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Noemi Magagnini: “Ho faticato a sentirmi libera” – Intervista esclusiva

Noemi Magagnini si racconta in esclusiva, tra ribellioni adolescenziali, conquiste personali e il legame intenso con Vanessa di Adorazione, una storia che rispecchia una generazione intera.
Nell'articolo:

Incontrare Noemi Magagnini significa immergersi in una personalità poliedrica e riflessiva, capace di attraversare l’introspezione più profonda per poi offrirne una versione sincera e disarmante. La giovane attrice, protagonista della serie Netflix Adorazione, porta con sé un bagaglio di esperienze e contrasti che si riflettono con intensità nel personaggio di Vanessa, incarnazione di una bellezza tanto idealizzata quanto vulnerabile.

In questa intervista, Noemi Magagnini si svela non solo come interprete di un racconto generazionale che esplora il peso delle aspettative e il desiderio di libertà, ma anche come giovane donna in costante dialogo con il proprio passato e la propria identità.

Nel parlare di Vanessa, Noemi Magagnini affronta temi universali e attualissimi, dall’educazione sentimentale all’autodeterminazione, passando per le dinamiche di potere e il peso del giudizio altrui. Attraverso i suoi ricordi, la sua carriera e il rapporto con il corpo e la provincia, emergono riflessioni intime che risuonano con chiunque abbia sperimentato l’urgenza di trovare la propria voce in un mondo che spesso impone silenzi.

Questa conversazione diventa un viaggio attraverso le ombre e le luci che definiscono l’adolescenza e oltre, un dialogo che tocca corde emotive profonde e ci ricorda quanto sia importante – e difficile – essere se stessi.

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Noemi Magagnini (Press: Ufficio stampa Netflix Italia).
Noemi Magagnini (Press: Ufficio stampa Netflix Italia).

Intervista esclusiva a Noemi Magagnini

“Anch’io ho temuto molto l’accettazione dei miei genitori, anche perché sono abbastanza severi”, esordisce Noemi Magagnini quando le si chiede di raccontare in quali elementi della Vanessa che interpreta nella serie Netflix Adorazione si rivede.

“Sebbene i miei siano lontanissimi dal modo di pensare dei genitori di Vanessa, sicuramente ho ripensato alle loro aspettative quando, frequentando il liceo, non approvavano alcune miei scelte o miei comportamenti che non erano consoni all’età che avevo. In quel periodo, come spesso accade nell’adolescenza, mi sono riconosciuta in delle amiche che, secondo mia madre, mi portavano in una direzione che non era la mia o mi trascinavano lontano da ciò che si aspettavano da me. Sottovalutavano forse come a quell’età ci sia anche il desiderio di infrangere le regole e di non essere sempre perfetta, responsabile o al proprio posto, come loro mi avevano insegnato”.

Ciò che più colpisce di Vanessa è quasi l’impossibilità, fino a un certo punto del racconto, di scrollarsi di dosso il peso del giudizio, talvolta inficiato da una sorta di patriarcato interiorizzato che porta persino sua madre a rivelarsi sessista.

Ho portato il mio percorso dentro Vanessa e tutta la frustrazione che ho avvertito quando mi sono resa conto di come facesse parte di un sistema che la stava schiavizzando, che la stava mettendo in un angolo e che stava anche appoggiando. Quando ne prende consapevolezza, cerca di cambiare ogni cosa iniziando a far sentire la mia voce. È come se avesse aperto gli occhi all’improvviso e riversato su tutti la sua rabbia per essere stata obbligata a sottostare a un modo di pensare influenzato da un’educazione sostanzialmente sbagliata.

“Sei mia” è una frase che più di ogni altro dovrebbe rappresentare una red flag importantissima nella gestione dei rapporti. A differenza di “sono mia”, che invece è indice di self empowerment di autodeterminazione. Quand’è stata la prima volta che ti sei detta di essere “tua” e non di nessun altro?

Ho sempre pensato di esserlo, anche perché era anche un meccanismo di difesa per proteggermi dalle volontà dei miei genitori. Non voglio che si pensi che siano dei mostri ma è capitato che nel loro processo di educazione mi abbiano fatto sentire in colpa per alcuni dei miei comportamenti. È accaduto ad esempio quando alle scuole medie, dopo essere io stata un piccolo genio alle elementari, il mio rendimento scolastico è sceso: per loro, era qualcosa di gravissimo quando invece per me era un modo di sottolineare come volessi decidere io la mia strada e quello che volevo fare.

E in un gesto di ribellione mi sono anche fatta bocciare: più mia madre mi ripeteva di studiare, più io avevo bisogno di scegliere ogni singola cosa per me stessa, di sbagliare e di capire anche che ciò che i miei mi dicevano di fare o i consigli che mi elargivano erano effettivamente giusti. Ma dovevo capirlo da me, vivere ogni aspetto e subirne anche la delusione, senza accettare che qualcuno mi predicesse che non sarebbe andata bene. Dovevo sbatterci la testa, un atteggiamento che accomuna tutti gli adolescenti senza che questo significhi che sono dei cattivi ragazzi: hanno semmai bisogno di esperire la vita e non di farsela raccontare.

Quando, in questo processo di ricerca della tua strada, hai realizzato che volevi diventare attrice?

Non è stato facile capirlo perché avevo sempre pensato di poter fare regia. Al liceo dicevo a tutti che la mia aspirazione era quella di diventare regista ma poi ho cominciato a frequentare un corso di teatro per sbloccare la mia estrema timidezza, non riuscivo nemmeno a guardare gli altri negli occhi o a parlare in pubblico. Ho così cominciato a recitare e, dopo qualche mese, ho ricevuto un messaggio su Instagram da parte di un ragazzo che mi proponeva di diventare il mio agente...

Gli ho pure detto di no, già facevo fatica a studiare, i miei erano disperati e non era di certo il caso che mi mettessi a fare altro, soprattutto da Manziana dove vivevo. Mi sembrava tutto molto assurdo ma, fortunatamente, quel ragazzo ha insistito chiedendomi almeno di provarci e oggi è ancora il mio agente, Matteo Lipani: è grazie a lui che ho cominciato a sostenere i primi provini.

Cosa hai pensato quando è arrivato il primo “sì”?

Onestamente? Non me lo ricordo, anche perché si trattava di un progetto che non mi entusiasmava particolarmente. Purtroppo, volendo prima di ogni cosa raccontare storie che fossero importanti non solo per me ma anche per gli altri, si trattava per me solo di un ruolo come un altro e per trovare qualcosa che avesse un messaggio valido ho dovuto aspettare Adorazione: è stata questa mia convinzione che mi ha permesso anche di entrare molto nel personaggio e a sentire che dietro c’era qualcosa di un certo spessore. E, quindi, niente particolare entusiasmo per quel primo “sì” ma comunque molta ansia: per la prima volta, mi sarei trovata davanti a delle persone a recitare…

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Adorazione: Le foto della serie tv

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Com’è stato crescere a Manziana, un centro ancora più piccolo della Sabaudia che fa da sfondo alle vicende di Vanessa?

Come in ogni piccolo centro, c’era poco margine di movimento: personalmente, mi sono sentita mancare la libertà. Avrei voluto frequentare il liceo a Roma, scalpitavo per andare nella Capitale perché avevo la sensazione che la vita lì fosse molto diversa. Non a caso, capitava che con le amiche, senza dirlo nemmeno ai genitori, prendessimo un treno per andarci: mi sono presa un po’ di libertà, facendo quello che volevo anche se non avrei potuto! Ma il tutto perché sospinta dal sentire che, al di là di Manziana, c’era qualcosa di più grande che scorreva molto più velocemente.

Oggi a Roma invece ci vivo. Ma, accanto ai suoi lati positivi, mi rendo conto che ce ne sono altri che avevo sopravvalutato: ci sente come piccoli in un grande mare, smarriti e senza quella spinta che forse proprio la provincia di dà spingendoti a vedere cosa c’è oltre i suoi limiti. In più, in provincia ci si conosceva tutti, si stava anche bene insieme e si vivevano tutto come un’avventura: il solo fatto di prendere da soli un treno era come lanciarsi già nel mondo… mentre a Roma sei già nel mondo!

In Adorazione, il tuo corpo diventa quello di Vanessa ed è al servizio della sua presa di consapevolezza. Che rapporti hai con esso?

Sono sempre stata insicura: fino al primo anno di liceo non mi sentivo per niente bella ed ero convinta di non esserlo. Non mi piacevo perché comunque intorno a me, anche nella mia stessa famiglia, ho avuto canoni estetici purtroppo molto elevati: nonostante non si puntasse esclusivamente sull’aspetto fisico, mi si faceva ad esempio notare come non fossi super fit come tutti gli altri e come il mio rapporto con il cibo non fosse “normale”.

Al liceo, invece, è cambiata totalmente la prospettiva: mi veniva sottolineata in continuazione la mia bellezza tant’è che a un certo punto anch’io ho cominciato a vedermi con occhi differenti. Ed è lì che mi sono detta che ero bella e che ero “mia”, per tornare alla domanda di prima. È vero che siamo “nostri” ma è anche vero che nessuno di noi è mai veramente libero dal giudizio, dall’aspettativa altrui o dal desiderio di andare incontro agli altri.

Siamo chiamati a gestire molti aspetti prima di dirci “liberi” e l’idea di poterlo essere del tutto rischia anche di farti impazzire. Lo dico per esperienza personale: non è semplice spogliarsi da qualsiasi giudizio e influenza esterna per essere completamente puri. Ho faticato persino nel riconoscermi “femmina” ma non perché non mi identifichi con il mio genere ma semplicemente perché non ho voglia di riconoscermi in comportamenti sociali che percepisco come imposti da un pensiero collettivo. Ma, per quanto io sia totalmente indipendente dagli altri, come essere umano continuo ad averne bisogno e anche per apprezzare me stessa è servito che prima mi apprezzassero gli altri.

Rendermi conto del mio aspetto si è così trasformato anche in un fastidio: le persone si comportavano con me in una certa maniera solo perché ero una ragazza carina e sempre con il sorriso sulle labbra, generato dal mio desiderio di far felici gli altri ma non me stessa. È stato solo allora che ho capito quanto dovessi essere invece me stessa e liberarmi da quella facciata che non restituiva chi ero. E per tale ragione ho cominciato a cambiare anche il mio modo di vestire, sentendomi più a mio agio.

Noemi Magagnini.
Noemi Magagnini.

Vanessa si ritrova a un certo punto della storia ad avvertire il peso della solitudine. Mai provato?

Avendo avuto come tutti il bisogno degli altri, sicuramente sono incappata in rapporti sbagliati che bene non apportano. Ho avvertito quindi più una forte solitudine a livello valoriale: se tutti ci si ricordasse di mettere l’umanità al primo posto e non pensassimo alla facciata, alle convenzioni e allo star tranquilli, potremmo tenerci per mano e lasciarci andare a un urlo collettivo contro tutte le ingiustizie a cui assistiamo giorno per giorno.

Ed è un pensiero che mi ha accompagnato molto nell’adolescenza, quando ho realizzato di ritrovarmi davanti a una realtà che era molto diversa dal mondo che sognavo da bambina, una realtà in cui a tutto si pensa tranne che all’umanità. Guardavo i tg con i miei e non capivo come mai alcune notizie facevano saltare me dalla sedia e rimanere loro invece impassibili. Era quell’indifferenza di fronte a determinate cose che mi faceva sentire sola.

Sul set, hai lavorato con un’intimacy coordinator. Che esperienza è stata?

La sua presenza è stata molto importante: prima di darci dei consigli, ci ha chiesto di indicarle esplicitamente quali erano le parti del nostro corpo che consideravamo off limits e quali no. L’esercizio può mettere a disagio ma serve a capire come procedere e muoversi in determinate scene, prevenendo situazioni spiacevoli. Dal canto mio, non avevo chissà quali movimenti acrobatici da inscenare ma mi ha comunque trasmesso tranquillità sapere di poter contare sul suo aiuto qualora ne avessi avuto bisogno, anche se di mio ero in grado di gestire la situazione e non nutrivo particolari preoccupazioni. Di sicuro, se avessi avuto scene più complesse, sarei ricorsa ai suoi consigli pratici.

Che ricordo porterai di quest’esperienza sul set con tantissime altre giovani colleghe?

Per me, è come avere ora nuove cugine a cui voler bene: abbiamo condiviso tutto. In particolare, si è creato un rapporto molto forte tra me e Beatrice Puccilli e il fatto che lei era con me in determinate scene è stato anche fondamentale. A tenere tutti uniti era il clima di supporto estremo che si respirava e di non giudizio: eravamo tutte persone alla mano che si divertivano nella scoperta l’uno dell’altro… ci guardavamo e ci apprezzavamo senza che nessuno giudicasse l’altro. E per chi come è me è insicuro è stato determinante: non c’è mai stato un momento in cui con loro mi sentissi a disagio sin dal primo giorno di set.

Cosa ti fa maggiormente paura?

La separazione dagli altri perché è qualcosa che può avvenire per qualsiasi motivo… tra l’altro, dopo un anno dalla fine delle riprese, sono ancora a lutto per la separazione da Vanessa. Non riesco a non aggrapparmi alle emozioni e a riviverle al massimo della potenza anche a distanza di tempo. E mi distruggo nel farlo ma è anche un modo per lasciarle andare: ho sempre desiderato raccontare storie con il mio lavoro proprio perché mettere in scena le emozioni che vivo è catartico, significa liberarsene.

Nicol Castagna e Noemi Magagnini nella serie Netflix Adorazione.
Nicol Castagna e Noemi Magagnini nella serie Netflix Adorazione.
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