Nudha è la sorpresa di cui la musica italiana aveva bisogno in questo bisogno. Voce, grinta e potenza caratterizzano il suo disco di esordio da solista, Nudha, uscito lo scorso 22 aprile per l’etichetta Solid Records con la distribuzione fisica di Self e quella digitale di AWAL. Dietro a un nome d’arte che è anche un manifesto, si cela la trentunenne bolognese Sara Zaccarelli, cantante, autrice, compositrice e musicista.
Definire Nudha semplicemente una cantautrice sarebbe riduttivo. Forse le si adatta più il termine poetessa perché ogni testo delle 12 canzoni che compongono Nudha sono delle poesie in musica, in grado di guardare non solo dentro Sara ma anche dentro ognuno di noi.
Non lasciatevi però spaventare dall’affermazione. Nudha è una sorta di ottovolante, una giostra su cui salire e farsi travolgere. Con sound spesso spiazzanti, moderni e, soprattutto, suonati per davvero, Nudha passa dalla ballad tradizionale al soul passando per atmosfere r’n’b e moderne, travolgendo con la sua voce le note e chi l’ascolta. Con la collaborazione di Tommaso Colliva, Giulio Ragno Favero, Raffaele Scogna, ma anche di musicisti del calibro di Adriano Viterbini, Luca Bottigliero e Andrea Vanzo, Nudha parla di sé e delle proprie esperienze autobiografiche. Anche come le più dolorose, dalla perdita di un caro amico a un’infanzia fortemente segnata da qualcosa di negativo e dal rapporto pieno di incomprensioni con la madre.
Ma Nudha nei suoi testi offre anche uno sguardo vivido sul mondo che viviamo. Con un mix di dolore e speranza, canta di violenza sulle donne e di amori saffici, di uomini narcisisti e pieni di sé così come di uomini fragili e deboli. Ripercorre la sua paura e i momenti di auto-sabotaggio, ma anche il tradimento e la determinazione di una donna non più disposta a soccombere.
In ogni canzone, Sara si apre e Nudha esplode. Con una solarità disarmante, la stessa che ha accompagnato quest’intervista. Perché Sara prima di tutto con Nudha ha trovato il coraggio di mostrarsi così com’è, sincera, camaleontica e intesa. Dentro di lei, dopotutto, scorre del sangue francese, sua nonna era di Lione, e un po’ di tempra à la Edith Piaf la accompagna. Scopritela, non rimarrete delusi.
INTERVISTA ESCLUSIVA A NUDHA
Come stai, innanzitutto? Sarà per te un momento di confusione.
Bene. È un momento di grande caos ma, dopo quattro anni di lavoro a questo album, è finalmente uscito. Posso solo sentirmi bene. Non mi è permesso sentirmi male in questa settimana (ride, ndr).
Ma penso che non ti sia concesso fino agli showcase di presentazione a Milano (4 maggio), Bologna (5 maggio) e Roma (6 maggio).
Esatto. Dopo ci penserò.
Ti ho vista a Luce Social Club, il programma di Sky Arte, e mi ha sorpreso la tua solarità, il tuo sorriso. E poi ho subito pensato che una che sceglie come nome d’arte Nudha abbia tantissime cose da dire, come se volesse mettersi totalmente a nudo.
È proprio quello il significato di Nudha.
Cosa differenzia Sara da Nudha?
Nudha è il risultato di una metamorfosi che ha iniziato Sara. È come se Nudha fosse Sara 2.0. Nudha è la parte che ho sempre cercato di contattare, la mia parte interiore. Quella che si permette di dire, pensare e fare qualsiasi cosa la rappresenti, in quel momento sono senza paure.
Come altre due grandi cantautrici italiane, Elisa e Spagna, hai cominciato con il cantare in inglese perché temevi in qualche modo la lingua italiana.
Ero una di quelle convinte. Sostenevo che non avrei mai cantato in italiano né scritto. Ovviamente, durante la mia carriera, esperienza musicale ho cantato delle canzoni in italiano, anche se raramente. Dovevano essere canzoni che mi prendevano allo stomaco. Ho cantato qualche canzone di Mina, qualcosa anche di Elisa o di Gino Paoli, quando ero più piccola. Veramente poche pillole qua e là. Ma, soprattutto, non ho mai scritto in italiano. Forse mi nascondevo dietro a un discorso di sound.
Questo disco mi ha proprio sbattuto in faccia il fatto che non c’entrava nulla il sound. Nel momento in cui mi sono messa a scrivere in italiano non ho trovato problematiche nel far risuonare con la mia voce la mia lingua. Non è stato difficile. È stato più difficile dal punto di vista psicoemotivo. Scrivere Nudha è stato un viaggio interiore notevole.
E lo si nota in ogni traccia. Mi ha particolarmente colpito MolossA. L’ho trovata una sorta di Fatelo con me 2.0, una moderna versione della canzone scritta da Ivano Fossati per Anna Oxa nel 1978. Si giocava anche in quel caso con una figura femminile forte e contro gli stereotipi dell’apparenza. Ma, soprattutto, si andava contro una società maschilista che, a quanto pare, dagli anni Settanta a oggi non è che sia cambiata così tanto.
Purtroppo, no.
Così come mi è rimasta impressa Piccola con il suo lui dal cuore nero. I brani sono tutti autobiografici e raccontano una parte di te.
Sì, per quello dico che è stato notevole sforzo emotivo. È stato un rivivere tante cose che avevo vissuto nella realtà. Riviverle da adulta a livello emotivo mi ha tirato fuori una grandissima stima per me stessa. È come se da un lato avessi detto “guarda quanta strada che hai fatto”. Parlo a livello intimo ed emotivo, non di goal nella vita. Il fatto di vivere esperienze più o meno traumatizzanti ha formato una personalità di cui io stessa sono rimasta piacevolmente colpita. Ecco perché, come dici tu, emano una certa solarità. Rivivere da adulta emotivamente tutti quegli eventi e scriverne è stato il passaggio fondamentale.
Nei testi ho cercato di evidenziare la forza femminile sia come empowerment femminile nella società sia come forza di riscatto. Io sono una donna, ho 31 anni, sono fiera di me stessa, ho fatto il mio percorso e ve lo voglio raccontare mettendomi a nudo con le mie forze e le mie fragilità. Perché la fragilità di un essere umano non è la femminilità. L’essere femminile è l’unione di forza e fragilità come lo è l’essere maschile. Per me, era importante comunicare che della mia fragilità ho fatto anche la mia forza, il riscatto, il risorgere. Quello che lega i temi di questo disco è proprio il riscatto. Può capitarti di ogni, anche cose veramente brutte. Però, se vuoi, dentro di te, la forza per uscirne più forte, cresciuta ed evoluta la puoi trovare.
Il dover scrivere in italiano è stato dunque per te una sorta di psicoterapia.
Assolutamente. La lingua italiana è la mia lingua e voglio che le mie emozioni risuonino con la mia lingua. Aver scritto in italiano è stato un percorso psicoemotivo, terapeutico. Scrivendo Chiedimi, per esempio, ho superato e metabolizzato un lutto. Fino al momento in cui mi sono messa a scrivere quel testo, avevo semplicemente accantonato in qualche angolino del mio cuore quel dolore. Era rimasto fermo lì. Con la stesura del testo ho veramente rielaborato il lutto. La cosa pazzesca è stata che ho veramente pianto, non avevo mai pianto prima per quella perdita. Quando sono arrivata in studio per cantare la canzone, è stato un turbinio di emozioni. Piangevo ogni cinque secondi. Le lacrime sgorgavano come da un rubinetto. È stato molto, molto emozionante.
Nelle tue canzoni, hai citato la figura materna ma non c’è mai un riferimento a quella paterna. Mentre la figura materna e le incomprensioni con la madre sono ben esplicite in Vedi, la figura paterna non c’è. Scelta casuale o dettata anche quella dalla vita?
Fa parte della vita. Hanno avuto due ruoli differenti. E poi, comunque, io sono una donna e per noi donne riconoscersi nella figura femminile è fondamentale. È più facile avere delle cose da risolvere, un conflitto con la madre. Quando sei piccola non comprendi determinate cose, le comprendi da grande.
Al di là dei singoli casi, il rapporto figlia-madre è sempre abbastanza complicato. Non ricordo personalmente canzoni con parole che siano così d’impatto come la tua. Su TheWom.it ci occupiamo spesso di rapporti con i genitori così come ci occupiamo spesso di relazioni uomo-donna. Nelle tue canzoni, l’uomo di oggi è abbastanza incomprensibile, insondabile. Passa dall’essere fragile all’essere narcisista, pieno di sé. La domanda è come se fosse “cosa si deve fare?”.
Esatto. Ho trattato il tema diverse volte nei brani. Gli uomini raccontati rappresentano la maggioranza di quelli che si incontrano in questo momento. Probabilmente, perché hanno delle mancanze emotive quando crescono, anche se non esistono giustificazioni. Se uno si comporta male, si comporta male. “Sei adulto, devi imparare a gestire la tua vita, emotiva e relazionale”. Se non trovi una persona che emotivamente è al tuo livello, alla pari, ti trovi sempre in situazioni dove sei o figlia o genitore dell’altra persona. O terapeuta. O vittima o carnefice. Bisogna essere alla pari nei rapporti, altrimenti non ci si cava un ragno da un buco.
A proposito di rapporti in cui si è vittima o carnefici, non posso fare a meno di chiederti di Con le mani. A parte la straordinarietà della parte parlata di Mauro Ermanno Giovanardi, mi piace molto l’intensità della canzone. Nonostante a un ascolto distratto possa sembrare quasi una sorta di piccolo tormentone, nasconde un testo di un’intensità pazzesca. Non solo perché parla di un amore tra due donne ma anche perché è dedicato a tutte quelle donne che subiscono violenze, abusi e soprusi tra le mura domestiche. È particolarmente pertinente il verso “Voglio amarti con le mani”.
C’è intenzionalmente una doppia interpretazione. Sai qual era il concetto portante? Spesso, le donne che subiscono violenze domestiche o dai propri partner non sanno come uscirne. Hanno paura di denunciare. E scusano il tutto con la frase “ma lui mi ama”. Amarti con le mani metaforicamente rappresenta anche l’”io ti sto picchiando però ti dico che ti amo”. Una cosa che fa rabbrividire. Anche solo a dirlo sento un brivido lungo la schiena.
È stata curiosa la collaborazione con Giovanardi. Eravamo a Monza a registrare le voci. Lui è di Monza, è passato casualmente in studio perché conosce il fonico. In quell’occasione, gli ho proposto di fare una specie di cammeo nella canzone. Ha accettato subito ed è entrato in studio per registrare la sua parte. La cosa bellissima è che con il suo vocione profondo, quasi da poeta, interpreta una parte al femminile. Ha completato il cerchio di Con le mani dando un sostegno fondamentale. Non è solo l’uomo che sostiene la lotta delle donne ma è un uomo che in quel momento è una donna. È l’essenza stessa del significato del testo.
Citando P.A.U.R.A., sei libera oggi di essere te stessa?
Sì, finalmente. Devo davvero dire grazie al percorso he ho fatto durante la scrittura di questo disco. Probabilmente, ero pronta a farlo. La gioia, la liberazione e il senso di leggerezza che mi ha dato è impagabile. È Nudha, questo è Nudha.
Il mondo di Nudha è come una giostra. Non hai tempo di abituarti a un tipo di sound che ne arriva un altro. Tutto quello che si crede ascoltando una canzone viene rimesso in discussione alla successiva. Ed è bello perché oggi siamo abituati a un tipo di musica che è un po’ troppo monocorde. È il riflesso del fatto che avrai lavorato in maniera molto libera, senza alcuna imposizione esterna.
L’omologazione è qualcosa da cui scappo da sempre. Sono sempre stata la “pecora nera”, quella un po’ fuori dal coro. Anche come mentalità, non mi sono mai uniformata a ciò che sono le mode o i pensieri. O le mode di pensiero. Adesso vedo che c’è un trend e la gente pensa solo a quello. Per me, è veramente grave, a livello sociale e a livello umano. Dove non c’è differenza di idee e non c’è diversità, c’è sterilità. Se io e te la pensiamo uguale su tutto, dov’è la nostra crescita?
Il confronto è fatto così: io devo instillarti un dubbio che ti stimoli a riflettere e ad allargare le tue vedute e la stessa cosa fai tu con me. In questo momento storico, la conversazione tra le persone è veramente pari a zero. Anche a livello di social. Io li chiamo a-social. A livello social c’è un grande bisogno di contatto ma, non voglio parlare per luoghi comuni ma è così, quando siamo uno di fronte all’altro non siamo nemmeno capaci di parlare, comunicare quello che sentiamo. C’è molta paura di comunicare le emozioni. Lo capisco, perché ho avuto anch’io la stessa paura. Il mio modo di uscire da tale paralisi è cantare e amare, per qualcun altro può essere un’altra cosa: uno sport, qualcosa che gli piace, la pittura, la danza…
Sei innamorata in questo periodo? Chiudi l’album con Traffico, una canzone d’amore e sull’importanza dei sentimenti.
Ehhh… sì. Sono molto importanti i sentimenti. Traffico parla anche della difficoltà a volte, come si diceva, di comunicarli certi sentimenti. E, invece, è molto, molto importante dirseli. È una cosa su cui rompo sempre le scatole: bisogna dire alle persone quanto si vuole loro bene, comunicare sempre i veri sentimenti e cosa c’è di positivo in loro. Focalizzarsi sugli aspetti positivi è contro la tendenza di oggi a guardare in negativo. C’è molta critica in giro ma un po’ sterile, fine a se stessa, non costruttiva. Ci sono molti haters ma dove sono i lovers? Si denigra molto. Probabilmente lo si fa per sfogare la frustrazione di una vita poco soddisfacente. Non voglio essere offensiva ma credo che dipenda veramente da quello, dal senso di insoddisfazione.
Accade anche nel contesto del mio lavoro. Mi sento spesso chiedere perché parlo sempre bene di qualcosa e mai male. Rispondo che per me è prima di tutto una questione di rispetto per chi ha lavorato a un prodotto.
Esatto. È una questione di rispetto. Si può anche non apprezzare qualcosa o ritenere che la qualità sia bassa. Però qualcuno l’ha fatta, ci ha speso soldi, ci ha messo impegno e ha impiegato energie. Questo va rispettato. Il diritto di critica è sacrosanto ma se ben motivato. Non ci si può limitare al “mi fa ca***e”. Mi sembra medievale. Non siamo più nel 1.100! Secondo me, un po’ più di eleganza potremo cercare di averla come genere umano. Spero che la musica sia sempre un veicolo di positività. Che possa aggregare, comunicare, far sentire le persone meno sole e più forti. Per me, fare musica è quasi una missione da un certo punto di vista.
Fai ancora “la stronza per noia”, come canti in Oggi no? Tutti quanti siamo stati almeno una volta stronzi per noia nella vita.
No, non lo faccio più. Faccio la stronza quando qualcuno se lo merita, quando non lo ignoro direttamente. Può succedere di farlo per noia: ci sono delle età in cui ti viene più spontaneo. Avviene a quell’età a cui sono meno consapevole ma hai tanta energia da usare e certe cose fai fatica a tollerarle o a comprenderle. A volte, fare gli stronzi non è tanto “voglio fare la stronza” ma “non so cosa fare, allora faccio la stronza”.
Sei ancora insicura come in EMME o hai superato quella fase?
No. Quella fase l’ho superata. Anzi, appunto, l’uscita di questo album ha rappresentato un tassello importante verso la sicurezza. Lavorare tanti anni a testa bassa, fare fare fare, ti scarica e ti fa perdere l’entusiasmo. È una questione di ricarica. Quando salgo sul palco, io dono loro tutta la mia energia e anima. Il pubblico, in cambio, mi dona affetto, stima. Mi ricarico delle emozioni e della gioia che le persone mi danno. Con l’uscita del disco, è come se avessi dato un senso a tutto il lavoro fatto. Ricevere messaggi di persone che conosco e che non conosco con frasi delle mie canzoni (cosa mai successo, è il primo disco che pubblico) che son loro rimaste appiccicate al cuore è un’emozione molto grande. Queste sono le vere ricariche emotive. La musica deve fare questo: unire.