Misstake è una rapper di origine friulana. Ha pubblicato da poco un singolo, Cinema paradiso, prodotto da The Ross, che invita le donne a riflettere sugli amori malati, tossici come si direbbe oggi. E Alessandra, vero nome di Misstake, un amore tossico lo ha vissuto in prima persona: è stata vittima di revenge porn, una piega che ha condotto a casi purtroppo arrivati alle estreme conseguenze.
Misstake non è però rimasta a guardare. Per prima cosa, ha fatto quello che chiunque di noi dovrebbe fare in una situazione simile: ha chiesto aiuto, ai genitori e alle autorità competenti in primo luogo. E, poi, a se stessa aprendo un profilo OnlyFans per sventare il piano di colui che la voleva mettere spalle al muro.
Nel ripercorrere quell’esperienza e nel presentare Cinema Paradiso, Misstake si augura che anche una sola persona trovi il coraggio di dire “Basta!” a un amore tossico dopo aver letto le sue parole o ascoltato la sua canzone. Nessunə dovrebbe più dire “T’ho amato e tu mi hai ucciso, t’ho amato e tu mi hai deriso”.
Del resto, il messaggio che Misstake trasmette in Cinema Paradiso è chiaro sin dall’inizio: “Bisogna imparare ad amare le nostre ombre per poter evolvere al 100% ed essere totalmente indipendenti. Solo così troveremo il vero amore. Cadi, sanguini, ma sei pronta a lottare per ritornare a vivere e volare”.
Ammirando il suo esempio, abbiamo voluto intervistarla per conoscere da vicino il suo mondo, la sua storia e il suo vissuto, tra cronaca, coraggio e musica. E, dopo averlo fatto, possiamo scrivere senza dubbio che è Misstake è “finalmente un’artista che coltiva la sua unicità”!
Intervista esclusiva a Misstake
Cosa racconta Cinema Paradiso?
Cinema Paradiso parla delle situazioni in cui ci sono diversi tentativi disfunzionali di tenere in piedi un amore. La canzone si rifà un po’ all'amore dei giorni nostri. Insomma, l'amore tossico, l'amore dei social e tutto quello che ne concerne. Ho voluto portare in musica l’amore malato.
In Cinema Paradiso, canti “T’ho amato e tu mi hai ucciso”, un verso che fa leva sulle conseguenze estreme degli amori malati, anche il femminicidio se vogliamo. Viviamo in un Paese in cui c'è quasi una donna al giorno uccisa da un compagno che non accetta la fine di una relazione. Tu in prima persona hai vissuto un amore malato.
Assolutamente sì. Io sono stata vittima di revenge porn. Dopo una relazione durata molti anni, un ragazzo ha pensato bene di voler vendere delle fotografie mie, che mi riguardavano. Inizialmente ci sono stata malissimo, non sapevo come uscire da quella situazione. Poi, ho pensato bene di “tendergli una trappola”: ho aperto un profilo OnlyFans, in cui mettere io direttamente le fotografie che lui voleva vendere.
Prima di farlo, ti sei però confrontata con i tuoi genitori. Quanto è importante chiedere aiuto e non finire, ad esempio, come Tiziana Cantone?
Penso sia essenziale. Bisogna chiedere aiuto e bisogna rivolgersi alle autorità competenti quanto prima. Non si deve lasciar passare una cosa del genere perché è veramente vergognosa, sia che venga da un uomo verso una donna sia che venga da una donna verso un uomo. Se ne parla poco ma esistono anche dei casi in cui gli amori malati o le molestie sono declinati al femminile.
Durante la vostra relazione, non ti sei resa conto che quel legame stava prendendo una via deviata?
No. La persona in questione durante la nostra relazione è sempre stata splendida. In lui è subentrata la paura dell’abbandono dal momento in cui io ho deciso di allontanarmi: era pronto a fare qualsiasi cosa pur di non essere abbandonato. Nel tempo in cui siamo stati insieme, spesso eravamo distanti, a livello di chilometri. Capitava che io fossi ad esempio a Napoli e lui a Milano. Succedeva che lo videochiamassi o che gli mandassi una foto appena uscita dalla doccia: una di quelle cose che, non nascondiamoci, facciamo un po’ tutti. Era un modo per condividere una certa intimità.
Sfatiamo un altro mito su OnlyFans. In molti pensano che sia l’anticamera dell’hard, in bilico tra l’erotico e il porno.
OnlyFans ha diverse sfaccettature. Può aprire un profilo un personal trainer per far seguire le sue lezioni ai propri fan, così come può aprirlo un insegnante di yoga e via dicendo. Io l’ho aperto per postare le mie foto o i post in cui spoilero i miei nuovi singoli. Negli Stati Uniti, OnlyFans è molto più sdoganato: quasi tutti gli attori o le persone di successo hanno un profilo. È un modo come un altro per condividere la propria vita, i propri aspetti.
E infatti non mi sembra che tu pubblichi delle foto così scioccanti o vietate. C’è di peggio in giro. Togliamo quest’alone di perversione che si è creato intorno a OnlyFans. A te serviva per prevenire quello che poteva arrecarti un danno maggiore. Quello che ti è accaduto ha modificato il rapporto con il tuo corpo o sulla percezione che ne avevi?
In realtà, no. No, perché ci ho lavorato per anni sul rapporto con il mio corpo. Sono sempre stata consapevole di avere un seno prosperoso. L’ho sempre visto come un punto di forza, anche se quando ero più piccola veniva visto un po’ come una debolezza ma dagli altri. Ma lo è ancora oggi, come mi è capitato di recente in uno studio medico. Ero in canottiera e mi hanno detto di coprirmi, di mettermi una maglietta. Per farvi capire: non ero nuda, indossavo semplicemente la canotta e la felpa aperta perché faceva caldissimo.
E cosa hai fatto? Hai chiuso la felpa?
No, non l’ho chiusa. Ho fatto finta di non sentire, sono rimasta tranquillamente com’ero. È tuttavia una cosa allucinante: se una ha un seno grande, non può farci più di tanto. Posso secondo loro girare sempre con le felpe di lana?
Immagino anche quanti siano gli episodi di cat calling. Come reagisci?
Mi faccio una risata, li ignoro. Sono fastidiosissimi ma non me ne importa niente. A volte, mi faccio una risata o rispondo con una battuta. Oppure faccio finta di niente, vado dritta per la mia strada.
Com’è da donna essere rapper in Italia?
Io mi dissocio abbastanza dalla scena rap: cerco di coltivare la mia unicità in tutto e per tutto. Solitamente non faccio paragoni e vado avanti per un percorso che molte volte segue una linea parallela rispetto a quello che è il rap italiano. Vado un po’ per la mia strada. Non sento particolarmente né la competizione né tantomeno il bisogno di associarmi a una determinata categoria.
Hai incontrato difficoltà nel portare avanti il tuo genere musicale?
Non troppe. Sono comunque una persona che, quando si impunta su una cosa che vuole, la ottiene. Solitamente, mi do da fare. E, se non va in un modo, andrà in un altro.
Tu ti chiami Alessandra. Da dove deriva Misstake, il tuo nome d’arte?
All’origine c’è la parola inglese mistake, errore. Quindi, Misstake era un modo per richiamare gli errori che ho fatto durante la mia adolescenza e il loro superamento. Misstake è l’insieme di errori che ho praticamente neutralizzato ma che mi sono serviti tutti per una crescita in esplosione.
Hai quindi fatto pace con quegli errori?
Direi per un buon 90%, al resto sto ancora lavorando.
Quali sono stati questi errori?
Sono tutte le cazzate che si possono fare da giovani. Un paio di canne fumate, che mi sono costate: le ho pagate molto care. O l’alcool. Derivavano forse un po’ dalla consapevolezza del sentirmi “diversa” fin da piccola, lo vedevo come uno svantaggio ai tempi e non lo vivevo come un punto di forza.
Quando hai cominciato a sentirti diversa dai coetanei?
Sin da piccola, sono stata sempre un po’ particolare. Ho sempre amato tantissimo cantare: già all’asilo insegnavo le canzoni agli altri bambini! Avevo la tendenza a far da leader positivo, una “croce” che mi sono sempre portata dietro.
Da piccola vivevi a Udine. Com’è stato crescere in quella città?
Non facilissimo, le persone avevano concezioni un po’ diverse dalla mia. Per indole, sono stata sempre abbastanza ribelle e ho portato sempre avanti le mie convinzioni. E questo è stato fondamentale: se hai un carattere debole, ti fai influenzare ed è difficile che tu riesca a dare qualcosa. A Udine, poi, non è che ci fossero molte cose da fare: o si beveva o ci si drogava.
E com’è che da Udine arrivi a Milano?
Ho iniziato il mio percorso a Udine. Ho fatto tutto ciò che potevo fare in Friuli, sia a livello giornalistico sia a livello di serate. È arrivato poi un momento in cui mi sono detta: “Ok, andiamo e prendiamoci Milano”, come se fosse la conquista di una tappa.
Ricordi com’è stato l’impatto con la metropoli che è per tutti la culla del rap in Italia?
Devo dir la verità, i primi anni sono stati molto difficili. Ho dormito a terra, ho vissuto in un appartamento senza neanche la serratura e ho trascorso due mesi senza nemmeno la corrente elettrica. È stata bella tosta. Poi pian piano si è sistemato tutto e ora sono contentissima della scelta fatta.
Mi hai accennato alle collaborazioni giornalistiche. Come sono nate?
Contattavo io i giornalisti e proponevo i miei lavori. Quando piacevano, venivano realizzate delle interviste. Questo è il primo momento della mia vita in cui mi appoggio a un ufficio stampa: ho sempre fatto tutto da sola. Ero pienamente convinta di ciò che volevo, determinata.
Hai aperto negli anni concerti importanti come quelli di Fedez, Fabri Fibra, Emis Killa, solo per citarne alcuni ma la lista è lunga. Qual è il tuo rapporto con gli esponenti del rap italiano? C’è sempre l’idea che i rapper siano uno contro l’altro.
Vado d’accordo più o meno con tutti. Ho sempre cercato di mantenere un buon rapporto con tutte le persone che mi circondano, anche a livello musicale. Non do mai modo che si verifichino situazioni di dissidi. Sto abbastanza sulle mie: se dovesse esserci qualcosa che mi da fastidio, mi faccio gli affari miei.
Avrei detto l’esatto contrario vedendo quanta forza manifesti nella tua musica.
Sono arrivata adesso a un grado di consapevolezza che mi permette di rimanere abbastanza neutrale. Quando qualcosa non mi va bene, chiudo i ponti, non rispondo più al telefono. Quando qualcuno mi fa incazzare, scompaio senza dare spiegazioni! Una volta, invece, ero molto più aggressiva: tiravo su dei litigi allucinanti. Oggi se non mi va bene una cosa, lo dico una, due, tre volte… dopodiché, ciao, addio!.
Ti hanno mai confusa con MissKeta?
Uh… facciamo musica più o meno dallo stesso periodo, lei dal 2010 credo e io dal 2009. Ci scambiano spesso oppure mi chiamano MissKeta. In quei casi rispondo che si sono confusi, che siamo due persone diverse.
Quest’anno hai già pubblicato due singoli, Diva e Cinema Paradiso. Cosa ci dobbiamo aspettare?
A giugno esce un nuovo singolo, si chiamerà Come le star. Parlerà tendenzialmente della vita, con un paragone tra l’Italia e l’America. E poi ci sarà una storia d’amore… ma non posso dire altro!
Immagino seguirà anche un video. I tuoi sono sempre molto particolari, simbolici e metaforici. Come nascono i concept? In Cinema Paradiso, realizzato in collaborazione con il regista Paolo Bianconi e il direttore artistico Davide Morelli, giochi con il bianco dell’abito da sposa e il rosso del sangue.
Ho un team di produzione con cui discutiamo cosa fare e i percorsi da prendere. A me piace giocare tantissimo con il sacro e il profano. Cerco di tirare fuori tematiche che spesso sono nascoste e di cui non si tende a parlare molto.
Mi dicevi che la canzone parlerà anche di una storia d’amore. Che rapporto hai tu oggi con l’amore?
Particolarissimo. Penso che sia anche colpa dei retaggi culturali innescati dalla società che ci portano a pensare che l’amore debba essere solo verso una persona. Io ho un concetto un po’ mio di amore, che mi porta verso il poliamore. Scindo anche molto il sesso dall’amore. L’amore è qualcosa che va oltre l’attrazione fisica mentre è il sesso è qualcosa di completamente diverso.
Sei molto attiva sui social. Non solo OnlyFans ma anche Instagram, Tik Tok, YouTube, Facebook. Che rapporto hai con i tuoi follower? E con gli haters?
Cerco di essere sempre presente. Rispondo quasi a tutti anche se, avendo due profili Instagram, non sempre è facile. Mi piace dedicare qualche minuto a coloro che mi seguono, vorrei essere una guida per loro. Agli haters oramai non faccio quasi più caso. Se una critica mi tocca, significa che c’è qualcosa che devo ancora elaborare e stanare in me. Se non mi tocca, invece, possono dire quello che vogliono.
Cosa vorresti che si scrivesse di te per renderti felice?
“Finalmente un’artista che coltiva la propria unicità”.