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Moise: “Urliamo il senso di inadeguatezza della Generazione Z” – Intervista esclusiva

Moise
I Moise, band milanese, tornano con un nuovo singolo, Tranne la mia, un inno dei sentimenti della Generazione Z, costretta a sentirsi diversa dagli altri. Abbiamo incontrato i quattro ragazzi per un’intervista in bilico tra la loro musica e la loro vita privata.

Tranne la mia (Star srl/RaRa Produzione/Ada Music Italy) è il nuovo singolo dei Moise, uscito in radio e sulle principali piattaforme lo scorso 20 gennaio. Inno pop rock di chi è condannato a sentirsi sempre diverso e inadeguato, Tranne la mia (prodotta da Adel Al Kassem e Luca Vitariello) riaccende i fari sul gruppo milanese che abbiamo visto durante l’ultima edizione di X Factor superare le audizioni e arrivare fino ai Bootcampa.

Quello dei Moise è un progetto che nasce nel 2021 per dare voce ai sentimenti di noia e frustrazione comuni alla loro generazione, la Gen Z, e derivati dal particolare periodo storico in cui ci troviamo. Tuttavia, i Moise suonano insieme da quand’erano pressoché bambini. Milanesi, i Moise sono composti da Greta (GR, voce), suo fratello Matteo (MT, batteria), Luca “Corbs” (LC, basso) e Luca Vita (LU, chitarra e produzioni).

Tutti ventenni, i Moise hanno le idee chiare su quello che vogliono e lo hanno già dimostrato con i loro singoli precedenti, Ho mandato tutto a puttane, Ti devi rovinare e Sesso & Openbar, tutte canzoni dall’attitudine punk e dal sound abrasivo. Tranne la mia è un pezzo piuttosto rancoroso in cui si esprimono i concetti del sentirsi diversi dagli altri, cosa che porta a una sensazione di solitudine, condita con anche un po’ di invidia”, spiegano nella nota di presentazione della canzone. “A tutto ciò non c’è una cura, tutta questa diversità viene espressa con una dose di ironia quasi sempre presente nei nostri pezzi e il tormentone 'tranne la mia' sottolinea proprio questa continuo confronto tra l’io e gli altri”.

TheWom.it ha voluto intervistarli in esclusiva per capire chi sono i Moise, artisticamente e privatamente. Ne è venuto fuori un confronto a più voci che testimonia come la Gen Z non sia solo quella descritta dai mass media, svogliata e senza prospettive.

I Moise.
I Moise.

Intervista esclusiva ai Moise

È appena uscito Tranne la mia, il vostro nuovo singolo. Come vi siete sentiti quando a mezzanotte la canzone è arrivata su Spotify?

GR: Personalmente, ho avuto la sensazione – abbastanza condivisa – di aver partorito. Perdonate il paragone, ma è sempre liberatorio: le canzoni sono un po’ come dei bambini e, quindi, quando vengono pubblicate è come averle date alla luce.

Chi di voi quattro si prende la responsabilità di raccontarmi di cosa parla?

Approfittiamo di Greta, è una donna e ha sempre la precedenza: lasciamo volentieri a lei la parola!

GR: In realtà, in questo gruppo, probabilmente sono l’ultima che di solito ha la precedenza… Tranne la mia di fatto è un po’ il grido disperato di chi si sente diverso.

Il tema di fondo è dunque quello dell’inadeguatezza, una sensazione abbastanza comune tra i giovani della generazione Z. Per molto tempo, siete stati quasi obbligati al silenzio perché non vi veniva data voce in capitolo. Ora, invece, potete finalmente urlare il vostro bisogno di autoaffermazione e la vostra unicità. Qual è il momento in cui vi siete sentiti inadeguati?

LC: Bella domanda… la risposta è un classicone ma quando c’è stata la pandemia. Il momento di riflessione personale vissuto mi ha portato a pensare e a sentire di essere io il problema e non il mondo intorno. Ciò ha dato inizio a una lunga fase di frustrazione.

GR: In realtà, più che durante la fase acuta della pandemia, io ho avvertito la sensazione di adeguatezza quando abbiamo tutti e quattro preso il CoVid. È stato in un secondo momento, quando venivano allentate le restrizioni. Mi sono ritrovata a casa mentre tutti gli altri potevano gioire della ritrovata libertà data dalla zona gialla. Tutti i miei compagni tornavano a scuola e io ero la sola in dad, come una cretina davanti al computer.

MT: Io e Greta siamo stati meno chiusi in camera rispetto ad altri. Nello stesso periodo lo hanno preso anche i nostri genitori e in definitiva facevamo tutto insieme. Se dovessi parlare del privato, racconterei una serie di momenti in cui mi sono sentito inadeguato. Ma preferisco concentrarmi sugli episodi lavorati inerenti al nostro progetto. Suoniamo insieme da tanti anni e fin troppe volte ci siamo sentiti dire come essere, cosa fare o come allinearsi a un mercato che magari in quel momento richiedeva altro. Ci sono stati periodi in cui in passato ci siamo anche messi a rincorrere le tendenze prima di far uscire la nostra musica. I nostri pezzi ormai rappresentano la nostra natura e non ce ne frega molto se poi non rientrano nel genere di punta.

LU: Iniziando a suonare insieme da piccoli, tanti sono stati i paragoni con cui abbiamo dovuto confrontarci. Abbiamo attraversato diversi generi ma rispetto a prima ora si può notare un cambiamento radicale. Sono cambiate le tematiche, le esigenze e chiaramente i bisogni anche emotivi. Abbiamo cambiato del tutto progetto e, quindi, anche nome.

MT: Abbiamo ritrovato la nostra dimensione. Abbiamo cominciato a pubblicare pezzi molto più tardi rispetto a quando abbiamo cominciato a suonare. Abbiamo ripreso gli strumenti in mano: nato durante il lockdown, quando non si poteva fare molto, il progetto Moise ci ha fatto ritrovare la voglia di suonare. In passato, era come se gli strumenti fosse qualcosa all’interno della musica: oggi invece sono proprio il centro.

GR: E chi eravamo si notava maggiormente nella dimensione live. Quando uscivamo con canzoni pop che non c’entravamo molto con noi, sul palco si vedeva la differenza: suonavamo rock. Ma poi è arrivato il momento che si siam detti facciamo quello che ci piace fare e basta. Ma, ritornando alla domanda, la vera sensazione di inadeguatezza l’ho vissuta forse durante il periodo delle scuole medie, dai 12 ai 14 anni.

Sono cresciuta con loro tre da quando avevo nove anni e nel periodo preadolescenziale odiavo tutto e tutti perché a nessuno dei miei coetanei interessava ciò che interessava a me, ovvero cantare con loro tre. Alla fine, passavo tutto il tempo con la band e non con gli altri: ricordo quegli anni come i peggiori finora vissuti, anche perché ho cominciato a pensare che quella sbagliata ero io. Mi sentivo a disagio in una situazione in cui tutti avevano idee lontane dalle mie.

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Quando è stato invece il momento in cui avete sentito il bisogno di ribellarvi a qualcosa?

GR: Penso di parlare a nome di tutti: è successo di recente ed è legato alla nostra esperienza a X-Factor, dove è andata in un determinato modo e l’abbiamo presa in un certo modo. La nostra performance sul palco non era andata male, siamo anche stati bravi come testimoniano l’accoglienza e gli applausi del pubblico. Vedere poi com’è andata a finire e sentire le parole che sono state spese nei nostri confronti ci ha fatto venir rabbia: “Se solo sapessero davvero quello che siamo” è stato il primo pensiero. L’abbiamo presa come un’ingiustizia e la voglia di ribellarsi a un ceto tipo di sistema non nascondo che c’era.

E come avete reagito a quella situazione?

GR: Scrivendo tante canzoni. Superata la delusione iniziale, analizzi le cose e deduci che probabilmente è andata come è andata non perché abbiamo sbagliato qualcosa ma perché probabilmente non eravamo adatti a quella situazione. Ci siamo schiariti le idee, siamo stati tra di noi e ci siamo un po’ coccolati a vicenda, com’è giusto che sia. La cosa più bella di un gruppo è quella di poter condividere le delusioni e uscirne tutti insieme: i problemi non si risolvono da soli.

E cos’è per voi la solitudine, di cui si parla anche in Tranne la mia?

MT: La solitudine secondo me è uno stato d’animo che alle volte ti credi da solo. Ho passato di recente tre mesi abbastanza brutti a causa di problemi sentimentali e ho capito che in solitudine si impara anche molto a conoscere se stessi. Quando si è in mezzo alle persone, rischi di non conoscerti a fondo.

GR: La solitudine è uno stato mentale, è il turbinio dei tuoi pensieri e nient’altro. Si può avvertire la solitudine anche stando in mezzo a milioni di persone. Non è tanto l’essere soli ma è il lasciarsi trasportare semplicemente da se stessi e non darsi la possibilità di uscire da quella gabbia mentale che ci si è creati.

I Moise.
I Moise.

Frequentate ancora tutti la scuola?

LU: Io sono l’unico che l’ha finita da un anno e mezzo. Ora faccio il musicista e ogni tanto cucino.

E si sopravvive a vent’anni facendo il musicista?

LU: Sono in realtà un produttore: è quello il mio lavoro. Sopravvivi se ti fai il culo per 17 ore al giorno e se sei persistente. Ho cominciato comunque a lavorare mentre ancora studiavo. Quando ho poi finito la scuola, mi sono chiuso in studio e con il tempo le cose sono letteralmente cresciute da sole. Al di là del talento o dello stesso, la perseveranza è la dote principale: vince su tutto. Oggi produco tutti i giorni ma ho mai chiesto di produrre nessuno.

E voi che scuola frequentate?

GR: Faccio il linguistico. Questo è l’anno della maturità e sono a pensarci tra novembre e dicembre ho dormito qualcosa come due o tre ore a notte: non immagino cosa accadrà a maggio! Quando mi chiedono come faccio a coniugare musica e scuola, non so rispondere in maniera oggettiva: l’organizzazione non è il mio forte! Ho semmai la fortuna di concentrarmi per riuscire bene nello studio anche dedicandogli poco tempo.

Tuttavia, ammetto che ci vuole sacrificio. Le mie amiche vanno a letto la sera alle undici mentre io non posso farlo. La maggior parte delle volte suoniamo la sera e prima di mezzanotte non finiamo. Ma non ho mai tolto ore ai Moise: tolgo semmai allo studio, al sonno o alle relazioni sociali. Fortunatamente, loro tre sono anche i miei migliori amici: chi mi sta accanto sa che i miei tempi sono diversi da quelli degli altri. E chi mi vuol bene sa aspettare: anche il mio fidanzato è un musicista e capisce le mie esigenze.

MT: Io continuo a studiare musica. Frequento il CPM, una scuola simile al conservatorio. Mi manca ancora un anno e ho finito: sinceramente, ho tanta voglia di mettermi a lavorare a pieno regime e di dedicarmi alle cose che mi piace fare. A scuola non sempre è così. Ho voglia di fare il musicista a tempo pieno anche se so che in questo periodo ci sono molte difficoltà: più che altro c’è meno richiesta di musicisti e c’è tanta gente che vuol far musica.

LK: Io ho quasi finito il Conservatorio a Milano. Frequento il dipartimento Pop Rock, a cui si accede fondamentalmente con qualsiasi strumento pop. Io studio basso, il mio strumento, ma ci sono ovviamente altre materie da seguire che ti aprono la mente anche sugli altri strumenti.

Non ve ne siete resi conto ma dalle vostre parole sono usciti quattro elementi chiave: perseveranza, sacrificio, voglia di lavorare e apertura mentale.

LU: Senza queste quattro caratteristiche è impossibile arrivare a un certo livello. È importante che siano presenti nella tua forma mentis se vuoi affrontare un percorso più professionale e di crescita. Ti danno la marcia in più. So che fa effetto sentirselo dire da un ventenne ma l’età è relativa: fa molto l’esperienza. Facciamo questo da una vita, ne conosciamo le voglie ma anche le pressioni. È più quello che impari facendo che quello che pensi di sapere non facendo.

E non solo. Smentite anche tutti i luoghi comuni sui giovani che non hanno voglia di fare nulla.

GR: Se lo sentivano dire anche i nostri genitori o i nostri nonni: fa parte dello scontro generazionale. Rispetto a loro però sono cambiate le esigenze. Un ragazzo della nostra età se non vuole ad esempio andare a lavorare è per non fare lo schiavo o essere sottopagato. In quei casi, non abbiamo voglia di fare nulla perché non vogliamo essere calpestati. Vogliamo fare ciò che scegliamo noi: probabilmente siamo più mirati verso l’obiettivo di quanto in realtà si pensi.

Le quattro parole che sono emerse dipendono anche dalle fasi di vita che ognuno di noi sta vivendo. Sulla perseveranza, riparliamo tra cinque anni.

Non vi ho ancora fatto la domanda delle domande: perché vi chiamate Moise?

GR: Facevamo le prove a Varese, nella casa dei genitori di uno di noi. Sistemavamo il computer su un tavolo che aveva ancora il cartellino dell’Ikea: il tavolo Moise… è nato tutto così!

Saranno contenti quelli della catena di negozi…

LU: Io mi divertivo ad andare. Avevo prima un sacco di capelli, ce li ho ancora, ma erano lunghi. Andavo lì e rubavo tutte le matite che potevo e le portavo a scuola per fare un gioco con i compagni. Nascondevo le matite tra i capelli e chiedevo loro quante fossero: sono arrivato anche a 70! Era il mio periodo cleptomane, anche se in realtà rubavo solo cose che erano gratis… poi, ho scoperto che in un’altra catena davano gli orsacchiotti: è stato bellissimo!

GR: Ma si portava via anche i metri di carta, quelli per misurare i mobili!

LU: Ma quelli poteva tornare sempre utili… per la metrica!

Greta, com’è essere l’unica ragazza in una band con tre ragazzi?

GR: Sono cresciuta con loro. Mi hanno sempre trattata da sorella minore e non da cantante del gruppo. Motivo per cui sono stata presa in giro il triplo! Il bello è però che non mi hanno mai fatto mancare la sensazione di protezione: senza di loro, non farei nulla. La musica siamo noi quattro insieme. A differenza di loro che hanno esperienze anche con altri (mio fratello è musicalmente poliamoroso!), non sono ancora pronta a vivere situazioni in cui loro non ci siano. Per paura, non sono ancora pronta a non sentirmi al sicuro.

E per voi com’è stare in un gruppo con una cantante donna?

LU: Ah… il più delle volte i cantanti e non solo lei non capiscono un c**zo di cose tecniche. Dopo dieci anni insieme, ha imparato solo la scorsa settimana ad attaccare dei cavi al mixer. Capite perché poi la prendiamo in giro?

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