Con o senza make up, è difficile contenere la forza di Narciso. Drag singer e cantautore, Narciso ha appena lanciato il suo primo singolo, Make Up (Indieffusioni), per l’appunto, un brano che, scritto con Roberto Casalino e prodotto da Francesco Tosoni, è un inno al prendersi cura di se stessi.
Contro tutti i pregiudizi e i bla bla bla che ci condizionano, Make Up è per Narciso una sorta di piccolo manifesto: ogni volta che non vi sentite adatti al contesto che ci circonda, indossate l’abito con cui vi sentite più a vostro agio e andate oltre l’ossessione dell’aspettativa. In un mondo che ci vuole a tutti i costi vincenti, Narciso con Make Up ci invita a capire che la vera vittoria è il rispetto della propria unicità. Siamo tutti diversi perché unici: niente può scomporre il vostro Make Up ma soprattutto il vostro io.
Drag queen dal look androgino, dalla mente fortunatamente accesa e dal sorriso contagioso, Narciso di pregiudizi e stereotipi ha dovuto abbatterne tanti. Nel corso di quest’intervista esclusiva, ci racconta del suo essere un bambino percepito come diverso solo perché studiava canto e danza. Ma anche del suo essere un adolescente bullizzato, non solo a parole, quando ancora nemmeno lui aveva dato un senso alla propria identità.
Tuttavia, non lo fa con vittimismo o perché è alla ricerca di una storia facile da clickbait. Lo fa perché ha sposato una battaglia che vuole essere tutte quelle di chi nella vita si è sentito sconfitto. E la sconfitta non è quella da Drag Race Italia, il programma a cui ha partecipato e da cui è stato eliminato alla prima puntata. No, la sconfitta è quella di chi vorrebbe cancellare il “diva divina” che vive dentro ognuno di noi, come canta Narciso in Make Up.
Intervista esclusiva a Narciso
Make Up è il tuo singolo di debutto. Cosa rappresenta per te?
Make Up non è solo un brano che rappresenta esteticamente ciò che sono ma è anche un brano che mi ha aiutato a mettere a nudo la mia anima, a mettere per iscritto qual è la mia essenza. Ed è l’essenza di tante persone che in me riescono a rivedersi. Sicuramente nella vita di ognuno c’è sempre un momento di difficoltà. Io vivo con il costante mantra di Sale el sol di Shakira: dopo un giorno di tempesta, quando meno te l’aspetti, sorge il sole. È un po’ come il mito di Narciso: deve morire per poter rinascere e sbocciare in uno splendido fiore.
Make Up ha proprio l’obiettivo di creare un safe place, un posto per tutte quelle persone che come me sono arrivate a un certo punto della vita a sentirsi spente e a nascondere la propria scintilla ma sono riuscite a risorgere, a rinascere e a brillare, al di là di tutto. Come dico nel testo del brano, è importante prendersi cura di se stessi, bisogna andare oltre tutti quei bla bla bla che vivono costantemente intorno a noi… ma che sono spesso anche nella nostra testa. Non dimentichiamoci che il nostro primo nemico siamo noi stessi: l’auto sabotaggio è sempre dietro l’angolo.
L’auto sabotaggio è sempre dietro l’angolo perché molto spesso è frutto proprio di quei bla bla bla esterni che riescono a condizionarti fino al punto di auto sabotarti.
Sicuramente è frutto di tante influenze che provengono da fuori. Vivere in una società come quella di oggi non è facile. Siamo quasi nel 2023 ma su molti fronti siamo ancora indietro. Oltre che sui diritti, c’è ancora molto da lavorare su come vediamo le persone o su cos’è la bellezza: ci sono ancora troppi canoni imposti e bisogna imparare ad andare oltre. Non tutti siamo in grado di andare oltre e, per questo, io mi batto per arginare tutti quei limiti, cercando di infrangere quei muri ed entrando in empatia con le persone. Quando scrivo, adoro essere influenzato da tutto ciò che mi circonda, mi piace lottare le mie battaglie ma mi piace lottare anche le battaglie di quelle persone che non hanno la forza individuale per poterle affrontare.
Le battaglie di coloro che si sentono sconfitti. C’è stato in momento in cui ti sei sentito sconfitto nella tua vita?
La mia adolescenza non è stata rose e fiori, non è stata paillettes, lustrini e ciglia finte. Sono cresciuto in un paesino della provincia di Frosinone, dove si vive in contesto in cui tutto ciò che è nuovo, inaspettato ed estraneo crea problemi. Io son cresciuto costantemente seduto a un pianoforte e chiuso in una sala di danza mentre i miei coetanei correvano dietro a un pallone: già questo offriva il presupposto per poter dire che in me c’era qualcosa di strano.
Ero l’unico ragazzo del paese che lavorava attraverso la musica e la danza, non facevo un lavoro qualunque o un lavoro che tutti i padri vorrebbero per il proprio figlio. E anche in questo ero strano. Ho cercato sempre di non farmi condizionare da queste “accuse”, definiamole così, e da una sorta di bullismo psicologico che è stato messo in atto nei miei confronti.
Man mano, il bullismo ha però cominciato a diventare fisico. Non ci si fermava solo all’insulto verbale ma si ricorreva a qualcosa di più tangibile. Ed è stato in quel periodo che ho pensato davvero di essere sbagliato e di essere fuori luogo. Nonostante non avessi mai parlato a polmoni aperti della mia omosessualità (ma solo perché ero ancora alla ricerca della mia identità), mi sono sentito sconfitto: pensavo di non essere abbastanza. Tuttavia, crescendo e guardandomi indietro, direi a quel piccolo ragazzino spaventato che non c’era nulla di sbagliato: ciò che gli altri definivano diversità era in realtà unicità.
Unicità che hai cercato di mantenere anche nel momento in cui hai abbracciato l’arte drag.
Si pensa che nel mondo drag non ci siano canoni e stereotipi. Ma non è questa la realtà: anche in quel mondo si tende ancora a vedere la vera drag in determinate vesti, solo con determinate skills e determinati atteggiamenti. Tutti aspetti che non mi sono mai appartenuti. Non indosso seni e non porto parrucche: nel momento in cui ho deciso di prendermi la responsabilità di essere un artista, ho deciso di essere un punto di riferimento. Ma la mia decisione non mi ha reso la vita facile: spesso, ho dovuto giustificare perché avessi una determinata bellezza e cosa fosse per me la bellezza. Un po’ quello che capita a tutte quelle persone che ogni giorno devono giustificare perché sono ciò che sono.
Non ho dunque scelto quest’immagine androgina per apparire quello diverso: l’ho fatto per diffondere un giusto messaggio, l’unicità. Mostratevi per quello che siete e non uniformatevi alla massa, difendete la vostra unicità.
Quando hai imparato a volerti bene?
Negli anni dell’adolescenza non amavo molto me stesso. Ho imparato a volermi bene davvero forse quando ho dato vita a Narciso: avevo in quel momento consapevolezza di chi volevo essere, di cosa avrei voluto fare e di ciò che mi dava piena soddisfazione e felicità. Nonostante tutte le difficoltà, ho imparato allora a volermi bene e non è facile. Sembrano a volte frasi fatte ma bisogna volersi bene e prendersi cura di se stessi anche quando non si cresce in contesti che non ti permettono di apprezzare veramente chi sei.
E come hanno risposto i tuoi genitori quando è nato Narciso? Mamma sappiamo che è sempre stata dalla tua parte. E papà, invece? Viveva sempre in un piccolo paese in cui la cultura patriarcale la faceva da padrone.
Parliamo di due differenti step e momenti, di quando mi ha visto per la prima volta come Narciso e di quando ha realizzato la mia omosessualità.
Mio padre è venuto a conoscenza della mia omosessualità da solo: si era reso conto che parlavo di una persona con cui ero sempre a stretto contatto. Un giorno, dal nulla, mi ha chiesto se fosse il mio compagno: ci sono rimasto di ghiaccio ma ho risposto subito di sì. Ho poi invitato il mio ragazzo in casa nostra e l’ho fatto per una ragione: avevo capito che mio padre era semplicemente spaventato. Non era in disaccordo con le mie scelte ma, per quanti stereotipi e pregiudizi la società ha creato, non aveva le idee chiare di ciò che sarebbe stato di suo figlio. Quando poi ha conosciuto il mio ragazzo, quello che oggi è ancora il mio attuale compagno, ha cambiato totalmente pensiero. Adesso parla più con lui che non me: ti pare normale? (ride, ndr).
Per quanto riguarda Narciso, mio padre mi vedeva cantare e danzare sin da piccolo. Pian piano, mia madre è stata in grado di inculcargli dei piccoli messaggi quasi subliminali. Ogni volta che in televisione si parlava di drag queen o di comunità queer, mamma gli lanciava qualche segno per fargli capire quanto quella realtà fosse qualcosa molto più vicina a lui di quanto pensasse. Quando nel 2021 sono arrivato tra i finalisti del Tour Music Fest come cantautore, per mio padre è stata un’esperienza molto forte vedermi sul palco: ovviamente, non mi riconosceva. Ha però apprezzato il mio trasformismo ed è riuscito a cogliere come, al di là del meraviglioso abito e del trucco maestoso, ci fosse l’anima di suo figlio. E non poteva far altro che ammirare ed essere orgoglioso di aver messo al mondo un figlio come me.
Quanto ti fanno male oggi le critiche di chi non capisce cosa si cela dietro Narciso?
In realtà, non mi fanno male per niente. Cerco di trarre da ogni critica un invito a migliorarmi ma non per piacere necessariamente agli altri. Penso che il parere di una persona sia quello di altre cento che non scrivono: sono il primo a parlare di inclusività, di accessibilità e di fruibilità, e quindi devo fare in modo che anche chi non riesce a comprendere capisca, che chi ha un mindset differente si renda conto dell’importanza di quello che sto facendo. Non sono semplicemente una drag queen ma qualcuno che sta andando ben oltre a ciò che vedono.
Ascolto in definitiva le critiche costruttive ma non quelle distruttive o i commenti da leoni da tastiera.
Come quelle di chi dice che il nome Narciso dica già tutto…
Quando si sente il nome Narciso, si tende a pensare a una persona super vanesia. In realtà, dietro alla scelta di questo nome c’è tanto. Innanzitutto, c’è il mito classico: la sua finalità è la rinascita dopo la morte. La ricerca di tutta quella vanità da parte di Narciso non era altro che una continua ricerca di se stesso, una continua ricerca di esistenza: io ci sono, esisto, valgo e nessuno potrà mai dire il contrario.
A livello personale, invece, Narciso mi riporta a quando ero piccolo. Sono cresciuto con mia nonna. Ci piaceva giocare in questo suo bellissimo giardino, dove crescevano spontaneamente dei narcisi selvatici. E mia nonna mi chiamava “il mio piccolo narciso”.
Qual è la tua più grande paura?
Quella di non riuscire a mantenere l’impegno che mi sono preso nei confronti delle persone: diventare un punto di riferimento per loro. Ho paura di non fare mai abbastanza per riuscire a dare voce a chi non ha il coraggio di gridare la propria unicità. Sono un ariete ascendente pesci e, come tale, sono il primo ad avere enormi aspettative su me stesso. Punto molto in alto e pensare di non riuscire a soddisfare le mie aspettative personali dando lustro all’impegno preso nei confronti della società mi spaventa.
E poi odio gli insetti, se vogliamo parlare di fobie concrete. Soprattutto quelli che fanno tanto rumore. Più sono rumorosi e più scappo: non ce la posso fare.
Ma è una paura innata o è legata a qualcosa che è avvenuta in passato?
Adesso mi hai ricordato che sono fortemente allergico alle punture degli insetti. Avrò psicosomatizzato l’allergia in questa maniera: grazie per la seduta psicoterapeutica! (ride, ndr).
Tu hai raggiunto una certa viralità ancor prima di partecipare a Drag Race Italia grazie a un inaspettato duetto con Arisa. Hai avuto più modo di sentirla?
Dopo l’uscita dal programma di Discovery+, ho continuato sui miei social a raccontare come sarebbe stato il mio percorso all’interno del talent se avessi continuato. Ho creato una rubrica chiamata Drag Race Trend, dove mostro cosa avrei fatto attraverso la mia arte, il canto e la musica. Tra i personaggi che avrei omaggiato, c’è anche Arisa. Subito dopo aver pubblicato il post, lei l’ha subito condiviso. Rosalba è una persona di grandissima umanità. E poi chissà… possiamo aspettarci sempre tanto dalla vita e, soprattutto, dal mondo della musica: chi lo sa se un domani potrebbe uscire qualcosa di speciale?
Sei stato eliminato da Drag Race Italia per una prova di cucito. Parliamone.
Beh, Madre Natura mi ha dato una voce, la danza, una pelle meravigliosa… ma non il dono di saper usare la macchina da cucire! È stata tuttavia una prova che ha stimolato la mia creatività. Ho cercato di tirare fuori qualcosa che fosse out of the box. Il tema era Little Italy e quindi mi sono ispirato all’arte italiana. Ho reso omaggio a Marco Lodola, andando anche abbastanza controcorrente.
Ma sono soddisfatto di quello che ho fatto e, soprattutto, di tutto l’amore che ho ricevuto subito dopo. Quando si viene eliminati tra i primi da una competizione, spesso si viene additati come quelli che non erano abbastanza e che non c’entravano nulla con quel posto. In realtà, io non ho ricevuto nemmeno una critica negativa, bensì tanto amore e dispiacimento per la mia eliminazione. Penso nel mio piccolo di essere riuscito in una puntata a mostrare chi sono e a far vedere la mia anima. Trovare delle persone che si sono riviste in me è stata la mia vittoria.
Make Up è stata scritta con Roberto Casalino. Com’è stato lavorare con lui?
È stato bello da morire: mi sono reso conto da subito che viaggiavamo sulla stessa lunghezza d’onda. Per me è stato un onore oltre che una fortuna collaborare con un artista come Roberto: ha un’anima splendida e una sensibilità senza eguali. Posso solo dire grazie a Roberto che ha creduto in chi sono e in quello che faccio.
Cosa si augura oggi Narciso?
Di continuare il percorso che ho intrapreso. E, quindi, di continuare a fare musica e regalare attraverso di essa sempre tanti specchi nei quali rivedersi. Voglio arrivare a più persone possibili, guardare gli altri negli occhi, toccare la loro anima. E più saranno le persone e più sarò felice: sarò riuscito a portare avanti la responsabilità che mi sono preso e in tanti non avranno più la percezione di essere soli o sbagliati.