Miguel Gobbo Diaz è per tutti il Malik della serie tv Nero a metà, di cui tutti si augurano si concretizzi presto una quarta stagione. Mentre Claudio Amendola, il suo partner in scena, sta per sbarcare sul piccolo schermo con una nuova serie tv, Miguel Gobbo Diaz ha appena ultimato le riprese di un film, L’amor fuggente, con Caterina Shulha e si appresta a girare, dopo qualche rinvio, Il tempo è ancora nostro, presentato a TheWom.it qualche mese fa dai coprotagonisti Ascanio Pacelli e Mirko Frezza.
Ma Miguel Gobbo Diaz che non ama stare con le mani in mano. Tra un set e l’altro, ha appena portato in scena L’inizio di un sogno in teatro a Vicenza per tre serate sold out. Lo spettacolo riprenderà presto con altre date. “Lo porterò in giro in Veneto ma vorrei anche che uscisse fuori dalla regione e che, dalle scuole superiori in su, lo vedessero tanti giovani. Glielo consiglio vivamente perché può aiutarli tantissimo: me lo dimostra i messaggi che mi arrivano quotidianamente dai ragazzi che sono già venuti in teatro”, ci assicura.
La scelta di partire da Vicenza non è casuale: è nella provincia vicentina, a Creazzo, che Miguel Gobbo Diaz si è stabilito con i genitori dopo essere arrivato in Italia da Santo Domingo all’età di tre anni. È qui che si è stabilito, ha frequentato le scuole e ha giocato a calcio fino a quando in lui matura la decisione di tentare la strada, impervia ma non impossibile, della recitazione. Una passione che, come anch’egli ci racconta in quest’intervista esclusiva, è nata quasi per caso mentre frequentava quella scuola che, per un insieme di concause, non lo vedeva eccellere nello studio.
“Di scuola potremmo parlare di tre giorni interi”, ci dice Miguel Gobbo Diaz non nascondendo una certa disillusione per quegli anni in cui non sempre i professori riuscivano a essere vicini a chi mostrava qualche difficoltà. Ma, fortunatamente, nella sua vita non sono mancati coraggio, determinazione e amore, tre delle parole chiavi che accompagnano anche lo spettacolo teatrale L’inizio di un sogno.
Scritto da lui stesso, lo spettacolo con la regia di Maurizio Mario Pepe è un monologo in cui l’attore racconta i momenti più significativi che l’hanno segnato e portato a diventare attore. E nel farlo molti sono i temi importanti, per adulti e giovani, che affronta: bullismo, insicurezze e forza di volontà nel non mollare davanti alle difficoltà che ci ostacolano.
Intervista esclusiva a Miguel Gobbo Diaz
Un film prossimamente in uscita, L’amor fuggente, e un altro in lavorazione, Il tempo è ancora nostro (per cui ti prepari fisicamente dallo scorso ottobre), e uno spettacolo teatrale, L’inizio di un sogno, sei abbastanza impegnato in questo momento.
Eh, sì, tra il cinema e il mio spettacolo, che è comunque andato bene e che ci hanno richiesto in altri posti, sono molto impegnato e veramente contento perché comunque è questo quello che voglio fare: tenermi sempre attivo. E quando sei attivo con qualcosa di tuo è ancora meglio.
Il tuo sogno non è più dunque all’inizio ma è forse all’apice?
Un sogno è sempre all’inizio. Il sogno si modifica, si crea e si inventa in continuazione per noi che facciamo spettacolo. Io continuo sempre a parlare di sogno da raggiungere e dell’importanza del credere in noi stessi: anche quando hai raggiunto quello che credi che sia il tuo sogno, questo si modifica, diventa più grande ed entrano in ballo altri interessi derivanti dalla crescita. Quindi, quello che all’apparenza è un sogno raggiunto diventa l’inizio di un altro sogno con alla base il primo: è come se fosse sempre in divenire.
Anche perché raggiunto un sogno poi cosa si fa? Si rimane con le mani in mano?
Un po’ come le parole che dico nel mio spettacolo: l’idea di aver agguantato un sogno è un inganno. Chi si sente già arrivato, sbaglia: occorre sempre cercare di stimolarsi, di fare e di fare tanto altro per rimanere sempre attivi.
Nello spettacolo racconti quello che è stato il percorso che ti ha portato a diventare attore. Parti da quando da piccolo arrivi in Italia da Santo Domingo, racconti la tua esperienza nel mondo del calcio e affronti la recitazione. Come racconteresti i vari Miguel che hanno segnato le tue tappe?
Con le stesse parole chiave che uso durante L’inizio di un sogno che spiegano bene com’ero io da piccolo. Ero un ragazzino molto vivace che non perdeva mai il sorriso anche nei momenti di difficoltà. Qualsiasi sia stato il momento vissuto nell’adolescenza o le traversie delle superiori in cui il sogno (poi infranto) era quello di divenire un grande calciatore, ho sempre mantenuto il sorriso. La perdita di quello che era un grande sogno mi ha portato ad acquisirne un altro: provare a diventare attore.
E come sei riuscito a scoprire attraverso la scuola che volevi recitare?
Sembra un paradosso ma attraverso la mia pigrizia. Non essendo un secchione, la mia pigrizia verso la scuola e lo studio mi ha portato a incontrare il teatro. Andavo male in moltissime materie perché non studiavo ma con il teatro mi sono ritrovato a studiare molto di più di quanto facessi per la scuola. Perché? Perché ho incontrato una passione che mi ha dato la spinta per credere in me.
La passione è qualcosa che ti muove, che ti spinge a fare e che ha alla base l’amore. Quanto è stato importante l’amore nel tuo percorso di crescita?
Tantissimo. Sono sempre stato circondato da persone che credevano in me e che mi volevano bene ma anche da gente che mi ostacolava e che diceva di non di non far qualcosa perché quando non sai farla è troppo rischioso. Li ascoltavo ma poi facevo quello che sentivo provenire dal cuore. Naturalmente, ci vuole anche grande determinazione, bisogna crederci: l’amore per la professione di attore mi ha aiutato a non mollare mai e a continuare a inseguire il sogno. Se non ci fosse l’amore, credo che non avrei nemmeno tentato la strada della recitazione.
Tu sei nato nel 1989, sei una generazione avanti rispetto ai millennials o ai genz. Vedi nei giovani di oggi la stessa passione e determinazione che hanno mosso i tuoi passi?
Noto che in loro manca quella spinta utile a prendere più coraggio. Oggi ci si nasconde facilmente dietro a uno smartphone anche soltanto per avere un dialogo con gli altri quando invece noi eravamo abituati ai rapporti faccia a faccia. Quando volevamo chiedere a qualcuno di uscire, glielo chiedevamo direttamente mentre oggi tutto passa sempre attraverso la tecnologia: è come se mancasse il coraggio di affrontare le cose o le persone di petto. L’inizio di un sogno, il mio spettacolo, è nato anche per stimolare i ragazzi ad avere più coraggio a vivere i momenti della vita nella realtà e non nella virtualità.
Amore, determinazione e coraggio sono le tre parole chiave che sono finora emerse. Quanto coraggio serve per crescere comunque in un mondo che, nel bene o nel male, ti fa sentire diverso?
Eh, dipende dal peso che dai alla parola “diverso”. Se gli attribuisci un peso enorme, finisci con il farti travolgere e inizi a sentirti veramente diverso, cadendo in una trappola di vittimismo che non ti aiuta. Io mi sentivo diverso perché ero l’unico nero della scuola, perché ridevo sempre, perché non ero viziato, perché avevo il nome più lungo della scuola (lo avevano tradotto in Michelangelo perché era difficile pronunciare la “g” latina di Miguel Angel!), perché stavo bene e perché cercavo sempre il lato per essere felice e divertirmi con i miei amici, che erano tutti bianchi. La diversità è la cosa più bella che si può avere: quando realizzi che non è una persecuzione e non diventa più motivo di sofferenza, la diversità diventa un valore.
Nello spettacolo racconti però di episodi che, anche se non ti hanno visto direttamente protagonista ma testimone, non proprio piacevoli.
Parlo di diversi episodi realmente e difficili ma che hanno fatto crescere anche me o chi li ha subiti. Anche in quel caso, tutto dipende da come reagisce chi ne è vittima: chi reagisce in maniera positiva, risolve quanto accade; chi, invece, reagisce in maniera negativa, entra in un vortice dal quale è impossibile uscire. Occorre reagire nella maniera più positiva: è questo il giusto atteggiamento che mi piacerebbe trasmettere a tutte quelle persone che si vedono indicate come diverse. Solo così pian piano le cose cambieranno e vedendo il mio esempio, attraverso lo spettacolo, potranno magari trovare un po’ di coraggio in più.
Ma basta solo il coraggio per cambiare effettivamente il sistema? Tu sei un attore ma se mi guardo in giro non è che veda una grande rappresentazione persone appartenenti ai cosiddetti gruppi sottorappresentati sullo schermo. A me sembra che nelle nostre produzioni prevalga sempre il modello del maschio etero bianco.
Sì, ma ci sono persone che stanno lavorando in silenzio per cambiare lo status quo. Per carattere, non sono uno che urla che non si stanno comportando bene o che ci stanno mettendo da parte. No, sono semmai quello che lavora, dimostra e si prende i ruoli quando deve prenderli, come accaduto in Nero a metà.
Quando mi sono trasferito a Roma e ho cominciato a studiare recitazione, mi dicevano che non ero utilizzabile sul mercato. Ma non mi sono lasciato abbattere, ho continuato a studiare e lavorare. Me ne sono andato a Londra pensando che lo facevo soltanto per migliorare me stesso e sperando di tornare in Italia: il momento sarebbe arrivato per farlo.
E così è stato. Pian piano siamo passati dal non avere nessun attore nero in una serie tv ad averne diverse in varie produzioni. Io stesso sono stato protagonista delle tre stagioni di Nero a metà, c’è stata Noi ed è arrivata anche Zero. È stato piantato un seme, ora aspettiamo che fiorisca la pianta e vediamo che succede.
Sul fatto che non stiamo messi bene sono d’accordo con te ma io sono pronto a lottare per far qualcosa per migliorare la situazione. Non starò di certo a piangermi addosso dicendomi che non ci sono ruoli: se non arrivano, me li creo, come ho fatto con il mio spettacolo. Se non ci sono provini, va bene: faccio teatro, creo, vado in giro e porto la mia esperienza alle persone. Quando arriverà il momento, sarò pronto per affrontare il ruolo giusto.
Non stai ad aspettare che le cose ti caschino dal cielo ma preferisci reagire…
E questo è un altro di quei messaggi che si potrebbero lanciare ai giovani di oggi: lo star fermi o il pianto non servono a nulla. L’ho capito da bambino con due genitori comunque vecchio stampo (una mamma nata nel 1954 e un papà nel 1947) che non mi davano le caramelle se piangevo o strepitavo: puoi piangere la prima o la seconda volta di fronte a un no ma poi impari a non chiedere più e a darti da fare. I genitori di oggi dovrebbero tornare a dire qualche “no” in più.
Hai accennato prima alla pigrizia da adolescente. A cosa era dovuta?
Da bambino ero tutto fuorché pigro. Sono stati gli eventi che mi hanno portato a sviluppare una certa pigrizia nei confronti della scuola e dello studio nata dai riscontri negativi che vedevo nei miei confronti. Ci son cose su cui anche i professori hanno le loro responsabilità a causa delle modalità con cui si relazionano con le persone in difficoltà: c’è chi riesce a entrare in empatia e c’è chi ti abbandona. Tendo a fare una cernita dei miei insegnanti tra quelli con cui andavo bene e quelli con cui andavo male. Cosa c’era di diverso? Il rapporto che si era creato: i primi mi davano fiducia, i secondi mi ritenevano un asino che “non ci arrivava”.
E come si reagisce di fronte alle tante ingiustizie che ci circondano?
Io cerco sempre di reagire in maniera intelligente verso tutto quello che succede cercando di sostenere chi è in difficoltà, come ho sempre fatto. Cerco di capire perché una persona si comporta in un determinato modo e provo a portarla a ragionare. Non sopporto il cinismo, non è quella la strada giusta. Chiaramente, è solo provando sulla nostra pelle determinate situazioni che impariamo a capire come si reagisce, cosa ci aiuta oppure no ma occorre essere sempre forti e non trasformarsi in vittime, sempre con la massima positività. Anche se perché se pensi positivo, tutto andrà bene e viceversa. Lo sappiamo tutti: se ti alzi pensando che la giornata è partita male, quella si trasformerà per davvero in una brutta giornata.
È appena trascorsa la Festa del Papà. Cosa vorrà trasmettere Miguel Angel a suo figlio nel giorno in cui diventerà padre?
Di sicuro, non dovrò mai portalo a fare ciò che non vuole. Cercherà di guidarlo lungo la crescita lasciando libero di fare le sue esperienze. Lo dico oggi non sapendo cosa significhi essere padre, dicono che quando lo si diventa cambi tutto, ma vorrei per lui essere una guida.
E se ti dicesse un giorno che vuol fare l’attore?
Non posso dirgli io di non farlo, sarebbe un controsenso.
E il calciatore?
Lo metterò subito a giocare nei pulcini per vedere quanto è bravo. Ogni ragazzino ha il diritto di sperimentare per capire cosa gli piace veramente: se non esce dalla stanza, non potrà mai capire cosa vuole.