Dal 28 ottobre è disponibile il nuovo singolo di oli?, scusa (Warner Music Italy). Segna l’inizio di una nuova fase musicale del giovane cantautore che si era fatto notare a Sanremo Giovani con Smalto e tinta, un brano accompagnato da un’esibizione che non era passata inosservata.
scusa racconta di un tema più che mai attuale: quello dell’abuso emotivo all’interno di una relazione tossica. oli? affronta l’argomento con estrema lucidità, sviscerando quel tipo di violenza psicologica che non lascia segni sulla pelle, ma che colpisce in modo più subdolo, lento e corrosivo. "scusa è la paura di rimanere soli, l’incapacità di mettere l’amore per se stessi davanti all’amore per gli altri. In una relazione tossica a chiedere scusa è la persona che viene ferita: l’assurdità e la contraddizione dell’abuso emotivo”, ha spiegato oli? nelle note di presentazione della canzone.
Il primo passo lungo la strada della guarigione e del self love è riconoscere l'abuso con noi stessi: scusa è un intimo sfogo terapeutico, un invito universale a chiunque si trovi in una situazione di difficoltà a ritagliare un momento per prendersi cura di se stessi. Ad accompagnare la voce di oli? c'è l'ennesima magia di Riccardo Scirè, uno dei producer più richiesti del panorama italiano, fatta di chitarre acustiche ed elettriche, synth bass e batteria nella quale si intreccia nuovo pop cantautorale e pop punk.
Abbiamo voluto parlare di scusa insieme a oli? e ne abbiamo approfittato per un’intervista che va oltre il singolo e si avvicina a chi è realmente Marco Poletto, il giovane che con oli? convive sin da quando era poco più che un bambino. oli? è stato infatti il fanciullino, in senso pascoliano, che Marco per un certo periodo di tempo ha deciso di portare avanti, affidandogli anche il compito di far uscire la rabbia e il dolore che aveva accumulato dentro per il suo vissuto personale.
Molti di voi, come dicevamo in apertura, si ricorderanno di oli? a Sanremo. Si era presentato con i capelli tinti, le unghie smaltate e la minigonna. Lo aveva fatto non per la voglia di stupire o di mettere in scena la sua sessualità, come in molti hanno pensato o sospettato. No, la sua è stata una scelta dettata da altri motivi, che potete leggere argomentati dalle sue stesse parole. Così come potete leggere delle reazioni assurde, fuorvianti e dolorose che la gente ha avuto per via di una mentalità che nel 2022 si fa ancora fatica ad abbattere.
Intervista esclusiva a Oli?
scusa segna l’inizio di una nuova fase della tua produzione. In che cosa si discosta dalla precedente?
Di base, il mio modo di scrivere e comunicare resterà lo stesso. Scusa vuole essere una virata verso un mondo un po’ più facile per altre persone. Finora il mio genere musicale è stato “pop punk” e si è servito del momento storico favorevole a certi suoni, vicini alla musica di Avril Lavigne, ad esempio, quella con cui ho cominciato sin da piccolo ad approcciarmi alla musica. scusa, invece, mi dà la possibilità di parlare a più persone e questo è ciò che mi preme maggiormente: sento di avere tanto da dire e vorrei raggiungere più gente possibile. L’uso di un linguaggio musicale più aggressivo ti preclude una certa fascia di pubblico.
È vero che il linguaggio dei tuoi lavori precedenti era un po’ più aggressivo ma affrontavano comunque temi trasversali. Se penso ad Angeli e demoni e le sue tematiche, dalla depressione al suicidio, lo vedo come molto trasversale.
Sicuramente, ma non volevo fossilizzarmi: quello esplorare la musica in generale. Angeli e demoni trattava comunque una tematica con un testo molto pesante, diretto e crudo ma con una musica un po’ più dolce. Vorrei semplicemente ammorbidirmi un po’ rimanendo sempre molto sincero e cercando di essere coerente con quello che sento.
È anche frutto del tempo che passa: arriva il momento in cui la furia adolescenziale va scemando per lasciare spazio alla maturità. E di maturità in Scusa ce n’è abbastanza. Affronti un tema alquanto spinoso come le relazioni tossiche ammettendo in questo caso che la parte tossica del rapporto era una lei. In questo modo, punti un faro su un argomento spesso sottaciuto: gli uomini vittime di violenza, in senso lato, da parte delle donne.
E per me la canzone serve esattamente a questo: a trattare una tematica che spesso viene sottovalutata. Ho sempre cercato con le mie canzoni di essere il più inclusivo possibile. Faccio musica per poter parlare di qualcosa: credo ancora nella sua funzione comunicativa. Ecco perché cerco di trattare di esperienze che in qualche modo possano rappresentare anche delle minoranze che, spesso e volentieri, non riescono ad esprimersi.
Nel caso di scusa, lo faccio con un’esperienza che è realmente accaduta: sono stato dalla parte di chi doveva chiedere “scusa” in un momento in cui non doveva farlo. Uomo o donna, non ha importanza: tante volte in una relazione si fa fatica a mantenere il famigerato equilibrio. Quando questo viene a mancare, c’è magari uno dei due che sente di dare di più e l’altro che si adagia, maturando una certa dipendenza. Ciò può diventare abuso: tutto diventa scontato e l’altro si ritrova addirittura a dover chiedere scusa anche in situazioni in cui ha potenzialmente ragione pur di salvare il legame di fronte alla minaccia di una fine.
Si chiama gaslighting: abuso psicologico e manipolazione. Nel video ho voluto utilizzare un’immagine molto forte: il telo di nylon che ricopre anche lui, facendo sentire quasi un oggetto in una casa. Per me, il gaslighting è comparabile a un “tentato omicidio”, a una pistola puntata. Negli Stati Uniti è un argomento di cui si parla molto anche a livello giuridico mentre da noi, come spesso accade con tante altre cose, la questione è un po’ scemata. Se ne parla quando accadono dei casi limite ma poi tutto scivola.
Quand’è l’ultima volta che ti sei sentito con una pistola puntata addosso?
Dal punto di vista di una relazione, è stato fortunatamente almeno quattro anni fa. Ma ci sono micro violenze che percepisci anche negli ambienti lavorativi, dove tante volte ti trovi costretto a fare lo yes man e a dire di sì a situazioni che non vorresti, a cedere.
La lei di scusa è figlia in qualche modo della Anna di Smalto e tinta?
No, ma è una considerazione bella da fare. La Anna di Smalto e tinta è più sbarazzina, ha un profilo anche più trascendentale ed evanescente: c’è e non c’è. La lei di scusa è molto più solida.
Possiamo tranquillamente asserire che la scrittura per te è terapeutica. Marco e oli? convivono dentro te anche a un passato particolarmente tormentato dal punto di vista emotivo. Oggi ti senti più Marco o più Oli?
Attraverso oli? posso dire qualcosa in un certo modo, dove modo è una parola che racchiude non solo la musica ma anche l’immagine, la comunicazione, il vestiario e via di seguito. In questo momento mi sento più vicino a Marco, tanto da volere che anche la cover e la comunicazione visiva di scusa fossero più spoglie: indosso dei pantaloni neri e una semplice maglietta bianca, niente trucco, niente smalto, niente di niente. Tutto è più trasparente e rappresenta la mia volontà di essere sempre più vicino a Marco. Il mio percorso artistico è partito mettendo oli? davanti e lasciando Marco dietro a lui. Ora invece c’è Marco davanti.
Significa che in qualche modo hai anche fatto i conti con il tuo passato di adolescente che si è ritrovato davanti allo tsunami della separazione dei genitori. In un’intervista a Sanremo, hai dichiarato che la cartella Dropbox che contiene i tuoi lavori si chiama Love is Dead.
E si chiama ancora così: è sempre lì, viene aggiornata di continuo ma ha sempre lo stesso nome. Mi capita spesso di pensarci e credo sempre che l’amore sia morto. Forse, sarebbe più giusto dire che la concezione di amore che abbiamo noi soprattutto in Italia, quella romantica, è un po’ cambiata: l’amore moderno è molto più abbandonato a se stesso. I miei nonni dicono spesso una frase che mi porto sempre dietro: “Noi siamo figli di un periodo in cui quando le cose si rompevano le aggiustavamo. Voi invece le buttate: ce n’è subito un’altra pronta”.
Hai solo 25 anni ma dimostri molta più maturità dei tuoi anni.
Alle esperienze di vita vissute. Mi sono incolpato nel tempo anche di cose di cui non avevo sicuramente colpa, vuoi per carattere, per esperienza, per modo di pensare, per astrologia o per chissà che. Inevitabilmente cresci prima ma sono sempre stato libero dai dettami o dal “si deve fare”. A 18 anni, ad esempio, non sentivo la necessità di dover andare in discoteca a fare il coglione (l’ho pure fatto ma a 16 anni) ma mi interessavo ad altro.
Come è stato crescere in provincia? Belluno non è certo Milano.
Con la mia città ho tuttora un rapporto molto particolare. È un posto in cui non potrei vivere, ad esempio, a livello di mezzi di trasporto. È molto dislocata e si fa fatica a spostarsi o a incontrare le persone. Per raggiungere Milano in treno e tornare servono in media dodici ore: 3 ore e mezza per arrivare da Belluno a Venezia e altre tre ore da Venezia a Milano.
Ma anche a livello personale Belluno mi ha lasciato un po’ traumatizzato. Quando ho avuto le mie prime soddisfazioni lavorative (ho cominciato a 17 anni a far musica), quando tornavo, non avevo mai un riscontro positivo: sono stato bullizzato da qualsiasi parte mi girassi. Potevo capire i miei coetanei, quando hai 17 anni e sei stupido, ci sta anche farlo. Quello che mi toccava maggiormente è che a farlo fossero gli adulti, gente di 40, 50 o 60 anni che spendeva il proprio tempo per prendere per il culo un ragazzino di diciassette anni. Lo trovo di una cattiveria inaudita. Una cattiveria che le ultime elezioni hanno sdoganato e che mi fa paura.
Non ti dico ad esempio quello che ho letto sotto i miei video o nei commenti sui social quando ho partecipato a Sanremo con Smalto e tinta, presentandomi con lo smalto sulle unghie e in minigonna.
Sul palco dell’Ariston hai lanciato un messaggio fortissimo: la tua era una manifestazione della personalità e non della sessualità.
Sono contento che a qualcuno queste informazioni siano arrivate. È un messaggio che ho fatto fatica a far passare da Sanremo. Dopo la partecipazione al festival, sono usciti articoli, interviste e quant’altro, in cui ci si chiedeva della mia sessualità vivisezionando anche il testo della canzone, senza sapere nemmeno come era nata (dopo un provino sostenuto per Amici, in cui pensavo che saremmo stati in due e invece eravamo in cinque). E mi dispiaceva: nessuno si soffermava alla personalità.
Sono un grande fan della consapevolezza: ti mette di fronte, anche in maniera crudele, alla realtà dopo che ti sei posto mille domande e ti sei messo continuamente in discussione. Io mi son chiesto perché non avrei dovuto mettere la minigonna se mi piaceva, perché un colore si adatta per convenzione più a una donna e non a un uomo o perché non potessi mettere lo smalto. Il passo successivo è stato: “Cosa succede se lo faccio?”. E non è successo nulla: mi sono semplicemente sentito più a mio agio.
Nel 2022 in Italia, un Paese che fa finta di essere progressista, è ancora difficile fare quello che si vuole. Io ho messo la minigonna a Sanremo e si è scatenata l’onda d’urto ma che succederebbe se qualcuno lo facesse in un paesino? Tornerebbe a casa vivo?
Mi piacerebbe un giorno sputtanare, o come dicono in inglese to expose, tutte quelle persone che dopo Sanremo prima mi attaccavano ma poi mi scrivevano in privato in termini “sessuali”, avanzando proposte. L’80% di loro erano padri di famiglia: quelli che ti attaccano di giorno per la minigonna ma poi ti cercano di notte.
E come hanno reagito invece i nonni quando ti hanno visto con la minigonna?
Ho vissuto con loro gran parte della mia adolescenza. A loro non è mai importato nulla di piercing, tatuaggi, tinte e smalto sulle unghie. Mi vogliono bene e tutto il resto passa in secondo piano. Mio nonno, un uomo nato nel 1934 che per tutta la vita ha fatto il muratore, mi ha fatto i complimenti quando ha visto il primissimo video in cui ero in minigonna. Quando poi ero a Sanremo, si è fatto tingere persino i capelli di blu da mia madre che fa la parrucchiera! Idem mia nonna: mi ha sempre sostenuto.
Questo dimostra che non si tratta di un problema generazionale ma semplicemente di mentalità.
Ed è questo che mi brucia e che mi fa incazzare, il motivo per cui scrivo e vorrei parlare a tanta più gente possibile con la mia musica. Non dipende dalle generazioni che ci hanno cresciuto ma da come ci hanno cresciuti, dalla cultura che ci hanno inculcato o dagli stereotipi trasmessi. C’è un mio amico che, pur volendo, non mette lo smalto perché il padre lo caccerebbe fuori di casa: non è normale che sia così, si limita una libertà individuale.
Penso al video di Doremifa. Se ti guardi allo specchio come ti vedi oggi?
Mi faccio spesso delle domande, soprattutto sul periodo in cui pubblicavo impulsivamente i video delle mie canzoni. Avevo l’abitudine di scrivere e pubblicare poco dopo, senza rifletterci mai sopra. Un po’, come quando ho l’impulso di farmi un tatuaggio: mi chiedono spesso se poi me ne pentirò. In realtà, non mi sono mai pentito né di un tatuaggio né di una canzone: rappresentavano il mio modo di vedere qualcosa in quello specifico momento, giusto o sbagliato che fosse.
Sto lavorando tanto su me stesso. E sto anche affrontando nel mio piccolo uno stigma che avevo: la palestra. Ho sempre evitato di frequentarne una perché vedevo la palestra come luogo di tante micro violenze, di gente che giudica… un tempio dell’ego, ovvero l’esatto contrario di ciò che vorrei io nella mia vita. Ho infranto però il tabù, sto andando in palestra e mi sento bene.
Stai lavorando a un album?
In quella che è la mia visione di album, spera possa uscire entro i primi mesi del 2023, ho intenzione di rilegare tutti i ricordi che riassumono il primo capitolo della mia esperienza. E, quindi, canzoni già uscite ma anche altre inedite, alcune già scritte e altre che sicuramente verranno.
I primi mesi dell’anno mi spingono a pensare a Sanremo. Potrebbe essere un’ipotesi?
scusa era il pezzo che avevo proposto lo scorso anno se fossi passato tra i big. C’è il desiderio di proporre qualcosa ma non adesso: reputo lo step ancora troppo grande da fare. Prima di tornarci, sento di dover fare qualcosa in più, qualche altro passo giusto da fare che mi porti a una certa crescita e a un determinato tipo di mentalità. C’è un tempo per ogni cosa: la percezione che spesso si ha della musica oggi è un po’ frivola, c’è una certa fretta nel voler diventare cantanti che non mi è mai appartenuta.