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“Non ho nessun rimpianto: Tutto quello che volevo fare, l’ho fatto”: Intervista esclusiva a Maurizio Solieri

Maurizio Solieri, storico collaboratore di Vasco Rossi e chitarrista senza eguali, sta vivendo un momento pieno di impegni. Ha pubblicato un singolo, si appresta a rilasciare il suo nuovo album e ha rimesso meno alla sua storica biografia, appena ripubblicata.
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Che il nome di Maurizio Solieri non vi dica nulla è quasi impossibile. Ogni generazione, dalla più vecchia fino alla Z, si è imbattuto nella sua musica decine, centinaia, migliaia di volte. Di Maurizio Solieri è ad esempio lo storico assolo di Albachiara, inno senza tempo di Vasco Rossi. Così come di Maurizio Solieri sono le musiche di tantissime altre canzoni del Blasco, da C’è chi dice no a Canzone, passando per Dormi dormi, Ridere di te o Rock’n’roll show.

Ma non solo a Vasco è legato il nome di Maurizio Solieri. Prima di incontrarlo ed essere il suo chitarrista, Maurizio Solieri suonava la chitarra da quasi una quindicina d’anni, da quando da bambino la madre gli regalò la prima Eko spronandolo (a differenza del padre che lo voleva medico). E la passione e il talento per la chitarra lo hanno accompagnato sempre, da solista o in gruppo. Nel 1980, ad esempio, ha fondato con Massimo Riva e Guido Elmi la Steve Rogers Band. E ha collaborato nel tempo con numerosi artisti, da Franco Mussida a Dodi Battaglia, da Dolcenera a Skin.

Dal 22 aprile, inoltre, Maurizio Solieri ha pubblicato un nuovo singolo, Tommy, con il featuring di Lorenzo Campani. Anticipa il nuovo album Resurrection, in uscita a giugno, e arriva in contemporanea con la riedizione del best seller Questa sera rok’n’roll. Abbiamo incontrato Maurizio Solieri per un’intervista a tutto tondo, in cui si parla dei suoi progetti futuri, delle sue esperienze e della sua visione, da addetto ai lavori, della musica in Italia.

Maurizio Solieri.
Maurizio Solieri.

Intervista esclusiva a Maurizio Solieri

È uscito da poco Tommy, brano in collaborazione con Lorenzo Campani. Come nasce? È partito da un riff pianistico creato da Fabrizio Venturi. Com’è venuto il resto?

Tutti i pezzi che ho scritto hanno un perché che ti tocca. Non nascono a tavolino, c’è sempre uno stimolo. Nel caso di Tommy, lo stimolo è venuto da dei miei amici di Firenze, che hanno uno studio di registrazione molto bello. Mi hanno mandato questo ostinato riff di pianoforte che mi ha ricordato molto i Supertramp, una band inglese che ebbe un grandissimo successo con l’album Breakfast in America, e anche i Queen dei primi anni Settanta, quando realizzavo dei pezzi un po’ ispirati al cabaret tedesco e al teatro degli anni Trenta.

Mi è venuto spontaneo andare avanti col pezzo e ho scritto le strofe e gli incisi. Tutto in stile così pop, però, legato appunto al teatro, al cabaret.  Una volta composto, Tommy è stato registrato all’inizio nel loro studio di Firenze: la batteria, alcune chitarre, una traccia di voce… Poi l'anno scorso, quando ho cominciato a realizzare il mio nuovo disco, ho proposto il brano a Lollo Campagna, il cantante della mia band che da anni fa anche parte del cast del musical Notre Dame de Paris. Esatto, poi ha fatto dischi suoi e ha fatto un sacco di cose. “È un pezzo molto allegro, fammi un testo in italiano che parla di un personaggio stravagante”, gli ho detto. Ed è nato così Tommy.

Il Tommy raccontato non è una persona esistente. Però, è il classico personaggio stravagante che vive in modo molto strano e che magari, ognuno di noi nella vita forse anche tangenzialmente, ha conosciuto.

La copertina di Tommy.
La copertina di Tommy.

Tommy verrà inserito in Resurrection, il tuo nuovo disco. A che punto sei con la lavorazione?

Il disco esce il 22 giugno ma è pronto già dicembre. Chiaramente, aspettavamo che la situazione italiana migliorasse un po’. Uscirà in cd, vinile e chiaramente digitale. Il 27 maggio sarà però preceduto da un secondo singolo, Rock'n'Roll Heaven, un pezzo molto hard rock che può ricordare volutamente, in certi riff di chitarra, Van Halen. L’ho scritto qualche giorno dopo la morte di Eddie Van Halen e lo canto io. Uscirà anche un video, che ancora non ho visto montato. Nel video, vedrete me, Michele Luppi alle tastiere, alle seconde voci e alle risposte, e mio figlio Eric alla batteria: motivo per cui, fra l'altro, non vedo l'ora di vederlo. Non vedo l'ora di vedere montato il video perché deve essere molto bello. L'abbiamo realizzato in un locale di Parma dove poi la sera abbiamo suonato.

Quindi, tuo figlio Eric ha seguito i tuoi passi? Non alla chitarra ma alla batteria.

Della chitarra non è mai fregato nulla. A lui piacevano le percussioni fin da bambino. All’età di otto anni, Eric ha cominciato a frequentare una scuola di batteria ed è diventato un batterista molto, molto tosto. Ha 17 anni ma già da qualche anno viene in giro con me: a volte, quando è possibile, me lo porto dietro, gli faccio suonare un po’ di pezzi. Tutti, anche i musicisti o i miei amici professionali, tipo Cesareo di Elio e le Storie Tese e tanti altri, rimangono a bocca aperta quando lo sentono suonare.

Non ho dubbi. Anche perché è cresciuto a pane e musica…

Non è detto. Diciamo che ci vuole anche un talento. Io sono molto contento di questa cosa. Eric vuol fare il musicista: finito il liceo scientifico che sta frequentando, continuerà sulla sua strada. È la cosa che più gli interessa di più. Seguirà il suo talento e le sue aspirazioni, ovviamente.

Maurizio Solieri.
Maurizio Solieri.

Anche in te, la passione per la chitarra è nata da piccolissimo.

In casa, i miei fratelli maggiori chiaramente ascoltavano artisti tipo Elvis Presley, Chuck Berry e tutto il rock’n’roll degli anni Cinquanta e di inizio anni Sessanta 50 inizio anni 60. Nel 1963, quando avevo dieci anni, mia sorella Giuliana mi regalò il primo disco dei Beatles. Fu come un fulmine a ciel sereno!

Da quel momento, ascoltando sempre più musica, la voglia di avere una chitarra fra le mani diventava sempre più forte. E, infatti, mia madre mi regalò una chitarra Eko da 8000 lire. Cominciai da solo a cercare di accordare alla bella e meglio. Poi, ho preso qualche lezione, ma rimango soprattutto un autodidatta.

Dopo aver fatto il liceo classico, frequentato alcuni anni la facoltà di Medicina (mio padre era medico ma a me non piaceva, non era il mio mondo) e assolto il servizio militare, tramite un mio amico che suonava la batteria, Sergio Silvestri, conobbi Vasco Rossi.

All’epoca, Vasco aveva appena aperto una radio: ci siamo conosciuti e da lì ho incominciato a lavorar con lui come radiofonico. Pian pianino, abbiamo a fare le prime serate in duo: io e lui con le chitarre acustiche. Gradatamente sono arrivati i dischi Avanti e, passo dopo passo, il grande successo.

Una relazione, la tua con Vasco, fatta di tira e molla…

Per tanti anni abbiamo collaborato, vissuto insieme… è chiaro che Vasco non ha lo stesso carattere che aveva Massimo Riva, o che ho io, che ha il Gallo o che hanno tanti altri. Noi siamo più solari, diciamo, nel modo di vivere e di fare. Vasco si è sempre divertito a vedere noi che ci divertivamo. Raramente ha partecipato alla nostra vita che era fatta di musica ma anche di cazzeggio sotto tutti i punti di vista. Lui si divertiva a vedere il nostro cazzeggio ma quasi mai partecipava: forse è una questione anche di carattere.

Però, musicalmente, con Vasco abbiamo fatto delle cose stupende: ho una grande stima di lui ancora adesso… adesso che si è liberato di tutti i vizi e ha riacquistato quella voce pulita, bella, potente.

E, poi, cambiare musicisti viene anche dal fatto che si ha voglia di cambiare. Vasco è dal 1983 che ha un successo straordinario. Col grande successo si cambia anche umanamente. Ho lavorato con lui più di trent'anni, ho scritto un sacco di pezzi: quello che dovevo fare, l'ho già fatto. Anzi, delle due, sono più contento adesso di fare cose mie. Come ho sempre fatto: non ho cominciato adesso! In più di vent'anni, ho collaborato con altri chitarristi, ho realizzato i miei dischi e ho fatto collaborazioni con Dolcenera, Skin, Bianca Atzei..

È un caso che le ultime citate siano donne?

Non dipende dal fatto che siano sono donne. Ho notato, anche guardando nei giorni scorsi, l’Eurovision, che da qualsiasi paese provengano, soprattutto dall’est, ci sono delle cantanti o delle musiciste cazzutissime, veramente toste, più degli uomini. Molto probabilmente la donna, dopo anni di schiavitù psicologica, ha voglia di liberarsi. Ci sono in giro chitarriste e batteriste molto brave. Negli ultimi anni, diciamo pure che trovo cose più originali e maggior preparazione, anche vocale, nelle donne e non negli uomini, che spesso fanno dei pezzi un po’ noiosi, con tutta questa elettronica mista a hip hop mista a rap che c'è. Ci sono sempre delle voci maschili che musicalmente non dicono molto, sono un po’ stantie.

Voci che, appunto, se ripulite dal lavoro di post-produzione, mancano, oserei dire.

Certo. Tutti vogliono essere personaggi. Con le visualizzazioni comprate, vogliono essere tutti delle star per cui dimenticano che il talento è importante. Se non c'è talento, che ci sia almeno la preparazione. Se uno è stonato è stonato. Prendere Achille Lauro, ad esempio. Potrà far spettacolo quanto vuole ma è stonato. Se in un contesto internazionale, alla prima occasione, lo hanno segnato, ci sarà una ragione.

A proposito di donne ed Eurovision, mi hai fatto pensare che nella semifinale a cui ha preso parte Lauro l’ultimo posto disponibile è andato proprio a una cantante, Konstrakta, l’unica ad avere un pezzo veramente politico.

E mi è piaciuta molto, originalissima. Mi piacciono quelle cose lì. Nella mia vita non avevo mai guardato l'Eurofestival in tv, ma, quest'anno, per curiosità, ho voluto vedere cosa ci fosse. Io ascolto molta musica angloamericana o del Nord Europa, come quella irlandese ma so che da anni nei paesi dell'est sono apprezzati molto i gruppi metal italiani: vanno a suonare lì sempre con un buon successo.

Io stesso ho suonato in Slovenia e in Croazia, ricevendo sempre - un po’ come è accaduto in Sicilia qualche giorno fa – un’accoglienza fatta di entusiasmo e di rispetto. Cose che, per dire, in Emilia-Romagna non trovo, pur essendo io un musicista di peso sulla scena da 40 anni.

Maurizio Solieri.
Maurizio Solieri.

Quanto pensi che sia cambiata negli anni l’industria discografica italiana?

Non è cambiata solo in Italia ma in tutto il mondo. Con Internet, con YouTube e con tutta la musica liquida, la gente ha smesso di comprare i dischi. Quando vado a fare le mie serate di casa e ho fatto un disco nuovo, fatto, c'è poca gente interessata a quello. Tutti vogliono il selfie, tutti quanti.  La caduta dell’Impero romano della discografia internazionale ha portato a una scarsità pazzesca di vendite, per cui ormai quello che conta è solo l'immagine, è essere presenti tutti i giorni sui social. Purtroppo o per fortuna, qualcosa sta nuovamente cambiando.

Sono abbastanza fiducioso sul futuro: i ragazzi giovani hanno scoperto il vinile, che sta incominciando ad andare veramente forte. Diciamo anche in Italia c'è più curiosità. Ti dico la mia casa discografica. Io sono cresciuto con i vinili. Il vinile suona meglio. E, comunque, è un oggetto bello, con la copertina grande! È qualcosa di nuovo per i diciottenni o i ventenni di oggi.

Ultimamente, ho visto che anche la tv sta proponendo dei programmi in cui si spinge sulla musica italiana rock: non può che farmi grande piacere. Speriamo che soprattutto il pubblico giovane si metta ad ascoltare un po’ di gruppi musicali. Ci sono, eh. Basta solo andare a cercarli: ne ho visti di buoni in The Band, il programma che ha proposto Rai 1 il venerdì sera.

Che rapporto hai tu con i social e con chi ti segue?

Non sono tra quelli che tutti i giorni si mette in posa a farsi un selfie. Lo faccio se ho delle cose da dire, come in questo periodo segnato dall’uscita del nuovo disco Resurrection e del mio libro Questa sera rock’n’roll: La mia vita tra un assolo e un sogno (arricchito da quattro capitoli in più e da un rinnovato inserto fotografico).

Se non ho niente da dire, non faccio come tanti miei colleghi che tutti i giorni devono dire qualcosa, anche una cretinata come “Buongiorno” o “Buon caffè a tutti”. No, mi sentirei ridicolo.

I follower vogliono sapere tutti i giorni qualcosa di te. Però, ho notato anche che quando pubblico qualcosa in cui suono (lo fa mio figlio, è più bravo in questo genere di cose!), aumentano le visualizzazioni in maniera esponenziale. Ma per suonare devo avere qualcosa da dire: non posso mettermi lì a far le scale, non sono un insegnante, tanto per esserci.

Tra i giovani che vedi in circolazione oggi non c’è qualcuno con cui ti verrebbe voglia di collaborare?

Non lo so. Sono uno che si scrive le canzoni, se le suona e se le canta insieme al suo gruppo di amici e di collaboratori da tanti anni. Se capitasse il progetto di una collaborazione, su un pezzo che ritengo importante, è necessario che l’altro abbia almeno un po’ di personalità e stile proprio.

A proposito di collaborazioni e incontri artistici, quali ricordi con maggior piacere?

Sicuramente, l’incontro con Vasco Rossi. Siamo partiti dalle radio - in cui ho lavorato per tanti anni – per arrivare ai pezzi originali, in cui il mio stile chitarristico, mutuato dal chitarrismo anglo-americano, ha dato quella patina di rock'n roll e di grinta che Vasco inizialmente non aveva: lui era più su un versante cantautoriale.

Poi, con la Steve Rogers Band, e con tutti i musicisti che frequento e che conosco da anni, da Dodi Battaglia a Franco Mussida e Ricky Portera. Con Ettore Di Liberto, con Custodie cautelari e con Notte delle chitarre. E con Michele Luppi e Lollo Campani.

Con tutti loro c’è sempre una grande, grande voglia di vedersi e di fare delle cose. Ancora adesso, dopo tanti anni, per me è sempre grande piacere e grande entusiasmo.

Mi sembra di capire che non hai nessun rimpianto.

No. Quello che ho fatto, l’ho già fatto. Il ventenne sogna di suonare negli stadi, io l’ho già fatto per decenni. Ora ho voglia di suonare nei teatri, come ho fatto ad Agrigento. So che per me è più stimolante.

Maurizio Solieri.
Maurizio Solieri.
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