Merifiore pubblica il suo nuovo album il prossimo 20 maggio. Si chiamerà Dentro (etichetta Qui Base Luna) e conterrà al suo interno nove tracce, tutte differenti nel beat e nei testi, che mettono in evidenza una personalità multiforme e multicolore. Come la viola ciocca, il fiore che ha scelto come simbolo dell’intero disco.
All’anagrafe Maria Antonietta Fiore, Merifiore è originaria di Lecce, città che porta dentro di sé e di cui non dimentica cultura e tradizione. Non a caso, l’ultima traccia dell’album, quella che dà il titolo all’intero disco, coniuga in versione moderna la pizzica, facendola sposare con Gipsy Woman e la musica dance.
Di etichette, Merifiore non ne vuole e non ne dà. Sa guardare il mondo intorno a sé con la sguardo di chi ha vissuto alti e bassi, non solo in amore ma anche nella professione. Lei, che a quindi anni giocava ancora con le Barbie, a vent’anni ha firmato con una major senza aver quasi gavetta alle spalle. Ha conosciuto il grosso successo ma anche il baratro, quello in cui nessuno sa chi sei o ti cerca.
Ma Merifiore non si è mai fermata. Ha sempre ricercato nuove sonorità con cui sposare la sua voce, nuovi stimoli da raccontare e nuovi autori con cui collaborare. Imparando che solo da se stessi si deve ripartire.
Anticipato dai singoli Valentina, Cattive abitudini e Mentire mentire, il disco si dipana tra generi differenti: piglio rock, sfumature funky, incursioni elettroniche sono al servizio di melodie pop e testi ironici e provocatori, la firma di Merifiore. Una scrittura che nasce dal personale e arriva all’universale: esperienze di vita quotidiana restituite all’esperienza di tutti, dalla convivenza difficile con Valentina alle Cattive abitudini, dal desiderio di L’eternità, all’amara e lucida consapevolezza che È subito sera. Un disco poetico, fresco e ballabile, concepito per raccontare – dopo due anni di pandemia – un mondo e far sì che gli altri ci si possano ritrovare.
“Dentro è un viaggio all’interno del mio mondo”, spiega Merifiore. “È l’osservazione che finalmente torno a fare dentro di me, senza più proiettarmi all’esterno e guardare fuori, badare agli altri e al loro giardino sempre verde. Ho deciso, finalmente, di annaffiare il mio e di renderlo rigoglioso come la violaciocca in copertina, il fiore preferito da Carlo Magno. Il significato che viene attribuito alla violaciocca è quello della fedeltà assoluta e completa, la stessa che ho voluto rivolgere alla mia più intima me, al mio più profondo io, che ha mille sfumature diverse e così vuole restare, ricco e variegato, aperto al nuovo, sempre. Dentro è un ritorno alle origini, a quell’energia pura e vitale che mi ha spinto a fare musica”.
Quello di Merifiore è un mondo da scoprire, grazie a una delle nostre interviste, conversazioni, nel segno della gentilezza.
Intervista esclusiva a Merifiore
Cosa si prova ad aver inciso il primo disco, Dentro? Hai già rilasciato diversi singoli ma questo è il primo progetto che ha un inizio e una fine, nove tracce tutte diverse l’una dall’altra.
Userei una parola, soprattutto: liberazione. È stato veramente un duro lavoro, frutto di un lungo e complesso percorso di crescita personale e artistica che è arrivato a una sua compiutezza. Ho fatto tanto in passato tra singoli, tour e altre esperienze, ma ora ho finalmente tra le mani qualcosa di tangibile, un progetto più ampio, il disco. Mi sento di poter spuntare una prima tappa importante nella mia personale checklist.
Per chi fa parte un po’ delle vecchie generazioni, avere il supporto fisico in mano è importante.
È compiutezza. Il disco esce sia in fisico, sia in digitale. Impugnare il disco, inteso come supporto fisico, è una conquista. È stato un lavoro complesso, a più mani, durato due anni.
E perché tanto lavoro? È stato semplicemente dettato dalle ricerche e dalla voglia di perfezionare il prodotto? O siete stati “infastiditi” dalla pandemia?
Prima di tutto, è stato per una questione di logistica. Dentro è stato prodotto tra Lecce, Roma e Milano. Quindi difficoltà geografiche e organizzative hanno comportato un po’ di ritardi. Poi nel mezzo ci sono stati anche i vari lockdown, i vari blocchi. Ma anche di ciò sono molto fiera: è come se fosse una fotografia dei nostri tempi e una testimonianza di resilienza, di voglia di rinascita.
È stato registrato tra febbraio 2020, poco prima dello scoppio della pandemia, e febbraio 2022, poco prima della fine delle restrizioni e nonostante tutto ce l’abbiamo fatta. Nel frattempo, c'è stata tanta ricerca per trovare le persone con cui collaborare, per trovare il giusto sound con i produttori e rintracciare con gli autori la poetica e il linguaggio giusti.
Dentro ha un universo vario, nove tracce differenti l'una dall'altra. Ti posso dire anche qual è la mia preferita, Valentina. Mi piace molto quel pezzo, anche perché descrive una situazione in cui ci rivediamo un po’ tutti. Chi non ha avuto una coinquilina come lei?
È una vendetta. Di solito non riesco a dire le cose a parole: preferisco scriverci dopo le canzoni. Se ho qualcosa da dirti, sicuramente lo farò con una canzone.
Diciamo pure che il disco restituisce una dimensione sia personale sia universale. Da dove trai l'ispirazione per scrivere? Da cosa ti fai guidare? Dalla musica o dalle parole?
È una di quelle domande a cui mi piace molto rispondere. A me di solito capita che un evento mi tocchi le corde dell'anima, rendendomi particolarmente sensibile e vulnerabile. Un evento a cui ho prestato più caso attenzione rispetto ad altri della vita. E ho l'urgenza cutanea, simultanea, di riversarlo in parole e musica.
Molto spesso mi succede che esco fuori e faccio le mie esperienze. Poi torno a casa e quello che ho assorbito, quello che mi ha fatto più effetto, devo “scaricarlo”, sfogarlo subito. Quindi, mi metto alla tastiera, a volte anche alla chitarra, e un accordo, una nota, mi richiama quella cosa che devo dire, che devo sfogare. E così si sposano insieme, subito, parole e musica. Non ho mai separato i due addendi, anche perché secondo me non funziona. Sono della scuola che musica e parole devono viaggiare insieme, nascere e camminare insieme. È tutto più istintivo e spontaneo.
La retrocopertina di Dentro ha come simbolo la violaciocca. È un fiore particolarmente profumato e colorato, ha una gamma di colori che è vastissima, va dal bianco al rosa. Perché proprio la violaciocca?
C'è tutto un concept grafico dietro. L'immaginario visivo studiato intorno a Dentro è basato sulle sfumature e sui colori diversi. A ogni canzone ho associato un colore perché ognuna ha il suo carattere, la sua anima, la sua emozione da esprimere. E le emozioni, secondo me, hanno dei colori propri. Tra l’altro, mi aveva molto attirato un libro per bambini incentrato sulle cinque emozioni fondamentali. Ogni emozione era rappresentata da un colore diverso. La violaciocca era perfetta. Si sposava con la mia idea proprio perché può avere diverse colorazioni.
È un fiore elegante, simbolo di bellezza durevole e di fedeltà, ed è soprannominata «fiore delle api», perché veniva piantata nei pressi degli alveari per attrarre e nutrire le api. Allora, visto che adoro le api, perché sono gli esserini più utili al mondo e visto che il fiore è nel mio cognome vero e nel mio nome d'arte, non potevo prescindere da questo simbolo. Mi piace inoltre pensare che sia il simbolo della bellezza e della fedeltà, due concetti a cui ho tenuto molto nella realizzazione di questo disco.
Ho voluto essere il più fedele possibile a me stessa, cercando di restituire bellezza e di esprimere l’amore capace di resistere alle sventure e alle difficoltà.
Non ti sei lasciata influenzare da fattori esterni.
No, no. Quando ero più piccola, iniziando il percorso artistico, ho sicuramente ascoltato tanti pareri e mi sono lasciata influenzare. Però, crescendo, mi sono sempre più strutturata e definita. Nel mio caso, alla fine, la cosa bella è che provando tante sonorità e tanti generi diversi con più autori e produttori, ho potuto sentire la mia voce poggiata su diversi beat. Così facendo ho capito dove risuonava meglio.
Nonostante ciò, però, non mi sono preclusa l’opportunità di fare un disco eterogeneo, “multicolor”, perché la natura umana è complessa e per rappresentare le emozioni ci vogliono più colori. Ma la voce narrativa è una sola, la mia, perché l’identità è unica. Questo per dire che il disco è variopinto sì, ma ha un suo carattere, un suo filo conduttore.
Sfumature che non hanno paura, a volte, anche di osare. Penso ad esempio alla vena poetica di È subito sera, dove il confronto, ovviamente, è già dal titolo con Quasimodo.
Esatto, in Dentro trovate sia l’alta poesia di Quasimodo che un “dissing” alla mia coinquilina. Non ho paura di spaziare, sperimentare, osare. Anche perché io sono così, un po’ poetica e un po’ pazzerella. Quindi dovevano starci tutte queste “me” nel disco. Poi giocare mi è sempre piaciuto, soprattutto se parliamo di musica, che è il mio parco giochi preferito. Mi sono presa il giusto tempo per osservare, studiare, giocare e decidere, e sono arrivata a un risultato che mi soddisfa e che mi rappresenta.
Ho letto da qualche parte che l'artista arriva a pubblicare qualcosa solo quando è veramente convinto della sua compiutezza. C'è chi ci ha impiegato vent'anni per scrivere un libro, chi un giorno. Ognuno ha il proprio tempo di elaborazione di un'opera. Ci ho messo un po’ per fare questo disco ma non me ne pento.
Anche perché altrimenti si rischia di bruciare le tappe.
Non ho mai voluto bruciare le tappe. Sono quella che ha giocato con le Barbie fino a quindici anni mentre tutti mi prendevano in giro! Per me è importante che un ragazzo e una ragazza facciano quello che sentono di fare fino all’età che vogliono.
Come ti definiresti oggi come donna?
Cito Monica Vitti. Lei diceva che non c'era separazione tra la sua vita e la sua arte. Ho fatto mia la sua frase: non ho mai separato l’artista dalla donna. Racconto veramente quello che sento e che sono. Forte e fragile, autoironica e malinconica, dolce e stronza, sono tutto quello che s(u)ono dentro questo disco.
Ti definisci in una canzone come “cattiva abitudine”. Come mai?
In quel dialogo a due c’è un po’ una sfida tra chi resiste di più. È un gioco malizioso tra le due parti, ma anche anche uno sfogo e un’ammissione: siamo sempre più attratti dal male che dal bene. Il bene è noioso. Però poi sono la prima che adora stare bene e far stare bene gli altri. Quindi, in realtà, non ho tutte queste cattive abitudini, anzi, sono una persona abbastanza tranquilla. L’ho scritta dopo i vari lockdown, dopo un periodo orribile di stallo, quindi serviva un po’ di sfogo punk.
In un’altra canzone, Non è colpa tua, arrivi a dire, appunto, che non è colpa solo dell’altro ma anche un po’ tua della fine di una relazione. Una bella presa di consapevolezza di quelle che sono le relazioni interpersonali. Metti da parte, in questo caso, anche gli egoismi per capire dove si è commesso un errore in prima persona.
Per me la colpa e la verità stanno sempre nel mezzo. Il concetto stesso di ‘relazione’ implica la compartecipazione di due o più elementi. Quindi non può essere né solo colpa mia, né solo colpa tua. Quindi quasi la rititolerei “Non è colpa (solo) tua.” Questa canzone è la più tosta, la più sincera in assoluto, aveva urgenza di uscire. È stata per me uno sfogo necessario per dire le cose che non ero riuscita a dire a una persona. Emotivamente è il mio pezzo preferito. “Potevamo darci tutto, ma la paura ha vinto”: lo statement delle relazioni di oggi.
E tu di cosa hai paura?
Dell’amore. È una forza troppo potente. È la forza che “muove le stelle” ma devi saperla reggere. L’amore è tosto.
L’amore, un sentimento che racconti con varie sfaccettature. Anche L’eternità è una canzone sull’amore. Si arriva a una promessa eterna.
Che sfugge, che crolla. In Dentro ho voluto raccontare in diversi modi l'amore, gli incontri e gli incroci di vita. Sia con una vena ironica sia in maniera più malinconica e più sincera, ammettendo che tutto è destinato in qualche modo a tramontare. Ci sono due diverse vene nell’esprimere l'amore, o meglio, la fine di un amore: o in maniera ironica come reazione e stimolo per continuare a lottare e ad andare avanti, o in maniera diciamo “amara”, con un semplice “è finita”.
Anche se nel secondo caso, la ricercatezza musicale fa sì che non siano delle ballad strappalacrime.
Anche quando è amaro il mio modo di raccontare la fine di un amore, c'è comunque lo spirito e la volontà di reagire nei suoni, nella forza del beat.
Guardando al tuo passato, non posso non ricordare Tickets, una canzone dal forte peso sociale: è stato il primo esperimento in Italia ad intrecciare in una canzone inglese e cinese. E puntava il faro contro una delle piaghe di quest'epoca: la xenofobia. Quanto è forte il tuo impegno nel sociale, qual è la tua posizione in termini di diritti civili?
Se fai musica, arte, cultura ti devi esporre, ti devi schierare. Non ti puoi nascondere. Posso sembrare spocchiosa, ma lo dico con estrema purezza: mi ritengo una produttrice di bellezza. Quindi, non posso non schierarmi a favore dei diritti umani e della bellezza condivisa, della giustizia. Poi sono pure Bilancia, figurati. Non posso stare dalla parte della guerra, della violenza e della discriminazione, dell'ingiuria. Non farei quello che faccio: trasmettere sensazioni positive e creare momenti di condivisione con la musica. Vorrei nel mio piccolo che gli altri stessero bene.
E, sebbene io tema l'amore, vorrei che fosse libero, senza etichette, senza giudizi o pregiudizi e per tutti. Purtroppo, ci sono ancora molte persone che hanno un'altra taratura, un altro schema mentale. Ciò si riverbera su più aspetti, non solo in ambito gender fluid o lgbtqia+. Ci sono persone che hanno paura di stare, per esempio, con una persona di un'altra cultura o con un colore di pelle differente, oppure persone che non vogliono affittare le proprie case a gente del sud Italia o di altri paesi. Però osservo anche tanta voglia di rinascita e partecipazione giovanile. Va detto.
Hai accennato alle discriminazioni nei confronti di chi viene del Sud. Tu sei di Lecce, anche se ti sei trasferita a Milano. Hai provato sulla tua pelle episodi di discriminazione?
Sì, mi è successo in passato. Ma oggi ho la sensazione che l'Italia sia più unita di prima. Per lo meno è una sensazione che avverto in noi giovani: abbiamo più a cuore il bene comune e non avvertiamo le differenze. È bello poterle mischiare!
In un'epoca di così forte cambiamento, quanto è stato difficile per te, invece, coronare il sogno di cantare? Al tuo esordio, hai firmato con una major.
Ho conosciuto un picco alto e poi un picco, al contrario, in basso. Ho vissuto una fase in cui stavo andando forte e poi mi sono dovuta fermare prima di potermi rimettere in piedi sulle mie gambe. Di questo sono molto fiera, perché l'ho fatto da sola e mi sono rialzata guadagnando autostima, decisione e consapevolezza. Ho firmato con una major che ero giovanissima e alle spalle non avevo ancora neanche un anno di gavetta. Ero giovane e inesperta. Una volta conclusosi il mio primo contratto, ce l'ho fatta con le mie forze. Ho amato entrambi i momenti, mi hanno insegnato tanto.
Dammi tre motivi per cui la gente dovrebbe ascoltare il tuo disco, Dentro.
Uno: perché sono simpatica e ho fatto un disco bello da ascoltare in macchina mentre si va al mare o si va in giro da qualche parte, un disco che ti accompagna, e io sono una grande compagnona. Due: perché ci si può rispecchiare tantissimo. Tre: perché ti prepara a un live che spacca!
Come hanno reagito i tuoi genitori quando hai detto loro che pubblicavi un disco?
Hanno pianto ovviamente. L’ho portato a mio padre come regalo per il suo 70esimo compleanno e lo abbiamo ascoltato in macchina, come piace a noi. C’era anche mia madre e ci siamo commossi tutti quanti. Dopo tanti anni di sacrifici, sia miei che loro, tutto si è concretizzato.
I miei mi hanno supportato tantissimo e sono contenti del mio percorso. Mi sono stati stati vicini in tutte le fasi, sono sempre stati con me. Mio padre mi avrebbe voluto forse più stabile, laureata. Non è detto che non lo sia un giorno, non lo escludo. Mi ero iscritta in Lingue, studiavo inglese e cinese (da ciò il pezzo bilingue Tickets), mi è sempre piaciuta l’idea di fare la mediatrice. Ho scoperto poi di poterlo fare anche con la musica, che è il tramite tra il divino e il terreno.