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Le Opposite: “Quant’è difficile allontanarsi da casa!” – Intervista esclusiva

Settembre è il nuovo singolo delle Opposite. Per la prima volta, mettono la parte la leggerezza per rendere omaggio a un tema molto sentito. Le abbiamo incontrate per un’intervista che ripercorre la loro decennale amicizia e le difficoltà con cui hanno dovuto confrontarsi.

Le Opposite sono tornate in radio con il nuovo singolo, Settembre (Take Away Studios/Believe Digital). Il duo femminile modenese da oltre 2 milioni di ascolti su Spotify si ripresenta con un brano che, parlando di casa e di famiglia, è accompagnato da un video che vuole celebrare tutte le persone che hanno speso la loro vita per la pace.

Il video di Settembre delle Opposite affronta infatti temi più complessi tra cui quello purtroppo molto attuale della guerra, prendendo spunto da un evento terribile per i nostri soldati, come quello avvenuto nel 2003 in Iraq. Da sempre accompagnate dalla volontà di rallegrare la propria community, le Opposite hanno cercato di portare contenuti leggeri e spensierati ma, visti i recenti accadimenti in Ucraina, per una volta hanno voluto sensibilizzare i loro coetanei su un argomento che, dopo lo sgomento iniziale, finisce per essere banalizzato.

Reduci da un anno particolarmente fortunato, complice anche la loro partecipazione al programma Procediamo di Radio 101 con Fernando Proce, le Opposite sono al loro nono singolo, dopo l’ottima accoglienza riservata ai precedenti Via di qua e Grido piano. Ma dietro alle Opposite si nascondono Francesca Basaglia e Camilla Ronchetti, due ragazze della Generazione Z che hanno fatto della loro amicizia e dei loro mashup musicali il loro personalissimo cavallo di battaglia.

Nell’intervista esclusiva che ci hanno concesso, le Opposite raccontano di come è nato il loro rapporto e di quanto siano diversissime tra loro. E di quello strano scherzo del destino che le ha portate a conoscersi dieci anni fa, quando una nemmeno cantava e l’altra faticava a socializzare. Ma di questo è meglio che vi parlino loro.

Le Opposite: Francesca Basaglia e Camilla Ronchetti
Le Opposite: Francesca Basaglia e Camilla Ronchetti

Intervista esclusiva alle Opposite

Settembre è dedicata a tutti i soldati italiani che hanno prestato servizio in Iraq nel 2003. Il pensiero non può che andare a Nassiriya e al terribile attentato di cui i nostri soldati sono rimasti vittima.

FR: In realtà, Settembre non nasce con un richiamo esplicito alla guerra. Il testo è stato scritto il 14 agosto e parla di famiglia, di valori, di quanto sia difficile staccarsi da casa. Per quanto rappresenti una fase del processo di crescita, è complicato allontanarsi dai propri genitori e dal sistema di valori che ci hanno impartito: non importa quanto si possa essere felice altrove o cosa accada, casa nostra rimarrà sempre casa nostra.

Alla canzone abbiamo però voluto abbinare un video che parlasse di un tema molto delicato e attuale. Siamo partite da un episodio specifico molto sentito a livello nazionale per inserire anche un riferimento all’attuale situazione in Ucraina. Da quando abbiamo iniziato il nostro percorso artistico nel 2015 e discografico nel 2019 abbiamo cercato di trasmettere leggerezza e spensieratezza a chi ci sostiene: per una volta, volevamo invece porre l’attenzione e sensibilizzare le persone su un tema forte, seppur scomodo da trattare.

Il richiamo a casa è abbastanza evidente. Nel video di Settembre ci sono una bambina (che cresce), una casa e una mamma. Che rapporto avete voi con le vostre madri?

CA: Abbiamo entrambe un bellissimo rapporto con le nostre madri, le nostre famiglie e le nostre case. Settembre nasce anche dalla volontà di dire una volta in più ai nostri genitori “Ti voglio bene”. In genere è difficile dire “Ti voglio bene” a qualcuno e dirlo ai propri genitori è quasi imbarazzante, anche se non se ne capisce il motivo.

Il modo migliore che abbiamo trovato per farlo è stata una canzone, tant’è che le prime righe del ritornello le ho scritte dedicandole a mia sorella nel momento in cui è uscita di casa per andare a vivere fuori. Erano tutti, comunque, felici ma allo stesso rammaricati che andasse via: siamo sempre stati una famiglia molto unita e in qualche modo volevo aiutare mia sorella a dire “ti voglio bene” ai miei genitori.

Siete entrambe cresciute a Modena. Come nasce l’esigenza di scegliere la musica come linguaggio per esprimervi?

FR: È una storia molto lunga: è stato il destino a dirci “fate musica” perché noi due non ci conoscevamo. Era il lontano 2012 e vivevamo in due paesini della provincia di Modena, io a Cavezzo e lei a Mirandola. Si tratta di due centri molto piccoli e diversi che distano tra di loro dieci chilometri. Sembrano pochi ma quando hai 14 o 15 anni e puoi muoverti solo in bicicletta anche dieci chilometri rappresentano l’altra parte del mondo. Frequentavamo anche scuole diverse: lei il linguistico classico e io lo scientifico.

Un giorno, però, dal nulla la mia professoressa di biologia è entrata in classe e perentoria ci ha detto che dovevamo formare una band musicale per fare uno spettacolo tre settimane dopo. Nonostante sin da piccola io suonassi il pianoforte, mi sono proposta – senza alcuna ragione – di suonare la batteria. Altri miei compagni suonavano gli altri strumenti ma avevamo un problema: mancava il/la cantante. Una mia compagna si è allora fatta avanti proponendo di portare lei una ragazza “meravigliosa e bravissima”. Ed è stato così che è arrivata Camilla.

Si è scoperto solo dopo che c’era stato un errore di persona. Camilla non aveva mai cantato in vita sua: era sua sorella che aveva preso lezioni di canto e non lei. Ci siamo dunque incontrare in circostanze stranissime ma siamo diventate prima di ogni cosa molto amiche. Abbiamo cominciato a frequentare lo stesso giro di amicizie e a provare lo stesso legame forte con la musica, che sin da piccole in qualche modo ci accompagnava (mentre io suonavo il piano, lei ballava hip hop e suonava il saxofono).

E da quel momento cosa è accaduto?

FR: Sempre senza un perché, abbiamo pubblicato una cover su Facebook. E abbiamo cominciato a ricevere i primissimi consensi. Ci hanno rincuorate. Ma sai che c’è? Forse non facciamo poi così schifo, ci siam dette. E abbiamo iniziato così un percorso via via sempre più “serio”, dal punto di vista professionale e lavorativo fino ad arrivare ai mashup, che diventeranno i nostri cavalli di battaglia. All’epoca, non è che se ne facessero molti in giro: portavamo quindi qualcosa di nuovo che alla gente piaceva: per cinque anni, tutte le settimane, era un appuntamento fisso.

Dai mashup al desiderio di proporre qualcosa di nostro il passo è stato breve: nessuno ci ha imposto nulla, è avvenuto tutto in maniera molto naturale. L’idea di uscire con un singolo non era nemmeno valutata dall’agenzia di comunicazione di cui nel frattempo facevamo parte!

Tuttavia, ad avvicinarmi è stato anche un altro dettaglio: una delle due in matematica non è che fosse un genio…

CA: Eh, avevo bisogno un po’ di aiuto in matematica: scrivevo continuamente a Francesca per farmi aiutare per le verifiche!

FR: E per me è stato un modo per diventare amica di Camilla: le davo ripetizioni gratuite di matematica solo perché avevo pochi amici!

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E perché non avevi amici? Ti sei data una spiegazione a molti anni di distanza?

FR: Lì per lì non ci riflettevo molto ma ho scoperto dopo, anche il supporto della psicoterapia, che non ero proprio una ragazzina comodissima. Sono sempre stata molto selettiva: c’erano persone, pochissime, con cui riuscivo ad andare d’accordo e altre non cui non riuscivo a instaurare alcun tipo di legame. Sono sempre stata per gli eccessi: o tutto o niente. Quindi, c’erano persone a cui davo il 100% perché mi andavano a genio e altre non cui non instauravo nemmeno un minimo di rapporto sociale, non ce la facevo. Ero e sono una persona estremamente sensibile: quando mi riportavo frasi o atteggiamenti di altri nei miei confronti, ciò bastava a farmi dire che io non volevo nella mia vita quella gente lì perché mi faceva del male.

Cosa hai visto tu, Francesca, in Camilla per divenire sua amica?

FR: Mi fido molto dell’imprinting che ho delle persone, delle sensazioni che mi danno sin dal primo impatto. Scatta qualcosa dentro me che mi fa capire se vale la pena conoscere a fondo qualcun altro. È chiaro che con questa metodica un po’ mistica prendo a volte delle sonore cantonate ma nel caso di Camilla non mi sono sbagliata.

E ti porti tale metodo anche nelle relazioni sentimentali?

FR: Si, funziona quasi sempre. L’affinità deve scattare subito: difficilmente accade dopo.

Al di là dell’imprinting e delle lezioni di matematica, cosa ha colpito te, Camilla?

CA: La prima volta che sono entrata nella “sala prove”, che era letteralmente la camera da letto della nonna di Francesca, sono rimasta ammaliata da questa ragazza con una maglietta terribile, con su scritto “Mi piacciono gli alberi”. Somigliava anche incredibilmente a Paola Cortellesi. E ho pensato subito che fosse la ragazza più simpatica che avessi mai conosciuto nella mia vita. Una che non sapeva suonare la batteria che accoglieva me che non avevo mai cantato, che indossava quella maglietta e che somiglia alla Cortellesi, non poteva che essere speciale!

Se ci penso razionalmente, non so dirti cosa ci ha reso così amiche. Siamo caratterialmente diversissime, non a caso ci chiamiamo Opposite. Ma c’è sempre stata una chimica inspiegabile, un’intesa che ci permette di capirci anche con un semplice sguardo. Motivo che ci ha spinte a lavorare insieme: lavorare con gli amici non è mai una cosa semplice, è un’arma a doppio taglio soprattutto quando si è in due e prima o poi qualcuno deve cedere le armi! Se dopo dieci anni di conoscenza e cinque di lavoro condiviso siamo sopravvissute, vuol dire che abbiamo visto qualcosa l’una nell’altra per cui vale la pena continuare.

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L’ultimo anno è stato per voi intenso. Che esperienza è stata quella a R101 a fianco di Fernando Proce nel programma Procediamo?

FR: È stata un’esperienza incredibilmente formativa. Avevamo negli anni acquisito una microscopica capacità di parlare al pubblico e di comunicare con gli altri ma in radio era tutt’altra cosa: eravamo in diretta nazionale e con dei tempi velocissimi che richiedevano anche una certa capacità di improvvisare. Guardavamo rapite chi lavora in radio e riesce a destreggiarsi e a muoversi tra un’intervista, un argomento di cui parlare, il lancio di un singolo o della pubblicità, tra mille imprevisti. Ci siamo divertite tantissimo, anche perché non eravamo le conduttrici e non sentivamo quindi sulle spalle il peso di dover tenere in piedi l’intero programma.

Un’esperienza da ripetere?

CA: Assolutamente. Ci avevano anche chiesto di continuare ma abbiamo detto no per una semplice ragione: la nostra carriera musicale è all’inizio e temevamo, facendo le speaker fisse, di rimanere imprigionate in un’etichetta. È stato solo questo il motivo per cui abbiamo smesso al momento: se fossimo state già a un altro livello e considerate artiste che fanno radio, avremmo continuato.

Avete appena citato il termine etichette. Ha pesato nel vostro percorso il fatto di essere due donne?

CA: Giusto di recente ci siamo poste delle domande legate al nostro essere artiste donne emergenti. Ci siamo chieste quali fossero le artiste emerse negli ultimi cinque anni e i nomi che sono venuti fuori sono pochissimi. Il motivo? I ragazzi hanno sicuramente più appeal su un pubblico di ragazzine teenager, colpite anche dal loro aspetto fisico. Ma allora per cosa si fa musica? Perché sei di bell’aspetto o perché hai qualcosa da dire che abbia realmente senso e peso?

FR: Un discografico a cui il mese scorso avevamo portato la nostra musica, dopo aver ascoltato i provini, ci ha fatto prima i complimenti per la scrittura ma ha poi aggiunto che il problema era dato dal fatto che eravamo due donne. È stata la prima volta che qualcuno ha sollevato il problema.

CA: Ci siamo sentite dire negli anni anche che abbiamo un’immagine troppo pulita e che dobbiamo tentare di “sporcarla”. Ma noi non ci sentiremmo a nostro agio con una tutina nera e i tacchi alti: non siamo noi. Non saremmo credibili, non potremmo trasmettere un messaggio sincero se non stiamo prima di tutto bene. Combattiamo tutti i giorni la nostra personalissima battaglia di ragazze acqua e sapone che hanno qualcosa da dire e voglia di farsi sentire.

Spero che prima o poi la situazione cambi. Vedo in giro una nuova generazione di artiste che stanno tentando di imporre una nuova immagine, lontane dalle sovrastrutture anche estetiche: penso a Madame o ad Ariete. Ho molta fiducia nelle nuove leve. Si può essere trasgressive solo se lo si è realmente, non se qualcuno vuole snaturarti: ne risentirebbe la tua produzione.

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Nel video di Settembre, è presente una banconota da mille lire, con un grande valore affettivo. A che ricordo sono legate le vostre mille lire?

FR: Se devo pensare a qualcosa di tangibile che ha un valore affettivo, le goleador. Hanno segnato la mia infanzia. Chiedevo a mio nonno o ai miei genitori i soldi per andarle a comprare alla mattina. Preferivo quelle alla cola e sono il ricordo che più mi riporta alla mia infanzia. (Mentre Francesca risponde, Camilla continua a ridere, ndr).

Perché ridi, Camilla?

CA: Perché anche a me sono venute in mente le goleador ma alla frutta, siamo diverse anche in questo! Il primo ricordo legato ai soldini che mi davano è legato a investimenti in zucchero: quando andavo a comprare con mille lire le mie cinque bustine di caramelle era come se avessi comprato una macchina nuova. Mi facevano sentire felice!

Casa, dicevamo all’inizio. Voi vivete ancora con i vostri genitori. Come mai non siete mai andate via?

FR: Tra le tante motivazioni, ne ho una anche molto pratica. Sto ancora frequentando l’università a Modena e non posso andare via, non adesso. Ho sì un’età per cui sento l’esigenza di avere i miei spazi e la mia libertà ma sono legata a casa.

CA: Ma anche per una questione economica: essere un’artista emergente in Italia e avere migliaia di follower in Italia non vuol dire girare con i macchinoni e far quello che altra gente vuol far credere sia possibile. Sono laureata in Lingue per il commercio, potrei lavorare otto ore in ufficio e poi far Hannah Montana ma non possono permettermi una doppia vita: non ho la stabilità economica per farlo. Sento anche l’esigenza si stare ancora con la mia famiglia e di godermi i miei cari fino a quando potrò, fino a quando non accadrà di dover andar via.

Non non ce la sentiamo di approfittare dei nostri genitori. Ci hanno sempre dato tutto ciò di cui avevamo bisogno ma non ce la sentiamo di chiedere loro dei sacrifici per mantenerci a Milano. Vogliamo arrivarci con le nostre gambe e con il nostro sudore.

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