Un oggi alla volta, opera prima di Nicola Conversa, è uno di quei film che ti entrano dentro minuto dopo minuto e che fanno fatica ad andarsene per il turbinio di emozioni che ti lasciano. Nella spontaneità di una scrittura che sa bilanciare a dovere i momenti in cui farti sorridere, emozionare, commuovere, riflettere e, persino, piangere, Un oggi alla volta racconta la storia dell’incontro fortuito tra due ragazzi di oggi, Marco (Tommaso Cassissa) e Aria (Ginevra Francesconi).
Ansioso e prossimo alla maturità con ben tre materie da recuperare e un corpo insegnante che preferirebbe emigrare su Marte anziché promuoverlo, Marco conosce Aria solo dopo che qualcuna ha deciso di rifilarle un due di picche con uno scherzetto non da poco: lasciandogli il numero di telefono sbagliato. Per Marco, a-social per eccellenza, comincia la conoscenza “mediata” con Aria, ventenne che diplomata già da un anno vive ogni giorno come se fosse l’ultimo, a causa di un segreto che pian piano prende forma.
A legger la trama si potrebbe pensare che Un oggi alla volta di Nicola Conversa sia il classico film destinato a un pubblico di ragazzi: così non è. Aria e Marco sono accompagnati nel loro viaggio da una serie di aiutanti e antagonisti che aprono le porte a una riflessione, anche sociologica, transgenerazionale. La sceneggiatura che Conversa, al suo primo lungometraggio, firma con Giulia Uda, si apre e affronta temi del presente uno dietro l’altro senza lasciare nulla al caso o al non detto.
Le ansie e le aspettative sociali si vestono di leggerezza e aprono una discussione sul tempo e sulla pressione che il domani comporta nelle nostre vite. I rapporti tra genitori e figli vengono scandagliati attraverso un padre e un madre che, con le loro paure e i loro timori hanno i volti di una sorprendente Katia Follesa e di un sempre valido Cesare Bocci. I legami tra fratelli diventano l’ossatura della storia, catapultata all’interno di una dimensione declinata in chiave romantica, dove l’happy ending, a suo modo presente, non è così scontato. Perché in fondo sono le presenze/assenze che definiscono chi siamo e che ci fanno dire che ci manca l’aria…
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Di tutto ciò, del film Un oggi alla volta e non solo, abbiamo voluto parlarne direttamente con Nicola Conversa, regista, scrittore e comico pugliese che, dopo diversi cortometraggi e un mockumentary sui Pooh andato in onda con successo su Rai 1, ha deciso di dirigere il suo primo lungometraggio di finzione, prodotto da One More Pictures con Vision Distribution in collaborazione con Rai Cinema. Un esordio accolto tra le braccia di Alice nella Città, la sezione parallela e indipendente della Festa del Cinema di Roma, e in uscita nelle nostre sale il 25 luglio.
Intervista esclusiva a Nicola Conversa
“Senza Aria la vita di Marco sarebbe rimasta immobile: la sua presenza gliel’ha cambiata in positivo permettendogli di mettere ordine non solo nel suo percorso ma anche nel rapporto con la madre e il fratello”, mi suggerisce Nicola Conversa quando gli chiedo del finale del suo film Un oggi alla volta, che ovviamente non spoileriamo. Su una cosa però concordiamo entrambi: Un oggi alla volta non è un film che parla solo agli adolescenti. È semmai un film in cui tutti, gen z e adulti, potranno trovare risposte ai tempi che viviamo.
“Con la cosceneggiatrice Giulia Uda ci siamo confrontati molto per stabilire il finale, optando per qualcosa che in Italia raramente si trova il coraggio di fare, sottolineando quanta forza serva per reagire. Era per noi importante farlo, soprattutto in un momento storico come quello che viviamo in cui tutti quanti abbiamo bisogno di speranza, qualcosa che può arrivare inaspettatamente anche da eventi che non ti aspetti”.
Perché hai scelto Un oggi alla volta come titolo per il tuo film?
È la frase che mia cugina ha tatuata sul braccio. Ha deciso di scriversela sulla pelle dopo un problema familiare. Mi è piaciuta così tanto che, contrariamente a come faccio di solito quando scrivo (parto sempre dal finale per poi tornare indietro), ho deciso di volerla come titolo per poi proseguire con la storia. Siamo tutti portati a pensare al domani mentre viviamo l’oggi, dimenticandoci di vivere il presente. Ragione per cui ho voluto raccontare una storia ancorata partendo dal pretesto stupidissimo di un numero sbagliato dato da una ragazza, circostanza che è realmente accaduta a un mio amico.
“A mio fratello, ti sento vivere” è la dedica che si legge sul finale del film, prima che partano i titoli di coda…
È una perdita importante che ha caratterizzato la mia vita… fino a questo momento non sapevo nemmeno io dove Diego Capitani, il montatore del film, l’avesse inserita. È un dolore che ho sempre dentro e di cui faccio fatica a parlare: ho pensato che quella scritta, impressa in un film in eterno, fosse come un modo per farlo vivere per sempre.
In Un oggi alla volta, c’è una bellissima scena tra due fratelli: quella in cui Marco e Andrea, interpretati da Tommaso Cassissa e Francesco Centorame, trovano il coraggio di dirsi “ti voglio bene”. È così difficile per due giovani uomini manifestarsi un sentimento di così profondo amore?
Non so se si faccia fatica o quali siano le ragioni dietro alla paura di manifestare i propri sentimenti. Sono originario del sud e, in quanto tale, sono una persona molto fisica: per me, è sempre stato normale abbracciare gli altri o dir loro “ti voglio bene”. È un gesto piccolo e molto semplice ma che con l’avanzare dell’età diventa sempre più complicato da attuare: è come se la frase assumesse un’importanza maggiore e non si riuscisse più a pronunciarla. Siamo più propensi a scrivercelo su WhatsApp e non a dircelo dal vivo.
Purtroppo, non ho mai vissuto le dinamiche tra fratelli. Sono cresciuto come figlio unico quando non avrei dovuto esserlo e non ho esperienza di come funzioni. Tutto ciò che so l’ho appreso guardando i miei amici con i loro fratelli, notando atteggiamenti agli opposti: estrema lontananza o estremo amore.
Se guardiamo i due fratelli di Un oggi alla volta, è come se Andrea fosse innamorato di Marco mentre Marco sembra non aver bisogno di Andrea. In realtà, ci sono sempre entrambi l’uno per l’altro e quel “ti voglio bene” che riescono a dirsi va a sistemare una situazione che di suo era già sistemata.
Uno dei temi che il tuo film, Un oggi alla volta, affronta è il rapporto tra genitori e figli. E lo fa attraverso due figure particolari: da un lato, Alessandra, la madre di Marco interpretata da Katia Follesa, e dall’altro lato, Pietro, il padre di Aria, impersonato da Cesare Bocci. Rappresentano due modi di vivere la genitorialità.
È anche una delle ragioni per cui, mentre lo scrivevamo, io e Giulia Uda ci siamo resi conto che la storia che avevamo davanti non era un teen drama, un’etichetta che ci sta stretta. Scendendo nello specifico, c’è un lungo monologo di Katia Follesa sul suo essere madre che ha suscitato diverse reazioni da parte dei genitori che lo hanno visto in anteprima. Nel mio piccolo, penso di aver fatto un film generazionale in grado di abbracciare tutti, dai genitori ai figli.
Non so ancora che genitore sarò ma so che genitori ho avuto, un padre e una madre molto presenti nella mia vita, da sempre i miei più grandi fan: mi hanno dato la libertà di scegliere chi essere da grande, il più importante dei doni che si possano fare a un figlio. Ho visto, invece, tanti genitori di miei amici essere completamente assenti… credo, dunque, che il rapporto tra genitori e figli ruoti intorno a due assi precisi: la presenza e l’assenza.
In Un oggi alla volta ho voluto mostrare l’assenza. Per quanto Alessandra sia emotivamente instabile (il marito l’ha lasciata per andarsene con un altro uomo) e non presente nella vita dei figli perché sta cercando se stessa, è pur sempre una mamma a modo suo… e le mamme sono mamme. Dall’altra parte, invece, c’è un papà come Pietro che, pur amando le figlie e temendo di perderle, scappa da loro. Forse un tema troppo alto per una commedia, l’idea iniziale era anche diversa ma, scrivendo, mi sono accorto che potevo affrontare tutto ciò che volevo delegando il mio pensiero ai personaggi.
E tra i temi affrontati c’è anche quello della malattia, la sindrome di Steinert.
Non mi interessava affrontare la malattia da un punto di vista scientifico. Mi colpiva di più la sua sintomatologia: si tratta di una delle malattie, rarissime grazie a Dio, che attacca anche il battito del cuore: anche innamorarsi per chi ne soffre può comportare uno stress. Ho comunque voluto consultare uno specialista per evitare castronerie scientifiche ma ciò che mi premeva era sottolineare come Aria, la protagonista, quasi se ne sbatta della malattia per la voglia di viversi a pieno quell’amore che finalmente è arrivato nella sua vita e per cui vorrebbe avere a disposizione più tempo. La malattia e i suo giorni, se vogliamo, segnano anche il countdown che si vede sin dall’inizio e che separa Marco dal suo esame di maturità.
L’esame di maturità… il primo grande ostacolo che affrontiamo per entrare nel mondo degli adulti. Come ricordi il tuo?
Molto simile a quello di Marco. Non ho strappato la busta con l’argomento da discutere ma ho ridato indietro l’esercizio di matematica che mi avevano dato da risolvere. Non mi è servita molta fantasia per scrivere quella scena… cambia solo il voto finale: a me han dato 75 perché, comunque, eccellevo in italiano (mentre nelle materie scientifiche ero una capra!).
Un oggi alla volta è il tuo primo lungometraggio di finzione. Hai già diretto dei corti e il documentario sui Pooh andata in onda in prima serata, con successo, su Rai 1. Qual è stata la difficoltà maggiore che hai incontrato?
Come i cortometraggi, anche un film ha la struttura classica del teatro greco in tre atti: da questo punto di vista, non è cambiato molto… anziché seguire i protagonisti per dieci minuti, devi farlo per novanta, tenendo conto delle trame e dei personaggi secondari.
Per il documentario sui Pooh, ho fatto la pazzia di cimentarmi con il mockumentary, incontrando fortunatamente il pubblico di Rai 1, non avvezzo a quel tipo di prodotto. Per Un oggi alla volta ho scoperto però un altro modo di scrivere realizzando come un film abbia bisogno di più tempo per sedimentarsi: ho avuto la fortuna di lavorare con Giulia Uda, straordinaria conoscitrice della struttura di una sceneggiatura. Grazie a lei, ho capito ad esempio che la scrittura di un film è matematica: ci sono dei tempi da rispettare, all’interno dei quali far confluire la tua creatività.
La storia ha preso strade che non ci aspettavamo. Le considerazioni che arrivavano in corso di scrittura (soprattutto dai produttori) alcune volte ci rendevano felici mentre altre ci portavano su sentieri nuovi di cui abbiamo scoperto la bellezza. Andrea, il fratello di Marco, è passato per esempio dal fratello che non esisteva all’essere uno dei miei personaggi preferiti in assoluto, mentre il personaggio di Katia Follesa non era una mamma ma un papà…
Vorrei già realizzare un film all’anno ma è stata comunque un’esperienza totalizzante che ha messo in pausa la mia vita per due mesi interi, un mese per le riprese e uno per il montaggio. Non c’è stato spazio né per le bollette né per la vita sentimentale: è stato il primo pensiero al mattino e l’ultimo prima di andare a dormire la sera… ringrazio Dio di aver potuto contare su una troupe a cui sarò debitore a vita in cui erano tutti professionisti, ognuno consapevole di ciò che andava fatto: si è creato un bel clima, conviviale e disteso, in cui la parola d’ordine era “ascolto”. Ho ascoltato il fonico così come chi spostava le sedie: chiunque aveva una sua importanza senza distinzione alcuna di ruolo, tutti lavoravamo al raggiungimento dello stesso obiettivo.
Al primo film e già nel cartellone come proiezione speciale di Alice nella città. Cosa hai provato quando ti hanno comunicato che Un oggi alla volta era stato selezionato?
È stata un’onda gigantesca che mi ha quasi travolto. Non riuscivo nemmeno a realizzare la cosa: abbiamo fatto i salti mortali per consegnare il film a fine agosto. E il grazie più sentito va al lavoro incredibile di Diego Capitani, il miglior compagno di viaggio che potesse capitarmi: a iniziato a montare il film mentre lo giravamo, permettendomi di capire in tempo reale quali fossero le soluzioni giuste da adottare. Un oggi alla volta è stato un set segnato da tanto amore, che mi auguro sia rimasto appiccicato alla pellicola e arrivi agli spettatori.
Che sia stato scelto da Alice nella città è un onore per me. Dialogherà con i giovani ma anche con chi li accompagna: il monologo finale di Aria è qualcosa che è indirizzato a chiunque. Tutti viviamo costantemente con la paura di fallire e di non compiacere gli altri, scordandoci che dovremmo agire prima di tutto per noi stessi. Dovremmo prendere in mano le nostre vite e diventarne i piloti, definendo un oggi alla volta: è questo il messaggio universale che provo a lanciare.
E tu hai realizzato di voler fare il regista per te stesso?
L’ho realizzato da quando avevo nove anni. Ho scelto un percorso quasi impossibile, dove soltanto uno su mille ce la fa. Se penso a quante poche opere prime si realizzano in Italia, mi rendo conto quanto incredibile sia stato per me portare a termine il mio primo film. L’ansia non è poca ma so che è questa la mia strada: quando ho terminato l’ultima ripresa, sono stati tanti i sentimenti e i pensieri che mi hanno attanagliato. E se non va bene? E se non mi facessero fare un altro film?
Non sempre questo lavoro dipende dalle proprie capacità, sono tanti i fattori in gioco e tanti altri molti più bravi di me non hanno nemmeno la possibilità di fare ciò che desiderano… Spero che questo sia il mio mestiere da grande perché ho capito che mi piace raccontare storie e ho scoperto che la regia è il mezzo più bello con cui farlo. Un anno fa forse avrei avuto paura anche a dirlo mentre oggi sto già pensando al sequel di Un giorno alla volta, ci sono ancora tante altre storie che i personaggi possono vivere e che sono rimaste inesplorate.
Citando il film, quand’è l’ultima volta che ti è mancata l’aria?
Quando il produttore e il distributore stavano guardando il film per la prima volta. Stavo rientrando con un aereo in Puglia e avevo chiesto al montatore di avvisarmi se ci fossero stati dei problemi. Sono stato con il patema d’animo per tutta la durata del volo, per un’ora e mezza. Tolta la modalità aereo, ho trovato una miriade di messaggi e chiamate: mi hanno visto sbiancare… e, invece, era solo per dirmi che non era stata apportata alcuna modifica. È un viaggio in aereo che ricorderò per tutta la vita!
Sai già se Un oggi alla volta uscirà al cinema o in piattaforma? (domanda fatta nel 2023, ndr).
Non c’è ancora una risposta, sono diversi i fattori che produzione e distribuzione stanno valutando. So soltanto che c’è molto entusiasmo intorno all’opera… ne sono contento e quasi incredulo: è un film molto piccolo a livello di budget ed è un’opera prima con tutti i problemi di un’opera prima di cui sono consapevole. Ma in un mondo di remake racconta una storia originale in cui si ha avuto il coraggio di investire, per cui ho avuto massima libertà creativa e in cui hanno recitato gli attori che ho voluto.
Tommaso Cassissa è una mia scommessa vinta, Francesco Centorame (che ha costruito il suo personaggio insieme a me, rendendolo “brutto”) è uno dei più bravi della sua generazione, Federica Pagliaroli regge quasi tutti i primi trenta minuti, Marilù Pipitone è un fenomeno (è la migliore sorella maggiore che potessimo avere), Edoardo Pagliai ha saputo come inserirsi senza particolari problemi con un ritmo totalmente suo che mi faceva ridere… e Ginevra Francesconi è stata un regalo dal cielo. Riesce a essere credibile sia in chiave comica sia in chiave drammatica: quando ci è arrivato il suo provino, nessuno di noi ha avuto più dubbi, sebbene il personaggio di Aria sulla carta fosse differente da lei.
Katia Follesa è sparita per venti giorni prima di dirmi sì a un personaggio che avevo scritto appositamente per lei: ancora oggi teme di avermi rovinato il film… ma il cinema è bello proprio perché fa uscire tutti dalla propria zona di comfort. E un grazie particolare va anche ad Andrea Stocchino, il giovane musicista che ha scritto le quattro canzoni originali che accompagnano il film: è stato un plus avere già le musiche mentre giravamo.