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Noi siamo leggenda: Intervista esclusiva a Emanuele Di Stefano

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Parte su Rai 2 la serie tv Noi siamo leggenda, in cui Emanuele Di Stefano interpreta il ruolo di Massimo, l’adolescente destinato a diventare il leader di un gruppo di giovani dotati di super poteri. Ne abbiamo parlato con lui.

Emanuele Di Stefano è il giovane protagonista della serie tv Noi siamo leggenda, in onda dal 22 novembre su Rai 2 e dal giorno dopo su Prime Video. Coproduzione Rai Fiction e Fabula Pictures in collaborazione con Prime Video, Noi siamo leggenda è diretta da Carmine Elia, regista delle prime due stagioni del fenomeno Mare fuori, e conta su un cast composto da Claudia Pandolfi, Antonia Liskova, Nicolas Pausas, Giacomo Giorgio, Beatrice Vendramin, Giulio Pranno, Margherita Aresti, Sofya Gershevich, Valentina Romani e Lino Guanciale. Con loro, anche Milo Roussel, Giulia Lin, Pia Lanciotti, Gaetano Bruno, Ettore Bassi, Alessandro Rovini, Marta Giovannozzi, Antonio Gerardi, Raffaella Rea e Maurizio Aiello.

Nella storia raccontata dalla serie tv Noi siamo leggenda, da un soggetto di Valerio D’Annunzio e Paolo Terracciano, si raccontano le cinque adolescenze difficili di altrettanti ragazzi i cui poteri straordinari affondano le radici nelle loro paure e nei loro desideri più profondi, capaci di stravolgere le loro vite. In quello che è a tutti gli effetti un racconto di formazione in cui i superpoteri si fanno metafora delle difficoltà che gli adolescenti sono chiamati ad affrontare, Emanuele Di Stefano è Massimo, il classico ragazzo che, molto intelligente, riesce ad andare bene a scuola senza studiare.

Chiuso in sé e timido, Massimo ha tutte le caratteristiche per essere un figo ma non ne è consapevole. Il suo più grande problema è la soppressione della rabbia indotta dalla madre che, in buona fede, lo ha sempre istigato a stare un passo indietro, ad abbassare la testa. Ed è la morte della madre che segna un punto di non ritorno nel percorso di Massimo, che si fa sempre più travagliato e complicato, anche per via del rapporto conflittuale con la zia a cui è affidato (la sempre straordinaria Claudia Pandolfi). Resosi conto del potere che le sue mani hanno, Massimo ne sarà affascinato usando per avere una sorta di rivincita prima di comprendere quale sia la sua vera strada.

E quello di Massimo nella serie tv Noi siamo leggenda è il primo vero grande ruolo di Emanuele Di Stefano, giovanissimo attore cresciuto nella TNT Company di Barbara Chiesa (formatrice e attrice appena vista in C’è ancora domani) e con all’attivo la partecipazione a serie tv come Corpo libero e Romulus 2 e a film come Il filo invisibile, La scuola cattolica e Siccità. Di Massimo ma non solo, abbiamo avuto la possibilità di parlare con Emanuele Di Stefano dopo la presentazione della serie tv al Lucca Comics e Games.

Emanuele Di Stefano nella serie tv Noi siamo leggenda.
Emanuele Di Stefano nella serie tv Noi siamo leggenda.

Intervista esclusiva a Emanuele Di Stefano

Chi è Massimo, il personaggio che interpreti nella serie tv Noi siamo leggenda?

Massimo è un ragazzo che perde la madre all’inizio della serie. La madre è colei che gli ha sempre consigliato, nei momenti di tensione o di scontro, di abbassare la testa, di non farsi avanti e di lasciare che le cose accadessero. Nel momento in cui perde lei, Massimo perde anche tali consapevolezze e suoi insegnamenti, ritrovandosi a cercare un modo per risolvere da sé le situazioni che vivrà o che si creeranno.

Uno dei tratti che caratterizzano Massimo è quella rabbia tipica di chi sta vivendo il momento di passaggio dall’adolescenza all’età adulta. In lui, la rabbia si manifesta anche fisicamente attraverso le sue mani che prendono letteralmente fuoco. Nel tuo caso, invece, come gestisci la rabbia? A cosa hai fatto appello per mettere in scena tutta la sua rabbia?

Non sono una persona molto rabbiosa. Non accade facilmente che io provi una rabbia simile a quella di Massimo, ragione per cui ho fatto un lavoro tosto per inscenare qualcosa che non ho mai sviluppato particolarmente nel mio percorso di vita. Mi sono mosso attraverso i mezzi che avevo a disposizione: la guida registica e la comprensione della sceneggiatura. Non ho seguito un metodo certo.

Alla sedia di regia c’era Carmine Elia, che ci ha abituati piacevolmente al racconto del mondo dei giovani. Che indicazioni ti ha dato ad esempio per le scene in cui le mani di Massimo prendono fuoco, un effetto chiaramente aggiunto in post-produzione? Quanto è stato difficile per te immaginare qualcosa che fisicamente non c’era?

Sul set ci siamo arrangiati con quello che avevamo a disposizione. Nel caso delle mani, avevamo dei led collegati a delle batterie che mi si montavano addosso e che, una volta accesi, spandevano una luce rossa che mi è stata di particolare aiuto. Mi serviva qualcosa di concreto, se vogliamo, su cui fare affidamento: partire da zero, da niente, avrebbe reso il tutto ancora più complicato. Le indicazioni che ricevevo erano semplici: apri le mani e guardati le mani. Il grosso del lavoro con Carmine è stato semmai a livello emotivo, sulla consapevolezza e non consapevolezza di quello che stava accadendo.

Sei alle tue prime esperienze da attore e ti ritrovi nel caso della serie tv Noi siamo leggenda ad avere sulle spalle il peso di essere uno dei protagonisti. Che effetto ti ha fatto rivederti?

Da un lato, è stato divertente. Dall’altro, invece, ero attento a qualsiasi dettaglio e particolare per capire se avessi fatto un buon lavoro: vedi te stesso e la tua faccia proiettati in situazioni che non ti appartengono e agire diversamente da come avresti fatto tu, prendendo anche decisioni che non avresti mai preso in vita tua. In questo caso, capisci quanto attore e personaggio non siano la stessa cosa e come non si possa essere entrambi contemporaneamente.

Massimo, come spiegavi, perde la madre nel corso del primo episodio. Per un figlio, la perdita di un genitore (nel suo caso, l’unico) significa anche assumersi la responsabilità dell’essere adulti. Tu non hai ancora provato le emozioni del distacco: come hai fatto a metterlo in scena?

Ci siamo concentrati più sulla perdita che sul distacco. Il distacco è un processo graduale che si completa quando si prende consapevolezza lentamente da ciò che è accaduto. A Massimo la mamma gli viene quasi come rubata, ragione per cui non sa come comportarsi: davanti a lui ci sono, inizialmente, solo perdizione e ignoto.

Nell’affrontare il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, i protagonisti della serie tv Noi siamo leggenda si confrontano con i sogni, le ambizioni, i dolori e le sconfitte. Qual è in questo momento il tuo più grande sogno?

Comprarmi una cosa. Avendo avuto una spinta veloce nella crescita dal punto di vista lavorativo, ne è conseguita una certa indipendenza economica: vorrei arrivare ad avere anche una certa indipendenza totale.

E cosa invece ti fa paura?

Sono molte le cose che mi fanno paura, non saprei cosa scegliere. Non mi fa paura, però, crescere: in quel caso, apprezzo molto ciò di cui ho paura. In conferenza stampa, Carmine Elia ha spiegato come la vita di tutti quanti sia segnata da due grandi traumi: il primo è relativo al momento in cui veniamo partoriti mentre il secondo è da associare a quella fase in cui dall’adolescenza si passa all’età adulta perché è in quel momento che cominciamo a porci delle domande e a cercare delle risposte. Ecco, ciò che mi auguro che non mi accada mai è smettere di farmi delle domande e di cercare delle risposte.

Sei arrivato alla recitazione quasi per caso. E grande merito è da attribuire a Barbara Chiesa. Qual è il consiglio che ti ha dato prima di intraprendere l’avventura di Noi siamo leggenda?

Barbara non è stata la mia formatrice: lo è ancora. Continuo a frequentare la sua scuola e insieme a lei ho lavorato molto sulla caratterizzazione del personaggio di Massimo e sul fatto che fosse dotato di superpoteri. Abbiamo provato a immaginare cosa comportasse al suo corpo e al suo fisico l’avere le mani che prendevano fuoco, puntando sulla fatica, su cosa si prova dopo aver compiuto un determinato sforzo o quali possono essere gli effetti della degradazione dovuta al calore costante.

In un primo momento, quando è arrivata la sceneggiatura, ci siamo chiesti perché mettesse in atto certe azioni o reagisse in un modo anziché in un altro e quali reazioni il suo comportamento generasse nel suo inconscio, nella sua mente e nella sua pancia. Poi, abbiamo lavorato anche sul corpo: è un’estensione fondamentale dell’attore, non si lavora di sola voce o faccia.

La rabbia di Massimo si scatena di fronte alle ingiustizie di cui è vittima o testimone. Qual è l’ingiustizia che non riesci maggiormente a digerire Emanuele guardandosi intorno?

L’aggressività, la non correttezza e la non sincerità. Non sopporto quando qualcuno, mettendo in primo piano la sua vita, va a intaccare o a influire negativamente la vita degli altri.

Ti spaventano il successo o la fama che potrebbero arrivare da Noi siamo leggenda? Sei pronto eventualmente a gestirli?

Vedremo prima di tutto quale sarà il risultato e poi capiremo come comportarci. Ci siamo impegnati tutti affinché la serie riesca a comunicare non solo con i giovani ma anche con gli adulti: speriamo che accada. Il resto poi si vedrà.

Cosa ti ha dato il set di Noi siamo leggenda rispetto ad altre produzioni a cui avevi preso parte?

Noi siamo leggenda mi ha fatto letteralmente ricominciare da capo. Ha distrutto ogni mia certezza e ho dovuto trovare la forza e il modo di ricostruirmi meglio. Almeno spero, non è detto che io abbia concluso l’opera. Non parlo solo a livello emotivo ma anche lavorativo e legislativo.

Essendo poi quella raccontata una storia anche molto drammatica, è stata per me una grande palestra: le emozioni di Massimo sono forti e tante. È un personaggio che vive tutto in maniera esagerata, sia in positivo sia in negativo. Mi auguro che sia una palestra che mi torni utile in futuro per entrare più immediatamente in certi tipi di emozioni.

Che set è stato? Eravate molti giovanissimi e diversi attori navigati.

Mi sono trovato molto bene sia con i giovani sia con gli adulti. Non ci sono state mai situazioni in cui qualcuno si è innalzato a un livello lavorativo più alto: stavamo lavorando tutti insieme e per il conseguimento dello stesso risultato. Non c’è mai stata incomunicabilità, tanto per rimanere nei temi della serie tv, tra attori ragazzi e attori adulti.

A livello personale, hai la percezione che gli adulti ti capiscano o che tu capisca loro?

Credo di essermi risposto a più domande rispetto a quelle a cui si è risposto Massimo. Penso di essere a un livello di crescita superiore, lo spero. Una volta che hai acquisito i mezzi per essere in grado di spiegare quello che vuoi e di capire ciò che vogliono gli altri, l’incomunicabilità non rappresenta più un problema. Ho capito che dipende da noi stessi e dal dialogo che troviamo con noi.

A proposito di giovanissimi con cui hai lavorato sul set della serie tv Noi siamo leggenda: con chi sei entrato maggiormente in sintonia?

Giulio Pranno, che interpreta Marco, mi è stato di enorme aiuto. Nel momento in cui ero distrutto, mi ha aiutato a ricostruirmi e a mettere insieme i pezzi. Grazie a lui, ho imparato che ciò che più conta è ascoltare la persona giusta.

Noi siamo leggenda: Le foto della serie tv

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