L’incontro con Michele Rosiello è un’immersione nelle profondità di un attore che vive la propria carriera come un viaggio interiore. Nato e cresciuto a Napoli, Michele Rosiello ha mosso i primi passi in un percorso che sembrava lontano dal mondo dello spettacolo: laureato in ingegneria gestionale, ha scelto di abbracciare l’arte della recitazione, scoprendo ben presto una vocazione autentica.
Da Napoli a Roma, attraverso la scuola di recitazione Pigrecoemme e poi la prestigiosa Scuola d’arte cinematografica Gian Maria Volonté, Michele Rosiello ha forgiato un cammino in cui ogni incontro – umano e professionale – è divenuto fondamentale. Lavorare con Ettore Scola nel film Che strano chiamarsi Federico, l’ha condotto su un set che gli ha permesso di respirare l’arte dalla “porta principale”, come ama dire, offrendo al giovane attore la possibilità di imparare da un maestro senza tempo, figura quasi “sostitutiva” di un nonno che non aveva mai conosciuto.
In questa intervista esclusiva, Michele Rosiello ci accompagna nel suo mondo interiore con una sincerità rara, attraversando i suoi lavori più significativi e il significato che ciascuno di essi ha avuto nel suo percorso di crescita. Parlando del suo ruolo nella serie Nudes 2, emergono la sua dedizione e la sensibilità nell’affrontare temi delicati come il revenge porn, argomento esplorato con la regista Laura Luchetti e con compagni di viaggio come Astrid Meloni ed Emma Valenti.
Michele Rosiello si rivela come un fiume in piena quando racconta il viaggio emozionale e psicologico intrapreso per dare voce a Emilio, un personaggio colpito dalla vergogna e dal giudizio sociale in una vicenda che tocca le vulnerabilità più intime dell’essere umano. È in queste riflessioni che l’uomo e l’attore si intrecciano, esponendo il lato fragile e forte di un professionista che non si nasconde, ma sceglie di vivere intensamente ogni ruolo, facendo tesoro dei temi che porta in scena.
Quella di Michele Rosiello è una storia di ambizione e autenticità, una ricerca costante non tanto di successo quanto di significato. La sua è un’ambizione sana, lontana dai riflettori mondani, una spinta verso il miglioramento e verso la possibilità di “aggiungere tasselli” al proprio percorso umano e artistico. Pur avendo recitato in produzioni televisive e cinematografiche di grande successo, ha scelto di non lasciare Napoli per Roma, preferendo il richiamo profondo della sua città, con la sua vitalità e i suoi contrasti, a un mondo che potrebbe risultare alienante. “A Napoli ho il mare di fronte, e non potrei vivere senza”, confida, sottolineando come quella bellezza mutevole e selvaggia gli offra una forma di libertà e introspezione che considera fondamentali per mantenere la sua autenticità, dentro e fuori dal set.
Ma ciò che colpisce è l’umiltà con cui Michele Rosiello si avvicina al proprio lavoro, un approccio collaborativo e generoso che riconosce l’importanza del gruppo, del sostegno reciproco, del clima di rispetto sul set. “Quando si crea un ambiente favorevole, i risultati si vedono su tutti,” afferma con convinzione. È un attore che cerca il legame umano, costruendo legami veri con i colleghi e il pubblico, e che racconta come, anche in un’industria spesso dominata dalla competizione, lui abbia trovato collaborazioni intense e durature, come confermato dalla partecipazione di molti colleghi al suo recente matrimonio con l’attrice Denise Capezza.
Con una naturalezza e una spontaneità disarmanti, Michele Rosiello ci svela quanto le sue radici napoletane, la sua passione, e l’amore per il proprio mestiere l’abbiano guidato fino a qui. Questo viaggio nell’introspezione, nella sfida personale e nella ricerca dell’essenza artistica è ciò che rende Michele Rosiello un interprete apprezzato, un attore che non ha paura di guardarsi dentro e di mostrarsi senza filtri, consapevole che ogni ruolo gli consente di scoprire una nuova parte di sé.
In una carriera che promette ancora molto, Michele Rosiello dimostra come il vero successo non sia quello appariscente e di facciata, ma quello che si costruisce attraverso un’autentica dedizione e una sensibilità che si specchia, ogni giorno, in quel mare di Napoli, che gli restituisce la serenità e l’ispirazione per continuare a crescere.
Intervista esclusiva a Michele Rosiello
“Il voler affrontare un argomento come quello del revenge porn, di cui poco si parla, è stata un’intuizione di Laura Luchetti, un’idea sposata dal produttore Riccardo Russo e da BiM”, è un fiume in piena Michele Rosiello quando si tratta di parlare del lavoro fatto per la serie tv Nudes 2: già dalle prime parole scambiate emerge quanto uomo e professionista siano indissolubilmente legati. “Di lei, avevo apprezzato tantissimo Fiore gemello ma, conoscendola, ho potuto apprezzare anche la persona e la sensibilità nell’affrontare il tema”.
Sei protagonista insieme a Emma Valenti e Astrid Meloni della storia Silvia ed Emilio, che ha il pregio di affrontare il porn revenge da un punto di vista inedito: i due protagonisti del video non hanno girato consapevolmente quelle immagini e non è stato nessuno dei due a diffonderle. L’autore del reato è dunque una terza persona, mossa da sentimenti umani come l’ambizione e la competizione.
L’aver scelto come sfondo della vicenda l’ambito sportivo ci ha permesso di confrontarci con le pressioni psicologiche generate dalla rivalità, dalla competitività e dalle aspettative. Ciò ha contribuito a porre maggiormente le basi per quel terreno instabile che dà vita alla dinamica del revenge porn.
Chi è Emilio dal tuo punto di vista?
Chi sia Emilio l’ho scoperto strada facendo mentre giravo la storia. E ora che mi sono rivisto ho capito anche degli aspetti che di primo acchito avevo sottovalutato: è la vittima di tutto quello che succede e si innesca. Da insegnante di scherma adulto, è stato ripreso mentre era appartato con la sua fidanzata, una relazione che teneva nascosta perché la ragazza in questione, seppur maggiorenne, era una sua ex allieva. La vergogna o l’imbarazzo, elementi che caratterizzano spesso chi è vittima di revengeporn, deriva dunque dalla paura di perdere la sua credibilità personale e professionale. Sebbene non si faccia particolare accenno nella serie allo scandalo mediatico che susciti una situazione simile, mi sono immaginato cosa possa realmente accadere, i titoli dei giornali e i servizi delle trasmissioni televisive, come la cronaca ci insegna.
La sua unica colpa, se di colpa vogliamo parlare, consiste nel non essersi accorto o nel non averlo voluto fare, come spesso accade nella vita di tutti i giorni da dettagli che possiamo percepire, del sentimento che Silvia nutre nei suoi confronti, confondendo le dinamiche tra allieva e maestro. È un sottotesto da non sottovalutare.
Possiamo definirlo quasi “effetto Pigmalione”: non è difficile che ci si innamori dei propri maestri o di chi contribuisce a forgiarti in un determinato modo guidandoti. Seppur in chiave diversa, l’hai mai subito nel tuo percorso professionale?
La mia prima grande fascinazione è stata quella per Ettore Scola, con cui ho girato il mio primo film, Che strano chiamarsi Federico. Al di là del fatto che Scola fosse un maestro riconosciuto, essere diretto da lui mi ha fatto entrare nel mondo del cinema dalla porta principale portandomi a girare all’interno del Teatro 5 di Cinecittà, lo storico teatro di posa usato da Federico Fellini di cui stavamo ripercorrendo parte della vita.
Ai miei occhi Scola era come quel nonno che non avevo mai avuto: non ho conosciuto mio nonno materno e mio nonno paterno è morto quando avevo tre o quattro anni. Quella del nonno è dunque una figura fondamentale che è mancata nella mia vita ma con Scola è stato quasi come trovarla: sul set, noi giovani attori eravamo come nipoti con cui si lasciava andare in maniera naturale ai suoi ricordi e aneddoti. E noi rimanevamo lì, attorno a un tavolo, a pendere dalle sue labbra nell’ascoltare, ad esempio, di quel film mai fatto con Massimo Troisi e Gian Maria Volonté.
La fascinazione è stata forte per tutto ciò che rappresentava e trasmetteva senza ergersi su un piedistallo.
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Nudes 2: Michele Rosiello
1 / 9Eri un giovane attore ma per molto sei considerato ancora tale. E si dice che tra giovani attori ci sia molta competizione, un po’ come nel mondo della scherma. L’hai mai sentita?
Sono stato molto fortunato. In quasi tutti i set in cui sono ho lavorato, compresi quelli in cui ero io il protagonista a partire da L’isola di Pietro fino a Guida astrologica per cuori infranti o La voce che hai dentro, ho trovato sempre dei colleghi anche giovani o senza grande esperienza che non si comportavano da primadonna e che non si erano montati la testa. Ciò ha contribuito a far sì che si creassero dei legami fortissimi e non a caso molti di loro sono stati anche invitati al mio matrimonio, evento in cui io e colei che sarebbe stata mia moglie abbiamo voluto solo chi volevamo realmente ci fosse.
Quando un protagonista è in grado di creare un ambiente favorevole, i risultati si riversano su tutti. È anche la ragione per cui ho sempre accolto in maniera calorosa sul set chiunque arrivasse, fosse solo anche per due pose. Perché comunque è così che andrebbe fatto e che gli altri hanno fatto con me quando non ero io a dover interpretare il personaggi principale… e gli esempi più recenti che potrei citare sono Stefano Fresi sul set di Kostas o Serena Rossi in quello di Mina Settembre: in loro, ho riconosciuto quella stessa apertura e generosità sia sul set sia fuori che cerco di portare avanti io e che reputo necessari per creare un clima serena e di non competizione tra tutti.
L’aver scelto di vivere a Napoli e non a Roma ha di certo contribuito a vivere meno la competizione con gli altri: con mia moglie ci siamo tirati fuori da quell’ambiente che poteva portarci a incontrare gente con cui parlare solo di lavoro e ciò fa sì che si affronti questo mestiere anche in maniera molto più sana e rilassata.
Perché rimanere a Napoli?
E perché avrei dovuto andarmene? Anche in ciò, riconosco di essere fortunato: vivo di fronte al mare, alzarsi al mattino e ritrovarselo davanti è impagabile. Quando sono a casa, soprattutto nei periodi in cui non lavoro, ho bisogno di avere il sole che entra costantemente dalle finestre e una visuale infinita. E, poi, il mare cambia sempre: non c’è mai un giorno in cui sia uguale al precedente… anche quando mi ritrovo altrove, dopo un po’ mi manca tale prospettiva, vista o sguardo.
Sarà che di mio sono molto malinconico e sto benissimo anche da solo ma Napoli, nonostante il suo caos, ti permette anche di stare molto con te stesso: basta fermarsi di fronte al mare e, inevitabilmente, puoi guardarti dentro e dare il via a quel dialogo interiore che a me piace e fa star bene. Seppur con tutti i suoi contrasti, problemi e difetti, Napoli mi restituisce poesia e la poesia per me è alla base di tutto, dai rapporti interpersonali alla professione e al benessere in generale. Non riuscirei mai a stare in una città senza respiro, soffrirei molto.
Tra le schermitrici di Nudes 2 c’è molta ambizione. In quel caso, da origine a risvolti negativi ma ambizione è un termine che di per sé ha una forte valenza positiva: alimenta il fuoco dell’autodeterminazione. Che peso ha giocato nel tuo percorso?
Credo che un po’ di sana ambizione serva sempre. Tuttavia, non è semplice per me trovare una risposta. Non appartengo alla schiera di coloro che devono necessariamente arrivare a un traguardo prefissato: ho semmai l’ambizione a far sempre meglio e a vivere esperienze nuove. Ambisco ad aggiungere tasselli nuovi alla mia sfera professionale, un pensiero che vale anche per la mia sfera personale. Ogni progetto o personaggio deve darmi qualcosa in più rispetto a quello che ho già portato in scena, ragione per cui non guardo lontano ma cerco sempre di vivermi a pieno ogni cosa che faccio, trattando ogni lavoro come se fosse il film più importante della mia vita. E ciò mi aiuta a vivere serenamente un mondo che è pieno di competitività e di situazioni, ahimè, poco pulite, che più vado avanti nella carriera più noto.
Le aspettative degli altri giocano un ruolo decisivo nella storia di Silvia ed Emilio. Come ti sei relazionato con le aspettative dei tuoi genitori?
Ho dei genitori per me fantastici perché mi hanno sempre sostenuto in ogni scelta, nonostante il loro essere casalinga e operaio. Sono stato il primo componente della mia famiglia, anche allargata, a laurearsi, ad esempio: sono un dottore in Ingegneria gestionale con tanto di esame di Stato e abilitazione alla professione. Per loro, è stata una grandissima soddisfazione… forse mia madre, proprio per via delle nostre umili origini, sognava di avere il figlio “dottore” e non attore: lo avrebbe preferito perché avrebbe generato meno preoccupazioni rispetto a quel salto nel buio che era la recitazione, un universo da noi lontano.
Eppure, dieci anni fa, quando ho deciso di iniziare a studiare recitazione, nonostante non sapessi da che parte cominciare e non avessimo grandi possibilità economiche, papà e mamma non hanno mai provato a ostacolarmi: per loro, però, rimaneva fondamentale che non abbandonassi l’università perché, comunque, sarebbe stata il mio porto sicuro nel caso in cui non fosse andata bene. Fortunatamente, al momento la laurea è appesa nel salotto dei miei… e mamma è, comunque, soddisfatta, anche se il medico lo faccio solo per finzione (ride, ndr)!
La tua volontà è stata però determinante…
Ho studiato recitazione alla scuola Volonté nel suo primo biennio di vita e, per motivi prettamente economici, ho fatto tutti giorni il pendolare da Napoli a Roma: mi costava meno rispetto al trasferimento nella capitale. E contemporaneamente studiavo per sostenere gli esami: mi sono laureato nei tempi prestabiliti… non potevo perdere tempo, sprecare soldi e deludere chi, come i miei, avevano da sempre fatto sacrifici. A fine Volonté mi ero dato anche un ultimatum: se entro un anno non fossi riuscito a vivere del mestiere di attore, sarei andato a fare l’ingegnere. E, invece, è arrivata la serie tv Gomorra.
Prima della Volonté hai però frequentato una scuola napoletana, dal nome quasi ironico per un futuro ingegnere: la Pigrecoemme.
L’avevo trovata casualmente con le mie ricerche. Era una piccola realtà ma quell’anno frequentato mi ha dato gli strumenti necessari per poi vincere il provino alla Volonté, dove su 700 candidati ne selezionava solo 12, sei uomini e sei donne.
Cosa si respira tra le vie di Napoli che spinge già da giovanissimi ad avvicinarsi all’arte?
Non farei mai apologia dei napoletani ma sicuramente molti di noi hanno dentro tanto l’arte d’arrangiarsi quanto quella dell’improvvisare, stando bene e divertendosi con poco e con creatività. Non è che servano chissà quale disponibilità economica o quali posti particolari: basta poco… ci si alza al mattino, si va sul lungomare, si prende un caffè, si scambiano quattro chiacchiere con un amico e da quello che ti circondi trai ispirazione per dar vita a qualsiasi forma d’arte, dalla musica al teatro. Tutto ciò che vedi intorno a te in maniera inconscia ti accompagna nella crescita e torna fuori quando come nel mio caso si sceglie un certo percorso.
Negli ultimi anni, poi, c’è davvero un nuovo fermento artistico: Napoli sembra essere rinata. Come tutte le metropoli, ha le sue luci e le sue ombre ma lentamente ci accorgiamo tutti quanto si stia sviluppando, stia crescendo e stia migliorando, rispetto a una decina o quindicina d’anni fa. Gomorra, per quanto se ne possa dire sia in positivo sia in negativo, ha contribuito a trasformare in set la città, segnando un fondamentale spartiacque: prima di quella serie tv, era raro vedere i camion delle produzioni in giro mentre oggi sembra quasi la normalità.
Questo gettare nuova luce sulla città ha anche favorito il sorgere di nuove aspirazioni professionali tra i giovani: mai nessuno prima di sognare di fare l’elettricista per il cinema o l’aiuto assistente. Oggi sono invece figure a cui in tanti guardano.
Cos’è che, comunque, ha spinto te verso la recitazione?
Senza voler scivolare nel patetico, sin da bambino sentivo che la sola realtà non mi bastava: avevo bisogno di qualcosa in più, del potere dell’immaginazione. Pur essendo molto timido, mi prestavo a scuola a piccole cosette quando crescendo, in maniera molto naturale, ho avvertito il richiamo della messa in scena. Tra i miei amici, ero l’unico ad avere una piccola telecamera che eravamo soliti a portare con noi in vacanza e, pian piano, da autodidatta ho cominciato a montare i video che realizzavamo.
Ma è arrivato presto il momento in cui ho cominciato a intervenire in ciò che filmavo: anziché la realtà, delle storie di finzione che potrei definire dei primi cortometraggi amatoriali. Erano bazzecole, eppure è lì che si gettavano i semi di ciò che sarebbe stato: c’è stato persino un livello successivo in cui ci si spostava in gruppo per andare a girare altrove, costringendo a venire con noi anche chi questo mestiere non avrebbe mai voluto farlo. E ci riuscivo: avevo uno spirito di intraprendenza, di incoscienza e di convincimento incredibile, che forse non ho nemmeno oggi che sono un professionista del settore.
Quei tentativi mi hanno portato a pensare che forse il gioco potesse trasformarsi in qualcosa di serio… tanto che per molto tempo sono stato indeciso tra la regia e la recitazione. Riflettendo in seguito sulla praticità e fattibilità delle mie aspirazioni, ho dedotto che la strada da autore sarebbe stata piuttosto ardua, quella da attore meno: bastava beccare un provino, del resto, per iniziare a lavorare. È stata l’unica discriminante ma non mi precludo in futuro di fare un mio film da regista.
Eri consapevole del fatto che il corpo e il volto che la natura ti aveva donato potevano tornarti utili?
No, è qualcosa che ho capito dopo: è solo con il tempo che ho realizzato che sono effettivamente molto fotogenico… non si tratta di essere belli o brutti ma di avere una faccia che funziona. Anche perché non mi sento bello in senso classico: non ho gli addominali scolpiti, non sono perfetto e non rispondo a determinati canoni estetici. Credo semmai che il mio fascino risieda nella mia genuinità e nell’incarnare con i miei colori il tipico mediterraneo…
Sono stato fortunato nell’aver preso il meglio da mamma e da papà ma non ho mai avuto l’ossessione della perfezione, non mi sono mai sentito il più affascinante nel gruppo di amici e non ho mai avuto nessun vantaggio particolare con le ragazze. Niente, zero. Ed è un dato di fatto che è diventato una consapevolezza anche con l’andare avanti nella professione: vengo oramai visto così tanto come l’eroe buono che non mi viene nemmeno richiesto di puntare sulla fisicità, al punto che mi dispiace non essere messo alla prova con dei ruoli differenti.
Eppure, di recente sono stati gli americani a puntare sul tuo volto e sulla tua fisicità, scegliendoti come protagonista della commedia sentimentale Hallmark Two Scoops of Italy.
Parlo un inglese molto basic, mi era già capitato in passato di inviare qualche mio self tape in inglese ma non ero di certo nella mia comfort zone, pensavo spesso alle risate che si sarebbero fatti nel sentirmi. Quando mi è arrivata la richiesta per il provino, ho comunque mandato il mio video per essere poi richiamato per un callback con il regista Roger M. Bobb ed essere scelto per il ruolo.
C’era però un piccolo problema di fondo: il tempo che avevo per studiare le sceneggiature prima dell’inizio delle riprese: quattro giorni. Ma è stato nel leggere i copioni che ho realizzato che sarei stato il protagonista della storia al pari dell’attrice Hunter King: non avevo mai letto così tanti dialoghi, mi sembravano infiniti. Ho studiato come mai prima di quel momento: va bene che il mio inglese avrebbe dovuto avere un accento italiano ma dovevo memorizzare le battute, essere comprensibile e risultare fluido in quello che dicevo…
E non è stato facile farlo. Durante le riprese, avrò dormito due o tre ore per notte perché, dopo essere stato sul set dieci ore, mi rimettevo a studiare una volta rientrato a casa le scene del giorno dopo. Fortunatamente, un mio amico, bravissimo con la lingua, mi ha dato una grande mano. Quell’amico è Lorenzo Adorni, che con tanta pazienza ogni weekend mi aiutava via Skype a preparare tutte le scene della settimana. Penso anche che la stanchezza, soprattutto dei primi giorni, traspaia dal girato: è stata forte la tentazione persino di tirarsi indietro per timore di non farcela… Ma sono qui a parlarne, anche con una consapevolezza diversa: vivo ora con più serenità i provini in lingua!
In un mondo in cui per una sola posa in un prodotto made in America si fanno comunicati stampa a profusione, tu hai scelto un profilo molto low senza fanfare che annunciavano ai quattro venti il progetto.
Vengo dal nulla. Quando ho iniziato a lavorare, avevo zero euro sul conto corrente, ragione per cui ho rispetto per i soldi che mi sono sudato con la mia fatica. Per quanto possa essere un investimento utile per la propria immagine, un ufficio stampa ha un costo da sostenere che considero un extra che esula dalla mia professione, a meno che non ci sia da comunicare un evento veramente importante come la partecipazione a un film in concorso a Venezia. Ragione per cui preferisco comunicare io i miei progetti attraverso dei post sui miei social…
Sono cosciente che potrei vendermi meglio ma la fama in sé non è una mia priorità. Sono sì contento quando la gente mi riconosce e mi ferma per strada o quando mi manda un messaggio sui social a cui rispondo quasi sempre, anche solo con un emoticon (senza pubblico non saremmo niente e considero persino ingrati coloro che rifiutano una foto o un autografo), ma non ambisco alla fama in quanto tale… preferisco il successo legato alle mie capacità artistiche e professionali.
Two Scoops of Italy: Le foto
1 / 10Cosa pensi quando al mattino, appena alzato, ti specchi?
Penso di essere contento della persona che sono e di ciò che la vita fino a oggi mi ha dato senza forzature alcune. A diciotto anni, quando correvo sul lungomare, sognavo tante cose e ci credevo anche nella loro realizzazione: dall’incontrare la donna della mia vita al recitare in uno di quei tanti polizieschi che vedevo alla tv passando per una famiglia che sta bene. nonostante alcune sembrassero quasi impossibili, crederci così tanto ha fatto sì che in maniera molto naturale si concretizzassero…
E sì, mi posso specchiare senza avere rimpianti o rimorsi per essermi “sporcato”. E ciò al pubblico in qualche modo è arrivato. Lo dedico dai messaggi che la gente mi scrive: penso che al pubblico sia arrivata la mia genuinità, il mio essere onesto e pulito, i miei sacrifici. Non dovrei nemmeno dirmelo da solo ma me lo hai chiesto (ride, ndr).
Sono felice di ciò che ho e per carattere non ho mai avuto l’indole di pensare a ciò che mi manca. Tra l’altro, credo sia la chiave per viversi bene qualsiasi mestiere o lavoro ed essere sereni nella vita: godiamo di ciò che abbiamo. E non significa non avere ambizione o desiderio di crescere e migliorare.
Segno zodiacale: Acquario…
Per un giorno, non sono nato Pesci… non mi riconosco in molti dei tratti del segno: non mi appartiene ad esempio quella libertà sentimentale che si dice lo caratterizzi perché sono super fedele in amore. Mi riconosco però nella libertà di pensiero e nella voglia di non avere costrizioni: molto probabilmente avrei fatto l’ingegnere se fosse andata male con la recitazione, la matematica mi è sempre piaciuta e per natura sono ordinato di mio, però avrei sofferto gli orari di lavoro e la loro rigidità… con la testa, devo star libero: non devo sapere domani mattina dove vado o quale sarà il mio prossimo lavoro.
Noi però sappiamo quali sono i prossimi lavori in cui ti vedremo: la serie tv Adorazione e il film Fanum.
In Adorazione interpreto un ruolo secondario, Guido, che entrerà nella linea narrativa di Diana, una delle ragazze al centro del racconto. E Stefano Mordini è uno di quei registi con cui mi è piaciuto molto lavorare. L’ho incontrato a una cena prima delle riprese e ho apprezzato il discorso che mi ha ad esempio fatto sui ruoli secondari o più piccoli: “i protagonisti hanno un copione intero su cui lavoro e quindi tutto chiaro; io devo lavorare maggiormente con i personaggi minori perché, seppur presenti in poche scene, devono dare sostegno alla storia con meno informazioni dalla loro”.
In più, Stefano oltre a tenere presente l’obiettivo di una scena punta molto sul suo sentimento, utilizzando spesso già in fase di ripresa delle musiche che spingono verso la direzione desiderata: mentre alcuni colleghi potrebbero trovarlo distraente come approccio, per me è stato utilissimo oltre che nuovo. Senza considerare poi come metta gli attori davanti a tutto e tutti.
Fanum è invece il primo film di Iris Gaeta, regista che, con una visione particolarmente interessante per il cinema di genere, credo farà molta strada. Ma è anche uno dei pochissimi film per il cinema in cui ho finora recitato. E qui si apre un’enorme parentesi.
Senza peccare di presunzione, credo di aver dimostrato di essere un attore abbastanza versatile con tutti i progetti che ho interpretato da protagonista e non solo ma incontro molte difficoltà a sostenere provini per film considerati più autoriali perché il mio volto viene, più o meno inconsciamente, associato alla televisione. E, in tutta sincerità, è qualcosa che mi fa soffrire: vedetemi, provinatemi, mettetemi alla prova e poi decidete anziché precludermi la possibilità.