È passato poco più di un anno dalla scomparsa di Lina Wertmüller ed è nel suo ricordo che si apre la quinta edizione di Illuminate, la docu-serie prodotta da Anele in collaborazione con Rai Cultura in onda in seconda serata ogni lunedì su Rai 3 dal 2 gennaio.
Le storie esemplari di quattro grandi protagoniste del Novecento – la regista Lina Wertmüller, l’imprenditrice Wanda Ferragamo, l’attrice Franca Valeri e la cantante lirica Maria Callas – saranno raccontate nel corso del nuovo ciclo di Illuminate su Rai 3 da altrettante attrici: Michela Andreozzi, Anna Valle, Emanuela Fanelli e Silvia D’Amico.
Attingendo dalle reali e personali vocazioni delle quattro attrici-narratrici e incrociando narrazione cinematografica, documenti d’archivio e testimonianze dirette, si ripercorrono le biografie e le scelte più significative delle quattro protagoniste. Nella prima puntata di Illuminate del 2 gennaio su Rai 3, diretta la Marco Spagnoli, l’attrice, regista e scrittrice Michela Andreozzi, attraverso l’uso di un escamotage narrativo, interpreta una regista che esplora la vita e la carriera di Lina Wertmüller, la cineasta italiana più famosa al mondo, capace di rivoluzionare il cinema italiano parlando di tematiche sociali, politiche e sessuali in modo grottesco e comico, ispirando e intrattenendo intere generazioni di spettatori.
Tra i numerosi testimoni illustri che hanno dato il loro prezioso contributo al racconto di Lina Wertmüller, tanti amici, familiari e colleghi del mondo dell’arte, della cultura e dello spettacolo: Claudia Gerini, Anna Melato, la figlia Maria Zulima, l’attore e nipote Massimo Wertmüller, la giornalista Laura Delli Colli, il regista e collaboratore Valerio Ruiz, il sociologo e amico Domenico De Masi, la scenografa e assistente del marito Virginia Vianello.
Ed è con Michela Andreozzi che abbiamo voluto parlare di Lina Wertmüller, cominciando dalla domanda che conclude la prima puntata di Illuminate su Rai 3: “Perché Lina Wertmüller è un’illuminata?”. Partendo dalla risposta di Michela Andreozzi, che ha appena ultimato le riprese del suo ultimo film (Una gran voglia di vivere, tratto dall’omonimo romanzo di Fabio Volo), abbiamo voluto indagare anche quanto sia ancora difficile per le donne fare cinema in Italia, senza dimenticare la condizione delle donne in Iran o quanto il pregiudizio sia ancora vivo fino a quando si continuerà a parlare di “film al femminile”.
Intervista esclusiva a Michela Andreozzi
Perché Lina Wertmüller era illuminata?
Perché Lina era una creatura e un’artista completamente libera. Non si è lasciata condizionare dal periodo storico, dal genere di appartenenza e dal background. Ha desiderato esprimere se stessa, il suo punto di vista sul mondo e la sua creatività attraverso il cinema e, semplicemente, ha provato a farlo sempre, nel bene e nel male, a modo suo, sfuggendo qualsiasi etichetta.
Tra le tante cose che fai, sei anche regista, attrice e sceneggiatrice. Cosa ha rappresentato per te la figura di Lina Wertmüller?
Ho conosciuto artisticamente Lina molto presto. Mio padre, anche se è un avvocato, è da sempre un cinefilo e comprava le videocassette dei film, aveva intere collezioni di titoli italiani e internazionali. A casa, da sola, intorno agli undici o dodici anni, ho visto veramente di tutto, dai film della Wertmüller a quelli di Fellini o di Antonioni. Ricordo di aver avuto la mia prima cotta per Giancarlo Giannini in Film d’amore e d’anarchia: mi ero proprio innamorata!
Ho incontrato Lina in questo modo, senza sapere molto di lei. Però, quello che mi ha particolarmente colpita è il fatto che lei ha in qualche maniera cercato di sfuggire alle etichette. Mi è sembrata una voce unica e originale. Tra le mie tante declinazioni, ho sempre cercato anch’io, nel bene e nel male, di trovare la mia voce. Lina era sicuramente una donna che tirava fuori la sua voce, cercando quella autenticità che aveva dentro.
Cosa che tento di fare anch’io: qualche volta mi riesce, altre no, però ci provo a esprimermi a modo mio. Ho fatto tante cose e non so neanche quanto bene, però le ho fatte sempre in modo genuino e sincero perché ero molto incuriosita da un aspetto della vita, da un mezzo di comunicazione o da un linguaggio. Ci sono temi che ad esempio vanno trattati per iscritto, altri per immagini e altri ancora alla radio.
Sono passata anche attraverso la comicità ma nel frattempo studiavo. Non ho mai fatto una cosa sola. Un po’ come Lina. Per esempio, Lina era una bravissima cantante e ha scritto canzoni molto belle e alcune molto divertenti per artisti importanti. Non si è mai posta il problema di fare la cosa giusta: ha fatto cinema, televisione e teatro dedicandosi con tutta se stessa a quello che stava facendo. Quando dirigeva, dirigeva e basta, così come quando cantava, cantava e basta.
Lina ha avuto la libertà intellettuale di essere e di esprimersi attraverso un mezzo anziché un altro a seconda dell’ispirazione. È stato questo il messaggio più potente che ci ha lasciato. Un messaggio che non ha genere, che non ha epoca e che dovrebbe essere un modello di riferimento valido sempre per tutti. Mi fa piacere avere preso parte al progetto Illuminate per ricordare la sua figura: tante persone e tanti giovani che non la conoscono o che l’hanno studiata approssimativamente potranno approfondire meglio la sua figura.
Penso ai ragazzi della Generazione Z, su cui ho fatto anche un film (Genitori vs Influencer, ndr). Loro sono molto curiosi, forse più dei millennials, e hanno voglia di capire e conoscere: ascoltano musica vintage e vedono un certo tipo di film, ad esempio. Ai film che vedono potranno aggiungere quelli di Lina: sono tanti i titoli che potrebbe piacere loro, da Io speriamo che me la cavo a Travolti dal destino, da Mimì Metallurgico a Pasqualino Settebellezze. Che vogliamo dire di Pasqualino Settebellezze? Un capolavoro assoluto. Molti decenni prima di La vita è bella di Benigni, Lina ha usato il grottesco per parlare di campi di concentramento.
In Illuminate, pensavo di interpretare la padrona di una casa virtuale dove il tema era Lina. Invece, si è rivelato per me un incontro con una Lina che non ho mai conosciuto ma che mi ha dato tantissimo, molto più di quello che pensavo. ho avuto modo di approfondire aspetti che non sapevo e mi sono accorta che avevamo veramente tantissimi punti in comune sia a livello personale sia, umilmente, a livello artistico.
E Pasqualino Settebellezze è il film che ha portato Lina Wertmüller a essere la prima regista donna candidata all’Oscar.
La prima regista donna al mondo in un contesto come quello del cinema, come ricorda Laura Delli Colli in Illuminate, maschile per eccellenza. Adesso le cose stanno un po’ cambiando per cui non ti devi mascolinizzare per dirigere dei film, ma in passato le donne registe che si approcciavano al mezzo avevano una severità che Lina non ha avuto. Lina era assolutamente senza genere: lei era Puck, il folletto di Sogno di una notte di mezza estate!
Lina restava comunque una donna autorevole ma in modo naturale e anche allegro, a differenza di tutta una generazione di registe che per farsi prendere sul serio ha dovuto acquisire autorevolezza mascolinizzandosi. Non tutte, per fortuna: io ho sempre amato il cerchietto di Francesca Archibugi, un vessillo di femminilità a cui anche sul set non si può rinunciare. O le trecce di Paola Randi. Se stessi comoda, anch’io dirigerei con i tacchi ma sono scomodissimi e quindi mi vesto come un camionista!
È vero che il cinema è nato maschio ma non c’è più bisogno di maschilizzare il cinema. Si può fare regia in mille altri modi personali. E, in questo, Lina era una donna anche molto elegante. Non portava i tacchi ma era in grado di mischiare le sue colorate sciarpe di seta con le cose che prendeva nei mercatini, come mi ha raccontato la figlia Maria Zulima: aveva uno stile pazzesco, tutto suo. Anche sul set, non rinunciava alla sua identità. E negli ultimi lustri sono tante le registe che hanno capito che non bisogna rinunciare a essere se stesse, anche se vedere una donna iper femminile dietro la macchina da presa per molti è ancora difficile da digerire. Non dovrebbe essere così ma il pregiudizio estetico, che non colpirebbe mai un uomo, continua ancora a persistere.
Mi hai fatto pensare a Olivia Wilde, che si presenta sul set con tutta la sua allure e il suo fascino.
Ma anche Greta Gerwig. Parliamo di due donne straordinarie con delle idee di regia pazzesche che hanno uno stile sicuramente unico. Ma anche in Italia qualcosa sta cambiando: sono tante le attrici che stanno debuttando alla regia. Abbiamo delle opere prime interessanti di donne anche molto belle, da Jasmine Trinca a Micaela Ramazzotti, che stanno cercando di far sentire la loro voce. Con coraggio, anche: Claudia Gerini ha firmato un’opera prima (Tapirulan, ndr), molto coraggiosa, molto personale e molto particolare.
Lina Wertmüller ha avuto un bellissimo rapporto con il marito Enrico Job, come ricordato da Illuminate, la docuserie di Rai 3. Un rapporto che visto dall’esterno poteva apparire complesso ma che in realtà, come spiega la figlia, era molto semplice. Così come Lina, anche tu hai sposato un uomo che fa un lavoro che sfocia anche nel tuo, Massimiliano Vado.
Ci sono anche altre similitudini. In entrambe le coppie, il lato maschile è quello più “serio”. Massimiliano, mio marito, viene dal mondo del teatro impegnato. Siamo stati io e Massimiliano Bruno, di cui è molto amico, a portarlo più verso la commedia. Io come Lina sono la front girl della famiglia, l’aspetto più pubblico e, se vuoi, anche più conosciuto.
Durante un’intervista, Lina ha detto una cosa molto bella: “Enrico è stata la mia fortuna, non so se io sono stata la sua”. Loro due sono cresciuti insieme e sono stati coppia molto più a lungo di me e Massimiliano. Noi ci siamo conosciuti già “grandi”, per cui eravamo già in qualche maniera formati: le nostre identità si sono mischiate fino a un certo punto tanto che Massimiliano continua comunque a occuparsi di regia teatrale e sperimentazione con i giovani ed io ho un percorso un po’ più mainstream. Forse è anche questo il segreto della durata del rapporto: ci si occupa di cose diverse. Anche se con punti di vista simili sul mondo, ci si esprime con mezzi diversi. Se io e Massimiliano dovessimo guidare lo stesso mezzo, sarebbe complicato confrontarsi h24. Così c’è uno scambio continuo sulle nostre posizioni.
Lina ed Enrico hanno vissuto insieme per tanti anni senza figli. Come me e Massimiliano hanno condiviso i piaceri delle coppie senza figli: viaggiare, confrontarsi, dedicarsi al lavoro. E c’è ancora un ulteriore aspetto in comune: Lina ha dichiarato che Enrico era il suo migliore amico. E questo vale anche me: mio marito è sicuramente il mio migliore amico. Quando discutiamo, io vorrei farmi consolare da lui!
In Illuminate, nel raccontare la figura di Lina Wertmüller, si sceglie come escamotage la lezione al Centro Sperimentale di Cinematografia.
È un’idea di Marco Spagnoli. Spero in una Fondazione Wertmüller legata al Centro Sperimentale di Cinematografia. Lina ha fatto un pezzo della storia del cinema italiano, forse più di qualsiasi altro regista proprio perché è stata una donna, è stata la prima a essere candidata all’Oscar e a riceverlo per la carriera, ed è stata una donna che si è formata sul campo. Lei ha iniziato facendo l’aiuto alla regia: ha avuto la scuola della strada ed è lì che ha trovato la sua voce, una voce originale che ha perseguito senza lasciarsi mai condizionare.
L’idea di ambientare la puntata al CSC era già in sceneggiatura. E l’ho trovata molto bella. Non ero mai entrata al centro né come studentessa né come regista. Sono pur sempre una donna e si sa come funziona in Italia: anche se hai fatto quattro film e due serie tv sei sempre una regista esordiente!
Hai citato le serie tv: hai diretto due stagioni di Guida astrologica per cuori infranti su Netflix.
Le piattaforme stanno aiutando a colmare le differenze di genere. Perseguono una politica internazionale per cui è necessaria che ci sia la presenza di entrambe le voci, quella maschile e quella femminile. Si è aperto tantissimo mercato. Detto ciò, però, continuano ancora a farsi certe associazioni mentali. Per una serie fantasy o action viene automatico pensare a un regista maschio: c’è ancora un automatismo di fondo per cui i maschi si occupano di determinate cose e le femmine di altre.
Alle femmine si lascia la commedia al femminile: pensate a Beata te di Paola Randi, vi sembra una commedia al femminile? Una commedia è una commedia e basta. La vera parità si raggiungerà forse quando morirà quel “al femminile” e tutti saremo considerati per il nostro lavoro e non per il nostro genere. Adesso abbiamo ancora bisogno di essere tutelate come numero rappresentativo, vuol dire che ancora il percorso non è stato completato.
Fa paura pensare a ciò. Se non è vinto il pregiudizio contro le donne, figuriamoci il pregiudizio verso le minoranze.
È uno strano ibrido. Le minoranze hanno la possibilità di far sentire la propria voce. Però, finché queste non saranno libere, saranno voci che fanno parte di un sottoinsieme di un recinto. C’è qualcosa che non va, dunque. E mi sembra di capire che il mondo non stia andando verso la libertà di voce quando penso che a quattro ore di volo da noi si ammazzano le donne perché hanno voglia di scoprirsi i capelli o si arresta un’attrice perché manifesta pubblicamente il suo dissenso. Non stiamo messi bene: è terrificante e spaventoso.
Quand’ero giovane, pensavo che il mondo sarebbe andato migliorando. E, invece, è andato decisamente peggiorando. La tutela della voce femminile non deve essere data per scontata perché il mondo non è democratico in tal senso. Quindi, dobbiamo continuare a tutelare le voci femminili finché non saranno tutelate tutte quelle nel mondo: non è un problema soltanto nostro, è un problema mondiale. Per non parlare poi del problema del corpo delle donne: si aprirebbe una parentesi lunghissima. Non potremmo dire di avercela fatta finché ci sarà anche una sola donna che non è libera di essere chi è.
Lina Wertmüller ricorreva nei suoi film al grottesco.
Il grottesco è il ridere della tragedia più terribile rappresentando delle maschere. Ha quindi una tradizione molto italiana: la commedia dell’arte era grottesca. Lina maneggiava un materiale infiammabile: fare un genere come il grottesco è difficilissimo. Devi mantenerlo dall’inizio alla fine. Tutto deve essere grottesco: la messa in scena, gli attori, la recitazione, la scenografia, le musiche. Ogni cosa deve essere ipertrofica e gigantesca.
La scuola di Fellini ha fatto una specie di corto circuito con l’umorismo di Lina: tutto ciò che è felliniano è di base grottesco ma non lo è quasi mai in una forma umoristica. Nel cinema di Lina, tutto ciò che ha assorbito da Fellini è diventato improvvisamente un oggetto di riso. Mentre nella commedia ti identifichi con i personaggi, nel grottesco è difficile che accada. Il grottesco è una rappresentazione esterna a te che però ti fa vedere con molta forza il tema di cui ti parla.
Se Travolti dal destino fosse stata una commedia romantica, avremmo potuto identificarci nei personaggi e avremmo dimenticato che si trattava di una commedia a tematica sociale sul classismo, sul razzismo, sulle differenze tra nord e sud, e sul problema del Mezzogiorno. Erano i grossi temi che le stavano a cuore.
E cos’è l’umorismo per Michela Andreozzi?
È la cifra attraverso cui vedo il mondo. Davanti a qualcosa, puoi scegliere se piangere o ridere. Io voglio riderci sopra.