Nicolò Famiglietti ha fatto del benessere fisico e mentale non solo una professione, ma una filosofia di vita. Nel suo percorso, ci sono stati ostacoli, dubbi e momenti di incertezza, ma ogni difficoltà ha rappresentato un'opportunità per crescere. La sua figura di personal trainer si è evoluta nel tempo, abbracciando una visione olistica del benessere, in cui l'attività fisica, la cura della mente e l'estetica si fondono in un'unica armonia.
Tale consapevolezza lo ha portato a vedere il fitness non come un obiettivo fine a sé stesso, ma come uno strumento di connessione profonda con il proprio corpo e la propria psiche. Ogni allenamento, per Nicolò Famiglietti, non è solo una sfida fisica ma una forma di scoperta di sé, un percorso interiore che avvicina alla propria essenza, superando stereotipi, modelli estetici e paure. Nicolò Famiglietti è il primo a riconoscere quanto il sorriso – quell'elemento semplice e spesso sottovalutato – sia il vero motore della trasformazione fisica ed emotiva.
In questo dialogo con lui, entriamo nel cuore di un uomo che, attraverso la sua esperienza e la sua passione, ci guida verso una comprensione più profonda di come il fitness possa essere una via per riconnettersi con la propria autenticità, in un percorso che inizia con il corpo ma si espande verso l’anima.
Ma Nicolò Famiglietti non è soltanto un semplice professionista del fitness, ma un vero e proprio “traghettatore” verso una nuova concezione del benessere. Per lui, l'attività fisica non è solo un mezzo per raggiungere una forma estetica ideale, ma un'opportunità per coltivare un equilibrio tra corpo e mente. Ciò che emerge dalla sua esperienza è la consapevolezza che, dietro ogni allenamento, dietro ogni fatica, c'è una crescita personale che si riflette nel modo in cui affrontiamo la vita di tutti i giorni. È attraverso la cura del corpo che si scopre il proprio potenziale interiore, e Nicolò Famiglietti è convinto che questo processo debba essere affrontato con leggerezza, consapevolezza e, soprattutto, con il sorriso.
Questa filosofia si è sviluppata anche grazie alla sua capacità di superare le difficoltà e trasformare i momenti di crisi in nuove opportunità. Dalla sua adolescenza, passando per un infortunio che gli ha cambiato la vita, fino al successo come personal trainer e imprenditore, Nicolò Famiglietti ha dimostrato che il vero allenamento non è solo fisico, ma anche mentale ed emotivo. È un cammino fatto di autoconoscenza, di lotta contro le proprie insicurezze e di accettazione dei propri limiti, dove il benessere estetico diventa una conseguenza naturale del prendersi cura di sé nel profondo.
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Intervista esclusiva a Nicolò Famiglietti
“I MyPersonalTrainer Days sono andati veramente bene”, risponde Nicolò Famiglietti quando gli si chiede come sia stato essere uno dei protagonisti dell’evento curato dal sito Mondadori in Piazza Duomo a Milano. “Ci sono sin dalla prima edizione e ho visto in questi tre anni da vicino com’è cresciuto il tutto. Quest’anno, poi, è stato davvero qualcosa di superlativi perché non avevo mai visto tanta gente allenarsi insieme, sprigionando tanta energia. Mi sono sentito quasi una “star” per quanto sia stato un palco meraviglioso in grado di coinvolgere la città come non mai”.
Sei abituato tramite il web a rivolgerti a un numero virtuale altissimo di persone: com’è invece ritrovarsi poi di fronte a una marea di gente in carne e ossa?
Vengo dal mondo dell’offline, insegno in palestra da quando ho 16 anni e sono comunque 26 anni che sono abituato al contatto fisico. Ma anche quando faccio le dirette o i video online non penso a quel numero che vedo come a un’entità astratta: c’è sempre uno scambio di energie e sinergie, a cui poi dal vivo si aggiungono anche sguardi, approvazioni e sorrisi. Ripeto sempre che mi sento come un “traghettatore” che dall’online porta poi la gente a vivere le stesse esperienze dal vivo con maggiore intensità.
Da traghettatore, allora, aiutaci a superare il cambio di stagione. Siamo tutti reduci dall’estate, dagli aperitivi fronte mare e dagli eccessi: l’arrivo dell’autunno ci chiede ora il conto. Che facciamo? Ci disperiamo o hai dei consigli per tutti quanti?
L’autunno è il periodo della ripartenza e dei buoni propositi: “appena rientro dalle vacanze, inizio palestra” è il proposito della maggior parte di tutti coloro che desiderano rimettersi in forma. Quello che posso suggerire di mio è l’approcciarsi, comunque, all’attività fisica in maniera sostenibile. Riprendiamo ad allenarci non necessariamente in maniera drastica o super impegnativa ma con esercizi accessibili che consentono a tutti di terminarli con la voglia di tornare il giorno dopo in palestra o davanti allo smartphone.
Consiglio, poi, sia a chi era solito allenarsi sia a chi non l’ha mai fatto, di darsi degli obiettivi a breve o medio termine che siano raggiungibili: basta iniziare anche due volte a settimana con delle discipline che piacciono e capire cosa accade. Una volta raggiunto quel primo step, si alza l’asticella: l’importante è superare la prima fase, quella del sacrificio, e trasformarla in piacere.
In più, come ultimo accorgimento, suggerisco sempre di allenarsi con amici, conoscenti o comunque altre persone: l’attività fisica è anche uno strumento per socializzare. Il creare delle piccole sfide con gli amici, ad esempio, rende il tutto più accattivante, soprattutto se lo si vive non in maniera competitiva ma motivante. Non dobbiamo vivere l’attività fisica come la classica pillola che siamo obbligati a prendere tutti i giorni ma come un divertimento, un modo per conoscere anche altra gente e condividere tempo non essa.
A chi invece procrastina all’infinito senza mai cominciare cosa possiamo suggerire?
Di evitare di farsi troppe domande sul quando, come e cosa, senza trovare mai risposta. Dico loro di testare e provare il più possibile fino a quando non trovano qualcosa che sembra essere loro cucita addosso, come un abito sartoriale. Quando parlo di attività fisica, intendo anche il solo far passeggiate in compagnia di qualcuno: questo, anche per via del clima, è il momento ottimale per farlo, come per tentare di iscriversi in palestra o cimentarsi in una partita di padel! Le attività fisiche sono talmente tante e svariate che, alla fine, si trova quella che fa al caso di ognuno: basta semplicemente svegliarsi con la voglia di fare e di non aspettare rimandando a chissà quando.
Da 26 anni in palestra, con alle spalle tanta esperienza diretta, fatica, studio e una laurea in Scienze Motorie. Ma cosa ti ha spinto verso l’attività fisica e il lavoro che svolgi oggi? Qual è stata la molla che ha fatto scattare il tutto?
Tutto nasce da un infortunio, da un evento negativo. Da ragazzino, giocavo a tennis in maniera amatoriale e mi sono fatto male a un ginocchio. Prima dell’intervento chirurgico a cui poi mi sono sottoposto, tutti mi hanno consigliato di iscrivermi in palestra per fare i classici esercizi isometrici. C’è da premettere però un piccolo dettaglio: sin da quando ero piccolo, praticavo attività sportive di gruppo (dal calcio alla pallavolo al tennis) ma non ero mai stato quello che si può definire un fenomeno o un campione.
Ciò faceva sì che mi sentissi sempre escluso o fuori posto. Nel momento in cui sono entrato in palestra, ho trovato invece un ambiente accogliente anche per me: non c’era alcuna competizione o l’esigenza di primeggiare sugli altri… c’erano semmai condivisione dell’attività e voglia di fare qualcosa per se stessi e non per apparire. È stato questo ha fatto scattare in me il desiderio di diventare un promotore di quella filosofia di vita. Dico sempre che la palestra mi ha salvato e mi ha cambiato caratterialmente tanto da volerne più uscirne: avevo sedici anni e spesso trascorrevo più ore lì dentro che tra i banchi di scuola.
Ambiente accogliente non solo per gli adulti ma anche per te adolescente. Eppure, spesso, l’ambiente della palestra viene definito come dominato da mascolinità tossica, poco inclusivo e per nulla accogliente.
È uno stereotipo datato. Negli ultimi anni soprattutto c’è stato uno switch che ha portato anche chi lavora all’interno delle palestre a dare maggiore importanza al creare un ambiente il più inclusivo possibile. Non è più il luogo in cui incontri il narcisista o l’esaltato della forma fisica perfetta e ciò è stato possibile anche grazie all’intenso lavoro di informazione teso a far capire che attività fisica vuol dire prima di tutto prevenzione e prendersi cura di sé: l’obiettivo è quasi sempre quella famosa longevità a cui tutti aspiriamo, lo star bene nei prossimi anni.
Se vent’anni fa le palestre erano l’habitat del maschio tossico e narcisista, oggi sono l’ambiente in cui le persone, senza distinzione di genere, età e orientamento, lavorano per stare bene a lungo con un approccio diverso agli allenamenti.
Non hai mai avuto paura che la tua attenzione per l’attività fisica potesse trasformarsi in ossessione per il corpo?
Onestamente? Sì. E credo che mi sia anche accaduto, soprattutto quando ho cominciato. Nel momento in cui ti approcci a qualcosa di nuovo, vorresti vedere sin da subito i risultati. E, se questi non arrivano, ti impegni a voler sempre di più fino a maturare quasi un’ossessione: è la maturità a farti capire quali sono i confini da non superare. Il percorso di studi che ho scelto e la mia continua formazione mi hanno poi permesso che ogni corpo ha dei limiti oltre i quali non può spingersi e che vanno accettati, anche a fronte di modelli estetici dominanti a cui ambisci.
Oltre la predisposizione genetica, unica per ognuna di noi, non si può andare: occorre far pace con tale consapevolezza. Ed è la ragione per cui oggi, quando mi rendo conto che la palestra per un cliente sta diventano un’ossessione, sono il primo a fargli capire quanto sbagliato sia quel tipo di approccio.
Qual è il più grosso stereotipo sulla forma fisica che i tanti anni di studio ti hanno permesso di abbattere?
Beh, innanzitutto, i falsi miti legati all’alimentazione. Uno dei cliché più comuni suggerisce di introdurre nel proprio corpo quintali di proteine per far crescere i muscoli. Niente di più scorretto: l’alimentazione deve sempre essere bilanciata e ogni persona ha un proprio fabbisogno calorico da soddisfare.
Un altro stereotipo sfatato è quello per cui “più il carico è forte, più l’allenamento è performante”. No, non proprio, anzi… spesso e volentieri quando i carichi oltrepassano la propria forza, si rischia l’infortunio. Lo studio mi ha fatto capire che ci sono tecniche di allenamento che non necessitano di carichi massimali garantendo ottimi risultati per migliorare il proprio corpo.
Ma sono tante le dicerie che anni di studio e di esperienza permettono di smantellare. Come dimenticare la fase credenza per cui va fatta pesistica solo dopo i diciotto anni per evitare di non bloccare la crescita degli adolescenti? È una di quelle falsità che sentivo dire spesso da ragazzino: lavorare con dei macchinari che aiutano la muscolatura in maniera idonea permette persino di risolvere tanti problemi, come ad esempio la scoliosi. Ragione per cui consiglio sempre nell’età dello sviluppo di fare un po’ di pesistica, seguiti sempre da trainer che, con le scelte giuste dei carichi, aiutano a sviluppare un fisico sano e risolvere problematiche esistenti.
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Un personal trainer è in grado di intuire se la persona che ha davanti soffre di vigoressia?
Un personal trainer riconosce subito quando qualcosa non va a livello psicologico spingendo il cliente a farsi aiutare quando si manifestano i primi segni di un’ossessione per la forma fisica. Per lo meno, io mi subito conto quando ho davanti una persona che manifesta disordini del comportamento alimentare cercando di indirizzarla verso il percorso giusto da seguire. In questi casi, cerco anche di entrare in contatto con la famiglia e di far capire che il soggetto in questione è uscito fuori dal classico “cerchio del benessere” a causa di problematiche che vanno affrontate dall’interno.
Fortunatamente, all’interno delle palestre, oggi ci sono varie figure che possono essere di supporto, come il mental coach, uno psicologo che aiuta nella risoluzione di problematiche che fino a qualche anno fa erano tabù e non venivano prese in considerazione. C’è un’accortezza diversa nel riconoscerle, nell’affrontarle e nel cercare di bloccarle: i segnali d’allarme permettono di capire quando un’attività non è più sana. A volte anche la sola frequentazione quotidiana può trasformarsi in un campanello: l’allenamento ha sempre bisogno di un suo tempo di recupero e sette giorni su sette di attività fisica non sono mai salutari.
Come accennavo prima, l’ossessione è qualcosa che ho conosciuto anch’io all’inizio quando i primi risultati sul fisico ti spingono a voler di più. E forse proprio per averne avuto esperienza diretta oggi sono in grado di sentirla e individuarla. Per mia fortuna, è durata solo un periodo limitato ma proprio perché sono intervenuti poi lo studio, il percorso a Scienze Motorie e tutti i vari corsi di aggiornamento che mi hanno permesso di capire quando l’allenamento è giusto o cos’è il recupero.
In fondo, il personal trainer è anche psicologo…
Sostengo sempre come quella con un personal trainer sia una seduta completa: non siamo solo allenatori ma anche psicologi o genitori. Si crea con la persona che hai davanti un rapporto di estrema fiducia che è reciproco: si diventa come di famiglia ed è normale che si finisca per interfacciarsi su tutto. Il personal trainer deve essere bravo anche a riportare le persone nella giusta quadratura, ricordandosi che al di là degli allenamenti c’è tutta una sfera emotiva che va tenuta in considerazione.
A me personalmente piace molto il mio lavoro. Mi permette di entrare in sintonia con gli altri come non riuscirei mai a fare in un semplice rapporto di amicizia. Tanto che spesso mi dico che, dopo una seduta, sono io a trarne maggiori benefici assimilando il più possibile le tante sfumature di chi ho davanti. Sono oggi arrivato a un’età in cui mi posso permettere, grazie anche all’esperienza, di scegliere in parte la mia clientela: punto sempre a persone che, comunque sia, hanno qualcosa da darmi e restituirmi. Le alleno ma fondamentalmente c’è un interscambio che permette anche a me una bella crescita personale.
Capita che ci innamori del proprio personal trainer?
Il fascino dell’allenatore è qualcosa che esiste ma anche per banalità di poco conto per cui ci si lascia anche suggestionare. Mi capita ad esempio di tenere lezioni di gruppo e, se per caso mi sfugge un commento su un paio di scarpe che sto utilizzando, la volta successiva il 70% dei clienti si presenta con lo stesso modello. C’è una sorta di sindrome da imitazione ma nasce dal voler entrare maggiormente in sintonia ma per un mio blocco interiore cerco sempre di non spingermi oltre quella.
Di sicuro, il cinema e le serie tv hanno di gran lunga contribuito a tale fascinazione anche romantica. Sono tanti i casi di grandi star di Hollywood che hanno avuto storie con i personal trainer, lasciando anche mariti o mogli. E non lo trovo eccessivo per quando ci si è finora detti: l’ora insieme equivale a una seduta di psicoanalisi in cui ci si racconta, ci si ascolta e ci si scambia consigli.
Al di là dell’aspetto psicologico, c’è di sicuro un rapporto fisico. E il rapporto fisico tende già di suo ad avere un retrogusto erotico o seduttivo.
Non solo. Ci si mette molto in gioco fisicamente, si sviluppano endorfine e non ci si vergogna del proprio fisico. Ci si scopre, si mostrano le proprie imperfezioni e si mettono in piazza le proprie debolezze senza che dall’altro lato ci sia qualcuno che ti giudichi. Anzi, c’è sempre una persona che apprezza e che cerca di aiutarti a migliorare. Intercorre sempre un rapporto di grande accoglienza da entrambe le parti.
Senza volerne necessariamente fare un discorso sessista ma si creano gli stessi rapporti con uomini e donne?
Tra uomo e uomo vige più l’atmosfera classica da spogliatoio: ci si confronta su tutto senza tabù. Con tra uomo e donna, invece, lo stesso rapporto si creare dopo le prime quattro o cinque sedute quando, dopo aver vinto le reticenze, si crea un bel rapporto di confronto anche su argomenti della propria vita personale per nulla scontati, a cominciare dal come la stessa può approcciarsi agli altri uomini. Il personal trainer in quel caso diventa come un fratello o un confidente con cui poter essere se stessi.
Nei tuoi video sui social, coinvolgi spesso i tuoi genitori. Guardando indietro, hanno capito sin da subito qual era la tua prospettiva professionale?
Credo proprio di no. Quando ho terminato il liceo scientifico, sono rimasti alquanto interdetti di fronte alla mia decisione di frequentare Scienze Motorie invece che Scienze Bancarie o Politiche, come si aspetterebbe comunemente da chi ha alle spalle il mio stesso percorso scolastico. A oggi, invece, credo siano orgogliosi di chi sono e del fatto che riesco a vivere bene del mio lavoro.
Ma comprendo le loro perplessità di allora: vent’anni fa scegliere di fare il personal trainer rappresentava un’incognita importante e l’attività fisica non veniva percepita come lavoro ma come gioco o passatempo: “E dopo che farai? Il lavoro qual è? Insegnerai a scuola?”. Erano tante le domande ma alla fine ho avuto ragione io.
Mamma, poi, è una delle mie clienti storiche e più longeve: viene in palestra, dove per tutti è Fabrizia, una cliente qualsiasi e come tale viene trattata. C’è gente che ha scoperto che era mia madre dopo tantissimi anni: non ho mai fatto capire, durante le lezioni, quale sia il nostro legame!
A oggi quali sono i tuoi obiettivi professionali?
Molti di quelli che mi ero prefisso li sto raggiungendo. Ma c’è un sogno, comunque, nel cassetto: poter creare un piccolo format televisivo che permetta di dispensare piccole di allenamento quotidiano. Dal mio punto di vista, cucina e allenamento sono molto simili e mi piacerebbe che la televisione, lo strumento ancora oggi più importante per la divulgazione, facesse per la mia disciplina ciò che nel passato ha fatto con i programmi di cucina. Si potrebbero invitare anche ospiti che si racconterebbero durante gli allenamenti, dispensare consigli o mostrare esercizi replicabili a casa al pari delle ricette!
Il mio obiettivo sarebbe quello di essere una sorta di promotore dell’attività fisica facendo capire che basta veramente poco per prendersi cura di sé e star bene.
Se penso ai programmi di cucina, penso alla tanta concorrenza. Qualcosa che tocca anche i personal trainer, soprattutto sui social. Senza girarci intorno, Instagram è pieno di dispensatori di consigli ed esercizi senza la giusta preparazione e conoscenza alle spalle. Non è pericoloso?
Sull’online dovrebbero esistere delle regole ben precise per ogni professione. Come non ci si sveglia al mattino inventandosi avvocato senza una laurea in Giurisprudenza, così non ci si dovrebbe improvvisare professionisti del benessere senza le adeguate conoscenze.
È una riflessione che faccio quotidianamente ma per fortuna con il tempo, rispetto ad esempio all’epoca CoVid, c’è stata quasi una selezione naturale. In pandemia, erano tutti personal trainer ma un occhio attento riconosceva chi ne aveva le competenze e chi invece no, rischiando anche con i suoi consigli di far seriamente male a chi stava dall’altro lato dello smartphone.
Fortunatamente, qualcosa è cambiato e chi vedo essere rimasto e cresciuto oggi sono solo figure che hanno dato priorità alla totale sicurezza di chi poi si allenava. So riconoscere chi ha realmente una formazione alle spalle da chi è mosso solo dall’ambizione o dalla presunzione di mettere in mostra solo se stesso.
Come ha reagito Perugia, la tua città, alla tua fama social?
Ho una palestra in città da vent’anni e le persone sono abituate da sempre a vedermi dispensare esercizi per l’attività fisica. Per molti, senza peccare di presunzione, sono sempre stato un punto di riferimento nell’ambito fitness per cui quando durante la pandemia quasi nessuno è rimasto sorpreso: erano abituati al mio lavoro, a vedermi tutti i giorni in palestra, ad allenare e a tenere i miei corsi. Tutte attività che ho sempre continuato a fare, ragione per cui non è cambiata molto la percezione che hanno di me. Così come non è cambiato l’atteggiamento dei miei clienti: che io vada in tv o sia ospite in radio, per loro non cambia molto…. spesso non mi guardano o ascoltano neanche!
Levando l’aspetto professionale, ti vuoi bene?
Negli ultimi tempi, mi sto sicuramente volendo più bene di quanto me ne volessi in passato. E volermi bene fa sì che mi prenda anche del tempo per me, cercando anche di non esasperare o di non esagerare l’attività fisica. Faccio scelte solo ed esclusivamente per me, partecipando solo a eventi o situazioni che sento mio. Ho fatto pace con aspetti di me o della mia storia che non andavano e li ho messi da parte proprio per cominciare a volermi più bene.
Ostacoli incontrati, dolori o traumi?
Ostacoli tanti, sicuramente. Ma anche momenti difficili e non facile, come quelli in cui ho mosso i primi passi sui social. La partenza non è stata esente di problemi: ho esordito con il desiderio di dispensare allenamenti semplici a gente che non avrebbe dovuto farsi male con i miei esercizi ma le critiche arrivate sono state impietose. Gli allenamenti erano a detta di molti “quasi banali” e il mio stesso fisico messo in discussione e ciò ha inevitabilmente innescato in me un momento di grossa crisi personale. Ecco, in quel periodo non mi sono voluto bene: ero pronto a smettere tutto quanto, rimettendo in discussione vent’anni di esperienza nel campo e la mia stessa sfera personale.
Fortunatamente, è poi arrivato quello switch che mi ha permesso di tirar fuori le unghia, di far vedere quanto valessi e di acquisire maggiore sicurezza in me stesso. E oggi posso dire di aver avuto comunque la mia rivincita non solo professionale ma anche personale. I social sono una vera giungla con commenti che spesso feriscono a livello intimo: se non si è forti e preparati psicologicamente, anche 5 mila like non contano nulla di fronte a un solo giudizio negativo che continuerà a risuonarti nella testa, inficiando anche la tua quotidianità. Ci sono stati dei giorni in cui, per la mia spiccata sensibilità, avevo quasi paura a uscire di casa pensando a come tutti quanti coloro che mi circondavano avessero visto e letto quelle critiche che tutto erano fuorché costruttive.
Uno dei tratti distintivi dei tuoi video è il sorriso. Cosa ti fa sorridere nella vita di tutti i giorni?
Il contatto con le persone, la possibilità di aiutarle a star meglio e il poter trasformare in un lavoro la propria passione. Ma mi fa sorridere anche avere una famiglia accanto in salute e il considerarmi oggi fortunato nel portare avanti un lavoro che mi piace e nell’essere circondato da persone a cui voglio bene o da cui ricevo bene. O l’avere una nonna novantenne che mi tratta ancora come un bambino di dieci anni.
C’è qualcosa che ancora manca?
L’avere una famiglia tutta mia. Ma ci sarà sempre qualcosa che a ognuno di noi mancherà: non siamo mai soddisfatti. Nel tirare un bilancio, sono più le cose che ho avuto che quelle che mi mancano. Ma mi piacerebbe far conoscere di più la persona che sono al di là del lavoro. Ho molte sfumature dentro che vorrei uscissero fuori, compresi i miei valori e le mie debolezze. Vorrei far capire che non sono il superuomo che è sempre sorridente: anch’io vivo giornate negative, mi sveglio con il mal di schiena e ho momenti in cui vorrei gettare la maschera del sorriso che è quasi obbligatorio indossare.
Ho alle spalle un lungo percorso di psicoanalisi affrontato, di momenti in cui non mi sono accettato e di altri in cui non sono stato accettato. Spesso riconosco nei tanti messaggi che mi scrivono quelle stesse difficoltà di vita che ho incontrato anch’io: vorrei un giorno poter raccontare apertamente quanto anch’io ho faticato anche solo a rivedermi in una foto o ad ascoltarmi durante un’adolescenza non sempre facile. Ma non adesso…
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