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Mur: Kasia Smutniak debutta alla regia con un film utile e necessario sulla crisi della migranti

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Per Mur, il suo film d’esordio come regista, l’attrice Kasia Smutniak si reca nella proibita “zona rossa” polacca per far luce sulle politiche di confine del suo Paese d’origine e sulla crisi dei rifugiati dell’Unione Europea.

Kasia Smutniak, attrice di tanti film e serie tv apprezzati dal pubblico, esordisce dietro la macchina da presa con il documentario Mur, presentato in anteprima mondiale al Festival di Toronto prima e al Festival di Roma dopo. Nel film Mur, prodotto da Fandango, Smutniak affronta un viaggio in Polonia, sua terra d’origine, scandito da una serie di muri: quello del ghetto ebraico davanti al quale è cresciuta e quello costruito dal governo al confine con la Bielorussia per respingere i migranti provenienti dalla Siria.

Alcuni muri sono insormontabili, invisibili e dividono le persone in esseri umani degni di simpatia e coloro che non la meritano. Muri che sono foreste, filo spinato e che a volte diventano porte aperte come nel caso dell'accoglienza dei profughi ucraini, appena 200 Km sotto quella stessa foresta di torture dove vengono braccati i migranti richiedenti asilo.

Mur sarebbe stato il perfetto contraltare del film Green Border che, diretto da Agnieszka Holland, altra regista donna che al Festival di Venezia ha presentato un’opera dura e allo stesso tempo commovente sul confine polacco e sulla crisi dei rifugiati.

L’ipocrisia dell’Europa moderna

Da bambina, Kasia Smutniak giocava sotto la finestra di sua nonna, affacciata sulle mura di quello che mezzo secolo prima era il famigerato ghetto ebraico di Lodz, in Polonia. L’attrice ha lasciato la sua terra natale da ragazzina ma è tornata negli anni spesso a casa e ha mantenuto stretti legami con il posto che le ha dato le origini.

Durante uno dei viaggi in Polonia fatto da adulta, si è però ritrovata di fronte alla realtà di un muro diverso: ad attraversare il confine lungo 416 chilometri con la Bielorussia c’è una barricata d’acciaio e filo spinato di 186 chilometri, eretta per respingere i migranti che, provenienti per lo più dal Medio Oriente, tentavano di entrare nell’Unione Europea per cercare rifugio.

Per il suo primo film da regista, Mur, Smutniak si reca così nella cosiddetta “zona rossa”, un’area vietata della Polonia orientale all’interno della foresta di Bialowieza, la più antica e fitta d’Europa, nota per essere brulicante di paludi e branchi di lupi. Qui, i migranti si ritrovano con la loro disperazione intrappolati in una sorta di limbo politico. Secondo sopravvissuti e attivisti, vengono picchiati e derubati dalle guardie di frontiera e morsi dagli animali per impedire loro di chiedere asilo.

In Polonia, l’argomento migrazione è una questione politica urgente e determinante. Mur, il film di Kasia Smutniak, procede a ritmo di thriller per rivelare come ci siano muri invisibili, insormontabili e costruiti appositamente per dividere gli esseri umani in due categorie, quelli verso cui provare simpatia e quelli invece da osteggiare. Certe barriere, infatti, non esistono per i rifugiati ucraini, che invece trovano le porte aperte. E, così facendo, la sua coraggiosa indagine si trasforma in un’osservazione stridente ma necessaria sull’ipocrisia dell’Europa moderna.

Mur: Le foto del film

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