È da poco arrivato in radio Caffè (Joseba Label), il nuovo singolo di MonnaElisa, giovane cantautrice romagnola. È una canzone leggera che parla però di un tema pesante, se vogliamo, l’amore turbolento, lo stesso che MonnaElisa ha vissuto per un certo periodo della sua vita.
Nata a Forlì vent’anni fa, MonnaElisa risponde al nome di Elisa Malpezzi, che sin da bambina alle bambole o alle altalene preferiva le chitarre, tutte colorate e piene di adesivi. Ha cominciato suonando da piccolissima in playback le canzoni di Jimi Hendrix, non uno qualunque, in casa e non ha più abbandonato le corde e le note. Sognava di far la chitarrista da grande ma poi ha scoperto la forza della sua voce.
E 18 anni Elisa è come rinata scegliendo il suo nome d’arte, MonnaElisa, “proprio come quella tizia del quadro, minuscola ma capace di attirare a sé lunghe ed infinite file di persone, per un momento, una foto, o anche solo un io c’ero”. Con la voglia di arrivare in alto, ha già calcato il palco di Area Sanremo con il brano Gaia e ora sotto l’ala protettiva di Gianni Testa sta lavorando al suo EP.
Intervista esclusiva a MonnaElisa
Di cosa racconta Caffè?
Caffè è una canzone che parla di un amore turbolento. L’ho scritta in un periodo abbastanza complicato della mia vita in cui avevo assoluto bisogno di leggerezza. Diciamo pure che l’ho scritta per necessità ma in un modo molto semplice e tranquillo. Non volendo che il messaggio arrivasse in maniera pesante, ho cercato di accompagnarla con una musica allegra e divertente.
Periodo difficile perché vivevi in prima persona un amore turbolento?
Sì, non sapevo come uscire dalla situazione scomoda che si era creata. Per fortuna, ce l’ho poi fatta ed è così che è venuta fuori la canzone.
Caffè è figlia di un percorso di consapevolezza in cui grande ruolo sembra aver giocato l’incontro con una drag queen, Leila Star.
L’incontro è stato talmente determinante che ho rivoluzionato il concept del video della canzone. Doveva essere molto più semplice ma a ridosso delle riprese ho conosciuto Leila Star. È una drag queen fantastica che mi ha dato un’incredibile lezione di vita sulla libertà e sull’amore libero, cosa di cui avevo bisogno in quel momento. Collegando tutto quanto, mi è venuta voglia nel video di raccontare dell’amore per com’è, in ogni sua sfumatura e senza confini. E infatti nel videoclip si vedono i due protagonisti, io e un ragazzo, da sconosciuti che si stanno conoscendo avvicinarsi pian piano fino ad amarsi, diventando lui drag queen e io drag king. Tutto ciò per evidenziare che, quando si ama, si accettano pregi, difetti e ogni tipo di diversità.
Chi è MonnaElisa dopo quel percorso di consapevolezza?
MonnaElisa è una ragazza che fa tutto per la sua musica, che ha voglia di arrivare sempre più in alto e che cerca di far conoscere la sua arte e il proprio modo di sentire le cose a quanta più gente possibile.
Hai oggi vent’anni ma da quanto tempo pratichi musica?
Ho iniziato a strimpellare la chitarra quando avevo cinque anni. Ho seguito lezioni per dieci anni ma poi ho continuato per i fatti miei. Quattro anni fa, ho cominciato invece le lezioni di canto: sono arrivate dopo perché inizialmente volevo diventare una chitarrista, una rockstar… poi, invece, i miei piani sono cambiati.
Cosa li ha fatti cambiare?
Ho scoperto di saper scrivere. Scrivere è un’attività che mi alleggerisce tantissimo l’anima e mi fa stare da Dio. Ho scoperto anche di avere una bella voce e, quindi, mi sono innamorata del canto: l’esternazione della mia espressione artistica non solo attraverso la chitarra ma anche attraverso la voce crea un’intimità incredibile.
È facile coronare il proprio sogno di musicista quando si vive in una piccola città come Forlì?
Non l’ho ancora coronato: di strada da fare ce n’è ancora tanta… Forlì e il suo essere così piccola mi hanno la spinta di uscire, guardiamo il lato positivo.
Come ti vedono i tuoi coetanei?
Non lo so… le persone con cui giro mi ammirano molto. Mi reputo fortunata a essere circondata da persone fantastiche che credono in me e nella mia mucica: mi accompagnerebbero anche in capo al mondo!
Tu chi chiami Elisa ma hai scelto come nome d’arte MonnaElisa. Perché?
È una stupidaggine ma la racconto volentieri. In terza media sono andata con la mia famiglia in Francia e abbiamo visitato il Louvre. Ricordo ancora l’hype per la possibilità di vedere da vicino la Monna Lisa, la mitica Gioconda di Leonardo… solo che, quando sono arrivata al suo cospetto, il quadro era talmente minuscolo che facevo fatica a vederlo con tutta la fila di gente che avevo davanti e le transenne che comunque distanziavano di molto. Ci sono rimasta malissimo!
Quando si è trattato di pensare al mio nome d’arte, mi son detta che tutta quella gente, che faceva una fila immensa per vedere la Monna Lisa un quadro che alla fine è minuscolo, poteva anche far la fila per venire ai miei concerti e vedere qualcosa dalle dimensioni maggiori se avessi avuto, scaramanticamente, il suo stesso nome. Partivo avvantaggiata dal fatto di chiamarmi Elisa e quindi… MonnaElisa!
Quali sono i tuoi modelli di riferimento musicale?
La mia matrice musicale si fonda sul cantautorato italiano: Baglioni, Ranieri, Mina, tantissimo De André… ma anche sul rock straniero e, in particolare, su Jimi Hendrix. E c’è un perché. I miei genitori avevano in casa un disco di Hendrix: da piccolissima lo facevo mettere su e fingevo di suonare i suoi assoli con le chitarrine che mi facevo regalare… è nata così la mia passione per la chitarra.
Cosa dà oggi il grande cantautorato italiano a una ragazza della Generazione Z come te?
Ascolto anche i generi che vanno di moda oggi, dal rap alla trap (molta!). Ma preferisco il cantautorato italiano perché ho bisogno di grandi parole: la musica di oggi è molto veloce e frivola. A volte sembra che molte canzoni siano buttate lì: non sono destinate a durare nel tempo come accadeva una volta. Oggi c’è la corsa a essere sempre presenti sul mercato per non cadere nell’oblio non pensando alla qualità: in passato, invece, ci si poteva permettere anche di prendersi cinque e sei anni per lavorare a un nuovo disco e farlo uscire solo quando era come si voleva, non pensando solo alla commercialità dei testi. Manca la cultura dei vocaboli, cosa che invece ritrovo nel grande cantautorato italiano, che continuo ad ascoltare perché ho bisogno di arricchirmi: dal passato si può trarre tantissimo.
Hai già alle spalle la partecipazione ad Area Sanremo con il brano Gaia. Che esperienza è stata?
Un grande figata, posso dirlo? L’esperienza è stata magica in sé ma mi ha poi aperto tantissime altre porte. Se non fosse stato per Area Sanremo, tre settimane fa non sarei mai salita sempre a Sanremo su un palco all’aperto con l’Orchestra Sinfonica di Sanremo per una serata in memoria di Vittorio De Scalzi. Mi ha anche permesso di cantare sul palco del Suzuki Stage, il palco parallelo all’Ariston durante il festival.
Che emozione ti ha dato cantare davanti a tanta gente che per la prima volta ti sentiva dal vivo?
È stata una bella botta. Quel momento mi ha permesso di capire che da lì in poi avrei dovuto dare tutta me stessa in quel che facevo perché mi sentivo troppo viva. Adesso nella mia testa esiste solo la musica.
Se ti chiedessero un giorno di fare una canzone tiktokabile, a cosa non potresti mai rinunciare?
Se mi mettessero in bocca parole che io assolutamente non sento, non penso che ce la farei. Non vorrei mai farlo ma nella vita non possiamo mai prevedere cosa ti capiterà. Spesso si firmano dei contratti e ci si ritrova poi davanti a scelte obbligate: è molto facile vendersi, non vorrei mai e poi mai farlo, ma purtroppo a volte bisogna scendere a compromessi o trovare vie di mezzo.
È difficile essere una giovane cantautrice?
È più facile essere uomini, sempre e comunque. Anche se artisticamente negli ultimi tempi le donne stanno prendendo molto piede e potere. Nel mio piccolo, riesco a risultare credibile a attirare l’attenzione che voglio.
Quale sarebbe la forma massima di potere artistico a cui aspiri?
Avere tre date di fila sold out a San Siro, ma senza biglietti regalati o svenduti! Significherebbe che sono arrivata anche abbastanza in là con i miei sogni.
Che peso dai ai commenti che ricevi sui tuoi profili?
Non ne ricevo ancora migliaia ma spesso, dopo i live, mi arrivano messaggi di persone che si sono emozionate tanto e che hanno poi sentito il bisogno di dovermelo dire scrivendomi: è la parte più bella del fare musica. Se i commenti dovessero essere negativi, sarei abbastanza forte da reggerli: prima, però, quando ne leggevo uno, sentivo come un vuoto allo stomaco… nessuno pensa mai che dall’altro lato c’è sempre una persona come loro.
Sei nata il 25 aprile, giorno dell’Anniversario della Liberazione. Cosa significa per te libertà?
Non temere di essere se stessi e non essere ostacolati nell’esserlo. In passato, ho avuto paura di essere me stessa ma ho imparato con il tempo ad amarmi: fortunatamente, ho solo vent’anni e ancora tanto tempo per essere veramente io. Ho capito che non c’era niente di più importante grazie alla mia psicologa: nella vita tutti abbiamo bisogno di una ma anche più chiacchierata con lo psicologo per conoscere se stessi, amarsi, volersi bene e fare sempre meglio.
È fondamentale cercare di migliorarsi sempre e da soli non sempre ci si riesce: si arriva a un certo punto ma poi non si va oltre. Per molti ancora oggi andare dallo psicologo significa ammettere di essere debole e di aver bisogno d’aiuto ma non è così: andare dallo psicologo vuol dire essere forti e aver bisogno di crescere, lavorando su se stessi e scavando anche negli angoli più traumatici o brutti. È una delle dimostrazioni di forza più grandi che possano esserci: per scavare, devi avere veramente voglia di stare bene, di aprirti a qualcuno e di lasciarti aiutare.