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Muta Imago: “Le nostre tre sorelle, una riflessione sul tempo e sulla vita” – Intervista esclusiva

A Roma va in scena a teatro Tre sorelle dei Muta Imago, una delle compagnie teatrali più giovani, sperimentali e apprezzate d’Italia. Partendo dal classico di Cechov, viene fuori una riflessione sul tempo, sui ricordi e sulla vita, ma anche sulla condizione femminile, con pennellate di Virginia Woolf.
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Dal 9 al 14 maggio il Teatro di Roma – Teatro India ospita Tre sorelle nell’allestimento del duo romano Muta Imago. Si tratta del terzo capitolo di indagine sul tempo, sulla vita e sulla paura della morte iniziata con l’installazione Sonora Desert, proseguita con lo spettacolo Ashes e ora in confronto per la prima volta con un classico della drammaturgia teatrale firmato da Cechov.

Reduci dal Premio Ubu 2022 Miglior Attore e Miglior progetto sonoro, i Muta Imago riscrivono Tre sorelle con la regia di Claudia Sorace, la drammaturgia e il suono di Riccardo Fazi, con l’interpretazione di tre attrici che danno vita a tre voci di uno stesso corpo (Federica Dordei, Monica Piseddu e Arianna Pozzoli) e le musiche dal vivo di Lorenzo Tomio.

Riccardo Fazi e Claudia Sorace, i Muta Imago.
Riccardo Fazi e Claudia Sorace, i Muta Imago.

Intervista esclusiva a Claudia Sorace dei Muta Imago

“Per noi il periodo del CoVid è stato abbastanza particolare, oserei dire bello: abbiamo fatto tanta radio per un progetto legato al Teatro India e, seppur in un periodo di sospensione delle nostre attività per una pausa mondiale, siamo stati in relazione con altre persone, anche se in modo diverso”, esordisce Claudia Sorace, regista dei Muta Imago dopo che i nostri saluti cadano casualmente sull’argomento pandemia e prima di addentrarci in Tre sorelle.

“Ma ho come l’impressione che quello che abbiamo vissuto non ci abbia insegnato nulla: siamo ora tutti tornati a lavorare con una velocità incredibile. Anche a teatro: si organizzano spettacoli uno dopo l’altro ma che poi fanno fatica a girare. Dovevamo cogliere l’opportunità di essere migliori in qualche modo e invece no”.

Chi sono i Muta Imago?

I Muta Imago siamo io e il drammaturgo Riccardo Fazi, che si occupa anche del suono. Pur avendo responsabilità diverse, siamo in continuo dialogo. Si lavora sempre bene, in generale, quando si ha a che fare con persone che sono aperte al dialogo.

Muta Imago: a cosa si deve il vostro nome?

Lo abbiamo scelto ancor prima di cominciare a lavorare e lo abbiamo mantenuto nel tempo perché, andando avanti, vi abbiamo trovato come una corrispondenza con quello che facciamo, una corrispondenza che in passato non capivamo neanche noi. Muta Imago fa riferimento alla maschera di cera che gli antichi poneva sul volto dei morti come per fermare il tempo. Letteralmente, vuol dire proprio “ritratto silenzioso” e i nostri lavori sono un po’ dei ritratti silenziosi, nati dalla volontà di raccontare senza spiattellare troppo.

Muta Imago Tre sorelle
Un momento di Tre sorelle dei Muta Imago.

Siete reduci da un premio importante, l’Ubu, e possiamo definirvi una compagnia sperimentale. Cosa spinge allora una compagnia sperimentale come Muta Imago a cimentarsi in un adattamento di Tre sorelle di Cechov?

Direi che quello con Cechov è stato un incontro abbastanza illuminante. Da un bel po’ di anni stiamo portando avanti una riflessione sul tempo in rapporto alle nostre identità, su come ci definiamo rispetto al tempo e alla sua percezione, e quindi anche sull’idea di finitezza della vita stessa intesa come ciclo. Durante la pandemia, tutti quanti abbiamo avuto modo di riflettere sul tempo ma noi in realtà lo facevamo già da prima.

Da cinque anni lavoriamo sull’idea che ci arriva dalla fisica e dalla neurobiologia secondo cui quel tempo che percepiamo come cronologico non corrisponde al vero: il tempo è invece contemporaneo e sta tutto insieme. La nostra percezione ce lo conferma in maniera intuitiva quando sogniamo o ricordiamo. Se torniamo ad esempio in una casa o in luoghi che sono stati importanti per la nostra vita, i ricordi che tornano fuori fanno sì che passato e presente coincidano.

Prima di Tre sorelle, abbiamo dedicato altri due progetti al tempo. Il primo era Sonora Desert, una sorta di concerto e installazione in cui una serie di persone, in una sala centrale molto grande, si sdraiano e vengono sottoposte a una serie di stimoli sonori e luminosi che generano reazioni: un’esperienza che, attraverso la luce, la musica e alcune pagine scritte di un diario, permette un viaggio attraverso i propri tempi ma nella propria mente. Ci siamo presentati al pubblico lavorando sulla percezione dello spettatore e sull’immaginazione: in fondo, la nostra mente è il mezzo più rapido e personale con cui possiamo viaggiare attraverso i nostri tempi.

C’è stato poi Ashes, un racconto sonoro costruito con le voci degli attori. Il passaggio tra i vari tempi avveniva attraverso i suoni e il loro flusso di percezioni.

In relazione a ciò, Tre sorelle ci è sembrato quasi una tappa obbligata. Ci siamo resi conto che altro non era che la storia di tre donne che nel salone principale della casa in cui ritornano attraversano tutti i loro tempi. La primissima battuta di Olga è “Un anno fa, oggi, morì nostro padre nel giorno del tuo compleanno, Irina. E allora era bel tempo come 11 anni fa, quando siamo arrivati in questa casa”. In quel momento esatto, coincidono diversi tempi: un anno fa, undici anni fa e il presente del compleanno.

Siamo una compagnia sperimentale che non ha nulla contro i testi classici. Abbiamo lavorato tanto sulla drammaturgia originale ma sempre in relazione a testi e fonti che, seppur non esplicitate, erano fondamentali. Non le esplicitavamo semplicemente per rispetto verso lo spettatore, che non va sempre imboccato ma deve stare al gioco e dialogare alla pari con lo spettacolo.

Tra i testi che hanno influito sull’adattamento dei Muta Imago di Tre sorelle ci sono i diari di Virginia Woolf.

In fase di studio, ci siamo accorti che tra Tre sorelle e i diari di Virginia Woolf ci sono delle simmetrie incredibili, a partire dalla data in cui è stata pubblicata l’opera di Cechov, il 1902, periodo in cui la scrittrice appuntava ciò che lei e la sorella Vanessa condividevano. Tra le due, c’era una complicità molto forte che è la stessa delle tre sorelle, una complicità data dal fatto di essere costrette al ruolo di donne a servizio dei maschi della casa.

Nonostante la condizione, le Woolf come le tre sorelle continuavano a cercare di conquistare pezzi di spazi privati. E, come se non bastasse, sia le Woolf sia le tre sorelle perdono il padre alla stessa età dopo aver perso anni prima la madre. La morte del padre è in entrambi i casi centrale perché le donne rimangono sole. Il padre in qualche modo rappresenta Chronos, l’ordine della loro vita stessa: la sua scomparsa le fa entrare in una dimensione temporale completamente diversa, in cui anche l’ordine quotidiano deve essere riorganizzato.

Non è un caso che per Virginia Woolf la scomparsa del padre ha coinciso con l’occasione del suo diventare scrittrice: ha finalmente potuto decidere della sua vita. Quindi, attraverso le parole della scrittrice è come se avessimo capito meglio la condizione interiore delle tre sorelle.

Un momento di Tre sorelle dei Muta Imago. con Federica Dordei, Monica Piseddu e Arianna Pozzoli in s
Un momento di Tre sorelle dei Muta Imago. con Federica Dordei, Monica Piseddu e Arianna Pozzoli in scena.

Tre sorelle porta in scena tre differenti donne che finiscono per diventare tre voci di una donna sola.

Partendo da ciò che sono le linee individuali dei tre personaggi, l’esplosione del tempo fa sì che le questioni e le problematiche di vita affrontate da ognuna di loro tornino nella vita anche delle altre. È quindi come se fossero tutte e tre la stessa persona ed è qualcosa che abbiamo voluto rappresentare con una corrispondenza anche fisica tra le tre attrici in scena. Federica Dordei, Monica Piseddu e Arianna Pozzoli in qualche modo si somigliano e danno vita a un flusso di coscienza in cui non si capisce quasi chi è delle tre a parlare. Chiaramente ognuna ha la sua linea ma abbiamo lavorato sulla sincronia tra loro tre in scena: il movimento di una corrisponde al movimento di un’altra, così come la battuta di una lascia emergere la battuta di un’altra.  

Tre sorelle in originale è una riflessione sulla disillusione. Nella vostra rappresentazione, il ricordo assume invece il valore quasi della speranza.

È una questione che ci siamo posti. Le tre protagoniste sono diverse tra loro e si fanno domande che spesso vengono messe a tacere da tutti gli altri. Ciò le rende chiaramente più vulnerabili anche rispetto alla disillusione e all’idea di sconfitta. Però, allo stesso tempo, da questo punto di vista il finale è piuttosto dogmatico e conserva comunque la possibilità di una speranza: con la partenza dalla casa, si liberano dalle voci di cui sono state ossessionate e sono pronte per una nuova vita… c’è in loro piena consapevolezza delle difficoltà della vita ma anche della volontà di non abbandonarsi a esse, con Masa che lancia un bel monito universale a tal proposito.

Anche nel caso di Tre sorelle le musiche sono fondamentali. Portano la firma di Lorenzo Tomio.

Le musiche sono eseguite dal vivo: Lorenzo è come se fosse un quarto attore in scena. Ci aiuta a sostenere tutti gli stati d’animo e i passaggi di emotività.

A proposito di ricordi, qual è stata la difficoltà maggiore nel mettere mano a Tre sorelle?

Quello di Tre sorelle è stato un percorso bellissimo. L’incontro con le tre attrici è stato splendido perché sono persone di una ricchezza incredibile, sia attoriale sia umana. Ma è stato anche un percorso complesso: è molto ambizioso come lavoro, mette tanti elementi insieme e necessitava di un’esplorazione continuamente condivisa. Abbiamo passato tutta la prima parte delle prove a porci e condividere delle domande: non è scontato ma abbiamo potuto farlo perché abbiamo incontrato delle interlocutrici con un certo livello di sensibilità e di riflessione intellettuale che non sempre è facile trovare. Federica, Monica e Arianna erano chiamate non solo a restituire l’idea di un corpo solo ma anche a mettersi molto in gioco: le parole che pronunciano non sono solo dette ma anche ricordate e create.

Occorreva una certa concentrazione: non amo infatti definirle interpreti o semplici narratrici. In scena sono creatrici e sono chiamate a uno scambio continuo per cui, come qualsiasi attore dovrebbe imparare a fare, hanno messo da parte il loro ego per mettersi al servizio della rappresentazione.

Un momento di Tre sorelle dei Muta Imago. con Federica Dordei, Monica Piseddu e Arianna Pozzoli in s
Un momento di Tre sorelle dei Muta Imago. con Federica Dordei, Monica Piseddu e Arianna Pozzoli in scena.

Si incontrano molte difficoltà nell’essere una regista donna sperimentale?

Si ma non si può essere diversi da come si è, non tutto si sceglie. Io non ho scelto di fare teatro in questo modo perché l’ho deciso: è semmai quello che più sento, che mi piace e che noto piace anche al nostro pubblico, in grado di dialogare con quanto sta vedendo. Probabilmente, le nostre rappresentazioni non spiegano, non divertono e non intrattengono ma dialogano con il pubblico. Non potrei quindi essere diversa e non potrei presentare altro: è difficile ma non c’è altra via possibile.

Com’è iniziato il tuo percorso?

Con l’idea di lavorare subito sulla regia. Non sono un’attrice che è diventata dopo regista ma, al di là di qualche esperienza da performer sul palco, ho sempre voluto stare dietro. Mi piace molto lavorare con gli attori e con le attrici ma non in prima linea.

Dopo il liceo, avevo cominciato l’università, iscrivendomi a Lettere con indirizzo Spettacolo. Dopo due anni, però, ho deciso di lasciarla: non mi bastava lo studio teorico e dogmatico. Ti insegnano ad esempio che Brecht e Stanislavskij sono uno l’opposto dell’altro ma, quando si scopre che hanno anche collaborato, si realizza che proprio così non era…

Da Roma mi sono quindi trasferita a Milano per studiare alla Paolo Grassi, dove a differenza di altre accademie o scuole attori e registi lavorano in sinergia e collaborazione.

Il teatro, quindi, è presente nella tua vita sin da giovanissima. Cosa ti attraeva maggiormente?

Ciò che mi emoziona ancora oggi: lo spazio buio, la sala nera che diventa un luogo di pensiero e di espressione così diverso da quello della vita quotidiana, fatta di incombenze, perdite di tempo e pensieri vari. L’alterità del teatro ti immerge in un luogo di concentrazione che è simile al sogno: non riuscirei mai a vivere soltanto nella vita pratica, come la definiva Virginia Woolf, quella della linearità, dell’efficienza e dell’incombenza del farò.

Hai ricordi del primo spettacolo visto da bambina?

Alle medie sono andata a vedere con la scuola la rappresentazione di un’opera di Pirandello a teatro. A fine spettacolo, ho continuato a chiedere alla mia professoressa come mai gli attori parlassero come dei tromboni. Non lo capivo e nemmeno la professoressa sapeva cosa rispondermi: aveva talmente introiettato quel codice da non porsi la domanda. E me lo chiedo ancora oggi perché certi attori parlino o si muovono in un determinato modo: ne ho incontrati tanti di tromboni!

Un momento di Tre sorelle dei Muta Imago. con Federica Dordei, Monica Piseddu e Arianna Pozzoli in s
Un momento di Tre sorelle dei Muta Imago. con Federica Dordei, Monica Piseddu e Arianna Pozzoli in scena.
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