouTube da oltre dieci anni. Su YouTube come sui social tutti hanno la libertà di scrivere quello che vogliono: questo non vuol dire che debbano necessariamente farlo ma lo fanno. A volte rispondo mentre altre volte no. Tra quelli, tantissimi, che sono arrivati il più comune è “cosa non si fa per i soldi”: sì, soldi che abbiamo speso noi e che non abbiamo guadagnato. Ma anche “non l’avrei fatto nemmeno per un milione di euro”: vorrei proprio vedere…

Ma per fortuna ce ne sono stati tanti anche positivi da parte di chi ha trovato l’idea interessante e straordinaria o di chi si è posto in una sana via di mezzo, “non sono appassionato del mondo drag ma ti stimo come persona, quindi seguirò Vita da drag perché voglio saperne di più” o “non è una cosa che mi interessa ma ti auguro buona fortuna”.

Sono convinto che chi si prende la briga di offendere per sottolineare il proprio disappunto abbia un problema fondamentale di fondo: si sente colpito sul personale. Come dice Ricky Gervais in un suo show, tutti ridono di tutto tranne nel momento in cui vengono toccati sul personale. Il problema è fondamentalmente di chi viene da me a fare un commento negativo di quel tipo e non mio, ragione per cui mi verrebbe da rispondere: “cazzi tuoi!”.

Come si vede nella seconda puntata di Vita da drag avete incontrato anche le drag queen di Las Vegas. Avete trovato analogie e differenze con l’universo drag nostrano?

MM: Siamo stati a Las Vegas a vedere lo show di Ru Paul. Il livello artistico e produttivo dello spettacolo era ovviamente al top, non paragonabile a quelli italiani. Ma non perché le drag italiane siano meno brave ma perché parliamo di economie di scala diverse.

Dal mio punto di vista da profano (ho visto solo due spettacoli in vita mia), direi che la drag italiana è molto “italiana”, sopra le righe, comica, divertente e profonda (abbiamo sempre il sangue caldo!) mentre quella americana propone un’esibizione molto femminile (nel lip sync, nel ballo, nella corporatura). In poche parole, mentre la drag americana tende a essere un’imitazione della donna da parte dell’uomo, quella italiana è un uomo che tira fuori la sua parte femminile. Per quanto spettacolare visivamente, il mondo drag visto a Las Vegas sotto il profilo emotivo è molto più freddo di quello italiano.

Maurizio Merluzzo in Vita da drag.
Maurizio Merluzzo in Vita da drag.

Siete entrambi consapevoli che Vita da drag anticipa di circa un mese un programma similare che andrà in onda su Rai 2.

PC: Quando abbiamo pensato al nostro progetto, non ne sapevamo nemmeno dell’esistenza. Lo abbiamo scoperto per caso: è stato girato prima del nostro ma la messa in onda è stata congelata per mesi. Non sapevamo dunque se la Rai avesse intenzione di trasmetterlo o meno, ragione per cui siamo andati avanti per la nostra strada: anche con meno budget, su YouTube avevamo meno restrizioni e potevamo pubblicarlo quando volevamo. Caso vuole che i due progetti arrivino quasi in contemporanea: se il pubblico vorrà fare dei paragoni, che ben vengano. Noi ce la mettiamo tutta per risultare migliori: chi vivrà, vedrà.

MM: Il nostro primo episodio è stato visto dal pubblico prima del loro: fa fede la data di messa in onda (ride, ndr). A proposito di data, ho lanciato Vita da drag sui miei profili social lo scorso 1° aprile e tutti pensavano a un pesce d’aprile. Ho l’abitudine ogni anno di farli, non sono mai estremi e per questo credibili. Per la prima volta, invece, nessuno mi ha creduto!

È casuale la scelta di andare online a giugno, il Pride Month?

PC: Abbiamo fatto l’impossibile per uscire durante il Pride Month e siamo contenti che ne copra tutta la durata. È importante parlare di determinati argomenti e continuare a farlo: vogliamo essere anche noi parte della conversazione e contribuirvi.

Quando arriverà la prima vestizione per Maurizio?

MM: Nella terza puntata, tutto è andato per step. Ho cominciato con il provare i tacchi e il corpetto per mettere poi gli abiti di scena e imparare a camminare. Con corpetto, body restrittivo, calze, tacchi, trucco e parrucca ho dovuto poi ballare ed era proprio quella la difficoltà maggiore: farlo con tutte le costrizioni fisiche del caso. È lì che la mia stima per le drag queen è aumentata di 2000 punti!

Ho scoperto ad esempio che anche solo stare fermo sui tacchi richiede concentrazione e attivazione muscolare specifica per evitare di cadere. Il mio timore principale non era quello di poter cambiare orientamento sessuale dopo, non mi importava, ma quello di cadere dai tacchi mentre ballavo!

L’esibizione finale verrà trasmessa per intero così come è andata o sarà frutto di un abile lavoro di montaggio di più tentativi?

MM: Quello che si vedrà è tutta verità. E non tutto è andato liscio come si potrebbe pensare: per la prima legge di Murphy, se qualcosa può andare male, lo farà! Ma, piccolo spoiler, non ho vissuto quell’impasse come probabilmente l’avrei vissuto io ma l’ho fatto con la mentalità del mio alter ego drag.

PC: L’aspetto più interessante di un racconto sono le difficoltà: è da esse che si vede la forza di una persona. Si impara così come ci si rialza e come si affrontano i momenti no: le difficoltà fanno parte della vita, vanno accettate e vanno dunque celebrate. Vita da drag è anche e soprattutto una celebrazione delle difficoltà: è una serie che mostra le difficoltà legate al superare i propri limiti, all’accettare alcuni lati di sé, al mostrarli agli estranei, al denudarsi emotivamente e all’affrontare uno show in cui se qualcosa potrà andare storto lo farà.

MM: Il modello dell’uomo perfetto e vincente su tutto non ci appartiene. Quella della perfezione è una filosofia che non abbracciamo, che non genera empatia e che si rivela essere tossica. Tutti quanti viviamo debolezze, insicurezze e difficoltà, e io tutto sono fuorché perfetto.

PC: Ragione anche per cui nella serie c’è un elemento ricorrente, fondamentale e simbolico: lo specchio. Ma di più non aggiungo per non spoilerare troppo!

Ed è superando le difficoltà che insieme avete messo su una società che produce contenuti digitali che si è trasformata in una realtà lavorativa molto solida, allontanando tutti i pregiudizi legati al mancato impegno e alla mancata fatica che ruotano intorno a chi lavora su internet.

MM: Apparteniamo a una generazione di creator diversa da quella di oggi. Abbiamo mosso i primi passi su YouTube dieci anni fa quando la realtà dei vari social ancora non esisteva. Il nostro core business è su YouTube ma è chiaro che poi abbiamo dovuto adeguarci ai tempi e barcamenarci anche in tutti gli altri social. Sugli influencer e sui digital creator ci sono mille pregiudizi ma si tratta di un lavoro complesso che va dalla scrittura di un progetto alla sua realizzazione prima e alla sua promozione dopo. Siamo degli autori a tutti gli effetti. In tv, ad esempio, un prodotto ha bisogno di autori, presentatori, montatori, registi, fonici e via di seguito, suddividendo le mansioni. Noi invece siamo una macchina che si è costruita da sola, con degli ingranaggi belli tosti e di tungsteno.

PC: Nessuno di noi, nella nostra società, sa fare una cosa sola: ha una competenza sì specifica ma poi è in grado di muoversi autonomamente. Occorre dunque estremo rispetto nei confronti di chi è un creator sul web: ci sono dietro impegno, lavoro, organizzazione, impegno, economie e finanziamenti. Chi dieci anni fa veniva visto con aria di sufficienza si è evoluto ed è diventato un’azienda che oggi dà lavoro ad altri giovani, paga le tasse e prospera grazie alla creatività e all’impegno. Una persona che lavora sul web e ha successo, si è guadagnato col sudore tutto ciò che gli arriva.

È difficile come nel vostro caso essere contemporaneamente amici e colleghi di lavoro?

MM: Il mio rapporto con Paolo si è evoluto, assestato, mutato e riassestato nel corso di questi dieci anni. Siamo cresciuti insieme artisticamente e professionalmente ma ognuno di noi ha il proprio modo di fare. Abbiamo però sempre trovato un equilibrio, a volte anche picchiando la testa l’uno contro l’altro: serve anche quello nei rapporti sani, dove il conflitto porta alla risoluzione del problema.

Vita da drag: Le foto

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